Il guarany/Parte Seconda/Capitolo II

Parte Seconda - II. La signora

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José de Alencar - Il guarany (1857)
Traduzione dal portoghese di Giovanni Fico (1864)
Parte Seconda - II. La signora
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CAPITOLO II.


LA SIGNORA.

Due giorni dopo la scena che abbiamo descritta, in una bella sera d’estate, la famiglia di don Antonio de Mariz si era riunita sul margine del Paquequer.

Il luogo in cui si trovava, era una piccola vallicela fra due montagnette dirupate, che si innalzavano lì da presso.

L’erba che tapezzava quelle asprezze, gli alberi nati tra le fessure dei macigni, e che inclinandosi tessevano un vago padiglione di verzura, rendevano quel recesso molto pittoresco.

Non ci potea essere un sito più ameno per passare qualche ora della state, quanto quel luogo ricco di ombre e di freschezza, ove il canto degli uccelli confondeasi col mormorio delle acque.

Perciò, non ostante un po’ di lontananza dalla [p. 20 modifica]casa, la famiglia, quando il tempo era sereno, recavasi, quivi talvolta a godervi alcune ore di rezzo delizioso.

Don Antonio de Mariz, seduto da presso a sua moglie, contemplava fra un vano delle frondi quel cielo del nostro paese, sempre cotanto azzurro e sfavillante, che i figli d’Europa non si saziano d’ammirare.

Isabella, appoggiata a una giovine palma, guardava la corrente del fiume, mormorando sotto voce una canzone di Bernardino Ribeiro.

Cecilia correa per la valle inseguendo uno di quei vaghi colibrì, che nel suo rapido volo iridavasi di mille colori, scintillando come il prisma di un raggio solare.

La leggiadra fanciulla, col volto animato, sorridendo ai volteggiamenti che l’uccelletto faceale fare, come se scherzasse con lei, trovava in quel trastullo un vivo piacere.

Ma alla fine, sentendosi affaticata, andò ad appoggiarsi ad un cuscino d’erba, che innalzandosi sopra la roccia formava colla sua curva una specie di sofà naturale.

Abbandonò il capo sull’erta, e rimase in questa posizione co’ dilicati piedi sull’erbetta, quasi come sopra un tappeto di morbida lana; l’anelito della respirazione facea ansare il suo seno.

Scorse alcun tempo, senza che il menomo accidente sturbasse il quadro formato da questo gruppo di famiglia.

D’improvviso, per entro quel padiglione di [p. 21 modifica]verzura che ascondeva una tal scena, si udì un grido vibrante, una parola di lingua straniera:

Yâra1!

Don Antonio rizzossi, e volgendo intorno rapidamente lo sguardo, scôrse sopra un’altura che dominava il luogo ov’era Cecilia, uno spettacolo singolare.

In piè, fortemente appoggiato sopra uno stretto spazio formato dalla roccia, un selvaggio, coperto da una leggiera tunica di cotone2, mettea l’omero ad un macigno che si schiantava dal suo alveolo, e minacciava di rotolar giù per la china.

L’Indiano faceva uno sforzo supremo per sostenere quel peso già prossimo a schiacciarlo; e col braccio teso di rimpetto a un ramo di albero mantenea, per mezzo di una violenta tensione di muscoli, l’equilibiro del corpo.

L’albero vacillava e già parea che macigno e persona rotolassero a basso, e si precipitassero ambedue sopra la fanciulla seduta alla falda della roccia.

Cecilia, udito quel grido, avea levato il capo, e guardava suo padre con meraviglia, senz’addarsi del pericolo che la minacciava.

Vedere, lanciarsi verso sua figlia, prenderla nelle braccia, strapparla alla morte, fu per don [p. 22 modifica]Antonio de Mariz un solo pensiero, un solo movimento, che effettuò colla forza e l’impeto che gli dava quel suo sublime amore di padre, che era tutta la sua vita.

Nell’atto che il fidalgo poneva Cecilia, quasi svenuta, nel grembo di sua madre, l’Indiano saltava nel mezzo della valle; e la pietra rotolando precipitava dall’alto e affondavasi per un buon tratto nel terreno.

Fu allora che gli altri spettatori di cotesta scena, come paralizzati dallo strano accidente, gettarono un grido di terrore, pensando al pericolo che già era passato.

Un largo solco, che si stendeva da quell’eminenza fino al luogo ove Cecilia si era adagiata, mostrava la strada tenuta dal masso, che svelse e abbattè quanto incontrò nel suo rapido corso.

Don Antonio, ancora pallido e tremante pel pericolo corso da Cecilia, volgeva gli occhi da quel sito, che per lui avea l’aspetto di una tomba, verso il selvaggio, sorto come un genio benefico dalle foreste del Brasile.

Il fidalgo non sapea che cosa ammirare di più, se la forza o l’eroismo con che avea salva sua figlia, o il miracolo d’agilità con cui si era cansato da morte.

Quanto al sentimento, che era stato cagione di quel procedere, don Antonio non maravigliavasi; conosceva il carattere de’ nostri selvaggi, tanto ingiustamente calunniati dagli storici; e sapea che all’infuori della guerra e della vendetta [p. 23 modifica]erano generosi, e capaci di un atto magnanimo, e di uno stimolo nobile.

Per un buon pezzo un cupo silenzio, che esprimeva meglio di qualsivoglia discorso, regnò in quella brigata, che in modo sì impreveduto avea fatto passaggio dalla calma e dalla gioia all’ansietà ed al terrore.

Donna Lauriana e Isabella, prostrate, rendevano grazie a Dio del benefizio ricevuto; Cecilia ancora tutta compresa di spavento, appoggiavasi al petto di suo padre, baciandogli la mano con tenera effusione; l’Indiano, umile e sommesso, affisava lo sguardo pieno di ammirazione nella fanciulla che avea salvata.

Alla fine don Antonio, passando il braccio sinistro alla cintola di sua figlia, andò alla volta del selvaggio, e con nobile gesto gli stese affabilmente la mano: l’Indiano chinossi e baciò la mano del fidalgo.

— Di che nazione sei? gli dimandò il cavaliere in lingua guarany.

— Goytacaz: rispose il selvaggio levando il capo con un gesto altero.

— Come ti chiami?

— Pery, figlio di Arare, il primo della sua tribù.

— Io sono un fidalgo portoghese, un Bianco, nemico della tua razza, conquistatore della tua terra; ma tu salvasti mia figlia; ti offro la mia amistà.

— Pery accetta; tu già gli eri amico. [p. 24 modifica]

— In che modo? dimandò don Antonio maravigliato.

— Ascolta.

L’Indiano cominciò nel suo linguaggio tanto ricco e poetico, con quella dolce pronuncia che parea aver appresa dalle aure della nostra terra o dagli uccelli delle nostre foreste, questa semplice narrazione.

«Era il tempo degli alberi d’oro3.

«La terra coperse il corpo di Arare e le sue armi, all’infuori dell’arco di guerra.

«Pery chiamò i guerrieri della sua nazione, e disse:

«Il padre è morto; quello che sarà il più forte di tutti, si avrà l’arco di Arare. Guerra!

«Così parlò Pery; e i guerrieri risposero: Guerra!

«Finchè il sole illuminò la terra, camminammo; quando la luna sorse in cielo, arrivammo. Combattemmo come goytacazi. Vi fu mischia per tutta una notte. Vi fu sangue e fuoco.

«Quando Pery abbassò l’arco di Arare, non [p. 25 modifica]v’era nella dimora de’ Bianchi una capanna in piedi 4, un uomo vivo; tutto era cenere.

«Venne il dì e illuminò il campo; venne il vento e disperse la cenere.

«Pery avea vinto; era il primo della sua tribù, e il più forte di tutti i guerrieri.

«Venne sua madre, e disse:

«Pery, capo de’ Goytacazi, figlio di Arare, tu sei grande, tu sei forte come tuo padre; tua madre ti ama.

«Vennero i guerrieri, e dissero:

«Pery, capo de’ Goytacazi, figlio di Arare, tu sei il più valente della tribù, e il più temuto dagl’inimici; i guerrieri ti obbediscono.

«Vennero le donne, e dissero:

«Pery, primo di tutti, tu sei bello come il sole, e flessibile come la canna silvestre, che ti diè il nome; le donne sono tue schiave.

«Pery ascoltò e non rispose; nè la voce di sua madre, nè il canto dei guerrieri, nè l’amore delle donne lo fecero sorridere.

«Nella casa della croce5, nel mezzo del fuoco, Pery avea visto la signora dei Bianchi; [p. 26 modifica]era candida come la figlia della luna; era bella come il cigno del fiume.

«Avea il colore del cielo negli occhi; il colore del sole nei capelli; era vestita di nuvole, con un serto di stelle e un aureola di luce.

«Il fuoco passò; la casa della croce cadde.

«La notte Pery ebbe un sogno; la signora apparve; era triste e parlò così:

«Pery, guerriero libero, tu sei mio schiavo; tu mi seguirai in ogni parte, come la gran stella accompagna il giorno.

«La luna mostrava il suo arco vermiglio, quando tornammo dalla guerra: tutte le notti Pery vedea la signora nella sua nuvola; non toccava la terra, e Pery non potea salire al cielo.

«Il cajueiro6, quando perde le sue foglie, sembra morto; non ha fiori, nè ombra, geme alcune lacrime dolci, come il miele de’ suoi frutti.

«Così Pery si fece triste.

«La signora più non comparve: e Pery vedea sempre la signora ne’ suoi occhi.

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«Gli alberi rinverdirono; gli uccelli cominciarono a fare il nido; il sabià cantò; tutto sorrideva: il figlio di Ararê ricordossi di suo padre.

«Venne il tempo della guerra.

«Partimmo, andammo; arrivammo al gran fiume. I guerrieri disposero le loro amache; le donne faceano fuoco; Pery guardo il sole.

«Vide passar il gaviao7.

«Se Pery fosse il gaviao, andrebbe a vedere la signora nel cielo.

«Vide passar il vento.

«Se Pery fosse il vento, carreggerebbe la signora nell’aria.

«Vide passar l’ombra.

«Se Pery fosse l’ombra, accompagnerebbe la signora di notte.

«Gli uccelli dormirono tre volte.

«Sua madre venne e disse:

«Pery, figlio di Araré, un guerriero bianco ed una vergine bianca salvarono tua madre.

«Pery prese le sue armi e partì; andava a vedere il guerriero bianco per essergli amico; e la figlia della signora per esserle schiavo.

«Il sole arrivava a mezzo il cielo, e Pery arrivava pure al fiume; vide da lungi la tua gran casa; il guerriero goytacaz ebbe tema.

«Vergine bianca apparve. [p. 28 modifica]

«Era la signora che Pery avea vedulo; non istava mesta come la prima volta; era lieta; avea lasciato colà la sua nuvola e le sue stelle.

«Pery disse:

«La signora discese dal cielo, lasciò la compagnia della luna sua madre; Pery, figlio del sole, accompagnerà la signora sulla terra.

«Gli occhi erano fissi nella signora; e l’udito nel cuore di Pery; il masso vacillo, e volea cadere per offendere la signora.

«La signora avea salvato la madre di Pery, Pery non volle che la signora diventasse triste, e ritornasse al cielo.

«Comando al masso, gridò: tu vedesti, ac corresti. La signora è contenta, Pery è felice.

«Guerriero bianco, Pery, primo della sua tribù, figlio di Arare, della nazione goytacaz, forte in guerra, ti offre il suo arco; tu sei suo amico.»

L’Indiano terminò qui il suo racconto.

Nell’atto che parlava, un senso di quell’orgoglio rubesto, che dà la forza e il coraggio, brillava ne’ suoi occhi neri, e dava una certa nobiltà al suo gesto.

Ancorchè ignorante, figlio delle foreste, era un re; avea la supremazia del comando, il primato della sua tribù; era re pel diritto del più forte.

Appena ebbe conchiuso, l’alterezza del guerriero disparve; si fece timido e sommesso; non era più che un barbaro al cospetto di persone [p. 29 modifica] incivilite, la cui superiorità di educazione il suo istinto riconosceva.

Don Antonio lo ascoltava sorridendo per quel suo stile alle volte figurato, alle volte semplice, come le prime frasi che balbetta il pargolo sul seno di sua madre.

Il fidalgo traduceva nel miglior modo che sa peva questo linguaggio poetico a Cecilia, che già fuori d’affanno, e malgrado la paura che fa cevale il selvaggio, volea per forza sapere quello che diceva.

Non senza qualche stupore appresero dal racconto di Pery, che un’Indiana, salvata due giorni addietro da don Antonio dalle mani di un avventuriere, e da Cecilia regalata di grani di vetro azzurri e scarlatti, era madre di lui.

— Pery, disse il fidalgo, quando due uomini s’incontrano e diventano amici, quello che sta nella casa dell’altro accetta l’ospitalità.

— È il costume che i vecchi trasmisero ai giovani della tribù, e i padri ai figli.

— Tu cenerai con noi.

— Pery ti obbedisce.

La sera veniva avanzando; splendevano le prime stelle.

La famiglia, accompagnata da Pery, avviossi alla casa e ascese lo spianato.

Don Antonio entrò un momento in casa, e ne uscì portando quella bella carabina damaschinata, col blasone delle armi del suo casato, e che già vedemmo nelle mani dell’Indiano. [p. 30 modifica] — È la mia fida compagna, la mia arma di guerra: mai fallì il fuoco, mai sbaglio la mira: la sua palla è come la saetta del tuo arco: Pery, tu mi desti la mia figlia; mia figlia ti dà l’arma di guerra di suo padre.

L’Indiano ricevetle il presente con tremore e con gratitudine immensa.

— Quest’arma che viene dalla signora, farà un sol corpo con Pery.

La campana della piazzetta suono, annunziando la cena.

L’Indiano, impacciato da quegli usi strani, preso da un sacro rispetto, non sapea come contenersi.

Malgrado tutti gli sforzi del fidalgo, che provava un piacere indicibile in mostrargli di apprezzare la sua azione, e ringiovaniva colla gioia di veder viva la sua figliuola, il selvaggio non toccò ad alcuna vivanda.

Alla fine don Antonio de Mariz, vedendo che ogni insistenza era inutile, empì due tazze di vino delle Canarie.

— Pery, disse il fidalgo, avvi un costume fra i Bianchi, ed è che un uomo suol bere alla salute di quello che gli è amico. Il vino è il liquore che dà la forza, il coraggio e l’allegria. Bere per un amico è quanto dire che l’amico è e sarà forte, coraggioso e felice. Io bevo pel figlio di Arare.

— E Pery beve per te, perchè sei padre della signora; beve per te, perchè salvasti sua madre; beve per te, perchè sei guerriero. [p. 31 modifica]

A ciascuna parola l’Indiano accostò la tazza alle labbra, e bevve un sorso di vino, senza dare il menomo segno di disgusto; avrebbe bevuto del veleno alla salute del padre di Cecilia.







Note

  1. In guarany — La Signora.
  2. I cronisti riferiscono che molte tribù indiane filavano il cotone per farne vesti, amache ed altri oggetti.
  3. La sapucaia (coco duro) perde le foglie nel tempo della fioritura, e si copre di tanti fiori rossigni, da non lasciar più vedere ne il tronco nè i rami: lo stesso avviene dell’embabiba, del legno santo e d’altri alberi. Il tempo della fioritura di questi alberi cadendo in settembre, la frase figurata dell’Indiano si traduce nel modo seguente: — “Era il mese di settembre.”
  4. Alludesi alla colonia della Vittoria, oggi capitale della provincia dello Spirito Santo, che fu due volte sterpata dai Goytacazi, Tupininquin. È uno di quei combattimenti, che l’Indiano racconta per incidenza.
  5. E l’espressione di cui si servirebbe un selvaggio per indicare la chiesa. Dalla descrizione che segue, si scorge che il selvaggio vide nella chiesa, all’occasione dell’incendio che divorò la città di Vittoria, un’immagine di Nostra Signora, che gli fece assai viva impressione.
  6. Questa immagine è quanto si può dir vera: al tempo della caduta delle foglie, il tronco di quest’albero geme una resina di cui gl’Indiani fanno molto uso, e ancora al dì d’oggi serve nel nord per supplire alla gomma arabica.
  7. Il gaviao è l’aquila del Brasile; è l’uccello che ha il volo più alto e più rapido. Molti scrittori lo assomigliano al falcone europeo.