Il Fiore delle Perle/27. Un amico misterioso
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Capitolo XXVII
Un amico misterioso
Dopo quelle scariche e quelle urla, un profondo silenzio era succeduto sulle rive del Bacat, solamente rotto dal rumore della corrente frangentesi contro le rupi e sulle ghiaie dei banchi.
Hong, in preda a tristi pensieri, si era seduto sul margine della galleria, colle gambe penzolanti sul fiume, guardando distrattamente la corrente. Pareva che non pensasse più al grave pericolo che lo minacciava e nemmeno ai suoi compagni.
Tiguma, dall’altra parte, ritto sulla roccia che scendeva quasi a picco, ascoltava con profonda attenzione, cercando di raccogliere il menomo rumore che potesse indicare un ritorno offensivo dei cacciatori di teste.
Than-Kiù, accoccolata presso al malese ed a Sheu-Kin, pareva pure immersa in profondi pensieri, e non prestava orecchio alle parole sommesse che si scambiavano i suoi due compagni.
Un sibilo lamentevole, che si fece udire sopra le loro teste, strappò gli assediati dalle loro meditazioni.
— Il sibilo d’un serpente o d’una freccia? — chiese Hong, alzandosi rapidamente.
— D’una freccia, — disse Pram-Li.
— Scagliata da dove? Hai veduto nessuno sul fiume?...
— Ma no, — rispose il malese. — Se qualcuno si fosse spinto sulle acque, l’avremmo subito scoperto.
— E in tal caso come può essere entrata quella freccia? — chiese Than-Kiù.
— Si tratta poi, innanzi tutto, d’una freccia? — disse Sheu-Kin. — Io sarei curioso di vederla.
— Cerchiamola, — disse il malese.
Pram-Li accese un pezzo d’esca, e mentre Sheu-Kin si metteva a guardia della galleria, sorvegliando dalla parte del fiume, gli altri si dispersero fra le rocce, cercando il dardo.
Dopo pochi istanti Pram-Li lo trovava infatti in un crepaccio della vôlta. Dalla sua direzione, capì subito che non doveva essere stato lanciato dalla parte del fiume.
— È strano! — esclamò, guardando con ansietà dall’opposta parte della galleria. — Tiguma!...
— Che cosa?...
— Dove finisce questa galleria?...
— Io non l’ho mai esplorata.
— Non sai se abbia qualche comunicazione coll’esterno?...
— Lo ignoro.
— Sheu-Kin, mettiti di guardia, e tieni il fucile puntato verso il fondo della galleria, e noi osserviamo un po’ questa freccia. —
S’alzò sulla punta dei piedi e staccò il dardo.
Era un leggero cannello di bambù, con la punta di ferro, fornita in fondo d’un turaccioletto che pareva formato con un pezzetto di midolla d’albero.
A metà lunghezza il malese vide una striscia verde, larga due pollici, e che pareva tagliata da qualche grande foglia.
— Cos’è questa? — chiese, guardando Tiguma. — Un segnale od un puro ornamento?...
— Credo che si tratti di una freccia messaggera, — rispose il giovane selvaggio.
— Vuoi dire?
— Che su questo pezzetto di foglia vi deve essere scritto qualche cosa.
— Infatti io ho udito raccontare che certe tribù fanno uso delle foglie invece che della carta.
Svolse delicatamente quella specie di nastro vegetale, ed alla luce dell’esca vide impressi dei segni disposti su una doppia fila.
— Che siano parole? — si domandò, con stupore.
Tiguma si era curvato su quel pezzo di foglia, e osservava attentamente quei segni.
Ad un tratto un grido gli sfuggì.
— Io conosco questa scrittura! — esclamò.
— La chiami una scrittura tu questa? — chiese Pram-Li.
— Sono segni che io comprendo perchè vengono usati anche dalla mia tribù.
— Possibile!... Allora si dovrebbe supporre...
— Che fra gli uomini del bagani si trovi un mio compatriota, — disse Tiguma.
— Decifra questi segni.
— Sono già riuscito a comprenderli.
— E cosa dicono?
— Che seguiamo la galleria fino alla sua estremità e che qualcuno veglia su di noi.
— Sì veglia su di noi!... — esclamarono Hong e Than-Kiù al colmo dello stupore, quando Pram-Li riferì loro queste parole.
— Che vi sia qualche nostro conoscente fra gli uomini del bagani?... — chiese Pram-Li a Tiguma.
— Tutto lo indica, — rispose il giovane selvaggio.
— Chi può essere?... Noi non abbiamo avuto mai alcuna relazione con quei feroci cacciatori di teste.
— Potrebbe forse essere qualcuno appartenente alla mia tribù — disse Tiguma.
— Udiamo, — gli domandò il malese. — I cacciatori di teste uccidono sempre i loro prigionieri?
— Qualche volta li risparmiano.
— Hanno fatto dei prigionieri fra la tua tribù?
— Sì, l’anno scorso gli uomini del bagani hanno assalito il nostro villaggio rubando parecchi fanciulli e qualche giovanetto.
— Che uno di quei giovani si trovi fra gli uomini del bagani e che ti abbia riconosciuto?
— Io lo suppongo, — disse Tiguma.
— E quella foglia ci dice di camminare fino in fondo alla galleria? Che ci sia qualche passaggio che ci permetta di fuggire? — domandò Pram-Li a Hong.
— Andiamo a vedere, — disse questi, risolutamente.
— Purchè non ci si tenda un agguato, — osservò il malese.
— Ci terremo in guardia e non ci lasceremo sorprendere, — rispose Hong. — Vi è qualcuno che abbia qualche pezzo di corda incatramata che possa servirci da candela?
— Ne ho io, — rispose Pram-Li.
— Accendila e andiamo. —
Fu lasciato Sheu-Kin a guardia dello sbocco della galleria, onde i banditi non approfittassero della cessata vigilanza per dare la scalata alle rocce, e gli altri, preceduti dal malese il quale illuminava la via, si misero in marcia tenendo i fucili armati.
La galleria di passo in passo che il piccolo drappello s’inoltrava, diventava sempre più stretta e più bassa, accennando a scendere nelle viscere della terra.
Le pareti, molto ineguali, interrotte da fenditure profonde, talvolta permettevano appena il passaggio ad una persona; tal’altra invece si allargavano bruscamente formando delle piccole caverne semicircolari o quasi rotonde.
Il terreno di quando in quando s’abbassava bruscamente, come se fosse franato, poi si rialzava per quindi ridiscendere ancora.
Il piccolo drappello aveva già percorso duecento metri, quando giunse improvvisamente in un’ampia caverna circolare, che misurava almeno cento metri di circonferenza.
Erano appena entrati, quando una folata d’aria fresca fece oscillare vivamente la fiammella.
— Vi è qualche apertura, — disse Hong, arrestandosi bruscamente ed impugnando il fucile.
— Sì, — confermò Pram-Li, — e deve trovarsi da quella parte.
— Tenetevi pronti a far fuoco, — comandò Hong.
— Temi qualche sorpresa? — chiese Than-Kiù.
— Tutto è da aspettarsi da simili uomini. —
Avanzandosi cautamente, essi giunsero all’estremità della caverna e si arrestarono dinanzi ad una piccola fenditura larga tanto da poter appena passare una gamba, e lunga un mezzo metro.
La corrente d’aria veniva precisamente da quella parte.
— Un passaggio che non ci sarà d’alcuna utilità — disse Hong. — Non si potrebbe nemmeno allargarlo, essendo le pareti di questa caverna d’uno spessore enorme. Per qual motivo lo sconosciuto protettore ci ha invitati a venire qui? Ecco un mistero incomprensibile.
— Come è incomprensibile la questione del dardo, — disse Than-Kiù.
— Perchè? — chiese Hong.
— Come vuoi ammettere, Hong, che una freccia lanciata attraverso a questa fenditura possa essere giunta all’estremità opposta della galleria?
— Tanto più che siamo sempre discesi, — aggiunse Pram-Li.
— È vero, — disse Hong, colpito da quel ragionamento. — E cosa vuoi concludere, Than-Kiù?
— Che deve esserci stata lanciata da qualche altra parte.
— Che esista forse qualche passaggio presso il luogo che noi occupavamo? — si chiese Hong.
— Così deve essere, e nel ritorno lo cercheremo.
— Ma, — disse Pram-Li, — perchè allora l’autore di quel biglietto ci ha invece consigliati di venire qui?
— Infatti un motivo ci deve essere, — osservò Hong. — Voglio vedere questa fessura. —
Prese dalla mano del malese la corda incatramata e la passò attraverso il buco.
Subito un grido di sorpresa ed anche di gioia gli sfuggì dalle labbra.
— Cos’hai, Hong? — chiese Than-Kiù.
Il chinese invece di rispondere allungò rapidamente un braccio e ritirò un bellissimo uccello grosso quanto un giovane tacchino e che aveva ancora infitta, attraverso il collo, una freccia sottilissima, eguale a quella che era stata lanciata attraverso la galleria.
Era un argo, uno dei più splendidi uccelli delle regioni indo-malesi.
Questi volatili sembra che siano coperti da un ampio mantello, tanta è l’abbondanza delle loro penne, sicchè dà loro una grossezza che realmente non hanno.
Le loro penne sono nere, a striature biancastre e rossicce ed a occhi somiglianti a quelli dei pavoni ma più chiari e senza riflessi dorati.
Lungo il dorso hanno un rialzo di penne rossicce le quali terminano in due barbe leggermente curve che scendono a mezzo metro sotto la coda.
— È incredibile! — esclamò Hong, mostrando il volatile ai compagni.
— Ora comprendo perchè l’autore del biglietto ci ha fatti venire qui, — disse Tiguma. — Sapendoci assediati egli ha pensato a provvederci di selvaggina.
— Allora deve essere un tuo compatriota, — disse Pram-Li.
— Adesso io non ho più alcun dubbio, — rispose il giovane selvaggio.
— Vediamo se vi è qualche cosa d’altro, — disse Hong. — Il nostro provveditore non avrà dimenticato forse che siamo in cinque. —
Allungò nuovamente le braccia e ritirò due splendide colombe, un po’ più grosse delle nostre, colle penne del petto d’un azzurro brillante a riflessi ramigni e quelle del dorso verdi cupe a riflessi d’oro, con qualche screziatura gialla, poi dei banani, due grossi durion e finalmente alcuni rami resinosi che potevano servire da torce.
— Quello sconosciuto protettore ha pensato a tutto, — disse Hong, il quale era contentissimo. — Ci ha provveduti perfino di candele.
— C’è più nulla nel buco? — chiese Than-Kiù.
— Per ora non v’è altro, — rispose Hong che aveva frugato da tutte le parti.
— Speri che il provveditore torni a portarci altra selvaggina, — disse la giovane chinese, ridendo.
— Giacchè ha cominciato, continuerà — rispose Hong. — Queste provviste non possono servire che per due pasti.
— Vorrei conoscere quel misterioso personaggio che si è preso l’incarico di aiutarci dall’esterno, — disse il malese a Tiguma.
— Lo troveremo di certo.
— E quando?...
— Forse più presto di quello che credete, — rispose il selvaggio.
Aveva svolta la striscia di foglia e con la punta del coltello aveva tracciati alcuni segni assolutamente incomprensibili pei chinesi.
Quand’ebbe terminato, arrotolò la foglia attorno alla freccia e piantò questa in una fessura del buco.
— Ecco fatto, — disse. — L’uomo che cerca di esserci utile è avvertito che noi desideriamo di conoscerlo. —
In quel momento all’estremità della galleria rimbombò uno sparo seguìto dal grido:
— All’armi!...
— Sheu-Kin!... — esclamarono Than-Kiù e Hong.
Accesero precipitosamente un ramo resinoso e si slanciarono tutti verso la galleria mentre echeggiava un secondo sparo.
Quando giunsero all’estremità, videro il chinese curvo sul fianco, in atto d’un uomo che sta spiando qualche cosa.
— Ci assalgono? — chiese Hong, slanciandosi verso di lui.
— Ho veduto alcuni uomini che cercavano di accostarsi a noi, nuotando sull’acqua, — rispose Sheu-Kin. — Uno è già colato a fondo con una palla nel cranio e gli altri si sono nascosti in mezzo a quelle scogliere che s’alzano di fronte a noi.
— Erano molti? — chiese Hong.
— Una dozzina per lo meno.
— Io vorrei sapere quanti sono gli uomini che ci assediano.
— Vorresti tentare una sortita, Hong? — chiese Than-Kiù.
— Se fosse possibile la tenterei di certo, — disse risolutamente il chinese. — Cosa dice Tiguma?
— Che gli uomini del bagani devono essere in molti, — rispose Pram-Li.
— Ecco una brutta nuova. Essere assediati mentre ci troviamo a così pochi passi dalla stazione. Ah!... Quale idea!...
— Cosa vuoi dire, Hong? — chiese Than-Kiù.
— Pram-Li, — disse il chinese, invece di risponderle, — chiedi a Tiguma a quale distanza si troverà la stazione.
— A sei o sette ore di marcia, calcolando i giri che descrive il Bacat, — rispose il malese.
— Se tentassimo di mandare colà qualcuno a chiedere soccorsi?... L’amico del capo di Tiguma ha molti guerrieri?...
— La tribù non è molto numerosa, però potrebbe mettere in armi tante persone da poter avere il sopravvento sugli uomini del bagani. La difficoltà principale sta nel raggiungere la stazione, — disse Tiguma.
— Si può tentare? — chiese Pram-Li all’igoroto.
— Gli uomini del bagani vegliano.
— Cercheremo di deludere la loro sorveglianza.
— Pram-Li, — disse Than-Kiù, — hai dimenticato il nostro misterioso protettore? Perchè non ci serviremo di lui, senza esporre inutilmente la vita di uno dei nostri valorosi compagni?...
— Hai ragione, Fiore delle perle. Io avevo già dimenticato quell’uomo.
— Aspettiamo la sua risposta, poi decideremo sul da farsi.
— Ed intanto facciamo cantare i fucili, — disse improvvisamente Sheu-Kin. — Quei bricconi non vogliono assolutamente lasciarci tranquilli.
— Ritornano?... — chiese Hong.
— Guardateli!... Scivolano fra le rocce cercando di avvicinarsi a noi. Indietro!... Forse sono avvelenate. —
Con un urto il giovane chinese aveva respinto vivamente Hong e Than-Kiù.
Un momento dopo tre frecce si smussavano contro le pareti della galleria a pochi passi dagli assediati.
Hong e Pram-Li si gettarono a terra e mentre comandavano ai loro compagni di ritirarsi, si misero a strisciare verso lo sbocco della galleria, tenendosi celati dietro ai grossi massi che si trovavano sparsi al suolo.
Giunti presso l’orlo, alzarono con precauzione la testa, guardando al basso.
Alcune ombre umane si erano radunate sulla riva, proprio al disotto della roccia e si agitavano silenziosamente.
— Li vedi, Pram-Li? — chiese Hong, con un filo di voce.
— Sì.
— Possiamo fare un bel doppietto.
— Sì, ma...
— Cos’hai?...
— Vorrei sapere cosa stanno facendo. Mi sembrano occupati in una manovra misteriosa.
— È vero, Pram-Li, — rispose Hong. — Si direbbe che stanno tagliando qualche cosa.
— E che levano anche dal fiume od un barile od una cassa.
— Che contenga della polvere?...
— Non credo che questi selvaggi che fanno più uso delle frecce che delle armi da fuoco, ne possano aver tanta.
— Cosa conterrà allora quel recipiente?... — chiese Hong, che non si sentiva tranquillo.
— Prima che possano terminare quella misteriosa operazione, facciamo una scarica.
— È quello che volevo proporti, Pram-Li. Mira in mezzo al gruppo.
— Son pronto.
— Fuoco!... —
Due spari rimbombarono quasi contemporaneamente.
I banditi furono lesti a balzare in acqua, due di loro però, che si trovavano in cima ad una roccia, rotolarono fino al basso dibattendosi disperatamente e giacquero senza vita all’estremità di un banco di sabbia.
— Bel doppietto!... — esclamò Sheu-Kin, il quale era subito accorso per aiutare i compagni.
Hong gli rispose con un grido di rabbia.
Aveva veduto guizzare una viva fiamma in fondo alle erbe arrampicanti che coprivano i fianchi della roccia e sprigionarsi una nuvola di fumo.
— I briganti!... — esclamò. — Ci affumicano!...
Quasi nell’istesso momento si sentì prendere alla gola da un bruciore insopportabile, mentre i suoi compagni si portavano le mani agli occhi.
— Per la torre di Nankin!... — gridò Sheu-Kin. — Mi pare di aver perduto la vista!...
— Corpo di cento coccodrilli!... — esclamò Pram-Li, gettandosi vivamente indietro. — Cosa brucia sotto di noi?... —
Un fumo acre, puzzolente, soffocante, che rovinava la gola e gli occhi, saliva dalle scogliere, mentre la cortina di piante arrampicanti, già secca, abbruciando sviluppava un calore così intenso da non poter resistere.
Hong e i suoi compagni, mezzi asfissiati e mezzi acciecati si erano gettati indietro, respingendo Tiguma e Than-Kiù che si erano slanciati in loro aiuto.
— Fuggite!... — gridò Hong.
— Che cosa avvampa?... — chiese la giovane chinese la quale cominciava a tossire.
— Io non lo so. Fuggiamo nella caverna o ci asfissieranno. —
Raccolsero in fretta i rami resinosi, le colombe, l’argo e le frutta, e fuggirono a precipizio mentre le prime ondate di fumo, sospinte dal vento esterno, si cacciavano lentamente nella galleria.
Quando giunsero nell’ultima caverna, s’arrestarono vicino al buco per poter respirare più liberamente.
— Cos’è adunque successo?... — chiese Than-Kiù.
— Quei malandrini cercano di soffocarci, — rispose Hong. — Hanno acceso dei fastelli di legna, i quali hanno comunicato il fuoco alle piante arrampicanti.
— E quell’acre odore che ci bruciava gli occhi, da cosa proveniva? — chiese Pram-Li a Tiguma.
— Da alcune foglie di cumakru, — rispose il selvaggio.
— Cos’è questo cumakru?
— Un cespuglio le cui foglie, abbruciando, sprigionano un odore così acre da non poter resistere un solo minuto.
— All’inferno quei furfanti!...
— Fortunatamente v’è questa grotta; diversamente non avremmo potuto rimanere a lungo nella galleria.
— Il male è che dopo il fuoco giungeranno quei bricconi, — disse Pram-Li.
— Aspettatevi la loro visita, — soggiunse Tiguma.
— Saranno ricevuti degnamente, — disse Hong, avvertito delle parole del selvaggio. — Tu non hai paura, Than-Kiù?
— Sono pronta a fucilarli, — gli rispose la valorosa giovane con piglio risoluto. — La sorella del prode Hang-Tu non ha mai tremato dinanzi al pericolo.
— Silenzio, — disse in quel momento Sheu-Kin.
— Che vengano di già?... — chiese Hong.
— No: udite?... —
Dalla parte della fenditura s’era udito un legger sibilo che pareva mandato da un serpente.
Hong s’era prontamente voltato puntando il fucile.
— Chi vive? — chiese.
Lo stesso sibilo, più dolce di prima, si fece udire, poi una voce umana pronunciò una parola.
Tiguma si era slanciato innanzi, esclamando:
— Eccomi!... —
Hong aveva accesa rapidamente una torcia vegetale e si era accostato alla fessura, tenendo sempre il fucile armato.
Al di là del foro era comparsa una testa umana. Era quella d’un giovane dalla pelle molto oscura a riflessi color del mattone, dai lineamenti dolci, cogli occhi piccoli e nerissimi. I suoi capelli, lunghi, raccolti in due grosse trecce, gli cadevano lungo le gote ed erano adorni di scagliette di tartaruga e di spine di pesce.
Vedendo Tiguma, gli occhi del giovane si animarono, rilucendo come due carbonchi.
— Io sono il fanciullo rapito, — disse a Tiguma.
— Vindhit!... — esclamò l’amico dei chinesi.
— Sì, Vindhit, — rispose il giovane.
— Non t’hanno adunque ucciso i cacciatori di teste?
— Lo vedi, dal momento che sono qui a parlarti.
— E mi hai riconosciuto?...
— Sì, quantunque siano di già passati quattro anni. Ti ho veduto ieri mattina, ai primi albori, quando attraversavi il bosco in compagnia d’alcuni uomini dalla pelle gialla.
— E ti sei promesso di aiutarmi?
— Lo hai veduto.
— Conoscevi questa caverna?
— Sì, Tiguma.
— E da dove hai lanciato la freccia?...
— Da una fessura aperta sopra la galleria.
— E sei stato tu a provvederci di viveri?
— Temevo che non ne aveste e sono andato a cacciare per conto vostro.
— Sono molti gli uomini del bagani?...
— Almeno un centinaio, — rispose Vindhit, con accento di sconforto.
— E probabilmente risoluti a prenderci.
— Mi hanno detto che voi avete ucciso il bagani ed hanno giurato di vendicarlo.
— Che non vi sia alcun mezzo per sfuggire a loro?...
— L’ho cercato ed invano, — disse il giovane. — Tutto quello che posso fare è di provvedervi di viveri. Addio, ritornerò fra qualche ora. Gli uomini del bagani mi aspettano per tentare un assalto decisivo contro di voi. Vegliate attentamente e cercate di difendervi strenuamente se non volete perdere le vostre teste. Fra un’ora, se non m’avranno ucciso, sarò qui. —
Ciò detto il giovane selvaggio scomparve senza far rumore, addentrandosi nella foresta che si estendeva dietro la caverna.
Tiguma aveva subito informato i suoi amici di quanto aveva appreso dal suo giovane compatriota.
— Cento uomini!... — esclamò Hong. — Sono troppi per noi.
— Cosa fare?... — chiese Than-Kiù, la quale aveva provato un brivido, udendo i feroci propositi degli uomini del bagani. — Potremo noi salvare le nostre teste? Che la mia missione debba finire qui, fra le tenebre di questa caverna?... Hong... ho paura. —
Il chinese le si era avvicinato guardandola fissa.
— Tu hai paura... per lui, — le mormorò ad un orecchio.
La giovane chinese scosse il bel capo, in segno negativo.
— Sì, Than-Kiù, sì, mio Fiore delle perle — proseguì il chinese con voce sorda. — Tu temi di non poter salvare Romero.
— No, — diss’ella con voce risoluta. — No, Hong.
— Grazie, Fiore delle perle — disse Hong, con un sospiro. — Grazie, fanciulla. —
Poi rizzandosi quanto era lungo, gridò con voce tuonante:
— Noi daremo battaglia e salveremo il Fiore delle perle. Sheu-Kin, Pram-Li, Tiguma, seguitemi!...
— Dove vuoi andare, Hong?... — chiese Than-Kiù, trattenendolo.
— A forzare il passaggio del fiume.
— E se ti uccidono?...
— Cosa importa?... Morrò sotto i tuoi occhi.
— No, Hong, io non mi consolerei mai più della tua morte. No, non lo voglio. È il Fiore delle perle che ti prega. Aspettiamo l’amico di Tiguma.
— Cosa speri, Than-Kiù?
— Chissà?.. Attendiamo!... —
Quasi nel medesimo istante verso l’opposta estremità della galleria, si udirono delle voci umane.
— Vengono!... — disse il malese, slanciandosi a quella volta.
— Sì, vengono, — confermò Sheu-Kin.
— Ebbene, andiamo ad incontrarli, — disse Hong, con voce minacciosa.