Il Fiore delle Perle/26. L'inseguimento dei guerrieri del bagani
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | 25. Cos'era avvenuto dei superstiti della cannoniera | 27. Un amico misterioso | ► |
Capitolo XXVI
L’inseguimento dei guerrieri del «bagani»
Due ore dopo il drappello si rimetteva in marcia senza aver ingrossate le sue provviste, essendo la caccia alle testuggini mancata, malgrado le attive ricerche del giovine selvaggio.
La foresta continuava, come se si estendesse senza interruzione fino sulle rive del Bacat. Alberi giganti torreggiavano dovunque, raggruppati sempre in macchioni enormi, collegati gli uni agli altri da calamus smisurati e da nepentes, che i chinesi, il malese e l’igoroto erano costretti a recidere a colpi di kampilang e di bolo per aprirsi il passo.
Talvolta il suolo diventava improvvisamente pantanoso ed allora dovevano lottare con canne mostruose che avevano invaso anche quei terreni umidi, falciandole a destra ed a sinistra, ed atterrandole con grande strepito.
In mezzo a quelle bassure non era raro d’incontrare taluni di quei fiori enormi chiamati rafflesie, che per le loro dimensioni esagerate tengono il priorato fra tutti e che solo s’incontrano in certe isole dell’arcipelago malese.
Sono veri colossi, misurando, aperti, tre metri di circonferenza con un diametro di uno, e pesano in media dai sette agli otto chilogrammi, ma non servono altro che da serbatoi, talvolta molto preziosi, contenendo perfino dieci litri d’acqua.
Se hanno un profumo piuttosto sgradevole, sono nondimeno splendidi colla loro tinta rossa fiammante, punteggiata di bianco.
Cosa strana però: mentre i fiori sono così smisurati, la pianta che li produce ha apparenze rachitiche, avendo foglie semplicissime e niente grandi, ed il fusto poco grosso, che esce da una radice cilindrica.
Oltre a quei fiori, s’incontravano di frequente delle palme sagu, la cui vista strappava al giovane selvaggio delle grida d’ardente bramosìa, non già per la farina molto nutritiva che contenevano, nè per le loro frutta che macerate in acqua danno una bevanda fermentata molto apprezzata dagli igoroti, ma per le larve che si nascondono nell’interno, un cibo molto ricercato non solo dai selvaggi, bensì anche dagli abitanti delle coste.
Quelle larve, chiamate bachi commestibili, vivono nell’interno di quelle palme, della cui midolla farinosa sembra che si nutrano e sono oggetto d’una caccia spietata, essendo eccellenti. Si dice che taluni europei che le hanno assaggiate, abbiano paragonato il loro gusto alle parti migliori dei nostri polli!...
Alle cinque, quando il sole cominciava a spuntare e le scimmie e gli uccelli a ridestarsi, Tiguma, che camminava dinanzi a tutti, s’arrestò bruscamente, poi si gettò a terra appoggiando un orecchio al suolo ed ascoltando con attenzione.
— Hai udito qualche rumore sospetto? — gli chiese Pram-Li, che aveva già armata la carabina.
— Sì, — rispose il selvaggio, che pareva in preda ad una certa inquietudine.
— E quale?...
— Ho udito dei rami spezzarsi.
— Sarà stato qualche babirussa. —
Tiguma crollò il capo ripetutamente, come uno che dubiti assai, poi rispose:
— Gli uomini della foresta distinguono il rumore che produce un animale da quello d’un nemico.
— Temi che qualcuno ci spii?...
— È probabile.
— Forse gli uomini del bagani?...
— Possono aver lasciato qualcuno nella foresta per sorvegliarci.
— Siamo ancora bene armati, Tiguma.
— Ma essi sono numerosi e assetati di vendetta.
— Cosa ci consigli di fare?...
— Fermatevi qui ed aspettate che io vada a perlustrare la foresta.
— Ti accompagnerò.
— No, poichè voi non potete strisciare senza produrre rumore. Preparate le armi ed attendete il mio ritorno. —
Il giovane selvaggio fece loro un gesto d’addio, poi si gettò fra i cespugli vicini e s’allontanò silenziosamente, strisciando come un serpente.
Hong ed i suoi compagni videro per qualche istante tremolare le foglie d’alcuni rami, poi non distinsero più nulla, nè udirono il menomo rumore.
— Teniamoci pronti a tutto, amici, — disse Pram-Li. — Se abbiamo avuto la disgrazia d’incontrare la retroguardia degli assalitori, avremo molto da fare per sbarazzarcene.
— Se potessimo frapporre il Bacat fra noi e loro, sarebbe cosa facile sfuggire all’inseguimento, — disse Hong.
— Pare che il fiume sia ancora lontano.
— In caso che ci assalgano, cercheremo un rifugio su qualche grosso albero, — disse Than-Kiù.
— Hai ragione, — rispose Hong. — Guarda, vedo là quell’enorme albero della canfora che ci servirà benissimo per una lunga difesa. Vi sono delle liane che pendono e che ci aiuteranno per dare la scalata.
— E che poi ci affretteremo a recidere, onde impedire agli altri di servirsene.
— Sì, Than-Kiù.
— Zitti, — disse in quell’istante Sheu-Kin. — Mi pare d’aver udito spezzarsi un ramo.
— Sarà Tiguma che ritorna.
Hong aveva appena pronunziate quelle parole, quando si vide rizzarsi, sul margine d’un folto macchione di banani, il giovane selvaggio.
Egli fece un cenno ai suoi amici di non muoversi, stette alcuni istanti in ascolto, curvandosi verso terra, poi attraversò rapidamente lo spazio scoperto, raggiungendoli.
— Dunque?... — chiese Pram-Li.
— Siamo spiati, — rispose Tiguma, con voce alterata.
— Da chi?
— Dagli uomini del bagani.
— Sei proprio certo?...
— Ho potuto vederli.
— Quanti sono?... — chiese Hong, dopo avere udita la traduzione di quelle parole.
— Dieci o dodici, finora.
— Sono lontani? — chiese Pram-Li.
— Forse cinquecento passi.
— Bisognerebbe sorprenderli e dare loro battaglia prima che si uniscano al grosso della truppa.
— Agli spari accorreranno gli altri, — rispose Than-Kiù. — No, credo che sia più prudente affrettare la marcia ed attraversare il Bacat. Domanda se il fiume è lontano.
— Potremo giungervi al tramonto, — disse Tiguma.
— Temi che ci assalgano durante la marcia?... — chiese Pram-Li.
— No, — rispose il giovane selvaggio. — Attenderanno la notte per sorprenderci, sapendo per prova che voi possedete le armi che tuonano; però ci terremo in guardia, e poi spero di sventare il loro attacco.
— In qual modo?... — domandò il malese.
— Conducendovi in un luogo dove ci sarà facile difenderci e senza esporci troppo.
— Presso qualche tribù, forse?...
— No, in una delle numerose caverne che si trovano sulle rive del Bacat.
— Allora affrettiamoci e, se è possibile, cerchiamo di far perdere le nostre tracce agli uomini del bagani.
Dopo d’aver ascoltato un’ultima volta, ripartirono di buon passo attraverso la foresta. Tiguma si era messo alla testa, dietro di lui camminavano Hong e Than-Kiù, ed il giovane chinese e Pram-Li formavano la retroguardia.
Tutti avevano armati i fucili onde essere pronti a rispondere al primo attacco, e Tiguma teneva la lancia in ispalla per essere più lesto a gettarla.
La foresta tendeva sempre a diradarsi; vi erano però ancora dei fitti macchioni, formati per lo più da banani selvatici e da arecche, intrecciati a liane e che si prestavano per una imboscata.
Il drappello marciava rapido e procurava tuttavia di tenersi lontano per non ricevere qualche scarica improvvisa di fucili od una volata di frecce avvelenate.
Tiguma soprattutto, da vero uomo dei boschi, non s’impegnava fra i fitti vegetali senza aver prima ascoltato a lungo e aver esplorato il terreno, giacchè era certo, quantunque non si udisse alcun rumore sospetto, di essere seguìto dagli uomini del bagani.
A mezzodì essendo tutti stanchi per quella lunghissima marcia, decisero di fare un breve alt ai piedi d’un altro colossale albero della canfora fra i cui rami potevano, in caso di pericolo, cercare un rifugio ed organizzare una disperata resistenza.
Il giovane selvaggio, abituato a quelle lunghe corse, invece di riposare, intraprese una esplorazione lungo la via che avevano percorsa, per accertarsi meglio del numero dei cacciatori di teste che li inseguivano.
La sua assenza durò quasi due ore e quando fece ritorno al campo era trafelato come se avesse fatto una lunga marcia.
— Hai veduto i nemici? — gli chiese Pram-Li.
— Sì, — rispose egli. — Ci seguono sempre.
— Sono lontani da noi?
— Un’ora di marcia.
— Sono molti?
— Sono cresciuti di numero.
— Furfanti!... Sperano proprio di sorprenderci.
— Questa notte li avremo addosso.
— Ed il Bacat è ancora lontano?
— Vi giungeremo fra quattro ore.
— E Tiguma dice che colà troveremo delle caverne? — chiese Hong a Pram-Li.
— E molte, sembra.
— Quando saremo a posto, infliggeremo una tale lezione a quegli ostinati, da ricordarsene per parecchio tempo. Than-Kiù, fanciulla mia, bisogna che tu faccia un ultimo sforzo.
— Sono pronta a ripartire, — rispose la giovane.
— In cammino, amici. Non bisogna che quei furfanti ci raggiungano. —
La ritirata fu ripresa con maggior celerità, temendo di venire da un istante all’altro raggiunti dagli uomini del bagani.
Hong faceva coraggio alla povera Than-Kiù, la quale pareva esausta, e di quando in quando la prendeva fra le potenti braccia e la portava come se fosse una bambina.
Tutti sentivano per istinto che gl’inseguitori non erano lontani. Tiguma, che era ritornato più volte indietro per vedere se si avvicinavano, aveva udito già dei rumori ed aveva scorto anche, sulla cima d’un albero, un uomo che cercava, di lassù, di seguire la direzione presa da loro.
La foresta per buona fortuna continuava sempre a diradarsi, permettendo al drappello di accelerare la marcia senza costringerlo ad aprirsi il passo fra i vegetali. Anche le macchie diventavano più piccole, essendo costituite quasi esclusivamente di arenghe saccarifere, dalle splendide foglie piumate, preziose piante dalle quali il giovane selvaggio avrebbe potuto ricavare molte cose utili, se ne avesse avuto il tempo.
Verso il tramonto Tiguma, che da qualche istante osservava attentamente il terreno e la disposizione degli alberi, si volse verso Pram-Li che lo seguiva e gli disse con voce giuliva:
— Il Bacat ci è vicino.
— È tempo, poichè anch’io sono completamente sfinito dalla fame e dalla lunga marcia.
— Silenzio!...
Il giovane selvaggio si era curvato verso terra e si era messo in ascolto.
— Sì, l’odo, — disse poi.
— Che cosa?...
— Il fiume.
— Avanti!...
Attraversarono, sempre correndo, l’ultimo lembo della foresta, formato da altissime palme e da superbi banani tutti carichi di frutta deliziose e profumate, e giunsero in breve tempo sulle rive del Bacat.
Il fiume, uno dei principali del Mindanao, anzi forse il più importante di tutti per la sua lunghezza e per la sua massa d’acqua, scorreva fra due rive altissime e dirupate, aprendosi penosamente il passo fra un gran numero d’isolotti ricoperti di bambù e di piante acquatiche e di banchi di sabbia, sui quali si vedevano parecchi coccodrilli addormentati.
Sulla riva opposta, lontana circa trecento metri, non si scorgeva alcun villaggio, nè alcuna capanna, nè alcuna canoa.
— Non è qui che dovrebbe trovarsi la stazione di Bunga? — chiese Pram-Li.
— No, è più al nord, — rispose Tiguma. — Domani però, in cinque o sei ore, vi giungeremo. Intanto troviamo un rifugio per non farci sorprendere dagli uomini del bagani.
— E dove vuoi trovarlo?
— Aspettatemi qui; la mia assenza sarà breve. —
Il giovane selvaggio partì di corsa, seguendo la sponda dirupata del fiume, mentre Hong ed i suoi compagni sorvegliavano il margine della foresta.
Non erano trascorsi cinque minuti, che già Tiguma era di ritorno.
— Seguitemi senza ritardo, — disse, appena giunto. — Lassù ci troveremo al sicuro.
Hong ed i suoi compagni s’affrettarono a seguirlo. Il selvaggio scese la sponda costeggiando le rupi che cadevano quasi a picco nel fiume, immergendosi talvolta nella corrente fino alle anche e condusse il drappello sotto un’alta roccia screpolata.
Hong, agli ultimi bagliori del crepuscolo, credette di scorgere, a metà altezza, una spaccatura nera, semicoperta da alcuni festoni di piante arrampicanti.
— È lassù, il rifugio?... — chiese Pram-Li.
— Sì, — rispose Tiguma.
— Potremo scalare la rupe?...
— Sono salito fino a quella spaccatura poco fa.
— Speriamo di giungervi anche noi. —
Stavano per cominciare la scalata, quando verso il bosco udirono echeggiare un grido che si poteva scambiare per quello di qualche scimmia o di qualche calao.
— Eccoli, — disse il selvaggio. — Su, lesti!... —
La salita non era facile, essendo la rupe quasi tagliata a picco, ma aggrappandosi alle piante rampicanti, agli sterpi ed alle radici e puntando i piedi nei crepacci o cacciando le dita nelle fessure, in pochi minuti poterono giungere all’apertura, la quale conduceva in una caverna, o meglio in una specie di galleria.
Vi erano appena entrati, quando videro fuggire disordinatamente una dozzina di enormi pipistrelli, di tainan, i quali avevano fatto, di quella galleria, il loro rifugio.
— Che disgrazia che se ne siano andati così presto, — disse Pram-Li. — Ho tanta fame che ne avrei mangiato uno.
— Puah!... — fece Sheu-Kin. — Mangiare dei pipistrelli!...
— Forse che voi chinesi non mangiate qualche cosa di peggio?... I lombrichi salati ed i topi non valgono certo di più.
— Silenzio, — disse Tiguma, che si era messo in osservazione presso l’uscita della galleria.
— Vengono?... — chiese Pram-Li, che gli si era coricato vicino.
— Ho udito un altro segnale.
— Che riescano a scoprirci?...
— È probabile, ma vi sarà facile respingere l’assalto.
— Lo spero, poichè possediamo ancora un buon numero di cartucce. Vi è tuttavia il pericolo che ci assedino.
— È vero, non avevo pensato a questo.
— E nulla abbiamo da porre sotto i denti, anzi siamo tutti affamati.
— Vi sono dei banani poco lungi da qui.
— E chi andrà a coglierli?...
— Io.
— Per farti uccidere?...
— Sono lesto e prudente. Se i nemici non sono ancora giunti sulle rive del fiume, posso tentare la sorte.
— Sei un brav’uomo, Tiguma.
— Voi avete salvato me, la mia donna e tutta la tribù, è quindi giusto che io cerchi di salvare ora voi.
— Vuoi che ti accompagni?...
— No, voi non possedete la mia agilità. Vegliate e non temete per me.
Ciò detto, il bravo igoroto si armò d’un coltello datogli da Hong e scese silenziosamente la rupe.
I tre chinesi ed il malese, che erano andati verso l’apertura, lo videro giungere felicemente sulla riva, e quindi allontanarsi lungo le alte rupi.
— Che lo uccidano?... — chiese Than-Kiù. — Mi rincrescerebbe che quell’affezionato giovane cadesse sotto i colpi di quei feroci uomini.
— È prudente e destro, — rispose Hong. — Io ho fiducia completa in lui. —
Si misero in ascolto, tenendo in mano le carabine, decisi ad accorrere in suo soccorso al primo allarme.
Passarono cinque minuti d’angosciosa aspettativa, senza che fosse giunto fino a loro alcun rumore od alcun grido, poi udirono, proprio sotto la roccia, come uno sgocciolìo d’acqua.
— Cos’è questo?... — si chiese Pram-Li, spingendosi innanzi. — Si direbbe che qualcuno stia lavandosi o che esca dal fiume. —
Guardò giù e fra le tenebre credette di scorgere una forma umana, ferma sulla riva del Bacat.
— Sei tu, Tiguma?... — chiese con un filo di voce.
— Sì, — rispose il selvaggio.
Aveva lasciata la riva e saliva faticosamente, come se fosse imbarazzato da qualche peso troppo enorme per lui.
Pram-Li e Sheu-Kin ad un cenno di Hong s’affrettarono ad andargli incontro e videro che portava sulle spalle un grappolo gigantesco di banani, del peso di trenta o quaranta chilogrammi.
— Buono!... — disse allegramente Sheu-Kin. — Ne avremo per un paio di giorni.
Prese il grappolo, che era troppo pesante per quell’uomo così piccolo e tutti e tre s’affrettarono a raggiungere Hong e Than-Kiù.
— I nemici?... — chiese allora Pram-Li al selvaggio.
— Sono già giunti sulla riva, — rispose Tiguma, scuotendosi di dosso l’acqua.
— E tu, da dove vieni che sei tutto bagnato?...
— Ho attraversato il fiume e sono andato a prendere alcuni banani che crescono su di un isolotto.
— Non hai potuto giungere alla foresta?...
— Era impossibile.
— E non hai pensato ai coccodrilli?... Se si accorgevano della tua presenza, potevano tagliarti in due.
— Non si sono svegliati, e poi avevo il coltello.
— Sono numerosi i nemici?...
— Una trentina.
— Cosa facevano?...
— Cercavano le nostre tracce.
— Che riescano a trovarle?...
— Sono furbi, e potranno scoprirle, ma come dissi voi possedete le armi che tuonano.
— Li attenderemo.
Diedero l’assalto ai profumati banani, cibo non molto nutriente, a dire il vero, pure sufficiente per calmare la fame che li tormentava, poi Than-Kiù, Hong e Sheu-Kin si accomodarono alla meglio per gustare un po’ di riposo, mentre Pram-Li ed il selvaggio montavano il primo quarto di guardia.
Stesi presso l’apertura, colle armi a portata della mano, il malese e l’igoroto vegliavano attentamente cogli orecchi tesi per raccogliere il più piccolo rumore.
L’oscurità era diventata così profonda, in causa di alcune nubi che avevano invasa la vôlta celeste, da non poter discernere le sponde del fiume, sicchè non era facile poter vedere degli uomini che si fossero avanzati lungo la base delle rupi.
Anche i rumori, se prodotti un po’ in distanza, non erano facili a raccogliersi, in causa del fragore della corrente, la quale frangevasi contro gl’isolotti ed i banchi di sabbia.
Era trascorsa un’ora senza che nulla fosse accaduto, quando Tiguma, che si era spinto fuori dal crepaccio, si ritrasse prontamente, mettendo una mano su un braccio di Pram-Li.
— S’avanzano? — chiese questi, sottovoce.
— Non ne sono certo; mi è parso di udire un bisbigliare ai piedi della roccia.
— Saranno essi che cercano le nostre tracce.
— Zitto!...
Tiguma era tornato a sporgersi innanzi ed aveva scorto, proprio sotto la gran rupe, sulla riva del fiume, due ombre umane. Tese gli orecchi e raccolse questo colloquio significantissimo:
— Le tracce si fermano qui.
— Allora hanno cercato rifugio in qualche crepaccio.
— Certamente, Holo.
— Cosa devo fare?...
— Avvertire i compagni d’avanzarsi.
— Vuoi dare la scalata a questa rupe?
— Sì, perchè sono certo di trovarli e di sorprenderli.
— Che dormano?...
— Se fossero svegli ci avrebbero già salutati con una scarica delle loro armi.
— Corro ad avvertire i compagni.
Tiguma ne sapeva abbastanza. Si ritirò lestamente e disse a Pram-Li:
— Si preparano ad assalirci.
— Ah!... — fe’ il malese.
— Sono andati a chiamare gli altri.
— Avvertiamo subito i nostri amici.
S’internò nella galleria, e svegliò Hong ed i suoi compagni, dicendo:
— Presto, fra poco vi sarà battaglia.
— Siamo pronti, — rispose semplicemente Hong.
S’appressarono tutti all’uscita, armando i fucili, ed attesero.
Dinanzi stavano Hong, Pram-Li e Tiguma, e dietro di loro il Fiore delle perle e Sheu-Kin.
Si erano appena accomodati, quando il selvaggio, che si trovava sull’angolo più sporgente della fenditura, vide una fila di ombre umane avanzarsi silenziosamente lungo la riva.
— Eccoli, — disse Pram-Li, avvertito da Tiguma.
— Lasciamoli venire, — rispose Hong.
Uno di essi aveva già cominciato a scalare la rupe. Si udivano dei sassolini staccarsi, rotolare giù, e quindi cadere nell’acqua con un leggero tonfo.
Hong si era inginocchiato, per essere più libero nei movimenti, ed aveva puntata la canna della carabina verso l’entrata della galleria.
— Non muovetevi voi, — disse.
L’uomo saliva sempre. Lo si udiva muovere il terriccio, tirare le radici e respirare affannosamente, e più sotto si udivano altri ad arrampicarsi.
Ad un tratto un’ombra apparve dinanzi alla galleria. Hong puntò rapidamente il fucile e fece fuoco.
La detonazione fu seguìta da un urlo acuto, terribile, e l’uomo scomparve, rotolando giù per la roccia per poi piombare nel fiume.
Abbattuto quel primo avversario, Pram-Li, Sheu-Kin e Than-Kiù si erano spinti innanzi, curvandosi sul margine della spaccatura. Vedendo sotto di loro degli altri uomini, fecero fuoco nel mezzo.
Tre o quattro, colpiti in pieno, caddero addosso agli altri i quali, impotenti a resistere a quell’urto improvviso, rotolarono confusamente fino sulla riva, ammaccandosi o storpiandosi.
Urla furiose s’alzarono alla base della roccia, insieme a due colpi d’arma da fuoco.
Hong, che aveva ricaricata l’arma, si era spinto innanzi, pronto a rispondere, ma ormai i banditi del bagani s’erano allontanati, riguadagnando la riva del fiume.
— Se ne sono andati, — disse Pram-Li, volgendosi verso il giovane selvaggio. — Che ne abbiamo avuto abbastanza?... —
Tiguma crollò il capo in segno di dubbio.
— Non illudetevi, — disse poi. — Voi non conoscete lo spirito vendicativo di quegli uomini.
Il malese nell’udire quelle parole provò un fremito.
— Tu dunque credi che non siano fuggiti? — chiese, con una certa apprensione.
— No.
— Che ci assedino?
— Lo temo: essi non se ne andranno finchè non avranno le nostre teste.
— Miserabili!... — mormorò Hong, dopo che ebbe udita la traduzione. Gettò uno sguardo disperato su Than-Kiù, e poi aggiunse con voce cupa:
— E tutto per salvare quell’uomo!... —