Il cavaliere di spirito/Atto IV
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ATTO QUARTO.
SCENA PRIMA
Il Conte e Gandolfo.
Venir qua di nascosto non vuò, non istà bene:
Un galantuom mio pari può andar per ogni dove.
Gandolfo. Signor, vi dirò tutto. Abbiam cattive nuove.
Venuto all’improvviso don Flavio poco fa,
Sorpresa ha la padrona, e come non si sa.
So ben, che pien di sdegno sfogati ha i labbri suoi.
Conte. È sfigurato in viso?
Gandolfo. È sano come voi.
Conte. Dunque non è di un occhio, com’ei dicea, privato?
Gandolfo. Tirava un paro d’occhi, che parea spiritato.
Gandolfo. Ecco la mia padrona, da lei saprete il vero.
Credo che per scoprirla studiato abbia l’arcano:
La biscia questa volta beccato ha il ciarlatano. (parte)
SCENA II.
Il Conte, poi donna Florida.
Florida. Ah fuggite, signore.
Conte. Ho da fuggir? perchè?
Florida. Di voi ha concepito don Flavio un rio sospetto;
Per avvisarvi io feci venir voi nel mio tetto.
Ma da don Claudio indegno, di ciò tosto avvisato,
Viene don Flavio istesso a questa volta irato.
Conte. Venga pur, ch’io l’aspetto; possibile ch’ei voglia
Me attaccar disarmato? Se ardirà quella soglia
Passar con rio disegno, ritroverà il guerriero
Che gli saprà rispondere; e umiliarlo io spero.
Florida. Ah, per me non vorrei vedervi in un cimento.
Conte. Di quanto per voi feci, signora, io non mi pento:
La mia conversazione, il mio parlar fu onesto,
Non ho rimorso alcuno, che al cuor mi sia molesto.
Son della pace amico, rarissimo mi sdegno;
Ma anch’io coraggio ho in petto, se sono in un impegno.
Florida. Eccolo ch’egli viene.
Conte. Il suo venir non temo.
Ritiratevi.
Florida. Oh cieli! per cagion vostra io tremo. (parte)
SCENA III.
Il Conte, poi don Flavio.
Lo voglio senza caldo attendere sedendo. (siede)
Se poi vuol far il pazzo, e il suo dover scordarsi,
Di me può darsi ancora, ch’egli abbia a ricordarsi.
Conte. Don Flavio, ben venuto.
Flavio. Signor, in queste soglie perchè siete venuto? (altiero)
Conte. A un cavaliere amico dir non ricuso il vero;
Basta che il cavaliere non mel domandi altero.
Flavio. Con volto meno irato non tratto un inimico.
La cagion che vi guida, voglio saper, vi dico.
Conte. Voglio? Così parlate a un galantuom mio pari?
Perchè, signor don Flavio, perchè quei detti amari?
Più non mi conoscete? Credea, se il ciel v’aiuti,
Perduto aveste un occhio. Li avete ambi perduti?
Flavio. Voi pur foste ingannato dal menzognero avviso;
Vi ho colto, vi ho scoperto entrambi all’improvviso.
Conte. Entrambi! con chi sono da voi posto del pari?
Flavio. Con una donna infida.
Conte. Sospetti immaginari!
Stimo assai donna Florida; la comoda occasione
M’indusse colla dama a far conversazione.
Lo so ch’è a voi promessa, conosco il mio dovere;
Non l’amo, e ve ne accerti l’onor di un cavaliere.
Flavio. Non credo a un menzognero.
Conte. Ehi, signor militare,
Così meco si parla? Chi v’insegnò il trattare?
Flavio. Parlandovi in tal guisa, al mio dover non manco.
Lo sosterrà la spada. (mette mano)
Conte. Io non ho spada al fianco.
Flavio. Provvedetevi tosto di un ferro, e qui vi aspetto.
Conte. Sì signor, volentieri. Questa disfida accetto.
Ci batteremo insieme ognor che voi vorrete;
Ma discorriamo in prima. Signor alfier, sedete.
Flavio. Invan cercar tentate di raddolcir mio sdegno:
Voglio vendetta. All’armi.
Conte. Non accettai l’impegno?
Temete che vi fugga un uom della mia sorte?
Credete ch’io vi tema di me più franco e forte?
Ma prima senza caldo sedete, e discorriamo.
Flavio. Questa indolenza vostra più m’altera e m’accende.
Un uom del mio coraggio dimora non attende:
O armatevi di ferro velocemente il braccio,
O disarmato ancora con voi mi soddisfaccio.
Conte. Oh bel valor sarebbe di un nobile soldato,
Insultar colla spada un uom ch’è disarmato!
Flavio. L’insulto sarà tale, qual voi lo meritate.
Vi tratterò qual vile.
Conte. Da ridere mi fate.
Flavio. Ridermi in faccia ancora? Non soffro un simil torto.
Lagnati di te stesso, (alza la spada per offender il Conte)
Conte. Fermati, o tu sei morto.
(si alza, mettendo mano ad una pistola)
Flavio. Come! un’arma da foco contr’un di brando armato?
Conte. Come! avventar la spada contro un uom disarmato?
Nel fodero la spada, o senza alcun rispetto
Quest’arma in mia difesa vi scarico nel petto.
Flavio. Battervi promettete?
Conte. Accetto la disfida.
(don Flavio rimette la spada)
Ora il signor alfiere permetterà ch’io rida.
Flavio. Giuro al cielo.
Conte. Un sol passo di qua non vi movete.
Flavio. Me soverchiar pensate?
Conte. No, favelliam; sedete. (siede)
Flavio. Ebben, che avete a dirmi?
Conte. Fin che restate in piede,
Si perde il tempo in vano. Col galantuom si siede.
Flavio. Deggio soffrire a forza? Sedere a mio dispetto?
(siede)
Conte. Bravo. Parliamo un poco. Poi battermi prometto.
Voi altri avvezzi sempre ad impugnar l’acciaro,
Credete che nessuno vi possa star al paro.
Senza scaldarci il sangue, senza avvampar di fuoco.
Flavio. Quanto dovrò soffrire questo grazioso invito? (ironico)
Conte. Lo soffrirete in pace, infin che avrò finito.
Flavio. Via, spicciatevi tosto.
Conte. Deponete l’orgoglio.
Ora non siamo in armi. Amico ora vi voglio.
Trattiam di quel che preme, e il dir poi terminato,
Foco, furore e sdegno, corrasi in campo armato.
Parliam placidamente.
Flavio. (Che sofferenza è questa!) (da sè)
Conte. Ch’io sia vostro rivale fitto vi avete in testa;
Vi proverò che tale non sono ad evidenza.
Sposate donna Florida in pace, in mia presenza.
Se amassi il suo sembiante, se mia volessi farla,
Credete che vilmente giungessi a rinunziarla?
Se battere s’abbiamo senza ragione alcuna,
Almen vorrei col ferro tentar la mia fortuna;
E dir, se al mio rivale mi riesce di dar morte,
Sarò di donna Florida più facile il consorte.
Ma la rinunzio in prima; sposatela, vi dico:
Poi la disfida accetto. Questo è parlar d’amico.
Questo è quell’onor vero, che un cavalier dichiara:
Al campo solamente a viver non s’impara.
La spada non s’impugna per uso e per baldanza:
Un uom non si assalisce inerme in una stanza.
E meglio intendereste, signor, la mia ragione,
Se prima aveste avuto miglior educazione.
Ma non andiam tentando l’ire focose ultrici,
Passiamo ad altre cose, parliamoci da amici.
Voi giudicate ingrata la sposa vostra, il veggio;
Sarebbe colpa vostra, se fatto avesse peggio.
Chi v’insegnò dipingervi sì sfigurato in viso?
Perchè dare a una donna sì stravagante avviso?
Ciascun cerca di rendersi della sua bella al cuore
Per comparir più vago l’amante fa di tutto;
E voi perchè studiate di comparir più brutto?
Credeste voi col merito di farla a voi costante?
Quel che alla donna piace, credete, è un bel sembiante;
E a sposa non legata è un brutto complimento
Il dire, il vostro sposo è un uom che fa spavento.
Volete esser sicuro, se v’ami o se non v’ami?
Provate se al presente ricusa i suoi legami.
S’ella sposarvi è pronta, or che tornaste sano,
È segno che temeva un volto disumano;
E se disfigurato diceva, io non lo voglio,
La colpa non è sua, ma sol del vostro foglio.
Voi di tentarla ardiste con modo inusitato,
Forse da un falso amico all’opra consigliato.
Don Claudio amolla un tempo, e l’ama ancora adesso;
Fin qui venne a tentarla il vostro amico istesso;
E per staccarla forse da voi, formò il disegno
Di rendervi geloso, di porvi in un impegno.
Si valse il sciagurato di me, che civilmente
Mi offersi di trattarla in villa onestamente.
Per altro il mio costume a tutti è già palese;
Prendete informazione di me per il paese:
E vi dirà ciascuno, che sono un uom d’onore,
Che a tutti fo del bene, potendo, di buon core.
E il ragionar ch’io faccio con voi placidamente
Dopo gli insulti vostri, vi mostra apertamente,
Che l’onor di una dama mi accende il cuor sincero,
Che parlo per giustizia, e per amor del vero.
Se di ragione avete nella vostr’alma il lume,
Se barbaro non siete, per uso o per costume,
Convinto esser dovete, per quel che vi si mostra,
Che debole è la sposa, ma che la colpa è vostra.
Giustificato appieno l’onor che in me s’annida,
Difesa donna Florida, andiamo alla disfida. (s’alza)
Da voi, se non che pongasi lo sdegno in oblivione.
Son soddisfatto appieno da ciò che voi diceste,
Conosco il vostro zelo, le vostre mire oneste.
Se dell’insulto fattovi bramate una vendetta,
A me col ferro in pugno rispondere s’aspetta.
Verrò, se il pretendete, per obbligo al cimento,
Ma giuro che di voi son pago e son contento.
Conte. Se parvi ch’io non meriti di essere mal trattato,
La vostra confessione mi basta, e son calmato.
Son pronto, se bisogna, ad ogni fier cimento,
Ma battermi non godo per bel divertimento.
Dunque restiamo amici, col più costante impegno
Che sia dai nostri petti scacciato ogni disdegno.
Flavio. Con voi, sì, lo prometto. Non colla donna ingrata.
Conte. Ditemi il ver, l’amate?
Flavio. Sa il ciel quanto l’ho amata!
Conte. Ed ora?
Flavio. Ed or l’amore s’è in odio convertito.
Conte. Perchè?
Flavio. Perchè la cruda mi offese, e mi ha schernito.
Conte. Se donna fedelissima trovar vi lusingate
Senza difetto alcuno, amico, v’ingannate.
Prender conviene al mondo quel che si può, e star cheto.
Sposando donna Florida, potete viver quieto:
Un po’ di debolezza in lei s’annida, il veggio,
Ma trovereste alfine in altre ancor di peggio.
Ella volea lasciarvi, temendovi imperfetto;
Quant’altre fan lo stesso con vago giovinetto?
Alfin non è sposata, con lei non siete unito;
Quant’altre non si trovano, che lasciano il marito?
Non dico che l’esempio di pessime persone
Nei loro mancamenti giustifichi le buone,
Ma vi conforto ad essere lieto nel vostro cuore,
Ch’è alfin la vostra sposa del numero migliore.
Conte. Riflettere conviene, se alcun l’ha consigliata.
Flavio. Fosse don Claudio autore del duplicato imbroglio?
Ei mi recò sollecito colle sue mani il foglio.
Ei consigliommi a fingere, a starmi ritirato:
Di amante a donna Florida egli è che vi ha accusato.
Se falsamente il disse, se è menzognero in questo,
Esser potrebbe ancora un traditor nel resto.
Lo troverò, l’indegno, lo troverò fra poco. (irato)
Conte. Amico, io vi consiglio di moderare il foco.
Chi col furor si accieca, chi corre in troppa fretta,
Suol la ragion sovente smarrir della vendetta.
Prima di vendicarsi di un torto, di un disgusto,
Esaminar conviene se il sospettar sia giusto;
Cercar per altra strada la sua soddisfazione,
Provar se l’avversario vuol renderci ragione,
E far che sia la spada quell’ultimo cimento
Con cui l’onore adempia il suo risentimento.
Pensiamo che la vita nel mondo è il primo bene;
Per ogni lieve incontro sprezzarla non conviene:
Quando l’onore il chieda, dee cimentarsi, il so,
Ma incontro alle sventure più tardi che si può.
Non basta il dir, son bravo, non basta il dir, son forte;
Si va sempre, battendosi, incontro a dubbia sorte.
Voi altri militari so che il valor vantate,
Vincete cento volte, ed una ci restate.
Si ha da morir? si mora, ma almen da buon soldato;
Morir da valoroso, e non da disperato.
Chi muor per una donna, sapete cosa acquista?
Quella iscrizion graziosa, che in lapide fu vista:
Qui giace un cavaliere morto per donna infida;
Divoto il passeggiere dica: fu pazzo, e rida. (parte)
SCENA IV.
Don Flavio solo.
Quando il furor m’accende, sì presto i’ non m’affreddo.
S’or mi venisse incontro don Claudio sciagurato,
Vorrei colla mia spada trargli dal seno il fiato.
Non merta che si serbino le leggi dell’onore,
Un uomo menzognero, un empio traditore.
SCENA V.
Don Claudio e detti.
Flavio. Ah scellerato! (vuol assalirlo colla spada)
Claudio. A me? (ritirandosi)
Flavio. Sì a voi, mendace.
(si avanza incalzandolo)
Claudio. Anch’io saprò difendermi (impugna la spada)
Flavio. Dovrai cadere, audace.
(Si battono; don Claudio incalza violentemente don Flavio, e questi rinculando si abbatte senza avvedersene nelle sedie che sono in mezzo alla stanza, e cade.)
SCENA VI.
Donna Florida e detti.
(da sè, sulla porta della camera, non veduta)
Claudio. Tua vita è in mio potere.
(minacciando don Flavio)
Flavio. Non è, ferir chi cadde, azion da cavaliere.
Claudio. Nè fu gloriosa azione venirmi ad assalire
In domestico sito. Perfido, hai da morire. (lo vuol ferire)
Claudio. Va’, che sei fortunato.
(a don Flavio)
Flavio. (Si alza, e cerca la spada.)
Florida. Partite. (a don Claudio)
Claudio. Non si speri, ch’io parta invendicato.
Florida. Qual prepotenza è questa? Olà, fuor del mio tetto.
(a don Claudio, incalzandolo verso la porta)
Claudio. Son cavalier, lo sdegno di femmina rispetto. (parte)
SCENA VII.
Don Flavio e donna Florida.
(volendo seguitar don Claudio colla spada in mano)
Florida. Fermatevi. (trattenendolo)
Flavio. Lasciate.
(facendo forza per andare)
Florida. Don Claudio mi rispetta, e voi mi disprezzate?
(trattenendolo)
Flavio. Ah, s’involò a’ miei lumi, trovarlo or non m’impegno.
Ma di fuggir non speri; lo troverà il mio sdegno.
Florida. Contro l’amico vostro quale ragion vi accende?
Flavio. Da me una sposa infida saperlo invan pretende.
Florida. Parvi che sia infedele chi per la vostra vita
Contro d’un uomo armato venne ad esporsi ardita?
Flavio. Qualunque sia il motivo, che in mio favor vi ha mosso,
L’infedeltà rammento, scordarmela non posso.
Florida. Ed io non men di voi rammento a mia vergogna,
Di un foglio mentitore l’inganno e la menzogna.
Flavio. Ferito, sfigurato, di voi non son più degno.
Florida. Per provare una sposa vi vuole un bell’ingegno.
Flavio. Perfida!
Florida. Mentitore!
Florida. Non merita costanza chi all’onor mio non crede.
Se voi per un capriccio formaste il foglio rio,
Fu per capriccio ancora formato il foglio mio.
Fingendovi difforme, godeste a tormentarmi,
Io fingermi incostante provai per vendicarmi;
E qual voi compariste illeso nel sembiante,
Tal son nel primo impegno saldissima e costante.
Credete o non credete quel che giurar m’impegno,
Non curo l’amor vostro, non curo il vostro sdegno.
Chi dubita, chi teme la mia parola incerta,
Di me fa poca stima, e l’amor mio non merta.
Flavio. Ecco di sposa amabile il docile talento!
Dell’onta ch’io soffersi, si vede il pentimento!
Invece di placarmi con umili parole,
Gareggia in pretensioni, inventa delle fole.
Florida. Per darvi un nuovo segno d’amor, di tenerezza1,
D’aver troppo creduto quest’alma mia si accusa,
E della debolezza a voi domando scusa.
Scordatevi, vi prego, il dispiacer passato,
Certo che vi ama ancora quella che ancor vi ha amato.
Flavio. No, che mai non mi amaste, no, che che all’amor non credo;
L’idea di un tradimento in voi comprendo, e vedo.
Saldo nel non curarvi mi mostrerei qual sono,
Se vi vedessi ai piedi a chiedermi perdono.
Florida. Dunque se amore invano vi offre una sposa amante,
Seguite a disprezzarmi furioso e delirante.
Flavio. Ecco il bel testimonio del più perfetto amore.
(mostra la lettera di donna Florida)
Florida. Ecco la carta indegna, che mi ha trafitto il core.
(mostra la lettera di don Flavio)
Flavio. Vanne stracciato al vento. (straccia la lettera)
(straccia la lettera)
Flavio. Così stracciar potessi colei che ti ha vergato.
Florida. Qual ti calpesta il piede, del mio disprezzo in segno,
Potessi calpestare il cuor di quell’indegno.
Flavio. Ritornerò lontano da questo ciel protervo.
SCENA VIII.
Gandolfo ed i suddetti.
Flavio. Chiamatemi il mio servo.
(a Gandolfo)
Gandolfo. Il pranzo è preparato.
Florida. No, no, facciam di meno.
Flavio. Possa, qualor si ciba, mangiar tanto veleno.
Il mio servo, vi dico. (a Gandolfo)
Gandolfo. Subito.
Florida. Alla partita
Sian pronti i miei cavalli, voglio esser servita.
Gandolfo. Signora...
Florida. Immantinente... (a Gandolfo)
Flavio. Più tollerar non posso.
(a Gandolfo)
Gandolfo. Sì, saranno serviti. (Hanno il diavolo addosso).
(da sè, e parte)
SCENA IX.
Donna Florida, don Flavio, poi Gandolfo ed il Servitore del suddetto.
Florida. La libertà concessami senza esitar mi prendo.
Flavio. Ma chi ardirà sposarvi, morrà per le mie mani.
Florida. Vorrei che mi venisse da maritar domani.
Florida. Disumano!
Gandolfo. Il servitore è qui. (a don Flavio)
Florida. Son pronti i miei cavalli?
Gandolfo. Pronti, signora sì.
Flavio. Il mio mantel da viaggio. (al servo che parte)
Florida. Voi verrete con me.
(a Gandolfo)
Gandolfo. Tutto quel che comanda. (Qualche diavolo c’è).
Servitore. (Torna con il mantello del suo padrone.)
Flavio. Andrò di qua lontano. (prendendo il suo mantello)
Florida. Chi vi trattiene? Andate.
Flavio. Oh maledetta sorte!
Florida. Oh donne sfortunate!
Flavio. (Partir mi lascia? Indegna!) (da sè)
Florida. (Par che vacilli il piede).
(da sè)
Flavio. Donna senza pietade, anima senza fede!
(a donna Florida)
Florida. A me?
Flavio. Sì a voi, che darmi godendo un rio martello...
Gandolfo. Signor, veda che in terra si strascica il mantello.
Flavio. Eh, del mantel non curo, non curo della vita.
(getta via il mantello)
Morasi una sol volta, facciamola finita.
Mi liberi il mio ferro dall’orrido strapazzo
Di una tiranna ingrata, (caccia la spada, e si vuol ferire)
Gandolfo. Aiuto.
(fugge via, e fa lo stesso il servitore)
Florida. Siete pazzo?
(si avventa, e gli leva la spada)
Flavio. Pazzo fui nel dar fede a femmina spietata.
Florida. Colpa è di voi l’affanno che vi tormenta.
Flavio. Ingrata!
(parte)
Ma no, che non vogli’ essere a cedere la prima.
Pur troppo di viltade giunsi testè all’eccesso;
Vuò in me che si sostenga l’onor del nostro sesso.
A domandar pietade ha da venir, lo spero;
Chi è quel che può resistere a un sguardo lusinghiero?
Queste dell’uom son l’armi, che altrui recan la morte,
(accennando la spada che tiene in mano)
Ma i vezzi delle donne san vincere anche il forte.
Fine dell’Atto Quarto.
Note
- ↑ Manca, a questo punto, il secondo verso del distico. Gli editori dell’Ottocento riempirono la lacuna con tale aggiunta: E per farvi vedere quanto il mio cuor vi apprezza.