Il Novellino/Parte prima/Novella III
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NOVELLA III.
ARGOMENTO.
AL CLARISSIMO POETA JOANNE PONTANO.1
ESORDIO.
Se dei veri amici como de sé medesimo, magnifico mio Pontano, l’onore e commodità se recerca, io ancora che al numero dei tuoi minimi amici sia, a quello cercare e volere e per ogni debito desiderare son costretto. Il che cognoscendote di tante singularissime virtù accompagnato, che lume dei rettorici e specchio de’ poeti meritamente appellar te potemo, oltre le infinite altre notevoli parti che in te sono, e vedendo quelle di una sola macchia contaminate, la quale facilmente nettar si puote, non ho voluto in alcun modo tacerla; e ciò è il continuo e con stretta pratica tuo conversare con religiosi d’ogni sorte; il che quanto ad un uomo de tanta integrità come tu se’ maggior mancamento e più reprensibile sia che con eretici tener trame, tu medesimo giudicare lo potrai; atteso che con loro non altri che usurai, fornicatori, e omini di mala sorte conversare si vedeno, acciò che sotto tale ipocrita conversatione possano il compagno ingannare. Dunque non essendo tu lupo, non conviensi della sua pelle foderarsi il tuo mantello: rimoviti, te prego, da si reprobato e dannabile camino, persuadendote massimamente a non solo da tali pratiche al tutto ritrarte, ma da la tua casa, come fossero de la contagiosa peste ammorbati, con decreto eterno egualmente gli priva; e ciò operando, d’ogni futuro sospetto te traerai, e a loro non darai materia di entrare per l’uscio de la tua amistà a contaminare, come sogliono, le tue brigate. Ed acciò che a detto precipizio correr non te veggia, oltre le prenotate ragioni, te mostrarò per autorità del mio parlare e per esempio del tuo futuro operare, nella seguente novella a te dirizzata, che ragione rendi l’amicizia d’un santo religioso ad un medico catanese di loro più che altro seguace, ancora che gelosissimo fosse, e come con suttilissima arte da la moglie e dal frate fosse stato il poveretto tradito e beffato.
NARRAZIONE
Catania nobele e clarissima, come chiaro saperne, tra le notevoli città dell’isola de Cicilia è nominata: ne la quale non è gran tempo vi fu un dottore de medicina maestro Rogero Campisciano nominato. Costui quantunque de anni fosse pieno prese per moglie una giovenetta chiamata Agata, de assai onorevole famiglia della città predetta, la quale secondo la comune sententia era la più bella e leggiadra donna che in quelli tempi in tutta l'isola se trovasse; onde il marito non meno che la propria vita l’amava. E perchè rade volte o mai si fatto amore vien senza gelosia, in brevissimo tempo senza altra cagione sì geloso ne divenne, che non solamente da gli estrani ma da amici e parenti gli avìa già la conversatione interdetta. E quantunque lui fosse molto domestico de’ Frati Minori, e guardatore de loro dinari, e procuratore de l'ordine, e finalmente lutto famigliare e sua cosa loro, nondimeno per maggior sua cautela a la donna aveva imposto ed ordinato che de loro conversatione, non manco che de’ disonesti secolari, guardar si dovesse. Avvenne intanto non dopo longo tempo che in Catania arrivò un frate minore fra Nicolò da Narni nominato: questi ancora che de’ bizzochi sembrasse, e con un paio de zoccoli come cippi de carcere, col corame al petto del mantello, col collo torto, e tutto pieno d’ipocrisia andasse, pure egli era giovene bello e ben complessionato, e oltre che in Peruscia2 studiato avesse, e in la loro dottrina solenne divenuto, era un famoso predicatore, e stato già compagno tra gli altri de S. Bernardino, secondo chiaramente confirmava, del quale diceva aver alcune reliquie per le cui virtù Iddio gli avìa mostrati e continuamente de molti miracoli gli mostrava; per la cui cagione e per devotion de l’ordine un mirabilissimo concorso alla sua predicatione aveva. De che accadde che una matina fra le altre predicando vide tra la femminil turba madonna Agata nominata, quale un carbunco tra molte bianchissime perle gli parve, e con la coda de l’occhio tal volta percotendola senza punto interrompere il suo sermone, fra seco medesimo più volte disse, felicissimo potersi tenere colui che de l’amore d’una si vaga giovenetta fosse fatto degno. Agata, come di ciascuno è usanza che la predica ascolta, mirando fìsso di continuo a lui, e parendoli oltremodo bello, non con alcuna disordinata sensualità, che il marito fosse come il predicatore bello fra sé medesima desiderava, venendole anche in pensamento e deliberatione da lui volersi confessare. E con tale proposito dimorando, sì tosto come dal pergolo scendere il vide, fattaglise incontro, che le donasse udienza il supplicò: il frate, che nell’intrinseco lietissimo era, ma per occultare in faccia la sua magagna, rispose, non esser suo ufficio el confessare. A cui la donna disse: Or non goderò io per amor di maestro Rogero mio marito alcun privilegio con voi? Rispose il frate: Poi che voi site moglie del nostro procuratore, per suo rispetto volentieri intendo de ascoltarvi. E da parte tiratisi, postosi el frate al solito loco ove si confessa, e lei davanti inginocchiatalisi, per ordine a confessarsi incominciò; ed avendo narrata parte de’soi peccati, contando de la grandissima gelosia del suo marito, li domandò de gratia che per tal modo con la sua virtù se adoperasse che al marito tal fantasia dal capo traesse in ogni modo, credendo forsi che tale infermità si sanasse con erbe o con empiastri, come il marito i suoi infermi guariva. Il frate che a tal proposta lietissimo era tornato, parendoli la sua prospera fortuna aprirgli l’uscio onde a fornire el suo desiderato camino intrar dovesse, doppo che con assai ornate parole l’ebbe confortata, in cotal formali rispose: Figliuola mia, non è da maravigliare che el tuo marito sì forte di te sia ingelosito, perchè altramente facendo per men che savio e da me e da ogni altro ne saria reputato; né di ciò lui incolpar si dee, procedendo questo per sola operatione de la natura, la quale avendo te con tante e sì angeliche bellezze prodotta, per ninno modo potrebbeno senza grandissima gelosia essere possedute. La donna di ciò ridendose, parendoli omai tempo de ritornarse alle compagne che l'attendevano, dopo alcuni altri dolci motti, pregò il frate che l’absolvesse: il quale gittato un gran sospiro, a lei pietosamente volto così rispose: Figliuola mia, niuna persona legata può altri absolvere, onde avendomi tu in sì piccolo spazio legato, né me, né te senza il tuo ausilio absolvere potrei. La gentil giovene, che siciliana era, la chiara cifra subito intese; e come che per vederlo sì bello, e che di lei fosse preso sommamente le piacesse, pure che li frati attendessero a sì fatte cose non poco maravigliosa ne divenne, come colei che per la sua tenera età e per la solenne guardia del marito non solamente con veruno religioso aveva avuto per alcun tempo pratica, ma per fermo se persuadeva che el farsi frati agli uomini non altramente fosse che ai polli quando se castrano; ma cognoscendo chiaramente costui esser gallo e non capone, con desiderio mai simile gustato, deliberandosi del tutto donargli il suo amore, così li rispose: Padre mio, lasciate il dolore a me che venendo qui libera tornerò serva di voi e d’amore. Il frate, con la maggior gloria che mai sentisse, alla donna rispose: Dunque poi che le nostre voglie sono si conformi, non troverai tu modo che da questa cruda carcere in un medesimo punto uscendo parimente la nostra florida gioventù godiamo? Al che rispose, che lei volentieri il farebbe se potesse; nondimeno, soggiungendo, pur adesso un modo nel pensiero me occorre che con tutta la gelosia extrema de mio marito la nostra intentione eseguiremo. Onde essendo io solita aver quasi ogni mese nel cuore una fiera passione, e tale che d’ogni sentimento quasi me priva, né trovandosi insino a qui per argumento de medico possere a quella in minima parte remediare, ed essendomi declarato da donne antiche ciò procede da la matrice, e clie come io giovane sia ed atta a produrre figliuoli né per la vecchiezza de mio marito ciò fare si potrebbe, ho pensato che uno di questi giorni che lui andarà in pratica in contado, me fingerò essere da la solita passione oppressa, e mandando subito per voi che me prestate alcuna reliquia de Santo Griffone, a conferirvi con esse a me secretamente state apparecchiato, e con l’opera d’una mia fidatissima fante al nostro bel piacere saremo insieme. Il frate allegro disse: Figliuola mia, benedetta sii da Dio de quanto bene hai pensato, e parmi che tale ordine eseguire si debba: ed io menerò il nostro compagno meco, il quale per compassione non farà stare indarno la tua fidata fante. E in tali conclusioni rimasti, con caldi ed amorosi sospiri si disparterno. La donna tornata in casa alla sua fante fe’ palese l’ordine preso col frate per la comune loro satisfatione e piacere. La fante, che molto lieta fu de tale novella, rispose ad ogni suo comandamento essere de continuo apparecchiata. E come la loro benigna fortuna permise, il maestro Rogero andò in pratica, secondo lo antiveduto pensiero della moglie, la seguente matìna fora de la città: e per non dare all’opera alcuno indugio, fingendose subito essere da la solita passione assalita, cominciò ad invocare San Griffone in suo soccorso. Al che la fante consigliando disse: E perchè non mandate voi per le sue sante reliquie che da ogni uomo sono sì miracolose riputate? La donna, comò già tra loro preposto avevano, facendo vista di con fatica poter parlare, alla fante voltasi disse: Anzi io te prego che vi mandi. A cui pietosa mostrandose disse: Io medesima andarò per essa. E rattissima de quinci partitasi, trovato il frate, e a lui fatta la ordinata commissione, con un suo compagno, secondo aveva promesso, giovane molto e al mestiero attissimo, subito se mise in camino. E giunti in camera, accostatosi divotamente fra Nicolò al letto ove la donna sola giaceva, e da lei che caramente l’aspettava altresì con umiltà grandissima ricevuto disse: Padre mio, pregate Dio e il glorioso San Griffone per me. Al che il frate rispose: Esso Creatore te ne faccia degno; ma a voi bisogna avere buona divotione dal canto vostro: che se la gratia sua volete ricevere mediante la virtù delle reliquie che ho meco portate, conviene che prima contritamente ricorriamo alla santa confessione, acciò che sanata l’anima, facilmente il corpo si possa guarire. La donna rispondendo, disse: Io non pensava né desiderava altro, e de ciò sommamente ve supplico. E ciò detto, dato onesto commiato a quanti in camera dimoravano, non rimanendovi altri che la fante ed il compagno del frate, serratisi dentro ottimamente acciocché da nullo fossero impediti, ciascuno scapistratamente con la sua s’appizzoe. Fra Nicolò sul letto montato, per meglio e senza alcuno impaccio menare le gambe, parendoli forse stare in su el securo, trattesi le mutande, e a capo del letto buttatele, e con la bella giovane abbracciatosi, la dolce e desiata caccia incominciarono: ed avendo il suo ammaestrato levriero tenuto un lungo spazio a lassa, da una medesima tana cavò arditamente due lepori; e raccolto a sé il cane per cercare il terzo, senterono in su l’uscio de la strada maestro Rogero a cavallo, il quale era già da pratica tornato. Il frate con la maggior pressa del mondo dal letto buttatosi, de paura e dolore vinto, di pigliarle brache che avea poste a capo del letto totalmente se amenticoe: la fante anche con poco piacere dal cominciato lavoro rimossa, aperta la camera, e chiamate le genti che in sala attendeano, dicendo che sua donna era per la Dio grazia quasi del tutto guarita, laudando tutti e ringratiando Dio e San Griffone, gli fece dentro a lor piacere entrare. Ed arrivando fra questo mezzo il maestro Rogero in camera e trovando questa novità, non meno del vedere cominciati a venir frati in casa sua fu dolente, che del novo accidente de l'amata donna; la quale a la vista ricognosciutolo oltremodo cambiato disse: Marito mio, veramente io era morta se il nostro padre predicatore con le reliquie del beatissimo Griffone non mi soccorreva; il quale avendomele al cuore approssimate, non altramente che da molta acqua è un piccolo foco spento, ogni mio dolore sostenuto mi fu per quelle immediate tolto. Il marito credulo, udito clie salutifero rimedio a si incurabile infermità si era già trovato, non poco contento ringratiando Dio e San Griffone, al frate all’ultimo voltatosi li rendìo infinite mercè di quanto bene aveva adoperato: e cosi dopo alcuni altri devoli e santi ragionamenti preso commiato il frate ed il compagno onestamente quinci si disparterono. E camminando, sentito il suo buon cane or là or qua andar fuori de scapola, ricordandosi avere la catena al capo del letto dimenticata, dolente oltre modo al compagno rivoltosi, il successo accidente li raccontoe; dal quale essendo al non dubitare confortato, conciosia cosa che la fante saria la prima che le troverebbe e quelle occulteria, quasi ridendo tali parole soggiunse: Maestro mio^ ben dimostrate non essere avvezzo di stare in disagio, volendo ad ogni luogo ove vi trovate donare al vostro cane tuttala scapola ad un tratto; ma forse voi seguite lo esempio dei frati Domenichini, li quali de continuo portano li lor cani senza alcuna lassa; e quantunque facciano di gran prede, non di meno li cani allazzati sono più fieri, e meglio abboccati quando in la caccia se ritrovano. A cui il frate rispose: Tu di’ el vero; e voglia Iddio che del mio commesso errore scandalo non ne segua: ma tu come facesti della preda che tra l’unghie te lassai? So bene io che el mio sparviere prese ad un volo due starne, e avendo per la terza tentato, venne il Maestro, così egli si avesse prima fiaccato il collo. Rispose il compagno: Quantunque io fabbro non sia, m’era con tutte mie forze ingegnato fare due chiodi da una calda, e già n’avea finito l'uno, e dell’altro composto elle a pena vi restava a fare se non la testa, quando la fante, l’ora che nacque bestemmiando, disse: Ecco il mio Messere a l’uscio: il perchè dall’imperfetta opera tolto, ove voi eravate me condussi. Oh Dio volesse, disse il frate, che ritornare alla già lassata caccia a me fosse concesso, come tu, quando grato ti fìa, potrai fornire tuoi chiodi a centinaia. Al che rispose il compagno: Io nol niego, ma più vale la piuma delle tue prese starne che quanti chiodi a Milano si fanno. Il frate di ciò ridendosi con molti altri faceti motti della lor fatta baruffa occultamente tra loro si godevano.
Maestro Rogero, subito partiti i frati, accostatosi alla moglie e quella accarezzando, toccandole la gola e il petto, se el dolore li avea data molta noia la domandava: e in più diversi ragionamenti intrati, mossa la mano per acconciarle il guanciale sotto il capo, li venne preso un nastro de le brache ivi dal frate lassate, e fora tiratele, e cognosciuto de continente quelle esser di frati, cangiato tutto nel volto disse: Che diavolo vuol dire questo, o Agata? che fanno queste. brache de frati significare? La giovene donna che prudentissima era, e nuovamente amore li avea più svegliato l’ingegno, non indugiando punto la risposta disse: E che è quello che io ti ho detto, marito mio? se non che queste miracolose mutande essendo state del glorioso messer San Griffone, come ad una de sue famose reliquie, avendole il padre predicatore qui portate, l’onnipotente Dio per virtù di quelle mi ha già fatto grazia; e cognoscendo me essere del tutto liberata, e per maggiore mia cautela e devotione, volendonele lui portare, di grazia li chiesi che insino a vespero me ne lasciasse, e dopo lui medesimo o altri avesse per quelle mandato. Il marito udita la subita risposta e sì bene ordinata, o il credette, o di credere mostrava; ma essendo natura de gelosi, era come da dui contrari venti da tale accidente il suo cervello continuo combattuto, e senza altramente replicarle alla già fatta risposta se quitòe3. La donna che sagacissima era, cognoscendolo alquanto sopra di sé stare, con nova arte pensò toglierli totalmente dal petto ogni presa sospezione, e rivolta a la fante li disse: Va via in convento, e trovato il predicatore li dirai che mandi per la reliquia mi lascioe, che la Dio mercè insino a qui non ne ho più di bisogno. La discreta fante, inteso a pieno quanto la donna in effetto desiderava, ratta al convento condottasi fece subito chiamare il predicatore: il quale venuto all’uscio, credendosi forse li portasse la ricordanza da lui già lasciata, con allegro viso li disse: che novelle? La fante mal contenta rispose: Non bone, mercè della vostra trascuragine; e sarebbeno state peggio, se non per la prudenza della mia madonna. Che c’è? disse il frate. E la fante pontualmente il fatto raccontògli, e soggiunse che le pareva senza più indugiare che con qualche cerimonia a pigliare la detta reliquia mandar si dovesse. E risposto il frate, Sia in buon’ora, e a quella donato licenza e speranza di ogni cosa male fatta racconciare, andatosene di botto al guardiano, in tal forma gli disse: Padre mio, io ho fatto de presente un grandissimo errore, il quale possendosi col tempo punire, vi supplico non tardare col vostro soccorso, secondo che la necessità ricerca, a quello in pronto rimediare. E per lo più breve modo che possette raccontata la istoria, non poco il Guardiano di ciò turbandosi, e de la sua imprudenza agramente riprendendolo, così gli prese a dire: Or ecco le tue prodezze, valente uomo. Bene te credivi tu stare al sicuro; e se non potevi far senza de cavartele, non avevi tu altro modo di occultarle, o in petto, o alla manica, o in qualunque altro luogo che sopra di le fosse stato? Ma voi come avvezzi a fare di questi scandalazzi non pensate con quanto peso di coscienza e infamia del mondo noi gli abbiamo a racconzare. Veramente io non so qual causa me ritiene che io non ti faccia come a te sì converrebbe senza misericordia carcerare; niente di meno essendo al presente più di bisogno usare rimedio che riprensione, correndoci massimamente l’onore de l’ordine, per altra volta il serberemo. E fatto sonare la campanella a capitolo, congregati insieme tutti i frati, e narrato loro come in casa de maestro Rogero medico, per virtù de le mutande che fui’ono de Santo Griffone, un miracolo evidentissimo Iddio ci aveva in quel giorno mostrato, il quale a tutti brevemente raccontato, gli persuase che de continente s’andasse in casa del detto maestro, donde a onore e gloria di Dio, e augumentatione dei miracoli del santo, solennemente e con la processione la detta reliquia si pigliasse. E cosi ordinato, fatti a coppia dividere, con la croce innanzi verso la signata casa sì avviarono. Il Guardiano de un ricco piviale vestito, col tabernacolo dell’altare in braccio, e con grande silenzio ordinati, a la detta casa del maestro ariùvarono. Li quali da lui sentiti, fattosi incontro al Guardiano, e domandatolo della cagione di tal novità, con allegro volto cosi come preposto avea gli rispose: Maestro nostro carissimo, le nostre ordinationi vogliono che occultamente debbiamo portare le reliquie dei nostri santi in casa di coloro che le dimandano: a tale che se l'infermo per alcuno suo mancamento non ricevesse la grazia, per non diminuire in parte alcuna la fama de' miracoli, di nascoso ne le possemo a casa ritornare: ma ove Iddio mediante dette reliquie uno evidente miracolo mostrare volesse, noi dovemo in tal caso con ogni cerimonia e solennità che possemo condurnele in chiesa manifestando il detto miracolo, e quello scrivere in pubblica forma. Onde essendo come già sapete la donna vostra de la sua pericolosa infermità liberata e per la virtù de la nostra reliquia, simo venuti con questa solennità a ritornarnela a casa. Il maestro, che tutto il capitolo dei frati con tanta divotione vedea, istimò che a niuno mal fare ne sarebbero mai tanti concorsi, donata indubbia fede alle simulate ragioni del Guardiano, avendo ogni sospetto pensiero da sé al tutto rimosso, rispose: Voi siate li ben venuti. E presi per. mano lui e il predicatore in camera ove la moglie stava li menoe. La donna che in tal ponto non dormia, con una tovaglia bianca e odorifera in fra quel mezzo aveva le dette brache fasciate: le quali il Guardiano discoperte, con grandissima reverenza la bacioe, e fattele dal maestro. e da la moglie, e finalmente da quanti in camera dimoravano divotamente baciare, postele nel tabernacolo che per ciò portato avea, dato il segno ai compagni, tutti accordandosi Veni Creator Spiritus a cantare incominciarono; ed in tal forma discorrendo per la città, da infinita turba accompagnati, alla loro chiesa condotti, postele sopra l'altare maggiore, parecchi dì, per divotione di tutto il popolo che avevano già il fatto miracolo sentito, stare le lasciarono. Maestro Rogero, desideroso de l’augmento de la divotione delle genti verso quell’ordine, andando de continuo in pratica e fora e dentro alla città dovunque si trovava a pieno popolo ricontava il solenne miracolo che per virtù delle brache di Santo Griffone Iddio aveva in casa sua dimostrato. E finché lui dimorava a far tale ufficio, Frate Nicolò e il compagno di continuare la cominciata e fertile caccia non si scordavano con piacere grandissimo de la fante e de la madonna. La quale, oltre ogni altra sensualità, seco medesimo giudicava veramente tale operatione essere solo rimedio a la sua acerba passione, sì come quello che era più approssimato al loco onde tale infermità si era causata: ed essendo lei moglie di medico, si ricordava avere inteso allegare quel testo di Avicenna dove dice, che li rimedii approssimati giovano, e i continuati sanano: per questo lei l’uno e l’altro con piacere gustando, cognobbe del tutto essere della non curabile passione della matre liberata per lo rimedio opportuno del santo frate.
MASUCCIO.
Ancora che tutte le parti de la narrata novella di gran piacevolezza sieno piene, e da spesso rileggere ed ascoltare, non di meno io vorrei che nel cospetto di coloro se leggessero che di continuo mi stanno addosso con l’arco teso mordendo e rimproverando il mio scrivere contro di questi falsi inganna mundo, acciò che con loro susurrare, oltre l’inganno e commesso adulterio per lo ribaldo frate, dessero perfetto giudizio, qual pubblico eretico, qual de la fede di Cristo notorio dispregiatore e delle sue opere e dottrina, avesse non che fatto ma pur pensato ponere un paio di brache fetide, albergo di pidocchi, e di millealtre sporcitie ripiene, dentro lo eletto vaso e vero recettacolo del sacratissimo corpo del Figliuol di Dio. Leggasi pur nella enormissiraa Passione di Cristo, che non si troverà che i perfidi Giudei, quantunque con grandissima iniquità e vituperio l'uccidessero, gli avessero mai fatto sì grande dispregio che a questo agguagliar si potesse. Aprasi adunque la terra, e una con li lor l’autori la moltitudine di tanti poltroni vivi li tranghiottisca, non solo per castigamento de’ presenti ma per timore ed eterno esempio di tutti i futuri scellerati loro pari. Tuttavia per non sostenere che i mormoratori detti miei avversarli abbiano tanta forza, che dal cominciato ordine di narrare quel che con verità sento di questi tali soldati di Lucifero, possano ritrarmi, mostrerò appresso, ancora che non vogliano, un sottilissimo partito da dui altri dannati religiosi pensato per accumulare pecunie e per cupidigia di farsi prelati, secondo intenderete, nel mostrare de’ loro ingannevoli miracoli, che senza posserce reparare facìano.
Note
- ↑ Giovanni Pontano, famoso in lettere, nacque in Cerreto della Umbria nel 1426. Fu conosciuto da re Alfonso I che nel 1447 lo menò in Napoli. L’Olzina lo scelse a compagno nella segreteria reale, il Panormita lo amò. Nel 1463 fu dei segretari; nel 1479 fu Presidente della Summaria. Seguì Alfonso nella guerra di Otranto, e maneggiò molte grandi faccende. Dopo la morte del Petrucci, nel 1487 diventò capo della Segreteria reale. Dopo la venuta di Carlo VIII fu senza pubblici ufficii. Morì nell’autunno del 1503.
- ↑ Scrive come si pronunzia Peruscia invece di Perugia.
- ↑ se quitoe — si quietò, si acchetò.