Il Governo Pontificio o la Quistione Romana/Capitolo 15
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CAPITOLO XV
Tolleranza.
Se i delitti contro Dio sono i men degni di perdono in faccia alla Chiesa, chiunque, almen di nome, non è cattolico, agli occhi del Papa è un furfante.
Cotesti furfanti sono in gran numero: Balbi, il geografo, ne conta 600 milioni sulla superficie terrestre. Il Papa, abbenchè dannili tutti, non raduna eserciti, come altra volta, per guerreggiarli quaggiù.
Vi ha di vantaggio: vedesi tutti i giorni il Capo della Chiesa trattare all’amichevole i nemici di sua religione. Egli accetta i doni d’un prence musulmano; accoglie da buon padre un’imperatrice scismatica; si stringe a colloquio con una regina che ha ruinato il cattolicismo per isposare un protestante; tratta a grandi riguardi i signori della novella Gerusalemme; invia il suo maggiordomo incontro ad un giovane principe eretico, viaggiante in incognito. Non so bene, se Papa Ildebrando approverebbe cotesta tolleranza; nè so in qual modo venga giudicata in Paradiso dai caldeggiatori delle crociate, e dai consigliatori della Saint-Barthélemy: quanto a me, ne faccio elogio senza più, se ella rampolla dal progresso dei lumi e dall’ammodamento dei costumi. Che se calcolo di politica, e speculazione d’interesse vi ponesse lo zampino, la sputerei come noce bacata. Ma chi può penetrare nell’intimo pensiero del sommo Pontefice? Per qual via c’inoltreremo nel suo cuore per sorprendervi l’idea-madre della tolleranza sua? Dolcezza-interessata e dolcezza-naturale assomigliansi negli effetti, dispaionsi nelle cagioni. Quando Papa e Cardinali vezzeggiano il signor di Rothschild, dobbiamo inferire che agli occhi loro, siccome agli occhi nostri, un ebreo vale un cattolico o che eglino immascherano i loro sentimenti, avvegnadiochè il signor di Rothschild abbia di buoni milioni?
Cotesto problema delicato non è poi si astruso a solvere. Cerchiamo in Roma un ebreo senza milioni, e dimandiamgli in qual conto sia tenuto dai Papi? E se il governo non ponga fra lui ed un cattolico differenza, dirò che i Papi sono divenuti tolleranti. Ma se l’ebreo povero è avuto dal governo siccome l’anello fra l’uomo ed il cane, le cortesie fatte al signor di Rothschild sono effetto della regola del tre.
Eppure, ascoltate. Prima furono ebrei in Italia che cristiani al mondo. Il romano politeismo che tutto tollerava, meno i calci di Polieutto nel simulacro di Giove, fe’ luogo al Dio d’Israele. Vennero dipoi i cristiani, e furono tollerati fino al giorno in che cospirarono contro le leggi, e spesso commisti agli ebrei, avvengache venissero dallo stesso angolo d’Oriente. Il cristianesimo giganteggiò mercè le sante cospirazioni, arrolò schiavi, affrontò i dominatori e divenne a sua volta dominante. Non io gli rimbrotto d’avere sgozzalo pagani: usò rappresaglia. Ma in buona giustizia ha ucciso troppi ebrei.
Non in Roma: i Papi serbavano uno scampoletto della razza maledetta per condurla innanzi a Dio al giudizio finale. La Scrittura aveva promesso agli ebrei che trascinerebbero miserabile vita sino alla fine de’secoli: la Chiesa prese cura di serbarli vivi e poveri. Ella fece loro un serraglio, come ne abbiamo al Giardino delle piante per gli animali curiosi; e gli ebbe collocati, prima, nella valle Egeria, di poi in Trastevere, finalmente al ghetto. Si permetteva loro d’andare attorno per la città per mostrare ai cristiani quanto l’uomo è schifoso e degradato, allorachè non è cristiano; ma, giunta la notte, eran chiavate le porte. Il loro recinto era chiuso nel l’ora in cui i fedeli vanno a dannarsi al teatro.
In certe solennità il consiglio municipale di Roma offriva spettacolo al popolo, una corsa di ebrei; si sostituirono poscia cavalli, quando la moderna filosofia ebbe alquanto ammansito la fierezza del costume. Ogni anno, il senatore della città regalava ad essi officialmente un calcio al tergo; ed era grasso che cola; ed essi in cambio, 4,000 lire. Ad ogni esaltazione, avevano a porsi ordinati sotto l’Arco di Tito per offerire una Bibbia al Papa, Pagavano la spesa d’un predicatore che aveva preso a cottimo di convertirli; e quando non si recavano ad udirlo, pagavano ammenda. La legge li considerava come passeggieri in locanda, ed il permesso di soggiornare era provvisorio e, da più secoli, dovevano ogni anno rinnovare. Niun diritto politico, niuno dei più elementari diritti civili consentito ad essi. Possedere, fabbricare, coltivar non potevano: vivevano rappezzando e barattando. E solo maravigliomi che non siensi spenti fino all’ultimo. La miseria, il lezzo, il putidore delle loro tane ne avevano impoverito il sangue, smunto il viso, degradata la fisonomia. Fra di loro, taluno aveva perduto la figura umana; e si sarian presi per animali, se non fosse stato noto esser essi intelligenti, atti agli affari, rassegnati, buoni massai, amanti della famiglia, ammisurati e di buon cuore.
Nè debbo aggiungere che la canaglia romana, addottrinata da frati, sbeffeggiavali e spogliavali. La legge vietava ai cristiani di entrare in discorso con essi; ma era pane benedetto involare a que’tapini alcun che.
Non era permesso scannarli; ma i tribunali facevano differenza fra l’omicida di un uomo e l’omicida di un ebreo. Leggete piuttosto il seguente brano: «Signori, d’onde è che la legge punisce severamente gli omicidi, fino al percuoterli di morte? Gli è che, uccidendo un cristiano, si uccide insieme corpo ed anima. Inviasi innanzi al giudice supremo un essere mal preparato, che non si è punto accusato de’ falli suoi, che non ha ricevuta assoluzione, e che stramazza giù nello inferno, o almeno, nel purgatorio. Ecco motivo perchè l’uccisione, dico quella di un cristiano, non è mai bastantemente punita. Ma noi, chi abbiam mai ucciso? Non altro che un miserabile ebreo, già dannato, che quando avesse avuto cent anni per convertirsi (conoscete l’ostinatezza della razza maledetta), sarebbe crepato senza confessione come un ciuco. Abbiamo, nol nego, abbreviata di qualche anno la scadenza della giustizia celeste; abbiamogli affrettata l’eternità delle pene che non potevagli mancare, prima o dopo. Ma siate, o signori, indulgenti per colpa veniale, e serbate la vostra severità per quelli che alla salvezza e alla vita di un cristiano fanno attentato.»
Discorso assurdo a Parigi; logico rigorosamente a Roma. Il colpevole fu francato con qualche mese di carcere.
Mi chiederete, per qual ragione gli ebrei non fuggissero a mille chilometri dalla trista valle di fango? Infelici! Vi eran nati. Aggiungete, tennità d’imposizioni, modicità di fitti, ed anche la carità sprezzante dei Papi che, in tempo di caro o d’inondazioni, loro gettava qualche osso a rosicchiare. E poi, assai costa viaggiare, nè si hanno passaporti per tutta la terra.
Ma se, per miracolo d’industria, alcuno di cotesti infelici avesse accumulato un poco d’oro, primo pensiero, fuggir con la famiglia lontano dal ghetto. Poste insieme le poche dovizie, difilato se n’andava a respirare miglior aria in paese meno cattolico. Gli è per cotesto, che all’esaltazione di Pio IX il ghetto versava in tale distretta, come nei più tristi giorni del medio-evo.
La storia ha scritto a caratteri d’oro tutti i beneficii del Papa regnante, e sopratutto, l’emancipazione degli ebrei.
Pio IX ha abbattuto le porte del ghetto, e fatto facoltà agli ebrei di andare notte e giorno attorno per la città, ed abitare ove loro talenta; dispensati dal calcio ufficiale, e dalle 4,000 lire che costava; chiusa la chiesetta in cui tutti i sabbati, a loro spese e marcio dispetto, erano catechizzati. E davvero può dirsi che il suo esaltamento sia stata era di liberazione pe’ poveri ebrei.
L’Europa, che vede di lontano le cose, deve supporre che, sotto regno cosi tollerante, tutti gli ebrei sieno andati a dimorare negli Stati della Chiesa per godere la mitezza di Pio IX. Ma mirate, in grazia, come la statistica sia scienza da paradossi! Ella ne conta che nel 1842, sotto Gregorio XVI, in piena captività di Babilonia, nel piccolo regno pontificio stanziavano 12,700 ebrei; e nel 1853, dopo si grandi benefizi e riforme, malgrado giustizia e tolleranza, la popolazione ebrea è ridotta a 9237 anime! In che modo 3463 ebrei eransi sottratti agl’influssi della paterna azione del Padre-santo? Egli è da dire che cotesta gente sia tipo d’ingratitudine, o che gatta ci covi. Essendo in Roma, ho tentato di appurare la cosa. Ne ho fatto parlare a due speltabili del Ghetto; ma quando conobbero il motivo che spingevami ad immischiarmi dei fatti loro, i poveretti dettero in ismanie. « In nome del cielo, mi fecero rispondere, non ci compiangete. Guardatevi dal publicare che siamo infelici; chè il Papa duolsi de benefizi del 1847; il Ghetto è sbarrato da porte invisibili, ma insuperabili; ed ora la condizione nostra è, più che mai, peggiorata! Tutto che direte in favor nostro, ricadrà sopra di noi, ed il bene che ne portate, troppo mal ne farebbe!»
Ecco i cenni che mi fu dato raccogliere intorno a questi perseguitati. Poco, ma tutto sugo. Visitai il Ghetto, in cui occulta potenza li tiene, come altre volte, rinchiusi, e vidi il più orribile e più negletto quartiere della città; da che conchiusi che nulla fa per essi il Comune. Seppi che nè Papa, nè cardinali, nè vescovi, ne gl’infimi prelati possono posar piede sul terreno maledetto, senza imbrattarsi di moral sozzura; che l’uso di Roma cosi vuole. E ripensai ai paria dell’India, cui non potrebbe un bramino toccare di un dito, senza decadere dalla sua casta. Seppi che un impieguzzo di qualsiasi natura era inaccessibile allo ebreo, nè più né meno, come ad un animale. Un figlio d’Israele chiedente un posto di spedizioniere in Roma: sarebbe più ridicolo che la giraffa del Giardino delle Piante chiedente una sotto-prefettura. Nessuno ebreo è ivi proprietario, nè può divenire, ed ho finalmente a questi dati riconosciuto che Pio IX non avevali ancora in concetto di uomini. Se fra loro alcuno coltiva l’altrui terreno gli è per istraforo, e sotto un falso nome: quasichè il sudore d’un ebreo disonorasse la terra. I lavori di fabbrica sono, come già tempo, vietati: potrebbero nuocere all’industria nazionale, non appartenendo alla nazione. In fine, li ho io stesso veduti sulla soglia delle loro bottegucce, e vi accerto che non hanno punto l’aria di un popolo emancipato. Il marchio della reprobazione pontificale non è cancellato dalla loro fronte. Che se, come pretende la storia, fossero da dodici anni affrancati, alcun poco manifesterebbesi nei loro volti.
Bene credo che Pio IX, ai primordii del suo regno, fosse animato da spiriti generosi; ma siamo in paese, ove il bene costa enormi sforzi, intantochè il male si manda giù come bisciole. Simile al carro che, a trarre su per erta salita, si lascia muovere appena da quattro buoi; é che, senz’aiuto, sdrucciola indietro da sè.
Se vi contassi tutto ciò che il signor di Rothschild ha fatto pe’ suoi correligionari di Roma, ne sareste maravigliato. Non solo soccorrerli del suo; ma non un negozio conclude col Papa che non vi aggiunga uno o due articoli secreti in loro prò. Ma il carro sdrucciola sempre indietro!
L’occupazione francese tornerebbe non poco vantaggiosa agli ebrei, perchè non manca negli ufficiali nostri buona volontà; ma quella dei preti, più potente e malvagia, vi frammette ostacolo. Vuo’ raccontarvi in proposito un recente aneddoto, in cui vedrete la lotta del doppio influsso.
Un ebreo di Roma, a dispetto della legge, erasi dato a coltivare i campi; un cristiano salvava le apparenze, postolo all’ombra del suo nome: ma i vicini sapevano che il ricolto era proprietà dell’ebreo; e dalli, a chi più rubasse impunemente. Ogni cosa fu presto devastata, ed il campo in balia al disordine. Il povero fittaiuolo, che vedevasi deserto, prima d’agosto, imploro che gli fosse concesso di richiedere guardia giurata per la difesa del suo poderetto. Ma l’autorità rispose che non permetterebbe mai che un cristiano giurasse in servizio di un ebreo. Rinviato cosi, narrò il misero suo stato ad alcuni officiali francesi, implorando assistenza dal generale in capo. Il sig. di Guyon, uomo, se altri mai, di gran cuore, prese pensiero della bisogna, e ne tenne parola al cardinale. «Signor conte (questi rispose), voi domandate impossibil cosa; ma siccome il governo del Santo Padre nulla può diniegarvi, faremo come vi piace. Non solo il vostro ebreo avrà guardia giurata, ma, in vostro riguardo, la sceglieremo di nostra mano.»
Il generale, contento di avere eseguita una buona azione, sen va con Dio. Ma, tre mesi scorsi, e l’ebreo sempre tormentato da’ furti, riclama timidamente. Ed il signor di Guyon, generoso torna all’assalto, e tanto insiste che ottiene l’implorato permesso. Il povero ebreo, versando lacrime di gratitudine, mostrava alla sua famiglia il nome della guardia che gli era accordata.
Era quello di un uomo scomparso da sei anni, di cui non s’era più udita novella!
E quando i nostri ufficiali, incontravano il povero ebreo gli diceano: «Or, siete contento?» l’infelice non osava neppure dir di no, che ne aveva avuto severo divieto dalla polizia.
I più sciagurati ebrei sono quelli di Roma. La propinquità del Vaticano è ad essi, come ai cristiani, funesta. All’altra banda degli Apennini, lontani dal centro del governo, vivono meno poveri e meno oppressi; e la popolazione ebrea d’Ancona è veramente bella.
Non già che gli agenti papali si pieghino a tolleranza travalicando gli Apennini: il delegato d’Ancona, sono due anni, ha richiamato in vigore la vecchia legge, che interdice ai cristiani accontarsi in publico con ebrei.
Non è un anno che l’arcivescovo di Bologna ha confiscato il fanciulletto Mortara a pro del convento de’ neofiti.
Non sono dieci anni che il signor Padova fu privato di sua moglie e de’ suoi bimbi per modo del pari straordinario, comechè abbia levato manco rumore.
L’agiato negoziante abitava a Cento, nella provincia di Ferrara. Avvenente aveva la moglie, due bei bambini, ed un commesso cattolico che sedusse la signora Padova. Il marito, avvedutosi del marcio, scacciò l’inverecondo impiegato. Questi si ridusse a Bologna, dove, fra poco, fu seguito dalla ganza co’suoi bimbi.
L’ebreo, rinunciando alla trista donna, nè curandosi del commesso, riclamò dalla giustizia i suoi figli. Questa risposegli: «la donna e i fanciulli avere abbracciato il cristianesimo, nè fare più parte di sua famiglia. » E, per arrota, fu condannato a pagare una pensione con che vivono assai agiati, non escluso il bravo commesso!
Alcuni mesi appresso, il cardinale Opizzoni, arcivescovo di Bologna, celebrò ei stesso le nozze della signora Padova e del suo drudo!
Ma il negoziante Padova era forse in campo-santo? Gua’: ei sta benone, ma tace; avvegnachè in regno dove gli ebrei non sono uomini, la donna maritata ad un ebreo e ad un cristiano non può essere accusata di bigamia!