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casa, la famiglia, quando il tempo era sereno, recavasi, quivi talvolta a godervi alcune ore di rezzo delizioso.
Don Antonio de Mariz, seduto da presso a sua moglie, contemplava fra un vano delle frondi quel cielo del nostro paese, sempre cotanto azzurro e sfavillante, che i figli d’Europa non si saziano d’ammirare.
Isabella, appoggiata a una giovine palma, guardava la corrente del fiume, mormorando sotto voce una canzone di Bernardino Ribeiro.
Cecilia correa per la valle inseguendo uno di quei vaghi colibrì, che nel suo rapido volo iridavasi di mille colori, scintillando come il prisma di un raggio solare.
La leggiadra fanciulla, col volto animato, sorridendo ai volteggiamenti che l’uccelletto faceale fare, come se scherzasse con lei, trovava in quel trastullo un vivo piacere.
Ma alla fine, sentendosi affaticata, andò ad appoggiarsi ad un cuscino d’erba, che innalzandosi sopra la roccia formava colla sua curva una specie di sofà naturale.
Abbandonò il capo sull’erta, e rimase in questa posizione co’ dilicati piedi sull’erbetta, quasi come sopra un tappeto di morbida lana; l’anelito della respirazione facea ansare il suo seno.
Scorse alcun tempo, senza che il menomo accidente sturbasse il quadro formato da questo gruppo di famiglia.
D’improvviso, per entro quel padiglione di ver-