I dintorni di Firenze, volume I/V. Barriera del Ponte rosso
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V.
Barriera del Ponte Rosso
Itinerario. — Via Faentina - S. Marco Vecchio - Ponte alla Badia - Pian di Mugnone - Le Caldine - Sveglia - La Querciola - L’Olmo.
Via Bolognese - La Pietra - La Loggia - Pino - La Lastra Trespiano - Basciano - Pratolino - Maciuoli.
Via Vittorio Emanuele - Via di Montughi - Via di Santa Marta.
Mezzi di comunicazione. — Ferrovia - Firenze-Faenza (Stazioni delle Caldine e Montorsoli). — Diligenze per le Caldine e la Querciola; per Trespiano, Pratolino e per il Mugello.
Uffici di posta e telegrafo. — Le Caldine - Montorsoli - Trespiano - Pratolino.
all’antico ponte costruito di mattoni che attraversava il torrente Mugnone di fronte alla via Bolognese ebbe nome questa barriera alla quale fanno capo tre strade principali: la Via Faentina che risalendo quasi parallelamente il corso del Mugnone, conduce in Mugello, la Via Bolognese che oltrepassati i colli della Lastra, di Trespiano e il Monte dell’Uccellatojo discende per la Valle della Carza in Mugello e la Via Vittorio Emanuele la quale dopo essere passata sotto il colle di Montughi trova a Rifredi la vecchia via Pistoiese pur essa chiamata fino a Sesto, Via Vittorio Emanuele. Seguendo il sistema adottato, inizieremo le nostre escursioni fuori di questa Barriera prendendo la via a destra, cioè la via Faentina, dividendo il nostro itinerario in tre parti a seconda dei diversi stradali più importanti. Via Faentina.
La Via Faentina dalla quale si diramano molte strade aperte di recente, costituisce oggi una lunga borgata che va a collegarsi al borghetto di S. Marco Vecchio e prosegue fin quasi al Ponte alla Badia. La strada va quasi parallela al corso del torrente Mugnone, lungo il quale fin da tempo remoto ebbero beni varj spedali, i capitoli di S. Maria del Fiore e di S. Lorenzo e diverse altre chiese della città.
Sorsero pure lungo questa via tre importanti monasteri.
Monte Domini. — Remotissima ed incerta è l’origine del nome di questa località, posta lungo la via Faentina alle pendici dei colli di Montughi. Fin da tempo immemorabile sarebbe quivi esistito sotto tal nome un piccolo monastero; ma non fu che nel 1285 che esso venne riedificato per accogliervi alcune monache del convento di S. Chiara a Castelfiorentino. Una Madonna Nera di Carlettino regalò il terreno sul quale sorse la nuova fabbrica fatta a spese della famiglia Marsili e col contributo dei Tolosini e degli Scodellari-Davanzi. Le monache, venute nel 1311 non vi stettero molto, perchè nonostante la vicinanza della città, non si trovavano troppo sicure e nel 1364 dinanzi alle soldatesche pisane dell’Aguto che ardevano tutti i fabbricati di Montughi, fuggirono a Firenze e trovarono asilo nella casa de’ figli di Tommaso d’Arnaldo Peruzzi. Poco dopo, esse edificarono un nuovo monastero in Firenze nel luogo dov’è oggi la Pia Casa di Lavoro che conserva tuttora la denominazione di Monte Domini.
Esse mantennero il possesso del vecchio convento, e ne fecero ufiziare la chiesa fino all’anno 1529 in cui per le esigenze della difesa della città minacciata dalle milizie imperiali e pontificie, anche questo edilizio che era bello ed ampio, dovette essere abbattuto. Dopo l’assedio le monache ricostruirono sulle rovine una casa ad uso di villa ed altri edilizi che concedevano a livello e davano a pigione.
Il monastero doveva sorgere press’a poco nel luogo dov’è oggi la casa che porta il numero comunale 119.
S. Marco Vecchio o gli Alberi. - Villa Del Poggetto. — L’antico spedale di S. Maria e di S. Gallo che era posto presso alla porta di questo nome e che venne distrutto in occasione dell’assedio, possedeva per concessione avutane dalla repubblica e per donazioni di privati, molte terre e case lungo il torrente Mugnone, nei popoli di S. Marco Vecchio e di S. Lorenzo. Cotesti beni passarono allo spedale di S. Maria degl’Innocenti, quando vennero riuniti sotto la sua amministrazione diversi altri spedali fra i quali quello di S. Gallo. La casa da signore cogli annessi terreni fu dallo spedale concessa a livello a diverse famiglie ed ai primi del XVI secolo troviamo infatti che essa è venduta a vita e con certi patti livellari a Ser Girolamo e Ser Gio. Battista Chamucci o Chanucci che probabilmente si chiamavano invece Gamucci. Sul portone della villa si vede tuttora Tarme o segno dello Spedale degl’innocenti.
S. Marco Vecchio. - Villa Spinelli. — La villa che corrisponde sulla strada colla sua elegante facciata di carattere della fine del XVII secolo, è annessa ad un grandioso mulino a vapore per la macinazione dei cereali. In questo luogo possedeva fin da tempo remoto terreni e case il Capitolo di S. Maria del Fiore; ma nei decimarj non si fa menzione che tardi della villa la quale era forse per uso ed esente da tasse o pure venne costruita in epoca più moderna. Il Capitolo concesse cotesti beni a livello a diverse famiglie.
Nel XVII secolo era degli Assirelli, dai quali i diritti livellari passarono per eredità nei Giglioli di Ferrara. Ora villa e terreni sono allivellati alla famiglia Spinelli.
Chiesa di S. Marco Vecchio. — Si chiamava in origine S. Marco al Mugnone per la vicinanza sua a questo torrente, ed ebbe l’appellativo di S. Marco Vecchio quando sorse in Firenze per opera dei frati Salvestrini la chiesa di S. Marco, in Cafaggio, che ne’ primi tempi si chiamò S. Marco Nuovo. È fra le più antiche chiese del suburbio fiorentino e fin dalla sua origine fu sotto la diretta dipendenza del Capitolo di S. Lorenzo che ne eleggeva i rettori. Non ha importanza di storici ricordi ed uno solo merita di esser notato. Il 13 dicembre 1681 vi fu depositata la salma della Granduchessa Maddalena d’Austria che da Trento veniva trasportata a Firenze per aver sepoltura nella cappella Medicea di S. Lorenzo. La salma stette nella chiesa di S. Marco Vecchio un giorno intero ed alla sera del 14 venne accompagnata con pompa solenne all’estrema dimora. Nel 1894 la facciata della chiesa venne restituita all'originario carattere medievale scomparso nelle varie trasformazioni alle quali era andata soggetta. In fatto d’arte poco si conserva che sia degno d’attenzione: basta ricordare un dipinto di Francesco Furini rappresentante la Vergine col bambino ed i Santi Francesco e Domenico, un altro dipinto del XVII secolo e forse della stessa mano, raffigurante la Deposizione ed una croce processionale di rame del XV secolo.
Accanto alla chiesa è la Compagnia eretta nel 1496 sul terreno che il Capitolo di S. Lorenzo concedette per un censo annuo di due libbre di cera.
Borgo di S. Marco Vecchio. — Il piccolo borgo, oggi notevolmente accresciuto da nuove costruzioni, è di origine antichissima e di esso facevano parte numerose, per quanto piccole ville, appartenenti a ricche e potenti famiglie fiorentine. Nel XV secolo nel caseggiato del borgo e lungo la via possedevano case da signore: i Condi, Girolami Del Testa, Palarcioni, Minerbetti, D’Agnolo, Da Sanminiato, Cili, Marignolli, Minerbetti, Ughi, Guidi ecc.
S. Marco Vecchio o La Fogna. - Villa Magini. — Una fogna che raccoglieva le acque della Via Faentina e dei colli sovrastanti per portarle nel Mugnone, dette il nome a questa località e a diverse ville che vi sorgevano. Una delle più antiche è quella oggi Magini la quale conserva, oltre ad una torre, tracce della sua remota costruzione. Apparteneva ne’ tempi lontani alla celebre famiglia Marignolli che aveva palagi e torri in Firenze sul Canto di Borgo S. Lorenzo e fu dei figli di Piero uno de’ quali, Zanobi, ebbe il titolo di Conte Palatino per essere stato de’ Priori al tempo del celebre Concilio di Firenze. Dei Marignolli si vede tuttora lo stemma sulla facciata di questa vecchia villa, la quale passò alla metà del XVI secolo nella famiglia Segni; nel 1756 andò ai Cardinali e nel 1760 ai Caglieri. Rialto o La Fogna. - Villa Benvenuti. — Una Madonna Bice vedova di Giovacchino della Magna, ossia d’Alemagna vendeva nel 1465 questa casa da signore a Andrea di Antonio Del Reddito o Redditi del gonfalone Carro ed in questa famiglia restò il possesso fino all’anno 1563, quando Jacopo di Tommaso Redditi la vendeva a Gostanza di Lorenzo Jacopi moglie di Pier Filippo Gianfigliazzi. A questa famiglia, della quale si veggono tuttora gli stemmi all’esterno della villa, essa appartenne fino a’ primi del secolo XIX in cui i Gianfigliazzi vennero a mancare.
La Fogna. - Villa delle Suore Addolorate. — La potente famiglia Minerbetti era padrona fin da tempo lontanissimo di questa villa che nel 1427 appartenne a Tommaso d’Andrea. Alla fine del XV secolo passò in Simone di Francesco De Nobili e più tardi in Bartolommeo di Jacopo Del Caccia. Nel XVII secolo la comprarono i Coresi Del Buono lasciandola in eredità ai Soli. Più modernamente l’ebbero i Pontenani d’Arezzo.
Chiesa o monastero di S. Giovan-Battista di Lapo. — Lungo la Via Faentina, al di là di S. Marco Vecchio, sorge questo monastero che in molte parti serba tuttora la struttura sua originaria. La chiesa specialmente, che ha dinanzi un piccolo piazzale, presenta nelle decorazioni della sua facciata il tipo del XIV secolo. La porta di forma assai elegante, è sormontata da una lunetta nella quale sono i resti di un buon affresco del XIV secolo. L’interno invece è trasformato ed è da deplorarsi che siano sparite le parti più essenziali di un opera che, come risulta da un documento del 1 aprile 1348, venne condotta sotto la direzione di Benci del fu Cione l’architetto della loggia della Signoria, per commissione de’ Capitani della Compagnia di S. Maria della Misericordia che ne avevano avuto incarico da Lapo di Guglielmo da Fiesole.
L’origine del monastero devesi a Giovanni del fu Cagnaccio da Gambassi il quale con suo testamento del 1335 disponeva che nel suo podere detto di Pietrafitta, posto lungo il Mugnone, dovesse edificarsi nel termine di un anno una chiesa con un convento per le Romite di Fiesole e quando le disposizioni da lui prescritte non fossero osservate il possesso sarebbe passato ai Capitani di Or S. Michele ed a quelli della Misericordia. La costruzione non fu immediata, ma le monache, per mezzo di Lapo di Guglielmo da Fiesole loro benefattore e protettore, poterono accomodarsi cogli ufficiali della compagnia ed ottenere una dilazione di tempo. Intanto spaventate, dalle scorrerie delle milizie pisane che desolavano il contado fiorentino, lasciarono il monastero che Lapo di Guglielmo aveva edificato per loro fra le rovine della vecchia rocca fiesolana, vennero a Firenze e chiesero facoltà di non tornar più alla loro malsicura sede. Così poterono stabilirsi nel nuovo monastero che per la generosità di Giovanni di Cagnaccio e per le premure di Lapo di Guglielmo era già pressoché condotto a termine nella località che si diceva Pietrafitta o le Cerbine. Il monastero, al quale le suore vollero conservare il nome di Lapo per riconoscenza verso colui che esse avevano eletto procuratore, protettore e difensore del loro monastero e che adoperò ogni sua premura per curarne la edificazione, esiste tuttora. L’edifizio è passato, dal Demanio in proprietà del Comune di Firenze.
S. Maria della Misericordia. - Casa Callai. — È il terzo dei monasteri già esistenti in questo primo tratto della Via Faentina e si può facilmente riconoscerlo in quell’edifizio grandioso che sorge sulla destra della strada al di là del Convento di Lapo. Esso fu fondato nel 1506 per testamento di Antonia Tanini morta nel 1501. Le monache Agostiniane vi si stabilirono nell’anno istesso; ma non vi stettero molto, e nel 1538, per esser soverchiamente cresciute in numero, passarono in altro convento nel popolo di S. Frediano, vendendo questo all’opera delle fanciulle Abbandonate che stavano a S. Bastiano de’ Bini in via Romana. Però anche queste non trovandovisi troppo convenientemente, tornarono a Firenze ed il convento, dopo essere appartenuto al Magistrato della Sanità che lo destinò ad uso di lazzeretto, divenne luogo d’abitazione di privati. Sulla porta che metteva già nella chiesa, esiste tuttora un grazioso bassorilievo della scuola dei Della Robbia che rappresenta la Vergine della Misericordia che accoglie i fedeli sotto l’ampio suo manto. Prima di giungere al Ponte alla Badia, si trovano lungo la strada diverse case d’antichissima costruzione che portano gli stemmi della famiglia Salviati.
Ponte alla Badia. — Dalla Badia benedettina di Fiesole che sorge a breve distanza sulla ripida pendice del colle fiesolano, ebbe nome questo ponte sul quale la vecchia via Faentina attraversa il torrente Mugnone. Il ponte conserva tuttora il suo carattere medievale, coll’arco sveltissimo e leggermente acuto; e colla cascatella che gli sta dinanzi, colle vecchie case che lo fiancheggiano da un lato costituisce un quadro de’ più pittoreschi, che ha per fondo l’oscura e stretta gola nella quale il torrente passa fra il monte della Rocca di Fiesole e il poggio di Monte Rinaldi. Alla manutenzione del ponte alla Badia, come rilevasi dai documenti, provvedevano per incarico della repubblica i Consoli dell’Arte di Calimala, ossia dei Mercatanti.
Oltrepassato il Ponte ed il borghetto che da esso trae il nome, la strada passa a’ piedi del monte di Fiesole popolato anche da questa parte di ville delle quali abbiamo discorso nel capitolo precedente. Al Mulino del Manzolo che fin da tempo lontano apparteneva al Capitolo di Fiesole, il paesaggio diviene oltremodo pittoresco. La via segue le tortuosità del torrente Mugnone il quale stretto fra le aspre pendici dei poggi di Fiesole e di Monte Rinaldi precipita di masso in masso formando delle graziose cascatelle.
Sul fianco di Monte Rinaldi sono tuttora in esercizio alcune cave antichissime dalle quali vengono a Firenze ottimi pietrami. Per accedere a queste cave si attraversa il
Ponte del Calderaio singolare costruzione medievale a due archi irregolari la quale completa colla sua massa originale l’effetto pittoresco di questo tratto della valle. Presso questo ponte fu costruito dai primi Granduchi Medicei un grandioso serbatojo che raccoglieva le acque che venivano a Firenze dai poggi di Montereggi.
Spedale di S. Giovanni Decollato in Pian di Mugnone.
In mezzo ai numerosi possessi che aveva sulle pendici del monte di Fiesole e nella valle del Mugnone la celebre famiglia Del Palagio, edificò nel XIV secolo uno spedale per i pellegrini dedicandolo a S. Gio. Battista Decollato. Nel 1349 ne assunse la proprietà Tommaso di Neri. Lo spedale aveva annesso un oratorio nel quale si trovava una tavola antichissima la quale fu trasferita nell’oratorio di Fontelucente, quando il vecchio spedaletto che sorgeva vicino al Ponte detto del Calderajo fu abbattuto per la costruzione dell’acquedotto di Montereggi.
Grattacapo o Pian di Mugnone. - Case Gattai-Budini. — Presso il luogo dello spedale ebbe fino dal XIV secolo una casa da signore la famiglia Del Riccio la quale la possedette per il corso di varj secoli. Più tardi venne ridotta ad uso di casa da pigionali. Oltrepassata questa località, la valle del Mugnone si allarga fra i colli di Fiesole e di Trespiano ed il torrente, non contenuto da arginature, si distende nella parte praneggiante che è chiamata appunto
Il Pian di Mugnone, nome che è proprio anche di varj gruppi di case non lungi dai quali è la Polveriera, ovvero magazzino di munizioni per uso delle milizie della guarnigione di Firenze. Da questo piano muovono diverse stradelle che conducono a varie località vicine come Fiesole, Basciano, Trespiano ed a numerose ville di antica origine. Di Basciano e di Trespiano discorreremo nel seguito di questo capitolo, delle ville di Fiesole abbiamo trattato nel precedente e qui accenneremo soltanto a poche di esse che si trovano più prossime alla via Faentina.
Il Palagio. - Villa Pieralli. — Dal nome di questa villa che fu in antico comoda dimora campestre, derivò quello di una potente famiglia fiorentina che affermavasi discendente dai Conti Guidi. Essa si chiamò in antico Aghinetti o Ginnetti; poi un ramo abbandonò il nome avito per assumere quello di Del Palagio. Ricchi di sostanze e di grande autorità fra i loro concittadini, molti dei Del Palagio ottennero uffici importantissimi e vari di loro disimpegnarono delicate ambascerie. Guido di Tommaso soprattutti rappresentò degnamente la patria in simil generi di uffici e vi ebbe in compenso le insegne di cavaliere del Comune. È nota abbastanza l'ardita risposta che nel 1392 egli seppe dare a Gian Galeazzo Visconti il quale orgogliosamente gli chiedeva chi avrebbe sodata la pace per i fiorentini: «la spada che tante volte è stata provata da voi!». Dai Del Palagio che spesso si chiamarono Neri di Lippo a causa dei nomi da loro più comunemente usati, il Palagio di Val di Mugnone passò nello Spedale degli Innocenti che nel 1608 lo vendeva a Jacopo di Guglielmo Antonielli durante la vita sua, de’ figli e nipoti. Da lui l’acquistava nel 1648 Bartolommeo di Piero Pesci colla facoltà di affrancare il palazzo ed i poderi annessi dal livello dello spedale. Da quell’epoca la villa si chiamò il Palagio de’ Pesci e formò il centro di una vasta possessione costituito da quella famiglia che ne fu padrona fino alla sua estinzione.
La Torre di Farneto. - Casa Pieralli. — È oggi dipendente dal possesso annesso alla villa Pieralli e ne seguì in molta parte le sorti. La torre, robusta costruzione che costituisce l’avanzo di un antico fortilizio, appartenne fin da tempo immemorabile ai Ghinetti o Del Palagio padroni di un ampio tratto della valle del Mugnone fra il Ponte alla Badia e la località chiamata le Caldine. Ebbe molti e differenti nomi; torre del Palagio, dei Pesci, del Campidoglio e più comunemente Torre lunga per cagione della sua notevole altezza. Meno un breve periodo di tempo, nel XVIII secolo in cui fu di una famiglia Fabbrini, essa nei passaggi di possesso seguì costantemente le sorti del la villa del Palagio.
Il Ponticello. - Villa Alessandri. — Alla metà del XV secolo era casa da signore di Spinello di Lorenzo di Piero speziale da S. Tommaso in Mercato, mentre a’ primi del secolo successivo era passata in possesso di Piero di Francesco Redditi e da lui in Giovanni di Biagio Di Giunta. Da questi la comprava nel 1524 Donato Ciaini da Montaguto che la lasciava in eredità a Bonda Gianellini. Zanobi di Francesco Brunacci la comprava nel 1571, rivendendola nel 1584, a Zanobi di Filippo Vajani Dello Sciorina, dai cui eredi l’acquistava nel 1598 Benedetto di Vincenzo Tosi. Dall’eredità di lui ne faceva acquisto l'anno 1653 Frate Michelangelo Brancaccini agostiniano di S. Spirito che morendo nel 1659 la lasciava al convento. I frati di S. Spirito possedettero la villa fino alla soppressione francese.
Fondaccio. - Casa Alessandri. — Fu casa da signore antichissima dell’illustre famiglia Falconieri che nel 1432 la vendè ai Galluzzi. Poco dopo l’acquistarono i Popoleschi i quali costituirono con questo possesso i beni d’una commenda dell’ordine di S. Stefano. Nel XVIII secolo fu della famiglia Archi, poi dei Franceschini.
Le Caldine. — Borgo notevolmente accresciuto di moderne costruzioni che si distende lungo la Via Faentina nel centro del Pian di Mugnone. L'etimologia del nome non è facilmente spiegabile: in antico era qui vicina una località detta Caldaja e potrebbe darsi che da quella possa avere avuto origine. Alle Caldine è una stazione della linea ferroviaria Firenze-Faenza.
Chiesa e conventino della Maddalena in Pian di Mugnone. — A destra della via Faentina, sulle pendici di Montereggi, sorge questo edilizio che figura fra i monumenti nazionali e che è oggi dipendente dal Ministero della Pubblica Istruzione. Di elegante e ricca architettura, esso è ben noto nella storia dell’arte per le molte pitture onde venne adorno dai frati Domenicani di S. Marco che lo possedettero fino all’ultima soppressione e che tuttora ne hanno la custodia. In origine fu in questo luogo un piccolo spedaletto che attorno al 1460 Andrea di Cresci di Lorenzo Cresci riedificò nei suoi beni «per l’amore di Dio - com’egli dichiarava - e onore di S. Maria Maddalena e à donato a detto spedale per rimedio dell’anima sua e de suoi passati quattro pezzi di terra, podere e casa da abitare e fornace in luogo detto Caselle e in Piano»1. La famiglia Cresci donò nello stesso secolo lo spedale ai frati di S. Marco di Firenze, i quali lo ridussero ad ospizio o piccolo convento, dove suolevano tenere i loro confratelli ammalati.
L’edifizio presenta i caratteri architettonici del più bel rinascimento e ricorda la maniera di Michelozzo Michelozzi. Dal lato di tramontana ha la chiesa preceduta da un bel portico e adorna di una tribuna di squisite proporzioni. Nel centro del fabbricato è un chiostro a due ordini di logge ed un altro loggiato è sulla facciata meridionale. Nella chiesa varie cose sono da ammirarsi e fra le altre
la bella tavola della maniera dei Gaddi rappresentante l'incoronazione della Vergine che certo decorava l’altare del primitivo oratorio dello spedale. Di singolare interesse è un presepio nel fondo del quale sono dipinti a fresco degli angeli che si attribuiscono a Fra Bartolommeo. Le figure di terracotta colorita che veggonsi in questo presepio sono di Andrea Della Robbia e, secondo si rileva da un ricordo del monastero, esse furono messe a posto il 22 di settembre del 1515 «con elemosine procurate e date da Fra Roberto Salviati».
Importantissimo fra i ricordi del Conventino della Maddalena è quello della lunga permanenza fattavi e delle opere compiutevi da Fra Bartolommeo di S. Marco. Egli adornò de’ suoi affreschi la chiesa e l’annesso convento e secondo la tradizione monastica, egli sarebbe morto in questo luogo per malattia sopravvenutagli dopo aver mangiato troppe ciliege. Di lui rimangono, oltre alle decorazioni del presepio, due o tre piccoli affreschi nel convento ed uno di maggiori proporzioni e più importante, un Noli me tangere, che si ammira nella cappellina dell’orto. Il Frate aveva forse disegnato ed abbozzato una tavola della deposizione che fu poi colorita dal discepolo Fra Paolino del Signoraccio da Pistoja, tavola che dopo essere stata vario tempo sull’altar maggiore della chiesa venne trasferita all’Accademia di Belle Arti. Due altri affreschi del Frate vennero da questo luogo portati a S. Marco e si veggono nella stanzetta che precede la cella del Savonarola. Anche Fra Paolino dimorò vario tempo alla Maddalena e dipinse fra le altre cose un affresco nel Refettorio.
Nel 1901 la maggior parte dell’edifizio venne restaurata e restituita all’antico decoro. Sopra ad un alto colle, quasi difaccia al conventino della Maddalena, è la
Chiesa di S. Andrea a Sveglia. — Di origine antichissima è questa chiesa che negli antichi documenti trovasi indicata coll’appellativo di Villa Vegna, forse da una famiglia Venia, Veglia o Viellia; ma della sua vecchia origine non serba che il ricordo, perchè fu completamente ridotta a carattere moderno. Essa sorgeva a breve distanza da un antico castelletto degli Agolanti ed in mezzo ai possessi di celebri famiglie fiorentine che ebbero parte nel di lei patronato e nella istituzione di cappelle e di benefizi. Il popolo da essa dipendente, che non era troppo vasto, venne accresciuto coll’unione di un’altra chiesa vicina, quella di S. Martino a Sveglia o Veglia che era pure di patronato degli Agolanti. Non esistono in questa chiesa opere d’arte degne di speciale ricordo.
Chiesa di S. Martino a Sveglia oggi di S. Sebastiano.
Di remota origine fu questa chiesa che estendeva la sua giurisdizione sopra ad un ristretto territorio posto fra il Mugnone ed il colle di Pratolino. Di lei si hanno ricordi assai antichi. Nel 1273 era raccomandata alla famiglia degli Agolanti che qui attorno aveva i suoi beni. Nel 1380 Lionarda di Cantino Agolanti lasciava per testamento alcuni beni a questa chiesa per mantenervi un sacerdote di nomima della sua famiglia e per celebrarvi divini uffici. Più tardi poi, una donna degli Agolanti, forse l’ultima di quella celebre famiglia, dimorante a Rimini, donava nel 1455 il patronato della chiesa a Nigi di Nerone di Diotisalvi Neroni nel quale era passata la proprietà degli antichi beni degli Agolanti. La parrocchia di S. Martino venne riunita a quella di S. Andrea a Veglia e la chiesa fu data ad ufiziare ad una compagnia di S. Sebastiano. L’edifizio, che oggi è appunto intitolato a S. Sebastiano, conserva tracce della sua vecchia costruzione, ed un campanile a vela di caratteristica struttura. Nell’interno vi sono alcuni resti d’affreschi della seconda metà del XV secolo. La via Faentina, oltrepassata la Maddalena, giunge alla Querciola, villaggio di antica origine dove fu già uno
Spedale destinato ad alloggiare i pellegrini e ad accogliere i trovatelli che dal Mugello venivano trasportati a Firenze.
Cepparello o la Querciola. - Villa Rosselli Del Turco. La villa, di forme eleganti, ridotta all’aspetto presente dall’architetto Micheli, si chiama comunemente la villa di Montereggi e sorge nel luogo dove fin da tempo remoto ebbe estesi possessi la celebre famiglia Cresci. Più tardi, nel XVI secolo, fu qui una piccola casa da signore dei Galli del Gonfalone Leon d’Oro e quindi dei Da Cepparello dai quali la comprarono i Rosselli. Pellegrino Rosselli la trasmise nel 1727 in eredità ai Del Turco originarj di Monte Varchi, i quali assunsero da allora anche il cognome del testatore. La villa fu accresciuta di proporzioni dagli attuali possessori. Nell’ampia tenuta annessa a questa villa, sono comprese parecchie antiche case da signore ridotte successivamente ad uso di dimora di lavoratori delle terre.
Poggiuolo o il Palazzaccio. - Casa Rosselli Del Turco. — Sulla vetta di un ripido poggio che domina l’alta valle del Mugnone, sorgeva dominando la sottoposta via del Mugello, un forte castelletto che in tempi remoti fu degli Agolanti, famiglia un giorno potentissima, ma che fiaccata dalle lotte delle fazioni, decadde ed esulò da Firenze. Alcuni dei beni che essa possedeva a Sveglia e nei dintorni vennero acquistati dai Cresci, altra cospicua famiglia che era discesa a Firenze da Montereggi dov’ebbe la sua origine, tanto che talvolta cambiò il nome in quello di Tragualzi da Montereggi. Il vecchio fortilizio del Pogginolo esisteva sempre anche quand’era de’ Cresci, perchè nel maggio del 1423 Giovanni di Lodovico Cresci lasciava ai figli di Cresci di Lorenzo suo congiunto una casa da signore con mezzo fortilizio in luogo detto il Poggiuolo. Troviamo questo luogo in possesso di quella famiglia anche ai primi del secolo XVI, poi nel 1530 esso appartiene ad un Girolamo di Maestro Bartolommeo ascritto al gonfalone Lion d’Oro.
Sorbano. - Casa Rosselli Del Turco. — Fu casa da signore de’ Cresci. Cosa vedova di Andrea Cresci la lasciò nel 1490 allo Spedale di S. Maria Nuova con patto di darla a fitto al di lei fratello Giovanni di Niccolò Cambi. La famiglia Cambi del gonfalone Unicorno ebbe difatti prima a fitto e poi a livello per un lunghissimo periodo di tempo questa villa che passò poi agli Altoviti e che più tardi venne ridotta a casa colonica.
Moreto. - Casa Rosselli Del Turco. — Casa da signore degli Agolanti, quindi dei Neroni di Nigi, appartenne più tardi alla famiglia Dolfi poi ai Bicchierai; quindi fu ridotta a casa colonica.
Sveglia già Veglia. - Casa Rosselli Del Turco. — Possesso antico de’ Cresci fu poi della famiglia Carri, quindi dei Corsi. Queste quattro antiche ville erano nei popoli di S. Andrea e S. Martino a Sveglia.
Chiesa di S. Jacopo a Festigliano o a Pratolino. — È posta a levante del parco di Pratolino, verso la valle del Mugnone. Non ha importanza artistica, essendo stata completamente rimodernata; ma è di antica origine trovandosi nominata fin dall’XI secolo fra le chiese dipendenti dai Vescovi di Fiesole. Nel 1348 era di patronato di un Michele di Vanni di Lapo del popolo di S. Lorenzo e nel 1364 di un Francesco di Neri barbiere del popolo di S. Firenze il quale nel 1371 cedette i suoi diritti a Piero di Simone Orlandini i cui successori li conservavano anche alla metà del secolo successivo.
Alla chiesa di Festigliano venne riunita quella antichissima di S. Pietro a Caligarza.
Campolungo. - Villa Barlow. — Fu una delle case da signore possedute dalla famiglia Cresci e nel 1427 apparteneva a Bernardo di Lorenzo. Nel secolo stesso passò ai Fantoni del gonfalone Ferza che la possedevano anche alla metà del cinquecento. Dipoi appartenne alla famiglia Archi.
Proseguendo la Via Faentina, si giunge alla località chiamata
L’Olmo. — È qui che si riuniscono diverse strade che vengono dai colli di Montereggi e Pratolino, sicché anche in antico fu questo un punto interessante del lato militare. Torre all'Olmo. - Villa Guadagni. — La villa è costruzione moderna, mentre la parte antica del fabbricato è una solida torre di pietra di carattere medioevale con pochi locali annessi. Data l'importanza militare che la via Faentina aveva per la difesa di Firenze, sorgevano numerose, specialmente nell’alta valle del Mugnone verso il passo delle Croci, delle torri che servivano per i segnali e per la guardia. Fra coteste torri quella dell’Olmo, oggi de’ Marchesi Guadagni, è fra le meglio conservate nel loro carattere originale. Essa era fin dal XIV secolo proprietà della famiglia Busini che in questa contrada ebbe per li corso di varj secoli numerosi possessi.
L’Olmo. - Villa Capacci. — È un grandioso fabbricato munito di bastioni e di una robusta cinta di mura entro la quale si accede per una pittoresca porta. In qualche parte il fabbricato presenta i caratteri delle costruzioni medievali, mentre altre parti aggiunte successivamente, sono opera de’ primi del xvn secolo. In origine, l’Olmo era appunto uno dei castelletti che, proprietà di varie famiglie, sorgevano nell’alta valle del Mugnone quasi a guardia della via Faentina, una delle più antiche del territorio fiorentino. Apparteneva alla celebre e potente famiglia Busini, la quale sembra però che lo lasciasse in abbandono, perchè nel 1470 era descritto come «un palazzo rovinato». In cotesto stesso anno, a dì 15 di settembre, Benedetto di Jacopo Busini lo vendeva allo spedale di S. Maria Nuova, il quale ne fece centro di una vasta fattoria costituita da molti beni acquistati o ricevuti in dono o in permuta. Un’iscrizione esistente nella villa ricorda come la fabbrica fosse restaurata nel 1616 a tempo dello spedalingo Messer Barnaba degli Oddi ed è certo in quell’epoca che gli ampj locali divisi in tre corpi di fabbrica vennero destinati ad accogliere i grani, i legnami e gli altri prodotti della fattoria. La villa dell’Olmo, che è un interessante e raro esempio delle fattorie o grance delle istituzioni ospitaliere, è oggi un soggiorno delizioso corredato di un ampio e bellissimo parco ricco di boschi e di laghetti. Sui colli a tramontana di Pratolino sorgeva la chiesa di
S. Pietro a Caligarza. — Fu parrocchia antichissima che venne soppressa e riunita a quella di S. Jacopo a Festigliano. Della chiesa posta fra le sorgenti della Carza e del Mugnone si veggono tuttora i resti assai caratteristici presso una casa colonica di proprietà Becheroni. Era di patronato della famiglia Baldovinetti fino dal XIV secolo; anzi essa fece eseguire per cotesta chiesa dal pittore Alessio Baldovinetti una tavola per l’altare di S. Pietro come si rileva da un memoriale di Francesco di Giovanni Baldovinetti.
Caligarza o la Torre. - Casa Lori. — Presso questa casa s’inalza una solida torre che fu in antico una rocca, poi palazzo o casa da signore della celebre famiglia Baldovinetti alla quale appartenevano altre ville e molta parte del territorio della parrocchia di S. Pietro.
Dalle vicinanze dell’Olmo, una strada che conduce a Lubaco o Opaco ed a S. Brigida passa dinanzi a
Masseto. - Villa dei Marchesi Guadagni. — È un antico edifizio che da molti secoli appartiene ai Guadagni, celebre e potente famiglia originaria forse di questi luoghi. Nelle vicinanze essa ebbe molti possessi fin da tempo remoto e fra gli altri il forte Castello di S. Martino del quale oggi non rimane che il ricordo. Presso la villa di Masseto esiste tuttora una caratteristica torre del XIII secolo collo stemma dei Guadagni.
A breve distanza da Masseto è il
Santuario della Madonna del Sasso. — Sorge sopra uno scosceso poggio a settentrione dell'altipiano di Lubaco ed è costituito dalla chiesa a forma di croce greca, da loggiati e da alcuni altri edifici per diversi usi. Venne costruito poco dopo Fanno 1490 nel luogo d’un tabernacolo prossimo ad un masso sul quale, secondo la tradizione, sarebbe apparsa la Vergine. L’edifizio, eretto colle oblazioni del popolo, fu affidato subito alle cure dei Frati della SS. Annunziata ed amministrato da un’opera costituita dapprima da gentiluomini delle famiglie Guadagni, Pazzi, Da Castiglione e Cambini. La chiesa è assai ricca di decorazioni di carattere barocco. Nell’altar maggiore fu incorporato l'antico tabernacolo nel quale si conserva una tavola di maniera Giottesca rappresentante la Madonna seduta in trono col bambino Gesù ed ai lati S. Giovan Battista e S. Lorenzo, o piuttosto S. Leonardo: ai piedi del trono è la figura orante di un giovinetto. All'oratorio del Sasso convengono annualmente numerose compagnie per fare offerte ed un giorno anche i sovrani di Toscana e non pochi principi stranieri vi si recavano in devoto pellegrinaggio.
Via Bolognese.
Il Pellegrino. — Con questo nome si suoleva indicare il borgo di case che per un buon tratto fiancheggia la via Bolognese, oltrepassato appena il Ponte Rosso, come pure l'estrema parte de’ colli di Montughi che declina lentamente verso S. Marco Vecchio e la Via Faentina. Varj scrittori di cose fiorentine hanno supposto che il nome di Pellegrino avesse origine da un piccolo spedaletto esistente a metà della salita e dedicato alla SS. Annunziata; ma l'origine del nome è differente e deve ricercarsi invece in un altro stabilimento ospitaliero ben più importante e più noto che esisteva nel luogo dove sono oggi il Noviziato e la chiesa dei Padri Scolopi.
Quel nome fu adottato anche da un comune abbastanza esteso e popolato che venne costituito nel 1810 staccando diverse parrocchie poste attorno a Firenze dai limitrofi e più antichi comuni di Fiesole e di Sesto. Cotesto comune, al quale mancava un capoluogo, venne soppresso con decreto del 28 luglio 1865 ed il suo territorio in molta parte concesso al comune di Firenze che usciva allora appena fuori delle mura ed in parte restituito ai due comuni che avevano contribuito alla sua costituzione.
Fino al 1865 la Cancelleria dei Comuni di Fiesole, Pellegrino, Sesto e Brozzi ebbe per sua residenza il locale di una Compagnia della SS. Annunziata al Pellegrino che si era sostituita ad uno de’ tanti spedaletti creati lungo le vie più frequentate. La compagnia, che era stata soppressa come tante altre a tempo di Leopoldo I, aveva un locale abbastanza ampio, decorato di stucchi e preceduto da una specie di portico ad un solo e grandioso arco. Soppressa la Cancelleria, vi si stabilì fino al 1868 il Comune di Fiesole, dopo di che il locale fu sede di una delegazione di Pubblica sicurezza, poi fu venduto, disfatto ed incorporato in un altro fabbricato.
Giardino della Società d’Orticultura. — Dall’opposto lato della strada fino alla linea ferroviaria romana ed alla via Vittorio Emanuele si distende l’elegantissimo giardino della Società Toscana d’Orticoltura che serve alla produzione ed all’allevamento di piante ornamentali e di fiori ed alle esposizioni importantissime che vi si tengono annualmente. Nel centro del giardino è da ammirarsi una grandiosa e bellissima serra di ferro e cristalli che venne eretta col disegno del defunto architetto Giacomo Roster.
Chiesa e convento di S. Maria del Suffragio al Pellegrino. — Sulla cima pianeggiante di quella parte dei colli di Montughi che è attraversata dalla Via Bolognese sorgono la chiesa ed un convento dei Frati delle Scuole Pie. Se si eccettuano le tracce di decorazioni del XVII secolo e alcuni stemmi che ricordano l'uso di villa al quale esso fu un tempo destinato, tutto l’edifizio ha caratteri architettonici della seconda metà del XVIII secolo. Ma l’origine sua primitiva risale ad epoca remota. I celebri monaci ospitalieri di S. Jacopo d’Altopascio nel lucchese, edificarono in questo luogo una delle loro magioni con oratorio annesso e coi locali destinati alla dimora di pochi ospitalieri e ad asilo per i pellegrini ed i viandanti. L’origine quindi del nome di Pellegrino, proprio oggi di una nuova via laterale, deve ricercarsi appunto in questo vecchio edifizio che si chiamò l'Altopascio di Montughi. Come la maggior parte delle case congeneri istituite in varj luoghi della Toscana, non continuò troppo ad esercitare un ufficio divenuto inutile e venne concessa a livello o data in uso a personaggi ascritti all’ordine ospitaliere. Nella prima metà del XIV secolo era stato concesso a Pazzino di Messer Francesco Strozzi e nel 1353 venne aggiudicato insieme ai beni che possedeva nei popoli di Montughi, S. Marco Vecchio e Badia di Fiesole a Jacopo del fu Guido di Gentile. Nel XVI secolo quasi tutti i beni dell'ordine, compresa la celebre e grandiosa magione di Altopascio, erano stati dati a livello alla famiglia Capponi e nel 1542 Giovanni di Bernardo riduceva a villa il vecchio spedale del Pellegrino. Nel 1638, cessato il livello, e soppresso l’ordine ospitaliere, i beni ricaddero nel Granduca come gran maestro dell’ordine di S. Stefano ed egli rinnovò la villa tenendola per qualche tempo a proprio uso. Più tardi, essa fu ceduta ai PP. Calasanziani delle Scuole Pie i quali, per opera di un architetto del loro ordine, rifecero la chiesa adornandola di stucchi e ridussero la villa a convento dove nel 1776 istituirono il loro Noviziato. La chiesa ha modesta importanza artistica e contiene delle discrete pitture settecentesche del Bonechi e del Cipriani.
Il Sassetto già il Palagio. - Villa Martini Bernardi-Moniuszko. — Sul finire del XIV secolo questa villa che si chiamava il Palagio apparteneva alla famiglia Macinghi o Macigni, discendente dai Razzanti, la quale aveva le sue case in via de’ Servi. Il 7 aprile 1460 Francesco di Tommaso Sassetti comprava da Zanobi ed altri Macinghi il Palagio che da allora in poi si chiamò il Sassetto o il Palagio dei Sassetti. Piero di Gino Capponi acquistava la villa da Teodoro di Francesco Sassetti il 19 ottobre del 1546. I Capponi dettero più tardi al vecchio palagio medievale un aspetto identico per lo stile architettonico a quello del loro palazzo di Via S. Sebastiano, ciò che fa supporre che il lavoro di riduzione fosse eseguito o dal Fontana o dal Ruggieri gli architetti del palazzo di Firenze. La villa appartenne ai Capponi fino alla metà del secolo scorso ed il Marchese Gino, vendendola, fece trasportare nell’altra sua villa di Varramista un bel dossale Robbiano che ne adornava la cappella. Dai Capponi andò nei Lamporecchi e più tardi negli Jandelli.
Il Giuggiolo. - Villa Gans — Apparteneva nel XV secolo alla famiglia Da Rabatta e Pier Francesco d’Antonio la vendè nel 1493 a Giovanni di Messer Donato Cocchi-Donati. Nel 1594 Filippo Cocchi la rivendè a Piero di Francesco Capponi col patto che essa passasse al nuovo proprietario soltanto dopo la morte di lui e di sua moglie Gostanza Dini. I Capponi erano padroni della villa anche ai primi del decorso secolo; poi passò ai marchesi Ginori-Lisci. Ora la villa è stata completamente ricostruita di più vaste proporzioni dal proprietario attuale.
Montughi o il Podere della Villa. - Villa Itzinger. — Antico possesso della famiglia Della Casa, originaria del Mugello, essa passò ai primi del xvn secolo nei Popoleschi Giachinotti consorti dei Tornabuoni e Tornaquinci, i quali la possedettero fino alla loro estinzione. Era in origine di più piccole proporzioni e fu ampliata, ridotta di elegante aspetto moderno e corredata di un bellissimo giardino dai signori Itzinger.
La Torraccia. - Villa Pucci. — Situata lungo la via Bolognese, in mezzo ad un ampio e vago giardino, questa villa fu in antico della famiglia Medici che l’assegnò in dote alla chiesa di S. Tommaso in Mercato Vecchio della quale era patrona. Nel 1561 il Rev. Giovanni dei Medici rettore dì quella chiesa la dette a livello a Frosino Ruffioli. Francesco di lui figlio fu in società bancaria con Bernardo Capponi e siccome gli affari loro par che non andassero troppo favorevolmente, gli ufficiali delegati a sistemarli vendevano nel 1841 la villa della Torraccia a Margherita Dondori vedova di Luigi Mosti. Alla morte di lei avvenuta nel 1646 la villa passava in eredità al fratello Giannozzo e dai successori di lui, sempre per eredità, ai Galeotti che la possedettero fino al secolo scorso.
Il Poderino o Montughi. - Villa Gans. — Apparteneva ai primi del XV secolo ai Baccelli che la tennero fino agli ultimi del secolo successivo. Nel 1581 era rimasta per metà in possesso di Carlo di Romolo Baccelli, mentre l’altra metà, per morte del di lui fratello Niccolò frate agostiniano, era pervenuta nel Convento di S. Spirito. Le due parti convennero di venderla e nell’anno stesso la villa fu acquistata da Niccolò di Simone Bambi corriere di Venezia. Nel 1597 il figlio di lui la vendeva a Orazio di Niccolò Carletti dal quale la ricomprava nel 1616 Michele di Giovanni Venturini sarto da S. Maria in Campo. Francesco di lui figlio la lasciava. nel 1655 in eredità a Michelangiolo Del Passera coll’obbligo di aggiungere al proprio il cognome di Venturini. Nel 1698 ne faceva acquisto Alessandro di Francesco Coppola marchese di Monte Follonico il quale ingrandiva la villa e le dava un aspetto più elegante. Maggiori abbellimenti ebbe in seguito la villa quando passò in proprietà dei Conti D’Elci che l’ebbero fin dopo la metà del decorso secolo. Fu poi acquistata dal tenente generale Negri, valoroso soldato delle guerre dell’indipendenza nazionale, il quale cessò di vivere in questo delizioso luogo di villeggiatura e di riposo.
L’Oriuolo. - Villetta Incontri. — Posta lungo la Via Bolognese, questa villa faceva parte del possesso del Capponi annesso alla villa della Pietra. In origine fu casa da signore della famiglia Da Fortuna originaria del castello di cotesto nome in Mugello. Essa ne era in possesso ai primi del XV secolo. Dopo un secolo, passò nei Niccolini e successivamente nei Capponi.
Il Marchese Gino Capponi concesse per varj anni ospitalità in questa graziosa villa all’amico suo Pietro Colletta, l’illustre storico napoletano, il quale nella quiete di questo seggiorno potè condurre a termine alcune sue opere. Un’epigrafe marmorea sta a ricordare la dimora dell’insigne scrittore.
La Pietra. — Piccolo borgo di antica origine che ebbe nome dal pilastro o termine di pietra dov’era indicato il primo miglio di distanza dalla Porta a S. Gallo. Ne’ tempi antichi il borghetto era denominato La Pietra al Migliajo.
La Pietra. - Villa Incontri. — Fra le ville del colle di Montughi è questa una delle più grandiose e più ricche di decorazioni di gusto barocco. La sua facciata imponente, il viale d’accesso ed i giardini che la circondano rispecchiano infatti tutto il carattere sfarzoso delle ville toscane del XVIII secolo. In origine era in questo luogo una casa da lavoratore con un podere che Michele Bruni nella seconda metà del XV secolo lasciò per legato ai Consoli dell'Arte della Lana. Il 15 giugno 1697 il Marchese Alessandro Capponi acquistò il possesso dell’Arte della Lana e vi edificò la villa, valendosi forse dell’opera degli stessi architetti Fontana e Ruggeri che contemporaneamente costruivano per lui il sontuoso palazzo di Via S. Sebastiano. La villa della Pietra appartenne e servì talvolta di dimora all’illustre Marchese Gino Capponi ultimo di un ramo di questa famiglia, il quale morendo la lasciava ai nipoti Marchesi Incontri.
La Pietra o Montughi. - Villa Ruspoli di Sueca. — La famiglia ricchissima de’ Minerbetti che aveva le sue case nella Vigna Nuova e che più tardi acquistò il palagio de’Bombeni da S. Trinità, possedeva fin dalla seconda metà del XIV secolo questa villa. Fu di Andrea Minerbetti valoroso capitano e ambasciatore della repubblica e Giovanni di lui figlio, che fu bene affetto di Papa Eugenio IV la lasciò nel 1441 per testamento allo spedale di S. Maria Nuova. Però i Minerbetti non vollero rinunziare a questa loro bella e gaja dimora campestre e nel 1496 Tommaso d’Andrea la prendeva a fitto dallo spedale ed i successori di lui più tardi ne facevano nuovamente acquisto. Dai Minerbetti passò nei Santini di Lucca. E una delle più belle ville dei colli di Montughi e sorge in mezzo ad un giardino che un viale ombroso collega alla Via Bolognese.
La Pietra. - Villa Guicciardini. — Fra la Via Bolognese e la strada che dalla Pietra conduce a Montughi è questa elegante villa che fin da’ primi del xv secolo apparteneva, insieme ad altri beni posti su questi colli, alla famiglia Strozzi. I fratelli Arcidiacono Luigi e Senatore Alessandro Strozzi la vendevano il 1° Dicembre del 1690 al Conte Carlo De’ Bardi e dai successori di lui passò per eredità nei Conti Guicciardini che ne sono tuttora proprietarj. Nel 1857, prima di fare il suo ingresso solenne in Firenze, fece sosta in questa villa il Pontefice Pio IX.
La Pietra. - Villa Finaly. — Questa villa grandiosa, era posta già lungo la via Bolognese a sinistra di chi viene da Firenze, mentre oggi per uno spostamento della strada si trova dall’apposto lato, circondata da un ampio e vago giardino. Essa è di origine assai antica ed appartenne fin dagli ultimi del XIV secolo alla celebre famiglia Giugni dalla quale l’acquistava nel 1470 Agnolo di Jacopo Tani che la dette in dote alla figlia Francesca moglie di Antonio d’Antonio Da Rabatta del gonfalone Lion d’oro. Da questi acquistavala il 1° agosto 1511 Giuliano di Niccolò Davanzati ed il figlio di lui Alessandro la rivendeva nel 1542 ad Andrea Doffi. Pervenuta in Messer Giovanni di Jacopo Doffi, questi lasciava indivisi i suoi beni fra le monache di S. Girolamo delle Poverine, di S. Verdiana, di S. Niccolò di Cafaggio e di S. Maria a Monticelli, le quali tutte vendevano la villa nel 1605 a Niccolò di Domenico Malegonnelli In una lite per la successione della famiglia Malegonnelli la villa della Pietra venne assegnata con sentenza del 1744 a Francesco Gaspero Gianfigliazzi ed i tutori di lui la vendevano nel 1747 al Marchese Giovanni ed al Cav. Cosimo d’Antonio Corsi che altri beni possedettero qui attorno. A metà del secolo passato acquistò questo possesso Lord Normanby ministro inglese alla corte di Toscana il quale spostò a sue spese la strada ed abbellì di molta comodità l’antica villa. Più tardi fu del Comm. Orazio Landau celebre collezionista il quale vi riunì una quantità straordinaria di dipinti e di libri antichi di notevole pregio.
Nel recinto del parco annesso a questa villa sono due altre ville di antica origine.
L’Isola o Cascia. - Villa Finaly. — Fu in antico dei Della Stufa; poi nel XVII secolo l’ebbero i Ginori, i quali la vendevano nel 1 40 al Marchese Anton Maria Corsi che l'univa poi agli altri beni acquistati qui attorno.
Lo Spedaluzzo. - Villa Finaly. — Uno dei tanti spedaletti che sorgevano lungo la via maestra esisteva in questo luogo; ma venne soppresso in antico e dato prima a livello, poi venduto nel XV secolo alla famiglia Migliori o Del Migliore che ridusse il locale a villa. Essa fu più tardi de’ Ginori ed insieme alla precedente venne acquistata nel 1740 dai Marchesi Corsi.
La Loggia. - Villa Costantini. — Molti ed interessanti ricordi si riferiscono a questa signorile dimora che circondata da deliziosi giardini domina i colli deliziosi di Montughi e di Careggi. Un giorno ebbe qui la sua casa di campagna Messer Brunetto Latini che fu maestro dell’Alighieri e più tardi la famiglia Pazzi vi eresse un palazzo con loggia che fu degno della magnificenza di quella famiglia che tentò di rivaleggiare colla potenza de’ Medici. Ma la sorte fu contraria ai disegni di chi carezzava un prossimo trionfo e la malaugurata congiura ordita contro Lorenzo e Giuliano de’ Medici annientò tutto un passato di fastose ricchezze e d’alta autorità La villa della Loggia apparteneva appunto a Jacopo d’Andrea dei Pazzi che fu l'anima della congiura e mentre egli perdette miseramente la vita, i suoi si videro spogliati d’ogni avere. Il palagio della Loggia divenne proprietà degli ufficiali de’ ribelli e nel 1495 lo troviamo in possesso «del magnifico signor Jeronimo Hotaville» (Hauteville) ed in parte degli Ufficiali del Monte. Nel 1498 lo acquistava il signor Francesco Cybo, quello stesso che aveva comprato anche il palazzo di Firenze pur’esso confiscato ai Pazzi. Tennero i Cybo come signorile villeggiatura la Loggia de’ Pazzi, fino all’anno 1568 in cui la vendevano a Chiappino Vitelli. Più tardi, nel 1603 Baldassarre Suarez de la Coneha, uno de’ gentiluomini spagnuoli della corte Medicea prendeva la villa in pagamento di crediti che aveva verso i Vitelli e il Balì Ferdinando la rivendeva nel 1629 al Marchese Paolo Del Bufalo. Erede di lui, la figlia Vittoria la portava nel 1664 in casa Falconieri, lasciandola poi per legato a Maria Maddalena di Piero Falconieri. Da lei l’acquistava nel 1724 Niccolò di Jacopo Panciatichi, il quale si adoperò insieme ai suoi successori ad arricchire di stupendi annessi il nuovo possesso. Fra le altre cose vi fu aggiunto un orto botanico, del quale fu direttore il celebre Piccioli e che conteneva ogni sorta di piante rare e preziose. Fra le altre cose vi fu coltivata una pianta di caffè che nasceva nelle stufe e che ebbe il nome di Panciatica. La villa fu venduta nella prima metà del decorso secolo alla celebre cantante Catelani, la quale ne fece luogo di gradito convegno di tutte le notabilità dell’arte musicale. Modernamente fu Valabrègue, e più tardi l’acquistarono i Marchesi Lavaggi di Roma. Annesso alla villa è un oratorio d’antichissima origine che conserva all’esterno il suo carattere originario e nell’interno alcuni affreschi.
La Loggia. — Dalla loggia che la famiglia Pazzi ebbe nella sua villa vicina, prese nome anche il piccolo borgo che si stende lungo la Via Bolognese al di là di quella villa. Molte delle case che lo compongono furono dipendenze della villa e portano tuttora gli stemmi dei Panciatichi.
Sulla strada che dal borghetto della Loggia conduce a Montughi è
La Loggia a Montughi, oggi Poggiarello. - Villa Orvieto. — La località si chiamava nel XV secolo Borgo Panicale e questa casa da signore apparteneva alla famiglia dei Cambi Del Nero chiamati anche Cambi-Importuni. Essi possedettero la villa fino all’anno 1513 nel quale Alessandro di Luigi la vendeva a Giuliano di Francesco Arrighi. Il Senatore Girolamo di Giovan-Battista la vendè nel 1643 a vita al Rev. Vittorio Della Vaccina ed alla morte di lui tornò negli Arrighi i quali la possedevano anche alla fine del XVIII secolo.
La Loggia a Montughi. - Villa Potts. — Una delle tre famiglie Villani che ebbero importanza nelle vicende della storia fiorentina, quella venuta a Firenze da Prato dov’era fra le più cospicue, possedette fino dal xv secolo questa villa che nel secolo xvii passò ai Pellegrini. Da questi andò poco dopo nei Baldesi e nel 1743 nei Del Mazza che ne erano padroni anche alla fine di quel secolo.
La Loggia. - Villa Sommier. — Fra gli antichi beni dello Spedale della Scala fondato da Cione Pollini, era questa villa coll’annesso podere che passò dipoi allo Spedale degl’Innocenti nel quale quello della Scala venne incorporato. La villa della Loggia fu assegnata come dote della cappella della SS. Annunziata in S. Martino di Via della Scala e fu data a livello alla famiglia Scalandroni che per lunghissimo tempo la tenne per proprio uso.
Il Cionfo. - Villa Guarducci. — Il nome di Cionfo è proprio di questa villa e di un gruppo di case poste lungo la via Bolognese, prima di giungere alla chiesa di S. Croce al Pino. Fin da tempo antico tutti questi edifizj appartenevano ai Salviati ed erano altrettante dipendenze della splendida villa che quella famiglia possedette per un lungo periodo di secoli. Il Cionfo o La Loggia. - Case Turri. — Nel vicolo detto del Cionfo che va dalla via Bolognese alla via Faentina, sono diverse case presso le quali veggonsi i resti di una cospicua villa ridotta oggi a modesti usi rurali. Era un’antica casa da signore della famiglia Della Stufa che dal XV secolo la possedette fino alla fine di quello successivo. Poi fu dei Castelli o Da Castello che ne furono padroni fino a che non cadde in rovina.
Palagio dei Salviati o Montegonzi. - Villa Turri. — Fra le tante ville dei dintorni è una di quelle che meglio conservano la massa e le forme grandiose e solenni di un fortilizio medievale. E un ampio rettangolo coronato da un ballatoio, sporgente su mensole ed archetti, con merlatura guelfa sulla quale poggia la grande tettoia. Nell’interno ha un cortile che fu già ricco di artistiche decorazioni. Notevoli alterazioni vennero fatte alla fabbrica coll' apertura di molte finestre e colla moderna aggiunta di un corpo di fabbrica a guisa di torrino che turba l'armonia dell’antica struttura.
Il luogo appartenne nel XIV secolo ai Del Palagio che possedevano molte altre ville nella valle del Mugnone e da loro, ai primi del secolo successivo, l'acquistarono i Da Montegonzi famiglia di signori del contado che dette il proprio nome anche alla villa. Nel 1469 Arcangiolo di Messer Bartolommeo la vendeva per 1800 fiorini doro ad Alamanno Salviati. Nuovo splendore acquistò il superbo edifizio per opera di questa opulenta famiglia che ne curò in ogni modo l’abbellimento. Stando in questa sua villa, Jacopo Salviati, avrebbe, secondo la tradizione, ricevuto il canestro contenente la testa recisa dell’amante, la bella ed infelice Caterina Canacci, sacrificata crudelmente dalla gelosia di Veronica Cybo moglie del Salviati. Fra tanti altri più lieti ricordi di questa sontuosa villa è quello della dimora fattavi di frequente da quel geniale artista che fu Giovan Francesco Rustici il quale, amico di Jacopo Salviati il vecchio, adornò molte parti del fabbricato di sculture e di terracotte. Ma disgraziatamente coteste opere furono vittime, prima del fuoco che gli arrabbiati appiccarono alla villa in odio a’ Salviati partigiani de’ Medici e poi dell’ignoranza vandalica delle milizie straniere che assediavano Firenze. Il palagio, sopra al ponte alla Badia, com’era comunemente designato, fu ritrovo della più eletta società fiorentina fino a che non si estinse la casa Salviati. Dopo esso andò in eredità ai Principi Borghese di Roma, fu per qualche tempo dell’inglese Vansittard e quidi l’acquistò il celebre tenore Mario De Candia.
Chiesa di S. Croce al Pino. — Un annoso pino che s’inalza tuttora presso questa chiesa, dette alla località il nome che da lungo tempo le è proprio. La chiesa di Santa Croce, modernamente rifatta, è di elegante aspetto, ma non presenta importanza artistica. D’opere d’arte non v’è che un Crocifisso del Tacca donato alla chiesa dalla famiglia Serrati nella quale passò l’eredità di quel valentissimo scultore. La chiesa di S. Croce al Pino occupa il luogo dell’antica chiesa monastica di S. Bartolommeo alla Lastra e venne eretta in parrocchia nell’anno 1776.
Monastero di S. Bartolommeo alla Lastra. — Maso di Bartolino di Drudolo lanajolo della Lastra, con testamento del 1352 lasciò che in un suo podere si edificasse un monastero di donne dell’ordine cistercense, dedicato a S. Bartolommeo e posto sotto il governo e custodia dell’abate dei Cistercensi di Settimo. Gli esecutori testamentari di Drudolo, Uberto degli Albizi e Riccio di Andrea Della Lastra, col consenso del Vescovo di Firenze, fabbricarono nel 1354 il monastero dove le monache si stabilirono nel 1360. L’anno dopo, il vescovo desolano Andrea Corsini consacrò l’altare di S. Bartolommeo. Gli esecutori testamentarj vennero dichiarati protettori, difensori e patroni del nuovo monastero il quale non ebbe però lunga vita. Verso il 1424 sorsero gravi questioni fra le monache, le quali intendevano di esser direttamente soggette all’Abate di Settimo ed i Vescovi di Fiesole che volevano esercitare su di esse la loro autorità e la lite arrivò a tal punto che la Signoria stessa dovette intervenire per obbligare il Vescovo a riammettere nel monastero la badessa ed una monaca che egli aveva espulse. Ma la controversia prosegui ed il Vescovo nel 1425 formò perfino processo contro le monache ribelli, accusandole di mali portamenti. Soppresse nel 1453 le monache cistercensi, Papa Niccolò V incorporava il monastero della Lastra fra i beni della Cattedrale di Fiesole e l’edifizio venne trasformato e ridotto ad altri usi fino a che parte di esso fu destinato a canonica della nuova parrocchia di S. Croce al Pino.
La Lastra. — È un borgo di antichissima origine che ebbe un giorno notevole importanza per la sua posizione, servendo come luogo di sosta a chi venendo a Firenze o dirigendosi verso il Mugello percorreva la frequentatissima via Bolognese. Erano quindi in questo luogo, alberghi, osterie, ed anche uno spedaletto per i pellegrini. Verso la metà del decorso secolo, per attenuare la ripidità della strada che girava per due lati attorno al Monte Rinaldi, se ne spostò più in basso il tracciato ed il vecchio borgo tagliato fuori, perdette quei vantaggi dei quali per il corso di varj secoli largamente usufruì. Circa l'etimologia del nome di Lastra, gli scrittori che se ne occupano sono concordi nel ritenere che essa debba ricercarsi nei lastroni di macigno sui quali passava la strada scavata sul fianco del monte. Fra i ricordi storici che si riferiscono alla Lastra di Fiesole, o di Montughi come fu già chiamata, è specialmente notevole la sosta che vi fecero il 29 luglio 1304 i fuorusciti Bianchi per attendere i cavalieri di Pistoja che dovevano aiutarli in un audace tentativo contro Firenze. Infelice impresa fu quella. Erano 1600 cavalieri e 9000 fanti che sotto il comando di Baschiera Tosinghi avevano divisato di attaccar Firenze e tornarvi ad abitare colla forza delle armi; la soverchia precipitazione del Tosinghi che non volle attendere più oltre i soccorsi di Pistoja ed il timore che invase quelle milizie, fecero sì che l’impresa organizzata dapprima assai bene, terminasse con un insuccesso, giacché arrivati fino alla Porta degli Spadai, dopo un breve combattimento, i Bianchi retrocedettero, credendo d’aver che fare con forze maggiori e per varj sensi si sbandarono. Vogliono alcuni storici che fra i cavalieri convenuti qui alla Lastra fosse anche Dante Alighieri.
Pochi anni dopo, nel 1311, Niccolò vescovo di Bitonto e Pandolfo Ricasoli che venivano come ambasciatori di Arrigo VII a chiedere che l'Imperatore fosse accolto in Firenze, mentre aspettavano alla Lastra la risposta della Signoria, vennero assaliti da un’orda di popolo infuriato e dovettero fuggirsene malconci. Della Lastra, secondo quanto risulta dai documenti, furono originarj i Latini ed in particolar modo Messer Brunetto poeta e maestro dell'Alighieri.
Diverse antiche famiglie illustri di Firenze ebbero fin da tempo remoto case di campagna alla Lastra e fra le altre gli Arrigucci, gli Adimari, i Medici, i Doni di Lippo.
La Lastra o il Pino. - Villa Luti. — Ai piedi della salita della Lastra, sorge questa villa munita di torre che domina la sottoposta valle del Mugnone. Nel XV secolo era una casa della famiglia Lorini dalla quale passò ai primi del secolo successivo nei Calippi, e poco dopo nei Cavalloni e nei Nettoli. Questi la lasciarono in eredità ai Bartolini che si dissero Bartolini-Nettoli ed a tempo loro, ai primi del XVII secolo, dev’essere stata riedificata la casa a forma di ampia villa. Giovali Battista Fabbroni la comprò dai Bartolini nel 1624 e la rivendè nel 1659 ad Alessandro Leri; dai Leri passò nei Moreni e da questi nel 1751 nei Tognozzi che aggiunsero al loro il cognome de’ Moreni dei quali erano stati eredi.
La Lastra. - Villa Rasponi. — Sorge all’estremità inferiore del borgo della Lastra, circondata da un vago giardino che si stende fra le pendici del poggio di Monte Rinaldi e la valle del Mugnone. Fu antico possesso dei Medici e nel 1427 lo possedeva Andrea di Bernardo: più tardi apparteneva a Bartolommeo d’Antonio dei Medici detto il Capitano Mucchio. Fu di quella celebre famiglia fino all'anno 1589 in cui Lorenzo di Lorenzo lo vendeva a Piero di Dato Migliorati. Raffaello di Dato, con testamento del di 11 marzo 1612 lo lasciava in eredità alla Congregazione delle Minime Ancelle di S. Caterina in Via S. Gallo. Morti alcuni di casa Migliorati, gli operai della Congregazione n’entrarono in possesso nel 1678 e l’anno successivo la davano a livello a Panfilio di Pompeo Fabbri i successori del quale ne divennero poi liberi possessori e la nero lungamente. In tempi più moderni fu del celebre incisore Raffaello Morghen poi dei Conti Zauli-Naldi.
Nelle fabbriche annesse venne incorporata un’antica villa che fu degli Zaffiri e poi per lunghissimo tempo dei Tortoli.
La Lastra. - Villa Porritt. — Fu qui in antico la casa d’abitazione di quella famiglia Della Lastra alla quale apparteneva quel Maso di Bartolino di Drudolo fondatore del monastero di S. Bartolommeo alla Lastra. Più tardi essa fu casa da signore della potente famiglia Baldovinetti che la possedette fino all’anno 1657 in cui Niccolò di Piero la vendette a Bartolommeo Rigogli appartenente ad una famiglia originaria di questi luoghi I Rigogli ne erano padroni anche ai primi del secolo scorso.
La Ruota. — Chiamasi con questo nome un gruppo di case che costituisce la parte superiore del borgo della Lastra. Il nome della località è antichissimo; ma non è facile determinarne l’etimologia, per quanto taluno supponga che possa avere avuto origine dall’esistenza nello spedaletto che quivi esisteva, di una di quelle ruote dove si suolevano lasciare i fanciulli esposti.
Spedaluzzo della Ruota. - Casa Gattai e Villa Turri. — In origine tanto la casa che il vicino oratorio, oggi soppresso, dovevano costituire un solo edifizio ad uso di spedaletto per i pellegrini.
Lo Spedaluzzo era intitolato di S. Girolamo e Niccolò alla Ruota ed era uno di quei tanti piccoli ospìzj destinati ad accogliere i pellegrini. In una recognizione fatta dai Capitani del Bigallo a tempo di Cosimo I dei Medici è detto a proposito di questo luogo che esso era tenuto da un Marco di Ridolfo di Riccardo, che possedeva una casa a Firenze in Borgo la Noce e un campo e delle vigne presso allo Spedale e che aveva l’obbligo di tenere due letti e il lume e di ricettare i poveri. Anche questo spedaluzzo fu soppresso con tanti altri e incorporato colle sue rendite fra i beni del Bigallo.
Dell’oratorio e del luogo dove si esercitava l’ospitalità si veggono tuttora le traccie in una casetta costruita tutta di pietre di filaretto e di carattere medioevale. La villa contigua, oggi di proprietà Turri apparteneva nel 1427 a Filippo di Migliore Del Migliore, d’un’antica famiglia che aveva un palazzetto in Via Larga. Essa la possedeva ancora alla metà del XVII secolo; dipoi passò nei Giraldi e da questi per eredità nei Pecori nel 1763.
La Ruota. - Villa Martini- Bernardi. — Fin dai primi del XV secolo la famiglia Doni di Lippo che ebbe altri beni sui vicini colli era padrona di questa villa e la possedeva ancora alla fine del secolo successivo. Posteriormente l’ebbero i Giraldi che la lasciarono in eredità ai Pecori nel 1756. Più modernamente fu di proprietà Lumini, Cecchi e Tani.
Monte Rinaldi o la Ruota. - Villa Gattai. — Sotto questi due differenti nomi si trova ricordato fin dalla fine del XIV secolo un possesso costituito da un podere con casa nel casale della Ruota ed altra casa a Monte Rinaldi. Nel primo catasto del 1427 esso appartiene a Giovanni di Ser Matteo di Ser Mainardo il quale lo da in dote alla figlia Lucia moglie di Giovanni di Messer Andrea Capponi. Dai Capponi passa verso il 1534 in Cassandra di Piero Frescobaldi che nel 1552 la porta in dote al marito Dino di Neri Compagni. Nel 1607 passò ad un Baldo di Piero di Salvadore, poi nel 1647 ad Agnola Ardinghelli moglie di Jacopo Busini. Nell’anno stesso va a Ferdinando di Alfredo Forzoni che lo vende subito ai Frati Eremiti di Camaldoli. Forse pensavano questi di costituire sulla vetta di Monte Rinaldi un loro ospizio, ma pochi anni dopo, nel 1653 rivendono la villa, casa e podere a Francesco di Carlo Donati di Bergamo. I Donati ne sono padroni per diverso tempo e dopo di loro avvengono altri numerosi passaggi di possesso che non occorre ricordare. La villa è stata recentemente ricostruita quasi del tutto.
Nei terreni annessi alla villa, sulla vetta più elevata di Monte Rinaldi, è una specie di casino, chiamato per la sua forma il Cupolino, che appartenne alla famiglia Tassi.
Terrarossa. - Villa Speer. — È una grandiosa ed elegante villa, modernamente ricostruita nel luogo di una antica casa da signore. La villa con alcune vicine casette portava fino da tempo remoto questo nomignolo che fu assunto come cognome dalla famiglia che ne era in possesso. Mario di Michele Da Terrarossa possedeva nel 1427 questa villa alla quale altra ne aggiunsero nel 1459 i suoi successori, comprandola da Giovanni di Bartolommeo Adimari. Da Benedetto di Benedetto Da Terrarossa ereditarono questo possesso le famiglie Da Romena e Del Cegia dalle quali l’acquistò nel 1570 Luigi di Giuliano Capponi. Nel 1584 Terrarossa andò in dote a Luisa di Luigi Capponi moglie di Vincenzo Giraldi, la quale, morendo, la lasciò in eredità ai figli. Da’ Giraldi pervenne nei Pecori loro eredi e modernamente andò in possesso della famiglia Capigatti.
La Torricella. - Villa Salvini. — Situata quasi alla sommità del poggio di Monte Rinaldi, modernamente chiamato del Cupolino, questa villa fu ai primi del XV secolo dei Della Stufa ai quali serviva forse come luogo di sosta nelle gite che facevano alle loro vaste possessioni di Bivigliano. Francesco di Lorenzo Della Stufa la vendè nel 1458 ad Antonio di Cipriano tiratojaio (artefice ai tiratoj) il figlio del quale Filippo, la rivendeva, nel 1533 a Simone di Andrea Capponi. Poco la tennero i Capponi, rivendendola a Giovanni di Michele di Barnaba dal quale l’acquistava nel 1561 Lorenzo di Simone Formiconi. Da lui la comprava nel 1616 Caterina moglie di Michelangiolo Bandinelli ed il figlio di lei Francesco l’alienava nel 1648 ai Monaci di S. Trinità di Firenze. Questi la concessero successivamente a livello a diverse famiglie: ai Masetti nel 1665, poi ai Brunacci, ai Gerinì nel 1680, a Francesco Ricci pizzicagnolo nel 1687, e nel 1692 ai Becattini che la tennero per oltre un secolo. Dai Mattani l’acquistava anni addietro, restaurandola e corredandola di uno splendido giardino, il sommo attore Tommaso Salvini una delle più fulgide glorie del teatro italiano.
Ferrale. - Villa Mecatti. — La famiglia Medici ebbe lungo la via che conduceva ai suoi infiniti possessi di Mugello diverse ville; questa fra le altre che apparteneva loro fino dalla prima metà del xiv secolo. Dal 1366 al 1650 la villa del Ferrale passò alternativamente in possesso di varj rami e di parecchi personaggi della famiglia dei Medici fino a che non venne presa dal Monte di Pietà in pagamento di debiti che aveva verso di esso Andrea di Carlo dei Medici. Dal Monte la comprò Lisabetta di Paolo Da Castiglione nel 1667, lasciandola nel 1684 al figlio Niccolò del Cav. Roncone Ronconi. Per eredità pervenne nel 1723 nei Rnspoli che la costituivano come dote della loro cappella di S. Niccolò di Bari nella chiesa di S. Trinità. Dal rettore di quella cappella la compravano nel 1757 i Francini che la possedettero fino al decorso secolo.
Trespiano. — Borgo di antichissima origine posto lungo la via Bolognese, sulla cima pianeggiante del poggio interposto fra le sorgenti del Mugnone e quelle del torrente Terzollina; da questa sua giacitura ne deriva forse il nome corruzione di Trans planum. La vicinanza al castello ed ai beni degli antichi Cattani da Cercina e da Castiglione fece sì che l’autorità loro si estendesse ne’ secoli attorno al 1000 anche su questo, allora umile borghetto.
Chiesa di S. Lucia a Trespiano. — È posta su di una piazzetta a ponente del borgo. Piccola, modesta come costruzione, non presenta di fronte all’arte interesse di sorta. D’origine remota, era fino dal X secolo di patronato dei nobili di Cercina e poi de’ loro discendenti i Filitieri o Catellini da Castiglione. In seguito i diritti di patronato passarono ai Tartini-Salvatichi che nella parrocchia possedevano diversi beni. Fu sempre povera di rendite e spesso mancò di rettori che la volessero ufiziare. Nel 1379, dopo la guerra coi pisani, le cui milizie avevano desolato questi colli, era ridotta in deplorevoli condizioni. In un documento del dì 11 aprile di quell'anno il Capitolo di Fiesole, dal quale dipendeva, diceva che essa «era diventata così povera e maltrattata per le guerre e le mortalità che non si sarebbe trovato chi la prendesse». Il Capitolo stesso delibera quindi «che si alloghino i beni della chiesa di S. Maria a Trespiano da tanto tempo priva del rettore perchè le sue rendite sono state decimate dalla guerra e che si cerchi qualche chierico o persona ecclesiastica che possa amministrarla tanto nel temporale che nello spirituale».
In origine essa era dedicata a S. Maria, poi se ne cambiò il titolo con quello di S. Lucia, aggiungendo successivamente come contitolare S. Bartolommeo, quando fu presso lo Spedaletto di questo nome che esisteva a poca distanza.
Il Prato. - Villa Chiocchini. Era ai primi del XV secolo dei Fortini di Via Pietra Piana, dai quali passò dopo il 1420 nei Bardi che la rivenderono di lì a poco a Giovanni Della Stufa. Dall’eredità di Contessina vedova di Enea Della Stufa l’acquistò nel 1538 Bartolommeo Della Croce per rivenderla nel 1544 a Cristofano di Bartolommeo Buontalenti il quale nel 1548 a di 26 d’ottobre la vendè a vita natural durante al celebre scultore e fonditore Benvenuto Cellini. Alla morte del grande artista ritornò nel 1570 nei Buontalenti; ma nel 1590 fu venduta ai Marchi. Il fisco s’impadronì di questo e degli altri beni di Francesco di Ivo Marchi, alienando la villa nel 1629 a Francesco di Andreadei Medici. Domenico di Ferdinando dei Medici qualificato nella denunzia della Decima come trattenitore di Armeni la vendè il 1677 a Gabbriello Casati di Roma la moglie del quale la rivendeva nel 1705 ai Tartini che per lungo tempo la possedettero.
Pozzuolo. - Villa Maragliano. — Ai primi del XV secolo era della famiglia Di Tuccio o Tucci rigattieri la quale nel 1451 la vendeva a Giovanni di Matteo Da Barberino. Per eredità pervenne nel 1470 in Battista di Giovanni degli Strozzi e d’allora in poi subì numerosi passaggi di possesso.
Nel 1473 era dei Diedi che la vendevano ai Del Monte da’ quali l'acquistavano nel 1540 i Bencini. Nel 1552, sempre per compra, passò nei Guadagni, poi nei Bacci che la vendevano nel 1599 ad un Jacopo Pangori barbiere tedesco. Nel 1632 la comprarono i Galli, l’ebbero, quindi per eredità i Lapi e sempre per eredità, i Mori Ubaldini che nel 1693 l'alienavano ai Salvatichi. I Tartini Salvatichi la possedettero fino ad epoca moderna.
Cimitero di Trespiano. — Sulla sinistra della via Bolognese, oltrepassato di poco il borgo di Trespiano si distende lungo la pendice del monte che discende verso la valle del fosso di Cercina l’immenso campo che fino dall’anno 1784 serve di pubblico cimitero al Comune di Firenze. È una vastissima estensione di terreno a diversi ripiani, divisa in ampi spazi rettangolari dove hanno avuto sepoltura migliaja e migliaja di cadaveri. Squallida, rattristante, quell'ampia e monotona distesa era un giorno interrotta appena dalla massa triste e funerea di pochi cipressi. Da varj anni però il Comune di Firenze ha rivolto ogni cura al miglioramento delle condizioni di questo soggiorno della morte, adornandolo di piante e di fiori, aprendovi viali e stradelle, edificandovi alcune fabbriche per i varj servizi e destinando diversi spazj alle sepolture a pagamento, sicché oggi anche questo cimitero è adorno di monumenti funebri, di cappelle e di loggiati con colombaj. Da un lato del cimitero è anche l’edifizio ad uso di forncrematorio.
Il Pilastro. - Casa del Comune di Firenze. — Oggi è stata ridotta a luogo di abitazione per i Cappuccini che prestano servizio al cimitero di Trespiano; ma fu già villa ed è di origine antichissima. Fu forse della famiglia Pilastri, come può far supporre il suo nomignolo; ma alla metà del XV secolo era passata in una famiglia Davanzelli che nel 1467 la vendè agli Arrigucci. Da questi l'acquistava al 1535 Carlo di Benedetto de’ Medici. Questi nel 1671 la rivendevano a Piero Giamberti della famiglia dei celebri artisti chiamati da Sangallo. Subi dopo numerosi altri passaggi e fu dei Feroci, dei Ricci, dei Porcellotti e quindi nel 1768 dei Tassinari che ne furono proprietarj fino ai tempi moderni,
Il Pilastro o I Mandorli. - Casa del Comune di Firenze. — Fin da tempo remoto era dei Frati Domenicani di S. Marco che la dettero a livello a varie famiglie; nel 1727 venne assegnata al Convento di S. Domenico di Fiesole. Oggi è addetta al Cimitero di Trespiano.
La Torre. - Villa Baldi. — La villa, che è stata modernamente ampiata ed abbellita di annessi, è di origine assai antica, giacché si trova fin dai primi del XV secolo in possesso della famiglia Rosselli che aveva in Firenze le sue case in via Larga al canto di Rossello, chiamato dipoi di Bernardetto De Medici. Appartenne lungamente a questa famiglia e fu anche di Stefano Rosselli erudito ben noto ed autore del pregevolissimo Sepoltuario fiorentino.
Nel XVIII secolo passò in possesso della famiglia Morandi. Pian di S. Bartolo. — È un piccolo borgo di poche case che fiancheggia la via Bolognese e che sorge a breve distanza dal Cimitero, nel punto dove si dirama la strada che guida a Basciano. Il nomignolo venne a questo gruppo di case dal titolo di uno spedaletto di pellegrini.
Spedale di S. Bartolommeo a Trespiano. - Casa Taddei. — Fin da tempo remoto fu qui uno di quei tanti ospizi o spedaletti che si costruivano lungo le vie maestre per dare alloggio ai pellegrini soprattutto e talvolta anche agli ammalati. Forse, a giudicarlo dall’antichità sua, questo di Trespiano, fu fondato dai Cattani di Cercina e dotato di beni. Nel 1278 è ricordo di un lascito di 5 lire che la Contessa Beatrice di Capraja fece nel suo testamento a favore di questo spedaletto. Nel 1354 doveva avere rendite abbastanza rilevanti, perchè con esse si potè restaurare la chiesa di S. Maria in Campo di Firenze che apparteneva al Capitolo di Fiesole.
Nel 1398 fu unito a questo un altro spedaletto di S. Lucia a Trespiano che era presso la chiesa parrocchiale, allora dedicata a S. Maria. Nel xvi secolo, questo, come i tanti altri ospizj congeneri, aveva quasi cessato di esercitare le sue primitive funzioni e più tardi venne soppresso ed incorporato nei beni del Bigallo. Fu venduto nel XVIII secolo ai Tartini ed oggi è di proprietà dei Taddei.
L’Aja. - Villa Bolaffi. — Troviamo questo possesso impostato fino da tempo lontano a certe Monache di S. Francesco di Fiesole, dalle quali passò dipoi fra i beni del Capitolo di Fiesole. Nel XVII secolo era a livello alla famiglia dei Riccomanni del Pannocchia che aveva le sue case in via del Proconsolo e da questa passò nel 1759 nella famiglia Scurzi che altri beni posssedeva già nel popolo di Trespiano.
L’Olivaccio. - Villa Taddei. — Nel XV secolo aveva beni in questa località l’antica famiglia Raugi che abitava a Firenze in Piazza de’ Signori sull’angolo del Chiasso de’ Baroncelli. Per un secolo fu dei Martelli, più tardi era di una famiglia Del Chiaro del gonfalone vajo. Nel 1749 essa la rivendeva a Giovanni Scurzi ed a questa famiglia lungamente appartenne. La Casaccia. - Casa Chiocchini. — Fu uno dei tanti beni che la famiglia de’ Medici ebbe in questo territorio. Passò per dote nei Capponi nel 1684, quindi fu dei Marchesi Gondi, dei Guicciardini e finalmente dei Rinuccini. Era villa in antico, poi fu ridotta a casa colonica.
Dal Pian di S. Bartolo, una stradella che scende verso la valle del Mugnone conduce alla
Chiesa di S. Lorenzo a Basciano. — Antichissima chiesa parrocchiale, è posta sopra un colle alla destra del torrente Mugnone. È piccola e serba poche tracce della sua vetusta costruzione, essendo stata più volte rimodernata. Ad essa venne riunito in antico il piccolo popolo di S. Miniato al Colle. Sull’altar maggiore è un antica tavola che rappresenta la Madonna in trono col bambino Gesù e attorno S. Francesco d’Assisi, S. Sebastiano, S. Lorenzo, S. Bartolommeo, S. Giuliano e S. Caterina d’Alessandria.
In basso si legge questa iscrizione: Francesco di Bartolommeo Martellini fece fare A. D. MCCCCLXXX. II dipinto, molto guasto è opera della maniera di Neri Bicci. All’altare a sinistra è una crocifissione di Anton Domenico Gabbiani.
Il Palagio di Basciano. - Villa Sguanci. — Ai primi del XV secolo era dei Filippi, una delle famiglie del primo cerchio di Firenze che ebbe case e torri nel sesto di Borgo. Poco dopo fu acquistata dai Gaddi e costituì il centro di una tenuta che la famiglia possedette fino alla sua estinzione avvenuta nel 1748. Con tutto il cospicuo patrimonio che essa possedeva, passò in eredità ad un ramo dei Pitti che si chiamarono dipoi Pitti-Gaddi. La villa del Palagio con la maggior parte dei poderi ad essa appartenenti venne acquistata il 19 febbrajo 1753 da Anastagio Anastagi e Andrea Tosi e nelle divise fra queste due famiglie toccò agli Anastagi.
Cerretino. - Villa Catastini — È una villa di moderna costruzione che sorge nel luogo di una casa di campagna che fin dalla seconda metà del XV secolo apparteneva alla famiglia Gaddi. Renaccio ora Reniccioli. - Villa Rosselli Del Turco. — In origine la località si diceva Rimaggio, nome che col volger del tempo si è ripetutamente modificato. Alla fine del XIV secolo era una casa da signore della famiglia Martellini ascritta al gonfalone Vajo. Nella seconda metà del secolo successivo, passò nei Rucellai e quindi in Bernardo di Guasparre Baldini orafo. Dai Baldini l’acquistarono i Gaddi per unirla al possesso che avevano costituito qui attorno. Per eredità passò nei Pitti dai quali l'acquistavano nel 1752 Anastagio di Piero Anastagi e Andrea di Marco Tosi. Più tardi nelle divise fra le due famigle toccò agli Anastagi.
Le Mimmole. - Villa Benini. — Antica casa da signore che nel 1427 apparteneva a Bartolommeo di Cambio medico. Nello stesso secolo venne a far parte del patrimonio della famiglia’ Gaddi dalla quale nel 1748 passava per eredità nei Pitti che la vendevano nel 1753 alle famiglie Anastagi e Tosi.
Chiesa di S. Miniato al Colle. — Sul colle al disotto di Pratolino esisteva in antico con questo titolo una chiesa parrocchiale che nel 1373 era di patronato della famiglia Agolanti. Essendo povera di rendite ed avendo un popolo assai scarso, venne soppressa e unita alla parrocchia di S. Lorenzo a Basciano.
Ritornando sulla Via Bologneese si trova poco dopo:
Montorsoli, - Villa Baldi. - È un grandioso edifizio modernamente rifatto che sorge di fianco alla strada, prima d’entrare nel borghetto di Montorsoli. La villa appartenne insieme a molti altri beni posti nel popolo di Basciano alla famiglia Gaddi, dalla quale nel XVIII secolo passò per eredità nei Pitti. Nel 1753 fu comprata da Andrea di Marco Tosi da Montorsoli ed in questa famiglia che ebbe in questi luoghi d’onde era originaria ampj possessi, restò fino alla metà del secolo scorso.
Montorsoli. — È un piccolo borgo posto lungo la via Bolognese, sulla vetta di un poggio che è una diramazione del monte dell’Uccellatojo. In antico era qui una vecchia osteria dove facevano sosta le carrozze ed i barrocci che si dirigevano a Firenze. Oggi da Montorsoli prende nome una stazione della ferrovia Firenze Faenza.
Nella casa di un podere posto in questa località, nacque nel 1507 da Michele d’Agnolo di Poggibonsi che lo lavorava, Angiolo che dal luogo natio si chiamò Montorsoli. Egli si fece frate dell’ordine dei Servi; ma dedicò tutta la sua vita a lavorare di scultura e dopo avere studiato col Sansovino ed essersi inspirato alle opere dei Lombardi divenne valentissimo nell’arte sua.
L’Uccellatojo. - Villa Catellini da Castiglione. — La cima pianeggiante d’un contrafforte che da Monte Morello si spinge verso la valle del Mugnone, porta il nome che il Divino Alighieri nel canto XV del Paradiso ha consacrato a glorioso ricordo:
Non era vinto ancora Montemalo |
Di là passava la vecchia strada che dalla Romagna e dal Mugello guidava a Firenze e da quella vetta appariva splendida in mezzo a’ suoi verdi piani, Firenze. Fin da tempo remotissimo ebbero là una casa i nobili di Castiglione e di Cercina, casa che nel XIV secolo andò in possesso degli Albizzi e che, in tempi più moderni, tornata ai primitivi padroni, serve oggi di villeggiatura agli ultimi discendenti di quella gloriosa famiglia, i Marchesi Catellini da Castiglione
Presso la villa è la Cappella di S. Giuseppe che ha sulla facciata lo stemma degli Albizzi e nell’interno una logora iscrizione dalla quale si rileva che edificata nel 1330 da Piero di Banco di quella famiglia venne restaurata nel 1500 da un altro Banco degli Albizzi e successivamente ancora dal Cav. Matteo.
Non lungi dalla villa, è il grandioso e solido fabbricato che per varj secoli servi ad uso di posta dei cavalli e delle corriere che facevano il servizio su quel frequentatissimo stradale. All’Uccellatojo fecero sosta personaggi illustri fra i quali va ricordato l’Imperatore Federigo III, il quale, recandosi a Roma, venne qui ricevuto solennemente dalla Signoria di Firenze e da S. Antonino arcivescovo. Borgo di Pratolino — È un piccolo borgo che occupa il punto più elevato della Via Bolognese che di qui comincia a discendere nella valle del torrente Carza per dirigersi verso il Mugello. È un luogo di fermata per i numerosi carri e barrocci che vanno a Firenze ed ebbe una speciale importanza quando nella vicina villa suolevano villeggiare i Granduchi di Toscana.
Sul pittoresco prato a settentrione del borgo i Granduchi eressero una piccola cappella dove si celebravano le funzioni sacre per comodo degli abitanti, troppo lontani dalla chiesa parrocchiale.
Pratolino. - Villa Demidoff. — Un piccolo prato che stendevasi in mezzo a fitte boscaglie dinanzi ad una villa degli Orlandini, dava il nome a questa località della quale si trovano memorie antichissime. Nel 1535 la villa di Pratolino dagli Orlandini passò a Vincenzo Tarchi e morto lui, l’ebbe Benedetto Uguccioni che il 15 settembre 1568 la vendeva colle annesse terre al Granduca Francesco I De Medici, il quale volle farne uno splendido soggiorno per la sua Bianca Cappello.
Bernardo Buontalenti, architetto favorito di casa Medici, ebbe l'incarico di decorare la villa di Pratolino di un parco dove alle bellezze naturali si unissero tutti gli artifizj più mirabili del genio umano. E il Buontalenti non esitò a contentare il gusto del sovrano, facendo di Pratolino il più splendido luogo di delizia che mai potesse immaginarsi.
Vi costruì un laberinto, una grotta con un bagno; nel bosco eresse una magnifica cappella esagona con portico attorno di quattordici colonne di pietra, sormontata da una cupoletta di piombo. Dinanzi al palazzo e al disotto di un gran prato, scavò una quantità di grotte l’una all’altra unite, e mirabili per gli adornamenti in madreperla, in cristalli, in marmi, per la ricchezza delle statue e pitture, pei giuochi d’acqua che v’erano da ogni parte, per le apparizioni strane e per tanti altri curiosi ed originalissimi artifici che mai s’erano per lo innanzi veduti. E nel parco aggiunse di più grandi giuochi e cascate d’acqua, e varj laghi sopra uno dei quali fu costruita la statua colossale dell’Appennino, opera di Gian Bologna. Il lavoro della villa e del parco iniziato nel 1569 costò una somma di 782,000 lire.
L’antico palazzo di Pratolino che aveva ai lati due torricelle ottagone per l’orologio e la ventarola, era adorno di pitture di Crescenzio D’Onofrio allievo del Passino, con figure del Petrucci, di Giovanni da S. Giovanni ecc. Al terzo piano eravi un teatro fatto fabbricare da Ferdinando de’ Medici nel 1697 dal Ferri, facendolo decorar di scene dal Bibbiena. Fra le rarità della villa si notava anche un organo posto in movimento dall’acqua.
A Pratolino fu ricevuto nel 1584 da Francesco I, Don Vincenzo Gonzaga sposo di sua figlia Eleonora.
La villa di Pratolino, trascurata affatto nel secolo XVIII, era già in stato deplorevole al principio del secolo scorso e Ferdinando III di Lorena, tornando nel 1814 sul trono dal quale l’aveva cacciato la dominazione francese, la fece affatto demolire.
Da quell’epoca in poi, l’antica paggeria restaurata alla meglio, servi ad uso di villa. Oggi tanto questa che il parco sono proprietà dei Principi Demidoff che l’acquistavano dall’amministrazione del patrimonio particolare della casa di Lorena.
Il Principe Paolo Demidoff fece riordinare il parco che era stato lungamente lasciato in abbandono, restaurare la bella cappella e riparare pure coll’opera del valente artista Prof. Rinaldo Barbetti la statua ed il laghetto dell’Appennino. Anche la villa abbellì di molte opere d’arte e la corredò di numerosi annessi, fra i quali un’ampia e ricchissima sala per le feste.
Pieve di S. Cresci a Maciuoli. — A breve distanza da Pratolino, verso le pendici di Monte Morello, è quest’antichissima Pieve della quale si hanno ricordi fino dal XI secolo. Si disse anche S. Cresci in Albeno, in Albio e a Carza. La costruzione esterna, tutta di filaretto, ha caratteri del XII secolo. Però la chiesa fu rifatta quasi interamente, soprattutto nella sua parte interna, verso il 1443 quando n’era pievano quel Giovanni Arlotto Mainardi, chiamato il Pievano Arlotto, del quale sono notissime le amenissime burle e le le arguzie salaci. L’interno è a tre navate divise da colonne d’ordine jonico e tutto l’insieme presenta il bel carattere architettonico del rinascimento. Non vi sono opere d’arte, ma è interessante il cancello del fonte battesimale lavoro di ferro battuto del XV secolo. Il campanile a torre fu edificato nel 1279 a tempo di un pievano Ambrogio come si rileva da un’epigrafe incisa in una cartella di marmo sostenuta da una mezza figura di sacerdote.
La chiesa fu di patronato della famiglia dei Neroni di Diotisalvi, della quale si vede lo stemma sulla facciata: essa cedette poi il patronato al Capitolo di S. Lorenzo.
Via Vittorio Emanuele.
Poco dopo l’annessione della Toscana al Regno d’Italia, il Comune del Pellegrino dette questo nome alla strada che dalla Porta a S. Gallo conduceva per il più breve cammino a Prato, passando per Rifredi, Castello e Sesto. La via è d’origine antichissima e nel suo primo tratto fra la base del colle di Montughi ed il Mugnone attraversava i beni che fin da tempo remoto possedevano qui lo Spedale di S. Gallo ed i Vescovi fiorentini. Dello Spedale di S. Gallo si vede tuttora io stemma scolpito in pietra sulla facciata d’una moderna casa posta quasi in faccia al giardino della villa Fabbricotti.
Anche lungo questa via, si è andato formando rapidamente un lungo borgo di palazzine e di case che va di continuo accrescendosi.
A destra della strada, s’inalza con lievissima inclinazione il colle di
Montughi. — Si dice che dai possessi della famiglia Ughi derivasse il nome di questa tra le più vaghe colline prossime a Firenze che si distende fra la strada Bolognese, il piano già detto dell’Arcovata o dell’Arcora e la valle del torrente Terzolle. E vero che nel XV secolo e prima forse, gli Ughi ebbero villa e poderi in questa località; ma il nome di Mons Ugonis è più remoto e trasse forse origine dai beni de’ Marchesi di Toscana o di qualche altra famiglia d’origine longobarda.
Montughi fino dal medioevo era popolato di ville delle più cospicue famiglie e tuttora framezzo ai campi ubertosi ed ai giardini fioriti di questo colle, sorgono innumerevoli, eleganti e comodi fabbricati, poiché la bellezza del luogo e la breve distanza dalla città contribuiscono a render questa una delle villeggiature preferite.
Di parecchie delle ville di Montughi, abbiamo discorso percorrendo la via Bolognese; qui fra le tante ricorderemo le più importanti che si trovano lungo le vie di Montughi e di S. Marta.
Gli Ancipressi. - Villa Fabbriconi. — Sulla dolce pendice dei colli di Montughi, sorge questa elegantissima villa che, colla sua ricca facciata ed il suo splendido giardino a diversi ripiani, adorno di cascatelle, di fontane, di grotte, e di statue prospetta la via Vittorio Emanuele. Fin dal XIV secolo fu della famiglia Boninsegni che aveva le sue case in Firenze sulla piazza vecchia di S. Maria Novella e che le possedette fino all'anno 1525. Il 24 maggio di quell’anno da Alessandra e Gostanza di Lionardo Boninsegni la comprava Girolamo di Zanobi Del Maestro Luca, d’una famiglia che ebbe cappella in S. Trinità presso la quale sorgevano le sue case. Poco dopo, nel 1530, egli la rivendeva ad Alessandro Strozzi e da quell’epoca fino XIX secolo restò in possesso del ramo di quell’illustre famiglia che si disse dello Strozzino. Nel 1823 fu venduta alla famiglia inglese Wight, poi fu dei Marchesi Zambecari, quindi del celebre tenore Mario Tiberini e finalmente dei Conti Fabbricotti. La riduzione della villa all’aspetto presente, sul disegno dell’architetto Vincenzo Micheli, devesi ai proprietari attuali i quali riordinarono pure il sontuoso giardino e vi posero attorno l’artistica cancellata. Ospite del Conte Fabbricotti, la Regina Vittoria d’Inghilterra dimorò in questa villa nella primavera del 1894.
Chiesa di S. Martino a Montughi. — Sorge all’estremità meridionale del colle che con lieve inclinazione discende verso il piano di Firenze. La tradizione la dice edificata dalla famiglia Ughi della quale si vede tuttora lo stemma sull’alto della facciata; ma la sua fondazione è troppo remota perchè si possa accertare la veridicità dell’affermazione. Certo gli Ughi ne ebbero costantemente il patronato che alla loro estinzione, passò per eredità nella famiglia Mancini.
Fra i rettori della chiesa di S. Martino a Montnghi alcuni meritano d’esser ricordati con lode, come Giovanni di Michele Norchianti di Poggibonsi dottissimo nelle scienze e nella letteratura, Francesco Campana di Colle di Val d’Elsa che fu segretario della repubblica fiorentina e latinista distinto, Pier Francesco Ricci di Prato altro egregio letterato e Cosimo Vignali astronomo di gran valore.
Nella chiesa, che ha un aspetto quasi moderno, si osservano un crocifisso di Giambologna, dei quadri pregevoli di Matteo Rosselli e di Jacopo Vignali, un dipinto del Veracini ed una bella cera del Susini. Sotto il portico il parroco Nuti trasportò varie figure della scuola dei Della Robbia che t erano esposte ad ogni pericolo in un tabernacolo’ lungo la via Vittorio Emanuele. Nella compagnia è sepolto il celebre incisore Raffaello Morghen.
La canonica è di una ricchezza di costruzione e di una eleganza di architettura non comuni, talché da lontano presenta l’aspetto di una deliziosa villa. Essa fu costruita col disegno del valente architetto Giuliano di Baccio d’Agnolo a tempo del rettore Francesco Campana. Nella volta della loggia sono dei bellissimi stucchi antichi rappresentanti soggetti mitologici che vennero abilmente restaurati nell'anno 1881 dal valente artista Michele Piovani.
Di prospetto alla chiesa è
Il Palagio. - Villa Stibbert. — Molta parte del colle delizioso di Montughi fu fin da tempo remoto in possesso di una delle più cospicue e potenti famiglie fiorentine, i Davanzati, che in mezzo alle sue terre edificò numerose ville ed il monastero di S. Marta. Di queste ville o case da signore la più antica e più grandiosa, che si chiamava il Palagio, costituisce oggi parte della magnifica villa che il Cav. Federigo Stibbert riedificava anni addietro. È quella che forma l'estremità del vasto fabbricato del lato volto verso Firenze e che conserva sempre sopra la sua cantonata lo scudo collo stemma dei suoi antichi possessori. Essa fu il luogo consueto di villeggiatura di molti fra gl’illustri personaggi usciti da quella potente famiglia, fra i quali meritano soprattutto (Tesser ricordati, Lottieri fondatore del monastero di S. Marta, Davanzato di Giovanni gonfaloniere di Giustizia che fu ucciso nel 1866 a S. Miniato dov’era vicario, Niccolò di Roberto ambasciatore e legato della repubblica, Messer Giuliano di lui figlio, che essendo gonfaloniere a tempo della consacrazione di S. Maria del Fiore, fu da Papa Eugenio IV armato cavaliere dello sperone d’oro ed infine Bernardo traduttore di Tacito e storico insigne. La villa di Montughi restò in possesso de’ Davanzati fino a che la famiglia non venne a mancare. Dipoi essa fu delle famiglie Mezzeri, Puget, Celestini ecc.
Su questo vecchio palagio e sopra altre case e ville vicine, un giorno appartenute tutte ai Davanzati, il Cav. Federigo Stibbert riedificò la villa attuale, un ampio e grandioso fabbricato che si estende in mezzo a un delizioso giardino. La fabbrica che ha in gran parte il carattere medioevale, venne edificata sotto la direzione dell’architetto Fortini e fu internamente decorata dal pittore Prof. Gaetano Bianchi. Più che una villa essa può considerarsi come un prezioso museo, giacché nelle ampie e bene adorne sale, oltre a numerose e pregevolissime opere d’arte è riunita una delle più ricche e più complete armerie che si conoscano. Il Cav. Stibbert che fu autore di varie pubblicazioni intorno alle armi antiche, riusci dopo ricerche costanti e con dispendio grandissimo a raccogliere nelle sue sale armi d’ogni epoca e d’ogni paese, molte delle quali costituiscono esemplari rarissimi e di alto valore. Degno dell'importanza della raccolta, è l’ordinamento che lo stesso proprietario seppe dare al suo splendido museo che si può dire, completi doviziosamente le insigni collezioni artistiche e storiche ond’è ricca la nostra Firenze, ora poi che morendo nel corso di quest’anno, il compianto Cav. Stibbert legava generosamente la villa ed il Museo alla città nostra.
Montughi. - Villa Astor. — La famiglia degli Ughi avvocati del Vescovado fiorentino, dalla quale si afferma tradizionalmente che questa collina avesse nome, possedeva fin da tempo lontanissimo questa villa che Mariano di Giorgio Ughi vendè nel 1469 a Francesco Del Tovaglia. Da questa famiglia passò nei Pepi e, sempre per eredità, in Bartolommeo di Francesco Agli che nel 1546 la vendeva a Michele e Vincenzo di Ser Vincenzo Marzi. Neri di Neri Pepi la ricomprava nel 1548 per rivenderla subito a Maddalena Vettori. Da quest’epoca i passaggi di possesso di questa villa si succedono frequentissimi. La Vettori la vende a Neri di Filippo Capponi che la regala nel giorno stesso alla sorella Alessandra vedova del Cav. Giuliano De Pazzi la quale la lascia in eredità ai nipoti Luigi e Filippo di Niccolò Capponi nel 1626. Essi la rivendono quasi subito al Priore Tommaso Ximenes dai figli del quale la compra nel 1650 Niccolò di Bastiano Scalandroni. Tre anni dopo ne fa acquisto Antonio di Francesco Michelozzi e nel 1684 Y aliena a Gio. Battista del senatore Ubaldo Ubaldini. Ai primi del decorso secolo la comprano i Lazzerini che la rivendono dipoi ai Conti Mori-Ubaldini degli Alberti che ne rimangono in possesso per varj anni. Sulla facciata della villa è lo stemma dei Pazzi fattovi porre nel 1590 da Alessandra Capponi vedova Pazzi.
Montughi. - Villa Castiglioni — A’ primi del XV secolo era casa da signore dei Barducci-Ottavanti ricca e nota famiglia di speziali del popolo di S. Ambrogio e consorte dei Meliini. Clelia figlia di Barduccio Ottavanti sul finire del secolo stesso la portò in dote a Chiarozzo Del Chiaro e dopo una ventina d’anni, sempre per ragioni dotali, Simone di Noferi Lenzoni la ricevette da Lorenzo di Chiarozzo Del Chiaro. I Lenzoni ampliarono e ridussero questa villa che insieme ad altra vicina acquistata varj secoli dopo, fece parte fino al secolo scorso del loro patrimonio. Modernamente fu dei Sanminiatelli.
Montughi. - Villa Giaccone. — Anche questa fu una delle numerose case da signore che la famiglia Davanzati aveva fin da tempo lontano sul colle di Montughi. A’ primi del xvi secolo Gostanza figlia di Piero di Giovanni Davanzati la portò in dote a Niccolò di Antonio Gianfigliazzi; ma ritornò più tardi in casa Davanzati e vi stette fino a che Piero di Bartolommeo non la vendè nel 1577 a Giovanni di Francesco Del Necca. Questi V alienò nel 1584 al cav. Giovan-Battista Rimbotti che la rivendeva nel 1658 a Stefano di Francesco Feducci. Rivenduta nel 1671 ai Guccianti passò per eredità di Carlo Guccianti nei nipoti Girolamo Cardi-Cigoli e Jacopo e Lucrezia Sani. Da loro la comprava nel 1708 il cav. Anton Gherardo Lenzoni e per il corso di molti anni fece parte del patrimonio di quest’antica e cospicua famiglia.
Montughi. - Villa Cresci. — Era una delle case da signore dei Davanzati e nel 1427 apparteneva a Niccolajo di Ruberto. Nel 1566 Bartolommeo di Vincenzo la vendeva a Matteo Strozzi; ma a causa di questioni insorte relativamente al pagamento, nel 1581 ritornò a Francesca Davanzati vedova del venditore. Nel 1609 venne venduta alla famiglia Del Chiaro e dall’eredità di Neri Filippo l’acquistava Vincenzo di Sebastiano Bacherelli i cui successori la possedettero fino al decorso secolo.
Tornando indietro per la strada percorsa, fino alla via Vittorio Emanuele osserveremo lungo il muro di un podere un
Tabernacolo. — È qui racchiuso un busto in marmo di S. Antonino Arcivescovo di Firenze fatto per commissione di Monsignor Ferdinando Minucci Arcivescovo di Firenze e inaugurato il 4 maggio 1856. Esso ricorda il luogo dove in antico era posto
S. Antonio del Vescovo oratorio al quale era annesso
il Palazzo dei Vescovi Fiorentini. Quando fosse edificato questo palazzo non sa stabilirlo con certezza nemmeno il Lami dottissimo specialmente in fatto di studj sui monumenti sacri ed egli dice soltanto come i Vescovi avessero colà possessi fino dall'undecimo secolo e come il Vescovo Antonio intorno al 1312 terminasse e perfezionasse la chiesa di S. Antonio e l’annesso palazzo. Fu qui che abitò per varj giorni Papa Giovanni XXIII allorquando i fiorentini lo espulsero dalla città coll’ingiunzione di mai più tornarvi. Vi stette pure vario tempo Papa Eugenio IV accompagnato dalla sua corte e si vuole che l’ardito capitano di ventura Niccolò Piccinino, quando guerreggiava in Toscana, tentasse d’accordo con un Vescovo lombardo di sorprendere qui il Pontefice e di farlo prigioniero. Come tante altre ville di Montughi anche questa fu data preda alle fiamme dai soldati dell'Aguto nel 1364. Sant’Antonino Arcivescovo di Firenze riteneva come soggiorno graditissimo il palazzo di S. Antonio, dov’egli spesso si recava per godervi la pace e la tranquillità dei campi e quivi nel giorno 2 maggio 1459 cessava di vivere. Prima dell’assedio, il palazzo dei Vescovi subì la sorte di tante altre fabbriche vicine alla città e non rimasero di esso che i fondamenti seppelliti dipoi sotto la terra di un podere che appartenne lungamente alla mensa arcivescovile.
Il Palagetto o l'Arcovata. - Villa Romagnoli. -- Questa villa che è posta lungo la Via Vittorio Emanuele, quasi difaccia alla strada che guida ai Cappuccini, porta fin da tempo immemorabile il nomignolo di Palagetto, certo per la forma sua originaria. Era nel XV secolo della famiglia Michi del gonfalone Leon Rosso e le appartenne anche nel secolo successivo. Nel XVII secolo era dei Calandri e da questi passò nel 1690 nei Mancini e poi nei Cioppi. Piu modernamente fu Stiozzi-Ridolfi e Bucelli.
Chiesa e Convento dei Cappuccini di Montughi. — Sul colle leggiadro dove in mezzo ad un bosco di cipressi sorge quest’edifizio, fu un giorno un comodo ospizio con chiesa edificato dai frati Amadei dedicato a S. Maria degli Angioli. Delle vertiginose demolizioni di edifizi che attorno alla città potevano offrir ricetto alle milizie che movevano ad assediare Firenze, fu vittima anche questo piccolo convento che venne smantellato ed i frati si rifugiarono a Firenze presso la chiesa di S. Giovanni Evangelista. Su quei ruderi sorse dipoi il nuovo convento dei Cappuccini per opera del senese Bernardino Okino il quale dopo otto anni in cui fu rettore e generale di quella congregazione, abbracciò le dottrine di Valdes. La chiesa, irregolare di forma, semplice come tutte quelle appartenenti alla regola de’ Cappuccini, contiene alcuni buoni quadri: S. Francesco che riceve le stimate, un’Annunziazione dell’Empoli ed un S. Francesco di Cantalice, di Gesualdo Ferri. Altre opere che adornavano chiesa e convento vennero trasferite, dopo la soppressione, nelle Gallerie. Montughi. - Villa Houdacheff. — È una villa grandiosa e circondata da un ameno giardino che si distende sopra ad un rialzo del colle fra la chiesa di S. Martino ed il convento dei Cappuccini di Montughi. I più antichi possessori di questa villa appariscono i Bellincioni dagli eredi de’ quali la comprava nel 1463 Bartolommeo Del Giocondo. Il figlio di questi, la vendè nel 1516 a Benaccorso di Francesco Uguccioni e da questa famiglia, ne faceva acquisto nel 1603 Roberto Pucci. Per ragioni d’eredità entrò nel 1612 in possesso dei Capponi ai quali ritornò dopo un breve periodo di anni in cui fu del Marchese Francesco Riccardi marito di Cassandra Capponi. I Capponi ampliarono la villa e vi raccolsero anche una ricca ed importante armeria. Nella prima metà del secolo scorso appartenne al Conte di St. Leu, Luigi Bonaparte già Re d’Olanda che vi dimorò varj anni. Passò per eredità nei Bonaparte Principi di Canino che la venderono al patrimonio privato del Granduca Leopoldo II. In questa villa nacque Roberto Duca di Parma e villeggiò anche l’ultima Granduchessa di Toscana Maria Antonietta.
La Macine o il Pollaio. - Villa Rossi. — Dalla famiglia Boni del popolo di S. Maria Maggiore, che l’aveva già nel XIV secolo, la villa passò nel 1521 come dote di Lucrezia di Matteo Boni in Francesco di Tommaso Tosinghi, appartenente ad una delle famiglie che nei tempi delle fazioni ascesero al più alto grado di ricchezza e di potenza. Però quando Tommaso Tosinghi accusato come nemico della dominazione Medicea venne esiliato per ordine di Cosimo I, questo come altri possessi di lui venne confiscato e il Granduca, seguendo il suo sistema di largheggiare in doni co’ suoi fidi, la dava in dono a Giovanni Conti suo segretario. Dagli eredi di costui la faceva comprare nel 1615 Livia di Bernardo Vernazza genovese, donna di umilissima origine e di facili costumi, ma bellissima, che era riuscita a farsi sposare dal Principe Giovanni de’ Medici figlio di Cosimo I e di Eleonora degli Albizi. Cotesta donna però cadde in disgrazia del marito, si disse a causa delle sue sregolatezze, ma forse più per istigazione di casa Medici, sicché egli la relegò prima in una casa a Firenze, poi in questa villa. Quando Giovanni venne a morte nel 1621, i Medici, per levarsi una vergogna d’addosso, facevano annullare il matrimonio della Vernazza. Morendo, essa diseredò il figlio Giovan Francesco che era giunto ad accusarla siccome strega e lasciò eredi i frati Celestini di S. Michele Visdomini.
La villa era stata venduta nel 1662 a Monsignore Lodovico Incontri dal Principe Francesco; ma i frati Celestini, nel 1667 riuscirono a fare annullare la vendita e nel 1670 l'alienavano al Capitano Gio. Francesco Cardi da Cigoli. Il Marchese e Senatore Carlo di Tommaso Strozzi vi entrò in possesso nel 1690 per la dote della moglie Maddalena Cardi e, dotto com’egli era negli studi delle cose antiche, raccolse in questo luogo un prezioso museo lapidario. La collezione dell’iscrizioni romane che era forse la più numerosa e più rara di Firenze, venne degnamente illustrata nella sua grande opera dal celebre Proposto Gori. Essa sussiste ancora in gran parte nel cortile interno di questa villa, insieme a frammenti di bassorilievi, statue, vasi ed altre sculture Antiche. La villa della Macine appartenne lungamente alla famiglia Casamorata, poi venne acquistata dall’illustre attore Ernesto Rossi che vi eseguì varj lavori d’abbellimento.
La Piazzola. - Villa Labouchère. — Sul finire del XIV secolo era casa da signore di una famiglia Dell’Accetta che la possedette fino all’anno 1469 nel quale Niccolò e Zanobi di Migliore la vendevano ad Antonio Del Cittadino. Questi la rivendè nel 1490 a Benedetto de’ Ridolfi di Piazza e da’ Ridolfi la comprava nel 1577 Pietro Montaja uno spagnuolo della corte Medicea. Alla morte di lui fu alienata nel 1589 a Gostanza di Giovanni Arrighi, che nel 1597 la vendeva al proprio marito Baldassarre De Lesmes D’Astudillo un altro gentiluomo spagnolo che s’era fatto fiorentino. Dagli eredi di lui l’acquistava nel 1607 il Marchese Donato di Michelangiolo Baglioni di Perugia. In casa Baglioni restò la villa fino al 1 ottobre del 1647 giorno in cui la faceva comprare il Marchese Carlo d’Ottavio Gerini i discendenti del quale la possedettero fino al secolo scorso. Le ricche famiglie che si succedettero nel possesso di questa villa, ebbero cura di accrescerne il fabbricato e di adornarlo; ma furono i Marchesi Gerini che più specialmente si adoperarono a renderla uno splendido e delizioso soggiorno, circondandola d’un vaghissimo giardino, decorandone le mura esterne di graffiti e adornandola con tutto il lusso e tutta la magnificenza propria del seicento. Modernamente fu dei Pandolfina Principi di S. Giuseppe.
Montughi. - Villa Braggiotti. — Fra le molte case da signore che la famiglia Davanzati possedeva fino dal XIV secolo sui colli di Montughi, fu pure questa villa la quale restò a far parte del patrimonio familiare fino all’anno 1609 in cui Giovanni di Bartolommeo con testamento del 12 marzo la lasciava al Collegio di S. Giovannino della Compagnia di Gesù. Alla soppressione de’ Gesuiti, la villa fu rivenduta nel 1692 a Monsignor Francesco Maria Sergrifi, il quale l’alienava nel 1714 a Gostanza di Giuliano Bartolini moglie di Francesco Grossi. Nel 1735 comprava cotesta villa Simone di Francesco Signorini, gli eredi del quale la rivendevano nel 1775 a Giuseppe e Giovanni d’Antonio Meucci. Andò dipoi nei Tallinucci nel 1790, poi nel 1817 ai Baraffael, quindi nei Servi e nel 1831 ai Rosselli Del Turco. In epoca più moderna fu Paoli, Trubetzkoi e quindi Braggiotti. Il proprietario attuale l’ha fatta notevolmente ampliare ed abbellire.
I Carducci. - Convento delle Cappuccine. — Fin dagli ultimi del XV secolo la famiglia Arrigucci possedeva nel popolo di Montughi un podere che verso la metà del secolo successivo si rileva essere annesso ad una villa che probabilmente venne in quel tempo stesso edificata di nuovo. Nel 1571, Filippo Arrigucci, morendo, lasciò questi suoi beni alla moglie Maddalena di Filippo Da Ricasoli dalla quale passò nel 1605 in eredità al figlio di secondo letto Dionigi di Francesco Carducci. I Carducci ampliarono la villa che da loro trasse il nomignolo che tuttora le è proprio. Dal 1624 al 1738 la tenne, per concessione dei Carducci, Alessandro di Ser Francesco Del Serra, poi, nel 1766, dopo una causa fra Vittorio Suarez erede del Cav. Francesco Carducci e Giovan Filippo Michelozzi venne aggiudicata ai Michelozzi Boni che la possedettero fino a pochi anni addietro.
Chiesa e monastero di S. Marta a Montughi. — Lottieri di Davanzato Davanzati col suo testamento del 1836, ordinava ai suoi eredi di edificare sul colle di Montughi, dov’egli aveva molti beni, un convento di Monache dell ordine degli Umiliati. Ottenuta nel 1341 la facoltà del rettore di S. Martino a Montughi, si poneva mano al lavoro che rimase compiuto in 21 mesi, nel febbraio del 1343 e costò fiorini d’oro 3580. Nel 1343 entrò prima monaca in quel monastero Lotta Acciaiuoli vedova di Dino Cornacchini e subito ne vennero altre che costituirono la regola delle Umiliate. Nel tempo dell’assedio le religiose, abbandonato il convento, si ridussero a Firenze e stettero nella compagnia detta del Vangelista in Via Guelfa dal 1530 ai primi mesi del 1582. Fra gli incidenti toccati a questo convento si fa memoria in un antico ricordo d’un fulmine che cadendovi nel 1579 vi uccise due monache ed una fanciulla che si trovava colà. Nel 1599 a spese di Giovanni di Bartolommeo Davanzati, venne quasi riedificato. Molte opere d’arte di notevole importanza sì ammirano tuttora in cotesto antico edilizio. Sull’architrave della porta vedesi una terra cotta di Giovanni Della Robbia rappresentante S. Marta con due angeli. Nel monastero, dove stanno ancora alcune monache Benedettine, si vedevano: una Vergine in trono dell’Angelico: un Crocifisso con la Vergine e S. Giovanni che si crede di Angiolo Gaddi; l’apparizione della Vergine ai santi Benedetto, Giovali Battista e Bernardo di Filippo Lippi; l’Annunzione della Scuola di Lorenzo di Credi, un reliquiario del XIV secolo, e diverse tavole a fondo d’oro appartenenti alla buona maniera del XIV secolo.
La chiesa è stata più volte trasformata e adornata in guisa da perdere la severa e semplice bellezza della primitiva sua costruzione.
Montughi. - Casa Ruspoli di Sueca. — È un annesso della villa della Pietra e sorge quasi in faccia al monastero di S. Marta. Come molte altre delle ville della collina di Montughi fu fin dal xiv secolo possesso dei Davanzati da’ quali passò a’ primi del XVI secolo nella famiglia Mei. Nel 1516 Francesco di Matteo Cavalcanti l’acquistò dagli credi di Ser Pagolo Mei, lasciandola nel 1576 in eredità a Jacopo di Gabbriello Rossi, il figlio del quale Gabbriello, la vendè nel 1578 ad Alfonso di Carlo Strozzi.
Da quest’epoca in poi la villa subì numerosi altri passaggi di possesso. Nel 1580 la comprò Gio. Battista di Matteo Benedetti, nel 1634 Vincenzo Benedetti la vendè a Paolo Filiromoli, ma essendo questi debitore del Fisco, la villa vien ricomprata dieci anni dopo dai Benedetti. Piero di Bernardo Cervini l’acquista nel 1649 e la costituisce in legato nel 1665 alla moglie Isabella Malegonnelli e dopo la di lei morte a Gio. Domenico di Antonio Da Sangallo.
Nel 1739 il Da San Gallo la lasciò alla compagnia di Gesù e dopo la soppressione di questa la comprarono nel 1765 i Minerbetti che possedevano già alla Pietra un’altra villa.
L’Erta Canina. - Villa Niccolini- Alamanni. — E così chiamata per esser posta lungo una strada ripidissima che porta questo nome e che va dai colli di Montughi a quelli di Careggi. Appartenne nel XV secolo ai Michi fondatori dello Spedale detto del Porcellana o dei Michi in Via della Scala. Più tardi fu dei Filipetri e Niccolò di Piero la vendè nel 1522 a Lodovico di Gino Capponi. Nel 1643 fu aggiudicata in pagamento a Maria Maddalena figlia del Marchese Bernardino Capponi e vedova di Vincenzo del Senatore Andrea Alamanni. Restò in casa Alamanni fino all’estinzione di questa illustre famiglia e poi passò per eredità nei Niccolini che aggiunsero al loro il cognome degli Alamanni.
- ↑ Vedi campione del gonfalone Vajo, anno 1469.