Il Governo Pontificio o la Quistione Romana/Capitolo 16

Capitolo 16

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CAPITOLO XVI


Educazione del Popolo.


Ognuno sa, dice e ripete che la istruzione è manco progredita nello Stato del Papa che in altra regione qual sia d’Europa. E duole che la nazione più intelligente per grazia [p. 158 modifica]di Dio, sia la più illiterata per: volontà de’ preti. Ondechè la paragonano a nobil cavallo, puro sangue, ridotto a girare in una cavallerizza, o bendati gli occhi, a macinare il grano.

Ma chi parla cosi riguarda un lato solo della questione. Ei non dice quanto la diffusione della pubblica ignoranza sia conforme ai principii della cheresia, e favorevole alla conservazione dello Stato.

E per fermo, non la scienza, si la fede o la credulità è fondamento delle religioni. Tutti i popoli han distinto col nome di atto di fede il chiudere che fa un uomo degli occhi, per veder meglio. E andando con la fede, o, che è lo stesso, ad occhi chiusi, si giunge alle porte del Paradiso, il cui censo, se fosse modo di farlo quaggiù, ne darebbe più inalfabeti che dotti. Un fantolino che sa a mente il catechismo è meglio gradito agli occhi di Dio, che le cinque classi dell’Istituto; nè la Chiesa sarà indecisa fra un astronomo ed un cappuccino. La scienza è piena di pericoli; che non solo ella enfia il cuore dell’uomo, ma sovente per ragionamento distrugge le fiabe che parevano solidamente fondate. Chi saprebbe dirmi quante anime abbia nabissato allo inferno la sola scoperta dell’arte tipografica?

Applicata alle industrie di questo basso mondo, la scienza adopera ricchezza, lusso, piacere, sanità e mille altri flagelli che ne dilungano da salvezza. Essa guarisce fino le [p. 159 modifica]malattie irreligiose in che religione vedea il dito di Dio; non permette al peccatore di fare quaggiù suo purgatorio; e giungerà a trasformare la terra in luogo di delizie cosi, che un bel mattino gli uomini saranno disgustati del cielo. La Chiesa, che ha intendimento di menarci a cotesta beatitudine eterna, solo scopo del viver nostro, deve, a fil di logica, divorziarci dalla scienza. Potrebbe, al più, permetterne il connubio a qualche uom fidato, affinchè i nemici della fede trovino a cui parlare.

Gli è per cotesto, che assumo impegno di mostrarvi in Roma una dozzina d’illustri sapienti, e centomila ignoranti che non sanno nè A nè B. Chiesa e Stato ne fanno lor prò.

I veri pastori dei popoli, coloro che pascono le pecore per venderne lana e pelli, non vogliono che troppe cose si sappiano. Dacchè l’uomo legge spedito, egli è tentato per ciò solo di metter becco in molle. Potrà la dogana preservarlo dalle cattive letture; ma ei si volgerà a studiare ed esaminare le leggi del regno; vorrà vedere se buone sieno o grame; se cospirino concordi, o pugnino in contraddizioni, se sieno osservate o violate. Dacchè saprà contare, senza uopo delle dita, siate sicuri che vorrà verificare le addizioni del bilancio: e se, per colmo, sa scrivere, ogni scaccolo di carta gli porrà un pizzicor politico in cuore, ed avrà bisogno di scrivere nome e cognome sopra polizzini, e votar pro o contro alcuno. E che [p. 160 modifica]sarà di noi, vivaddio, se il montone ricalcitrante sorge fino alla generalità della storia ed alle speculazioni della filosofia; se accozza idee generali, scerne verità, ribatte sofismi, chiarisce abusi, reclama diritti? Non è tutto rosa il mestier di mandriano, massimamente quando necessità si ravvisa di porre musoliera al gregge.

I monarchi che non sono Papi, non hanno nulla a temere dal progresso dei lumi; avvegnadiochè non abbiano carico di fabbricar santi, nè di aggentilire uomini. In Francia, in Inghilterra, in Piemonte il governo spinge e quasi direi sforza il popolo ad istruirsi. Gli è perchè un potere fondato sulla logica non paventa l’arco sillogistico; gli atti di un’amministrazione davvero nazionale, non temono l’esame della nazione; ed è più orrevole e più facile governare esseri pensanti che esseri abbrutiti, purchè per altro abbiasi ragione. Gli è perchè l’istruzione rammorbidisce i costumi, sbarbica gl’istinti perversi, diminuisce i delitti ed i bisogni delle gendarmerie: applicata all’industria centuplica in pochi anni il benessere della nazione, la ricchezza dello Stato, e le risorse del potere: e finalmente, i trovati della scienza pura, i buoni libri, e tutti i maravigliosi prodotti della ragione, anche quando non vi accrescano la ricchezza dei cofani, sono onore del paese, lume del secolo, gloria del monarca. Tutti i Principi d’Europa, meno il Papa, limitano lor vedute alle cose della terra, e [p. 161 modifica]ben fanno. Senza porre in forse l’esistenza dell’altro mondo, eglino governano loro soggetti come se nulla cosa fosse di là del sepolcro. Si studiano di procacciar loro ogni benessere che puossi gustare quaggiù, e sudano per render l’uomo men rimoto da perfezione, vivendo nel materiale inviluppo corporeo. Noi li considereremmo sguaiati, a dir poco, se volessero assegnarci la parte di Giobbe sul letame mostrandoci a dito le beatitudini eterne.

Ma ricordivi che Imperatori e Re sono sovrani laici, ammogliati, padri di famiglia, interessati all’educazione dei fanciulli ed all’avvenire delle nazioni. Un buon Papa, al contrario, non ha altro interesse che guadagnare il cielo e rimorchiarvi 130 milioni d’uomini. I suoi sudditi pertanto gettan via ranno e sapone domandandogli con tanta perseveranza i temporali vantaggi, che i nostri Principi offronci spontaneamente. Bene è vero che le scuole popolari sono come le mosche bianche; che lo Stato né pensa a moltiplicarle, nè a sovvenirle; che tutto è sulle spalle delle comuni, e che spesso il ministro stenua cotesto capo del bilancio municipale, per intascarsi ogni più. Vero é pure che insegnamento secondario non esiste che di nome fuori de’ seminarii, e che un padrefamiglia, se vuole che i figli apparino quattro acche di là del catechismo, ha a spedirli in Piemonte: ma, bisogna dire in lode del Papa, che numerosi, ben dotati, bene arredati, e provvisti di quanto occorre a formare preti [p. 162 modifica]mediocri, sono i seminarii. I conventi si brigano dell’educazione dei fratini, loro insegnando dalla più tenera età a imbacuccarsi nel cappuccio, a reggere una candela, a bassar gli occhi, a belare in latino. È da vedere la processione del Corpusdomini per ammirare provvidenza della Chiesa! Tutti i conventi sfilano un dopo l’altro, e ciascuno ha nelle prime file un vivaio di fantolini ben rasi. I loro occhietti ardenti d’intelligenza, le belle ed aperte loro figure fanno maraviglioso contrasto con quelle impietrite e contorte de’ loro superiori. Con un colpo d’occhio avete cosi le frutta ed i fiori della vita monastica, il presente e l’avvenire; nè potete ammeno di riflettere che, senza un miracolo, cotesti piccoli cherubini saranno ben tosto cangiati in mummie, ma, ad un bel bisogno, vi consolate della brutta metamorfosi, pensando che la salvezza loro è assicurata.

Tutti i sudditi del Papa sarebbero certi d’andar salvi, se tutti potessero entrare nei monasteri, comecchè il mondo finirebbe troppo presto. Il Papa fa ogni suo meglio per avvicinarli alla perfezion monastica ed ecclesiastica. Gli scolari vengono mascherati da preti, e si imbavagliano i trapassati con tonache di religiosi. I Fratelli della Dottrina cristiana sono sembrati pericolosi, perchè davano ai loro bimbi caschetto, tunica e cinturino: il Papa ha loro vietato avere scuole pe’ Romani. I Bolognesi (di là degli Apennini) fondarono, a loro spesa, sale di asilo sotto direzione d’istitutrici secolari: la cheresia ha [p. 163 modifica]fatto ogni possibile per torre di mezzo cotesto abuso.

Non vi è una legge, un regolamento, un atto, una parola venuta da alto che non abbia di mira l’edificazione del popolo, e che non lo spinga verso il cielo.

Entrate una chiesa: si predica. Un frate, collocato sopra un pulpito improvvisato, taglia a tondo l’aria colle braccia e diserta dommaticamente e furiosamente sull’immacolata Concezione, sul digiuno della quaresima, sul magro del venerdi, sulla Trinità, sulla particolar natura del fuoco infernale. «Pensate, fratelli miei, che se il fuoco terrestre, fuoco creato da Dio pe’ vostri bisogni, vi cagiona si fiero dolore al più piccolo contatto; che sarà la fiamma dell’inferno creata a bella posta per punire i peccatori; quanto più cocente, più aspra, più furiosa? Questa fiamma che divora senza consumare, ecc.» Ma vo’ sparagnarvi il resto. I nostri sacri oratori predicano invece alle mogli la fedeltà, agli uomini probità, docilità ai fanciulli. Ei pongonsi a livello di un uditorio laico, e spargono, secondo loro facoltà, seme di virtù sulla terra. L’eloquenza romana ha in tasca le virtù, il mondo e simili: ella aggraffa pel ciuffo il suo uditore, e ponlo nella callaia della divozione che mena dritto al cielo: e opera da maestra.

Aprite un libro divoto: eccovi costi la vita di santa Giacinta, posata sul tavolo di lavoro di una giovinetta. Un ago da calzette fra due pagine ne avverte del luogo in che la lettrice si è arrestata al mattino. [p. 164 modifica]« CAPITOLO V. Ella dispogliasi di ogni affezione naturale pe’suoi parenti.

«Avendo saputo dal Redentore stesso che non si debbono amare i parenti più di Dio, e sentendosi naturalmente sospinta ad amare i suoi, temette che tale amore, sebbene naturale, se avesse messo radici e fosse cresciuto nel suo cuore, avrebbe col tempo sorpassato o impedito l’amore che doveva a Dio e resala indegna di lui. Ella prese la risoluzione generosa di spogliarsi di ogni affezione per le persone del suo sangue.

«Determinata a vincersi in questa coraggiosa risoluzione e a trionfare della stessa natura che resisteva; animata potentemente da un’altra parola di Cristo, che dice che per andare a lui bisogna odiare i nostri parenti, qualora l’amor che abbiamo per essi ne chiude il cammino; ella se n’andò a fare un grande atto di rinuncia innanzi all’altare del santissimo Sacramento. Là, caduta in ginocchio, ed ardente di gran fiamma di carità per Dio, gli fece l’offerta di tutte le naturali affezioni del suo cuore, e particolarmente di quelle che più forti sentiva in sè verso i suoi parenti a lei più prossimi e più cari. Ella fece intervenire in questa eroica azione la santissima Vergine, siccome scorgesi da una lettera di sua mano ad un prete regolare, promettendo, coll’aiuto della Santa Vergine, di non attaccarsi più ne a’ suoi parenti, nè ad alcuna altra cosa terrestre. Questa rinuncia fu così fortemente coraggiosa e sincera, che da quell’istante i suoi fratelli, [p. 165 modifica]sorelle, nipoti e tutte le persone del suo sangue divennero l’oggetto della sua indifferenza, considerandosi oramai quale orfana e sola sulla terra, al punto di vedere i suddetti e di loro parlare, quando andavano a visitarla al monastero, come se fosse stata con gente straniera e sconosciuta.

«Erasi formata nel Paradiso una famiglia tutta spirituale scelta fra i Santi che avevano più peccato. Suo padre era santo Agostino; sua madre, santa Maria Egiziaca; suo fratello san Guglielmo l’eremita, ex- duca d’Aquitania; sua sorella santa Margherita da Cortona; suo zio il principe degli Apostoli san Pietro; i suoi nipotini i tre fanciulli della fornace di Babilonia.»

Crederete, per avventura, che il libro sia cosa da Medio-Evo; che rechi l’opinione di una mente balzana che delira nel chiostro? Non v’apponete. Eccovi qui titolo, data ed opinioni di gente che governa Roma.

Vita della Vergine Santa Giacinta Marescotti, religiosa professa del Terzo Ordine del Serafico Padre S. Francesco, scritta dal padre FLAMINIO MARIA ANNIBALE da Latera, frate Osservante dell’ordine de Minori. ROMA 1805, presso Antonio Fulgoni, con licenza dei Superiori.

Approvazione. Il libro è a gloria ed onore della Religione cattolica, e dell’illustre Ordine di s. Francesco, e a profitto spirituale delle persone che desiderano entrare nella via della perfezione.

«Fra TOMMASO MANCINI, dell’Ord. de’Pred., Maestro, ex - Provinc. e Consultore de’Sacri Riti.

« Permesso di stampare [p. 166 modifica]

«F. Tommaso VINCENZO PANI dell’Ord, de Pred., Maestro del S. Pal. Apost.»

Eccovi una donna, uno scrittore, un censore ed un maestro del sacro palazzo che strangolano il genere umano per porlo più avacciatamente in Paradiso; e fanno lor mestiere.

Volete uscire per poco nella via pubblica? Alquanti uomini d’ogni risma s’infangano le ginocchia innanzi ad un’immagine della Madonna dipinta sur un muro, e con voce nasale ne, cantano le lodi. Un’altra brigatella sopravviene cantarellando inni in onor di Maria. Voi credereste che, dando sfogo a di vota ispirazione, onorino la Vergine, e procaccino aiuto per la loro salvezza? Anch’io così pensai: mi disser poi che avevano trenta bajocchi al giorno per edificar la gente. E questa commedia a pien sereno è pagata dal Governo: egli fa suo mestiere.

Le vie ed i sentieri sono popolati di mendici. In paese laico il Governo soccorre i poverelli a domicilio o raccoglieli negli ospizii: ma non consente che ingombrino cosi vie, ed assordino di pietosi lai il passaggero. Nel paese de’ cherici si pensa dall’un canto, che la povertà è cara a Dio, dall’altro, che la limosina è opera pia. Il perchè se potesse il Papa ottenere che metà de’ suoi sudditi protendesse le mani e l’altra metà, vi ponesse un baiocco, egli avrebbe procurata la salvezza del suo popolo. La mendicità che i monarchi laici guariscono come piaga, è coltivata come fiore dal governo pretesco. Date qualche cosa al finto zoppo che si [p. 167 modifica]trascina; a cotesto monco di contrabbando; date massimamente a quel povero cieco menato da suo padre. Un medico di mia conoscenza gli proponeva, per rendergli la vista, l’operazione della cateratta: il padre si diè a gridare, e a tutto potere si oppose alla perdita del suo poderetto. Date al figliuolo nella scodella del padre; il Papa vi aprirà il Paradiso di cui ha le chiavi.

I Romani difficilmente si lasciano uccellare dai loro mendici, e sono troppo avveduti per cadere nelle gherminelle della miseria. Nullameno pongono mano in tasca, questi per dappocaggine e rispetto umano, quegli per ostentazione, altri par acquistarsi il Paradiso. E se ne dubitate, fate per vostra istruzione una prova che mi è riuscita a capello. Una sera, tra le nove e dieci ore, ho mendicato in tutta la lunghezza del Corso, senza aver preso abbigliamento di povero, ma vestito come si è a Parigi sui baluardi. Frattanto, dalla piazza del Popolo fino al Palazzo di Venezia, ho fatto 63 baiocchi, che sono L. 3, 35. Se volessi ripetere a Parigi cotesta baia, i sergenti della città farebbero loro dovere e mi condurrebbero al posto. Ma il governo papale incoraggia la mendicità con la protezione de’ suoi impiegati e la consiglia con l’esempio de’ frati: ei fa suo mestiere.

La prostituzione fiorisce a Roma e in tutte le maggiori città dello Stato. La polizia è troppo paterna per interdire le consolazioni carnali a tre milioni, di cui cinquanta o sessantamila han fatto voto di celibato. Ma quanto [p. 168 modifica]è pel vizio indulgente, altrettanto inseverisce contro lo scandalo. Non accorda alle donne alquanta leggerezza nell’esterior condotta se non sotto la salvaguardia del marito; stendendo cosi il mantello di Jafet sopra i vizi dei Romani, affinchè le voluttà di una nazione non arrechino scandalo alle altre; e anzichè confessare il mal che esiste, lascialo libero di sé senza sorveglianza: gli Stati laici hanno l’apparenza di sanzionare la prostituzione nel sottoporla a leggi. Ma la polizia clericale non ignora che il nobile e volontario suo accecamento espone ad inevitabili pericoli la salute del popolo. Ed ella sorride di sottecchi, pensando che i fornicatori saranno puniti per dove peccarono. Ella fa suo mestiere.

Non è solo nell’interesse fiscale che i Papi conservano presso loro l’istituzione del lotto. I laici che ne governano hannola da lunga pezza abolita, perchè in uno Stato bene ordinato, ove a tutto s’aggiunge col lavoro, necessita istruire il popolo a calcolare unicamente sul lavoro. Nel regno della Chiesa, ove l’attività vi mena ad un bel nulla, il lotto riesce non pure una consolazione pel povero; ma fa parte integrante della pubblica educazione. Abitua, di vero, le genti alla credenza nei miracoli mostrando i pezzenti arricchiti dalle fatagioni. La moltiplicazione dei pani nel deserto non aveva nulla di più soprannaturale della metamorfosi dei venti baiocchi in seimila lire. Un buon terno è come un regalo di Dio, è oro piovuto [p. 169 modifica]dal cielo. Il popolo sa che non vi ha forza umana che possa fare uscir dal bossolo tre numeri a sua posta, e perciò si affida alla bontà divina. Rivolgesi ai cappuccini per avere buoni numeri; si esercita con novene, chiama umilmente l’ispirazione dal Cielo prima di porsi in letto; poi vede sognando la Madonna tutta screziata di cifere. Desso paga più messe alla Chiesa, offre danaio al prete perchè ponga sotto il calice, durante la consecrazione, tre numeri. Cosi le cortigiane di Luigi XIV si collocavano sul suo passaggio per ottenere uno sguardo dal re ed un favore. L’estrazione del lotto è pubblica, come appo noi le lezioni del collegio di Francia; e di vero, è una salutar lezione. I vincitori apparano a lodar Dio nelle munificenze sue; i perdenti sono puniti dell’avere agognato a temporali dovizie: grand’utile per tutti, massime pel Governo, il quale, non tenuto calcolo della soddisfazione d’avere adempiuto al dover suo, vi profitta ogni anno due milioni..

E cosi, i sacri istitutori della nazione tutti loro doveri eseguono si verso Dio, che verso quella: ma non puossi asserire ch’eglino poi conducano bene gli uni e gli altri.

«S’incontra il suo destino sovente sulla via che battevasi per evitarlo:» La Fontaine lo disse, il Papa lo chiarisce. Malgrado le tante cure per l’educazione religiosa, sermoni, buoni libri, spettacoli edificanti, lotto ed altri fior di roba, la fede sen va a gran passi. Lo aspetto esteriore del paese non [p. 170 modifica]lascia veder nulla, avvegnachè la temenza dello scandalo sia infiltrata nei costumi; ma il diavolo vi fa ingordi guadagni. Fors’anche i cittadini sono tanto più avversi alla religione, in quanto ch’ella domina su di essi. Nostro nemico è sempre il padron nostro; e Dio stesso, sendo troppo assoluto padrone di cotestoro, viene ad esserne stimato nemico. Lo spirito di opposizione si nomina ateismo, lorchè le Tuileries s’addimandano il Vaticano. Un ragazzaccio di Rimini, che in vettura menavami a San Marino, proferi a tal proposito cosa che m’è rimasta fisa in mente: «Dio? (dissemi): se ve n’è uno, gli è un prete come gli altri.»

Lettore, meditate la buffoneria, cui quando rifletto con calma, ed esamino da vicino, rimango compreso d’orrore, in quel modo che dappresso alle fessure del Vesuvio, che lasciano intravedere il baratro.

Dubito del miglior senno del mondo che il potere temporale abbia condotto a modo e a verso tanto i proprii interessi, che quelli di Dio. La deputazione di Roma, nel 1849, era rossa: ella nominò Mazzini: ella tuttora il rimpiange nel basso del Rione Regola, appo le fangose sponde del Tevere, ove le società secrete spesseggiano oggidi, come i moscherini alle rive del Nilo.

Se al filosofo Gavarni si schierassero innanzi cotesti miserabili frutti d’educazione-modello, probabilmente sclamerebbe: «Educate adunque le nazioni, affinché elleno vi manchino di rispetto!»