I Paralipomeni del Lucifero di Mario Rapisardi/Canto primo
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CANTO PRIMO.
ARGOMENTO.
Del trionfato ciel sopra la volta
Già sventolava da mill’anni il segno
Redentor di Lucifero. Pei vasti
Adamantini portici solenni
5Della reggia immortal suonava ancora,
Terribilmente pauroso, l’inno
Dell’immensa vittoria; ancor sul nome
Del cattolico Iddio scherni possenti
Avventavano i demoni, giocondi
10Abitatori di lassù. La terra
Più templi non avea; salmi e preghiere
Per l’äer lento non salian siccome
Spire di fumo di annerita gola
Di operoso camin, quando ai capaci
15Paiuoli sottopon aride foglie
Di sacra quercia e ben spaccati tronchi
La vigile massaia e il fuoco induce,
Mentre dai campi coi sudati arnesi
Riede il colono e da lontano odora
20Avido l’aglio della sua minestra.
Non più salmi nè preci. Le mortali
Menti non incombea sinistramente
Fra tuoni e lampi il pavido terrore
Di onnipossente forza. Era la legge
25Ispiratrice di ogni cor. Vestito
Della luce del Ver spuntava il sole
Dai sorrisi orizzonti e il precedea,
Insieme all’Alba e alla rosata Aurora,
Stuol di gioconde deità; la Pace
30Dal niveo peplo abbandonato ai venti;
La timida Innocenza il crin ricinto
Di candidetti gigli e di odorosi
Mughetti che cadean siccome pioggia
Di fatue stelle se del caldo agosto
35Le notti incende con celesti razzi.
E veniva con lor la sospirata
Pronuba Dea che di fecondi amplessi
Letifica le genti e all’obbliato
Indissolubil nodo i naturali
40Connubbii contrappone e i corpi unisce,
Sol che l’istinto abbia legati i cuori.
Così fioria sull’universa terra
Non interrotta primavera. Un alito
Profumato correa di plaga in plaga;
45E dai campi, dal mar, dagli azzurrini
Spazii del cielo un’armonia filava
Continua, dolcissima siccome
Concerto d’invisibili strumenti.
Incredula ridea l’umana stirpe
50Allor che udiva rammentar procelle
Sulla terra e sull’onda, e vasti orrori
Di naufragi; o rabidi vulcani
Lancianti, come sputi, al ciel le ardenti
Pomici e l’infocata solforosa
55Lava delle lor viscere, sepolcro
Di popolose cittadine mura;
O arenosi deserti immensurati
Che, pari all’ocean, sconvoltamente
Mescean la soffocante onda, fatale
60All’arabo mercante e al suo gibboso
Compagno; o furibondi urti di arcane
Forze terrestri che scoteano i monti
Come lapilli, le cittadi e i regni
Di morti seminando e di ruine.
65Tutto sogno parea, tutto una fola
Surta nel vaneggiar di mente inferma
Quanto di male producea la dira
Possa del Nume che il fatal conquise
Brando del gran Lucifero. Perduti
70Nell’umano linguaggio eran perfino
I motti di dolor, d’odio, di pianto,
Di vendetta, di colpa. Un accigliato
Rovistator di muffidi papiri
Si affannava talor d’indovinarne
75Il dubbio senso e con novelli in-foglio
Accalcava le vostre assi, o silenti
Scaffali, preparando un erudito
Letto alla polve e pascoli indigesti
Alle tignuole vindici.
Confusi
80Erano insomma paradiso e terra
In un aspetto d’ineffabil gìoia;
E impossibil parea che l’infinita
Felicità dell’universo alcuno
Nascosto germe nutricar potesse
85Apportator di lagrimosi lutti.
E non la terra ahimè ma la più pura
Parte del cielo l’accogliea! Ma visto
L’avea più volte la sublime reggia
Del Rubelle santissimo adaggiarsi
90A piè del trono, sfolgorante il petto
Di preziose invidiate insegne,
Onor dei forti che, tremendo ardire!
Sfidar la larva dell’Eterno e al mondo
Aperser l’êra che non ebbe un Dio!
95Ma che non puote ambizion se infiamma
Petto celeste?
E canterò l’estrema
Epopea delle genti. E sulla sacra
Cetra di Omero, con novelle armata
Possenti corde dal chiomato figlio
100Dell’Etna, tenterò liberi suoni.
Batterò sull’incude epica, dove
I suoi strali foggiò la catanese
Satanica Callïope i minori
Umili canti miei, propizíando
105Con sacro rito all’immortal poeta,
Onde dell’ombra sua qualche a me scenda
Debole raggio che sariami eterno
Nimbo fulgente sulla giovin testa.
In pace lascerò voi, del flebeo
110Harem custodi; d’inveir coi morti
Non si piace la Musa. Ancor di troppo
Onor vi fece immeritato segno
Il cantor di Lucifero. Perdura
Sempre negli echi della terra il fischio
115Dell’apollineo suo staffil stridente
Sulle natiche sozze e sulle guancie
Incartapecorite ond’era un giorno
Funestato il gentil campo dell’Arte,
Noiosissimo gregge. Or basta l’eco
120Del cadenzato con maestra vice
Suo sciolto endecasillabo al disprezzo
Della vostra memoria! E chi ricorda
I tuoi bavosi, puzzolenti erutti,
Sagrestano Aristarco, allor che bello
125Della sua eterna gioventù, sdegnoso
Del fiorentin rifiuto (l’aere intorno
Corruscava di lampi e le narici
Un acre accarezzava odor di zolfo)
Posossi in cima alla slanciata guglia
130Della mediolana ardita mole
Lucifero e si fè scanno la testa
Bronzea di lei che diede al mondo un Dio?
Tu invan strillasti mal pasciuta turba
Che nella gora delle tue gazzette
135Gracidi le babeliche bestemmie
Quotidian di sciocchi arido cibo.
Ei venne, vide, vinse! Esterrefatta
Corse la folla dei credenti all’are,
E sulla spenta larva del suo Dio
140(Più che dal ferro del ribelle eterno
Dal fiero verso catanese uccisa)
Ululati gettò qual se l’estrema
Notte incombesse sulla terra. Intanto
Alle vetrine ove d’impresse carte
145L’almo tesoro si ministra, un’altra
Folla plaudente s’accalcava; e quando,
Deposto il prezzo delle quattro lire
Sulla mano venal del bibliopòla,
La gente si partia grave del pondo
150Della novella Apocalisse, gli occhi
Spremeano stille di contento e il core
Superbamente le gonfiava in petto.
Fuggíano allora come stuol di corvi
Malaurosi, crocidanti i vili
155Cantastorie di Armando e di Maria,
E quei che primo balbettò scomposte
Strofe al ribelle Satana (carboni
Già del rapisardèo fuoco alla vampa
Mutati in limpidissimi diamanti)
160E quanti in riva dell’Olona, al verso
Che rilutta impotenti, in sulle carte
Versano d’immoral prosa il veleno
Alle caste donzelle ed alle spose;
Tutti sparir. Così nel greve autunno
165Sui campi e i colli pampinosi scende
La mattiniera nebbia e sotto il manto
Umido del suo fumo il caro involve
Sembiante di natura. Il sole intanto
Sferza i nitrenti suoi destrieri al balzo
170Orientale e sciogliesi repente
Il vel funesto, i vapori disperdonsi
Di qua di là e pell’äer dileguano;
E sui prati, sui colli, sopra i tetti
Ospitali, sui laghi il suo fecondo
175Raggio saetta sorridendo Febo.
Havvi nel cielo una remota parte
Ove di mille gigantesche piante
Si protendono i rami. Un sacro orrore
Accolgon le sinistre ombre e il silenzio,
180Coi suoi piedi di feltro e la severa
Dell’indice falange sulle pavide
Labbra composta, vagola sottesso
I curvi rami e perdesi fra i cupi
Meandri dove non penetra il sole.
185Orma di belva non calcò le foglie
Che lentamente dai maturi rami
Spiccò l’Autunno di sua man, tesoro
Di lieti ingrassi pel vegnente aprile;
Nè tra le frondi di canoro augello
190Mai non udissi la volubil nota,
Come allorquando del tepente maggio
Molce le notti Filomena e piange.
Qui, rôso il petto dalla edace cura
E maturando la superba impresa
195Nell’inscrutabil mente, allor che il sole
Fería la selva coll’occiduo raggio
Venir soleva Belzebù, fuggendo
D’ogni altro spirto il sodalizio. E quivi
Ne venne allor che romoroso il cielo
200Festeggiava il millennio in cui le soglie
Del Paradiso, mal vietate, incesse
Lucifero e nel sen della gran Larva
La vindice confisse ardita lama
Che il tiranno del ciel spense per sempre.
205Eccheggiavan da lungi i di piropo
Portici fiammeggianti all’alte grida
Di gioia, agl’inni, alle fanfare: un vasto
Incendio di doppieri era la reggia,
Un trionfo di musiche e di danze
210Volteggiate sui piè rapidi, come
Gorgo marino dove latra Scilla
Ed insidia Cariddi. E tal per tutta
L’immensità dei cieli era il tumulto
Della memore festa e in tutti i cuori
215Tanta la gioia, che recenti avresti
La vittoria creduta, e i superati
Perigli, e il dubbio, per la sua grandezza,
Dello stesso trionfo. Avea sembianza
Il ciel di non mai visto immensurato
220Industre formicaio allor che versasi,
Versasi degl’insetti il nero esercito
E si fiuta, si mesce, e fitto brulica
Al sol di luglio, e vuota i sotterranei
Covi, e le larve attanagliate provvido
225Reca all’aperto e ferve attorno l’opera.
Raccolte l’ali di una quercia al sommo
Che dell’annosa sua cervice estolle
Su di ogn’altra l’onor, sdegnosamente
Fissava i lampeggianti occhi Belzèbo
230Sulla reggia lontana e dal commosso
Petto, sfrenando alla parola il volo,
In questi accenti prorompea:
— Trionfa.
O incontrastato vincitor di larve,
Non men risibil dell’eroe perenne
235D’otri nemico e di mulini! È questa
La tua vantata libertà di spirto?
La tua redenzion? Questa di tanti
Sforzi la meta? E liberar le genti
Di una gran Larva dovevam per farle
240Adoratrici di più vana cosa?
Incedi pettoruto e l’imperiale
Coda del manto dietro te trascina,
Mentre le file dei plaudenti schiavi
Inarcano le docili agl’inchini
245Vertebri e fanno sul tremante petto
Croce le braccia, come un dì le schiere
Dei chèrubi e dei santi al cuspidato
Padre eterno solean! Trionfa ancora,
Facile vincitor di donnicciuole,
250Se pur la fama che ti diè di tanto
Seduttor rinomanza assurda figlia
Non fu d’invisa alle celesti suore
Mente mortal!1 Ma verrà dì (presaga
Mi si agita nel cor la visïone)
255Verrà dì che dal tuo scanno usurpato
Ti lancerà pel vuoto aëre un nume
Più possente di te, l’almo, il tremendo,
Il glorioso, ineluttabil Nulla! —
Tacque ciò detto e tremolavan gli occhi
260Di amarissime stille e tutte assorte
Nel remoto futuro eran le posse
Di quell’anima torva.
Entro la reggia
Di Lucifero intanto al gran banchetto
I celesti sedean. Fumanti dapi
265Dalle fonde cucine ad ora ad ora
Recavano i minor demoni, e fiumi
Versavan altri di spumanti vini
Entro i calici d’oro. Era un tumulto,
Un’orgia indescrivibile; e le mura
270Ne tremavano e i tetti. Alfin dall’alto
Del suo trono divin (quel che fu un giorno,
O semitica Larva, il tuo sgabello)
Lucifero fè cenno, e l’ampia sala
(Ampia così che armato occhio non giunge
275Lo spazio a misurarne) in trepidante
Silenzio si ridusse. Egli i superbi
Girò sguardi di sol sulla stipata
Gente, e rivolto al suo cantor che a destra,
A piè del trono gli sedea,
— C’intuona,
280Disse, qualcuno dei tuoi canti. —
Plauso
Fe allor la turba degli spirti al divo,
Solenne invito, e sui rizzati scanni
Con avida premura si compose.
Assunto era da secoli alle stelle
285Il cantor di Lucifero e il sonante
Verso mescea talvolta all’infinita
Armonia delle cose, unico inganno
Della incresciosa, irremissibil noia
Ond’era afflitto il suo Signor. La fronte
290Rizzò con fiero atteggiamento e gli ampi
Occhi fissando per l’immenso vano,
Accarezzò con man dotta la chioma
Nero-fluente pel suo cigneo collo,
Più volte delle sue dita gentili
295Pettin facendo alle invadenti ciocche,
Indi argine l’orecchio. Tormentosa
Correa la destra intanto all’arcuato
Onor del labbro e le affilate punte
Ne attorcigliava con solenne gesto.
300Poi come al varco delle labbra imposti
Furon gli estremi delle dita e il breve
Triplice scoppio di sua tosse uscì,
Dal picciol petto che il febeo consunse
Terribil foco gorgogliante l’onda
305Dell’epico suo carme si devolse.
E cantò come dai profondi abissi,
Alle vampe sfuggito ed al bitume,
Levasse il pellegrin volo alla vetta
Del Caucaso l’Eroe, fremente l’alma
310Di umanitario amor, lieta giurando
Vendetta all’uomo dei patiti oltraggi:
E come di lassù, auspice l’antico
Crocifisso di Giove, all’alta impresa
Movesse e come ne tremasse il cielo
315Presago omai di sua rovina.2 Oh sante
Aure di Tempe, ove l’eroe concesse
Al fren d’Amore il suo libero spirto,
Volente sottomesso, e in braccio ad Ebe
I primi assaporò palpiti arcani
320Della creta novella!3 Oh tempestosi
Gorghi, ove fiero del pietoso pondo
Della bella Isolina in aspra lotta
Lucifero sen stiè di contro al fato,
E fu maggior del fato e di sè stesso!4
325Oh terribile strazio, allor che tutta
La teutonia gente i memorandi
Oltraggi di Torgravia e di Rosbacco
Vendicò sul gentil suolo di Francia;
E fer più allegra la vendetta il diro
330Incendio, e la Licenza attorta il crine
D’aspidi sozzi, e la fraterna strage
Gavazzante in Lutezia!5 Inorridito
Sen fugge il canto dell’Eroe sull’orme,
335Che le tue salutando infami sponde
Pei roghi antichi e pel recente sangue,
O giallo Manzanar, creduto al dorso
Dell’ignifero pin, vola anelante
Del vergin mondo di Colombo ai lidi.
340Fior fior del labbro si dipinse agli almi
Celesti un riso quando udir l’arguta
Disputa dell’Eroe col darviniano
Pratoplaste dell’uomo, e palma a palma
Picchiar per tanto di febea potenza
345Nitor che vide impallidir gli allori
Dell’Alighieri e del Cantor d’Orlando.6
Poi gelido per gli arti il terror corse
Alla diva assemblea quando, maggiori
Cose toccando, lor dipinse il verso
350Del giaguaro la lotta e dell’Eroe;
Tremenda lotta, che per l’ampia selva
Attonite già fè le testimoni
Arbori gigantesche e sordi gli echi!
E quando stretta colla bronzea destra
355L’aperta canna della belva, al core
Tutta chiamando la riposta rabbia,
Il favoloso Eroe nel cieco abisso
Come lapillo la gettò rugghiando,
Furor novello d’incessanti applausi
360Risuonò da ogni banda: così suole
Per le elvetiche rupi inviolate
Ratto scoppiar delle valanghe il tuono.7
Ma a Te non meno che all’Eroe saliva
Il plauso, a Te, che in non mai tocche sponde
365Dell’epico universo il piè posasti;
E immensi schiusi continenti all’Arte,
Altra corona non chiedesti al cielo
Fuor che la fronda dall’industre e pia
Man dell’amore al capo tuo contesta.
370Ben oltre il mezzo di suo corso spinto
Già dell’umida Notte erasi il carro,
Eocciduo volgevasi degli astri
Il seguace splendor; quando la selva
Lasciando Belzebù, cauto per muti
375Ravvolgimenti torse il piè. Sul fronte
Sinistro gli ghignava il maledetto
Pensier del tradimento, e dalle nari
Il feroce soffiava alito e il puzzo
Che del pravo suo cor rendeano imago.
380Così protetto dal notturno orrore
La cieca soglia penetrò del Nulla.
Fine del Canto I.