Gynevera de le clare donne/24. De Catherina Beata da Bologna
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24. De Catherina Beata da Bologna
Non possendo duncha noi abstenere de dare de sanctità illustratione al nostro Gynevero, intendiamo far memoria de una donna facta a li nostri giorni per voluntà de Dio nostra citadina; la quale per observantia, per humiltà, per pietate, per oratione, per optimi exempli, et per forteza hebbe contra le diabolice bataglie, in l’ordine de sancta Clara del corpo de Christo s’è facta in terra et in cielo beata et sancta. Al quale sacrato luoco la mia excelsa madonna fia de amore et de affinità devotamente coniuncta, per havere lei una sua vergene et dilecta figliuola, nominata Camilla, in quello renclusa; et specialmente perchè da la beata donna fu caramente amata, come dimostrava quando per divoto piacere visitava dentro el monastero cum apostolica licentia; che cum ineffabile charytà et dolceza la recoglieva, pigliandoli cum le mane il suo bel volto et dicendoli: «Sia la ben venuta, la mia colombina;» che così per la venustà et biancheza del viso, cum la purità del core et etate giovenile la chiamava. Et poi, per spiritualmente cum carytà honorarla, se facea portare una sua honesta, et indosso glie la poneva cum affabilità sancta, dicendo: «Oh quanto sta bene la mia colombina!»
Dobiamo dunque sapere che questa donna, secundo se disse, nacque in quel giorno che fece la Regina di cieli: et fu Chatarina nominata, figliuola de Zoanne di Vigri da Ferrara, homo litterato et de egregi costumi; per le cui virtute fu tenuto sempre in officii. Et la matre fu nostra Bolognexe, donna honestissima et de honesti parenti, la quale ebbe nome Benvenuta, et meritamente instituita de tal nome, perchè è stata la benvenuta al mondo, havendo parturito tanto fructo in sancto honore de la nostre citate in la quale nacque, alevata et nutrita, secundo de sua propria mano se scrivea, dicendo: «Catherina poverella Bolognexe, in Bologna acquistata nata et elevata, et in Ferrara da Cristo sposata.» Non fu bella di corpo nè de viso, ma hebbe bel modo et occhii venusti. Quando nacque, il patre era a Padua, cità edificata dal troiano Antenore: et ivi li fu nuntiato l’avuta figliuola. La nocte avanti li venne in visione per la gloriosa Vergene esserli nata una figliuola, la quale sarebbe uno lume al mondo. Quando ella fu discaricata del materno ventre, non pianse, come fano gli altri parturiti figliuoli; et stette tri giorni che non se cibò de lacte nè de altra substantia, se non de iocundità, se crede, celeste, che furono signi de futura sanctità de lei. Poi che fu alevata, cum la matre ad Ferrara per paterna voluntà se redusse, dove questa Catherina, per il maggior tempo che stette al mondo, visse in compagnia de la nobilissima Margarita figliuola de Nicolao illustre Marchexe estense, et cum le figliuole del generoso Cagnatino.Venuta che fu poi in la aetate de anni circa xiii, inspirata da Dio de secuire a l’alta maiestà de lui virginalmente, per salute de la sua anima, in lo monastero del corpo de Cristo se rencluse, là dove professa in tanta religione se fece; et in sì giovenile aetate, et cum tanta gratia de le altre religiose donne, che era una beatitudine et maiestà a le reguardante lei. Per modo che essa fu felice causa de fondare quello monastero di Ferrara cum titolo apostolico de sancta Clara del corpo de Cristo, che prima non era. Essa dunque per servire a Dio solo integralmente, se armò il core, l’anima, la mente et lo intellecto de nobilissime virtute et conditione.
Prima hebbe in habominatione tute le cose e cure del mondo, lassando tutti li piaceri et dilecti de quello, et la memoria de li parenti et amici. Tollerò ferventemente ogni iniuria et mortificatione, et tutti li dispiaceri desiderò amare, seguendo la via de la inamorata croce. Extirpò tutti li vitii arti, modi et costumi mondani; rafrenò la propria voluntà; mortificò tuti li corporei sentimenti, sottoponendo la carne a lo spirito, et obtemperando per intiera victoria a la conscientia in ogni cosa. Hebbe compassione a la cechità de li peccatori, per li quali sempre orava Dio li concedesse el dono de la bona voluntate; et portò tanta carità al genu humano, che per la cui salute pregò Dio che solamente lei damnasse perpetuamente in la più profonda parte de lo inferno. Fu sempre occupata in la mente de bone meditatione.
Quando era insieme cum l’altre monache in li exercitii muliebri, in li quali era prestantemente scientifica et perita, sempre parlava de cose divine; et quando dimorava scilente, meaitava de le cose del cielo, per modo che le sorelle la vedeano hor letificare nel volto, et hor nebulare, secundo li effecti de la meditatione. Fu sempre alegra et iocunda in tutte le cose, ma cum modestia et religione; perchè, chi vole possedere diuturna serenità mentale, non contradica a la coscientia, perchè haverà sempre pace avanti Dio et a li homini del mondo. Non mancò mai de confidentia in Dio, nè mai dubitò de la sua divina clementia.
Humiliosse continuamente sotto li occorrenti flagelli, et quilli cum pace mentale sostenea, a ciò potesse in loro Cristo trovare. Fu de tanta humilità nel core et ne li accidenti exteriori, che sempre più presto ignorante che sapiente se mostrava. Che non facea lei come fate voi, o donne de fortuna, che per elatione sieti sì inprudente, che non estimate la virtute et consigli altrui.
Costei hebbe sempre, come effecto del vero amante de Dio, timore non far cosa, che a la sua maiestà dispiacesse, nè ancora contra a la salute del proximo fusse. Così desiderò sempre adherirse in ogni cosa al divino volere. Hebbe de la perfectione felice cognoscimento.
In lo amore de Dio fu tanto unita, che come neve al sole liquefare si sentiva, dicendo, che per gratia et disio essere dal corpo disolta, et essere cum lui. Et havendo sublimata la mente de tutte le cose a Dio ribelle, hebbe iocundità potere dire: «Colui, il quale me ha creata, repossa in lo tabernaculo mio.» Sempre dette opera flagrantemente laudare et magnificare l’alto Dio, dal quale tutti li beni preocedeno. Tutte le benigne et meliflue parole se audivano da lei, et a qualche proposito alegava alcuna volta versi morali de sanctità, da lei composti cum sententie de la sacra Scriptura, come de quella fusse stata familiare per doctrina.
Spesso spesso li rigava le guangie de lachryme per la dolce et devota contemplatione sua in lo benigno Dio. Piangea più presto per amore divino che per dolore. Se vedeano in lei sancti exempli, cum grande luce de andare al cielo. Le mane sue erano singularmente virtuose in tagliare, in cucire, in scrivere et in aminiare de vari colori, et de auro et de argento. De sua propria mano scripse uno breviario de bone lettere et aminiòlo cum figure de Cristo et de la gloriosa Vergene. Li suoi abiti religiosi furono sempre de vili panni, et sciochamente vestiti, per fugire il piacere de la pompa et de l’ornamento de quilli; excepto quando pigliava el sacratissimo corpo di Christo se poliva de li suoi panni, perché dicea che così come se andava polito de l’anima a tanto cibo, così andare se volea de li habiti.
Sempre per humiltà et subiectione ardea fare le più vile necessità et occorentie del Monastero. Famulava le sorelle in sanctitate et ne la egrotatione, cum carità tale che fin li lechava le puzulente piaghe per accidente a loro venute; et ad una più volte lechò la tigna per sanarla. Fu a la obidentia tanto prona et tanto dedita, che più non si potea desiderare. Cun ciò sia che essendoli per li suoi superiori già comandato per obidentia, nel principio de la sua conversione, se dovesse spogliare, et denudata andasse ad casa de la matre, et denudata retornasse, subito incominciò spogliarse; ma veduta la sua obidentia fu per honestà retenuta, ancora li fusse la grata in megio, che presente non se potea vedere. Ma fu poi a lei comandato che saltasse nel megio de certo foco disvelato, nel quale cum lieta faza saltò, ma subito de quello fu retratta. Et in molte altre cose de obedientia fu probata, per la quale meritò cum molta laude stare ne la religione.
A lei fu decto da una de le sorelle, per compassione havea a le sue fatiche, o forsi mossa da inprudente consiglio, che tanto non se afaticasse, perchè parea la ancilla de tutte; lei respose cum iocundo volto: «Io sono bene ancilla et schiava de le mie madonne spose de Jesù Christo; questa fia la mia gloria et il mio riposso afaticarme per ciascuna, a ciò non mangi el pane del dolore, et non beva el sangue de poveri homini, et lo sangue de l’agnelo non sia el mio iudicio.»
Pigliando lei ancora nel principio de la sua conversione melifluo cibo de la oratione, et de quella consequendone celeste fructo, lo inimico incominciò darli bataglia de le temptationi: perchè prima lei se potea gloriare, che Dio li havea tanta gratia concessa et alteza de virtute, che era stata invictissima de temptatione. Di che lui li apparve in forma de crucifisso: per la qual cosa fu stimulata partirse del suo sancto luoco, et andare in loco diserto et solitario, per conoscere ben Dio; ma pur lei, armata de divine virtute, pregò Dio li ponesse in core quello havesse a fare. Così fu inspirata nel suo luoco remanere.
Una altra volta lo inimico li aparve in forma de Cristo et de la gloriosa Matre Vergene Maria, perchè di se prosumisse. Pur Dio non la abandonava, et alcuna volta la consolava, facendoli gustare de la propria felicità del paradiso, per modo che ogni suo spirito de dolceza destilava.
Se dette tanto una volta a la oratione, che perse le corporee force et quasi il sentimento, et per la lassitudine uno giorno in la cella apogiata a l’asse se pose et adormentossi; et nel somno li aparve il divo antista Thomase de Conturbia, pontificiamente parato, dimostrandoli, come doppo lo orare se dovea pigliare riposso, et poi a la oratione tornare, come lui facea; et come li hebbe insegnato, se adheritte a lei, porgendoli la mano. In questo ella svigliandose aperse gli occhii et baciòli propriamente la sancta mano; et poi sparve, lassando la svigliata donna piena de divino conforto. Lei pur frequentissima il giorno et la nocte in orare, confortava le sorelle cum egregia doctrina per lo immenso fructo de la oratione, che a quella tutte se donasseno, dicendoli che la oratione volea septe conditione in se: la prima, vivere cum mondicia mentale et corporea; la secunda, efficacia de la intentione, zoé continuare indeficientemente, cercare sempre cum desiderio l’honore de Dio in tutte le cose, infine al disprecio di se istessa; la terza, efficacia de perseverantia, obliarse li beni adoperati, et sempre novi beni incominciare; la quarta, humiltà de conditione, degna non solo de le proprie colpe, ma ancora de quelle de tutti li peccaturi, affectando intimamente al summo Creatore, per loro potere satisfare; la quinta, defidentia, non se fidare de si istessa, nè del proprio parere, habiente suspecto ogni sua opera, quantuncha bona, perchè è summa pacìa vanagloriarsi; a perfectione non se viene cum vera fermeza, se non per il portare de la penosa croce; la sexta condictione, divina confidentia, confidarse in Dio, sapendo che la sua bontate non può abandonare chi in essa spera et confida; septima et ultima conditione, divina presentia zoé che l’anima fia adornata de le decte conditione, essa è facta degna de la presentia divina, in tal modo, che a tutti li momenti può levare la mente senza alcuno megio in Dio. Ma chi a questo glorioso stato è salito, sempre stia basso et humile, a ciò de grande alteza non cada.
Questa beata donna, infra le molte bataglie havute cum lo inimico infernale, de le temptatione, al matutino li fu porto nel core ina dolceza de uno parlamento dimostrativo, quanto Dio havea illustrato l’homo et la donna, del libero arbitrio de potere fare bene et male; et come, facendo bene, Dio quasi per iustitia lo coronava: et che lo apostolo Paulo per questa cagione dicea a si essere de la iustitia reposta la corona, perché havea in bene el libero arbitrio exercitato, lassando il male che havea in libertà de adoperare. Ultimamente lei de tante diabolice bataglie remase vincitrice, et più temptatione alcuna non temea: come lei disse, che quando venisse a la morte, schernirebbe et beffarebbe el diavolo.
Questa excellentissima et beata donna fu de una divina gloria et gaudio immenso sopra ogni altro perillustrata. Che, una nocte de la natività del celeste Principe, lei, cum licentia de la sua matre abbatessa, se redusse per sua devotione tutta quella nocte di morare in chiesia per dire mille ave marie, oratione angelica; quanto ne hebbe decte alquante, a la quarta hora, in la quale se existima che ’l Verbo de Dio nascesse, li aparve visibilmente la gloriosa Vergene Maria, imperatrice de li cieli, cum el suo proprio figliuolo Jesù Christo in brazo, et dettelo in le bracie de la sancta donna, il quale palpò, osculò, et similmente la Vergene Matre.
Se questo a lei fu gaudio, se debbe credere fusse infinito et senza comparatione: perchè, pur scrivendolo, io sono de dolceza et suavità venuto meno, bagnando il papyrro de devote lachryme, che questa sopra ogni altra gloriosa donna fusse dignificata de tanta gratia.
Per il suo orare pervenne in tanta altezza et divinale excellentia, che hebbe a masticare quello che ’l cielo non piglia. Li fu dimostrato in che modo può essere Dio et homo in l’hostia sacrata. Li fu dimostrato ancora tutto il mistero de la Trinità, et in che modo incarnò Dio nel virginale ventre de Maria. Fu ancora per la sua oratione sublevata, stando in piedi ne la chiesia ad audire li proprii angeli cantare et sonare, senza essere veduta da le sorelle.
Meritò due volte vedere el seraphico Francesco, come apare per scripto de la mano de lei nel suo breviario, chiamandone testimonio Dio a tanta veritate.
Meritò lei in le sue oratione acquistare l’anime errante da la via de andare al cielo, prometendo ad una dimorare per lei in purgatorio, fin a l’ultimo del finale iudicio; et altri che erano al tutto de la misericordia de Dio disperati, chiamando lo inimico in loro aiuto, per le oratione de lei furono salvati et posti in salute.
Per le sue oratione anchora vide cum li proprii occhii in modo de fummo partire lo inimico, che aveva inducto una anima partita da lo ovile.
Lei ancora ne fece per la illustre Margarita, figlia del principe Nicolao Estense, consorte fu del beato Roberto Malatesta, la quale era de singular dolore ocupata: perchè era per parole de futuro disponsata ad uno altro, et lei non pativa più congiungersi, essendo stata donna de quel sancto. Di che da Dio consequite gratia che l’ordinata matina che questa donna dovea andare a le secunde nuptie, li venne novella essere morto il marito, et lei la nocte vide ad sè venire el beato Roberto, il quale la sposava, dicendo: «Sapiate, Margarita, che io sono el vostro sposo et così ve sposo, et non voglio che altro marito habiate.» Et così lei, bene conscentiente, in viduitate devotamente visse.
Meritò ancora vedere questa beata Catherina per il suo orare per la cità nostra de Bologna, vexata alhora da bellici accidenti, per voluntà de Philippo Maria duca de Millano, al tempo che ’l magnifico Hanibal Bentivoglio, nostro fidelissimo citadino, cum le spale del nostro a lui affectionato populo, ruppe il conte Alivise dal Verme cum el suo florente exercito, capitaneo del prefato duca. La quale clade, come fu proprio, predisse questa beata Catherina, come spirito prophetico, quanti fusse stata Eritea, sopra l’altre notabile Sybilla; la quale fu de tanta forza de ingegno, de devotione et oratione et virginità et merito nel conspecto de Dio, che non solamente predisse la prosperità de’ Greci et le adversità de le loro bataglie et la destructione de’ Troyani et de lo Imperio de’ Romani et di loro varii casi, ma predisse la incarnatione del Verbo divino et tutti li facti de Cristo, il nascimento et la vita fin a la passione, et il glorioso triumpho de la resurectione cum lo suo ascendere in cielo, et lo advenimento ne lo extremo iudicio.
Ancora orando per la cità de Constantinopoli, la quale intendea essere obsessa da li infidelli, vide per lo spirito sancto la destructione de essa cità et de quella Othamon grande Turco habiuta la entrata, a ciò più lei non se affligesse a la oratione.
Per oratione meritò vedere l’anima de la sua propria sorella monacha in la aeterna vita colocata.
Meritò per oratione vedere l’anima de Zoanne, beato antista de Ferrara, ascendere in cielo in l’hora de la terza a modo de radiante stella, et chiamò una sore, et disse lietamente: «Vedeti, vedeti, l’anima de lo episcopo ascendere in cielo!»
Per oratione meritò trovarse a la canonizatione de sancto Bernardino, et a lui in quella solemnitate adimandò l’anima del suo fratello, volta in mala via, che la bona sequisse, et fu exaudita.
In le sue oratione meritò che da la propria bocha de Dio dovesse acceptare lo officio abatessale del monastero de Bologna. Di che el diavolo disse lei avere veduto più volte visibilmente fare suo forcio per gettarlo a terra et disfare il suo nome. Ma lei non el temeva per la forza de le sue oratione; per modo li diavioli incominciarono havere di lei spavento, et andavano ululando et rugiendo, come ca rabiati, per non poterli nocere.
In questa sanctità vivendo, le monache terminarono pigliare dui monasteri, uno in la cità nostra de Bologna, l’altro in la cità de Cremona; et in uno de quisti tractando mandare questa beata donna per abatessa, lei in suo core disse mai acceptarebbe tale prelatione, se non intendesse la voluntà de Dio; perchè desiderava sopra ogni altra cosa vivere subbietta et de l’altre serva, per il che Cagnola se chiamava. Cun ciò fusse che, quando le monache in Ferrara ne li primi anni se incarcerarono, li venne apostolico breve, che dovesseno ellegere de loro una abbatessa, et ligerono questa beata Catherina; la quale, come lo intese, se occupò de tanto dolore et pianto, che ne fu per morire, per modo che tutto il monastero cum grandissima devotione in lei fu provocato a lacrhymare. Ultimamente essa fu constituita dovesse venire nel monastero de Bologna abatessa: che la mente divina glielo disse. Et quando per li nostri citadini fu adimandata a la monacha Leonarda, reverenda abatissa de Ferrara, li fusse dato sufficiente donna per abatessa, respose:«Io ve voglio dare proprio una secunda sancta Clara.» Et ben disse el vero, perchè questa beata Catherina era tanto coltrice del nome de Cristo Jesù, che credo l’havesse scolpito nel proprio core. Così per li venerandi patri bolognesi, observanti del seraphico Francesco, frate Francesco Tintore vicario generale, frate Jacopo Primadizo et frate Cabrielle da Bologna, intendendo da lei esser nata et alevata a Bologna, li inposeno per obedientia essa se dovesse chiamare da Bologna, et così sempre fece. Di che fu adimpito la visione che hebbe, quando a lei fu mostrato nel cielo due sedie, le quale adimandate da lei di chi erano, a lei fu risposto che la magiore de quelle sarebbe de sore Catherina da Bologna.
Quando la sancta donna fu conclusa abatessa, era gravemente inferma, per modo se convenne portare in barra et colocarla in caretta, fin a la nave. Era tanto gravata, che a quelle sorelle che veneno seco fu dato una candella benedecta per signarla, dubitando de qualche mortal accidente. Ma per divina gratia come fu posta sopra la caretta, rehebbe tutte le perdute forze, et giunta a la nave, lieta se aconciò in quella et stetili senza pena quanto altra li fusse; et cossì gagliardamente ad Bologna giunse ne l’ordinato monastero, dove per tri giorni cum spirituale letitia et carità fu visitata da numerosi nostri citadini, li quali summamente la laudarono de costumi reverendi, de parole facunde et de ingegno prestante, che mai fu veduto tanta cosa, respondere cum sanctiloquio hor a questo, hor a quello visitante.
Or lei per le continue oratione a Dio, che li desse gratia, potesse ad sua laude et gloria ampliare de habitatione el monastero, et alhora era picolo et vile, et cum moltiplicatione de le sue serve, di che molte donne intrandoli, incominciò esserli usate munificentie de pietre, de calcina, de ligname et de ogni altra cosa opportuna, per modo d’alhora in qua se è ampliato cum tal spirituale magnificentia et grandeza, che se crede Italia non habia il simigliante che per il circuito de l’alte mura pare una grande citate murata.
Se forzava per ingentissima carità questa donna durare ogni fatica, a ciò che le monache che erano alhora, et quelle haveano ad venire, potesseno senza affanni ben servire a Dio.
In queste fatiche, a lei gratiose, de carità piene, diuturnamente havendo durate, se infirmò gravemente (ancora che, multi anni fusseno, havesse habiuto molti morbi de morene, cum molte effusione de sangue) de passione de pecto, doglia de capo et di febre. Et lei, sapendo per inspiratione divina essere venuta la sua fine, se fece pore sopra uno lecto in mezo la stanza, a ciò che tutte la audissero, et disse a loro che poco havea a stare seco, perchè de quella infermità convenìa morire; et incominciòle ad confortare et exortare a la unione et a la pace, cum tanta dolceza et carità, che scrivere non lo potrei; et essendo essa torchiata dal male, incominciò combattere cum li missi de la morte. Per il che le sorelle tutte furono ripiene de pianto et de dolore, per la perdita de tanta matre, che era el loro conforto et gaudio; la quale perdita non potendo li loro dolorati cori tollerare, forzarono Dio cum le loro fervente oratione, che per quella volta non la volesse a sè chiamare. Et in quello combatimento de la morte fu rapito il suo spirito, et menato in uno prato de meravigliosa beleza et de tanta felicità, quanto dire et pensare se possa. Nel mezo del quale era l’alto Principe in maiestate a sedere sopra una sedia de miranda beleza, che li pomi havea: uno era il martire Laurentio et l’altro Vicentio, cum molti angeli intorno et lato la sua maiestà; a la dextra mano era la sua dilecta Genetrice, che ad vedere era mirabilissima dignità et excellentia; et avanti a la divina maiestà del Principe era uno sonante una violetta. Il suono de le corde risonavano queste parole:et gloria eius in te videbitur; et mai altro suono, verso et canto mutò che questo. Et il grande Iddio distese il bracio dritto et prese lei, dicendoli:«Figliuola intendi bene quello che risona questo suono:et gloria eius in te videbitur.» Ma non sapendo che dire nè ardire ad respondere a tanta maiestate, Dio ordinatamente ogni cosa aperse a lei et dimostròli, come non dovea de quella infirmità morire; et come li hebbe questo decto, sparve. Et lei subito fu megliorata molto, et cum molta jocundità; et iubilò per molti mesi de tanta beata visione, repetendo: et gloria eius in te videbitur; per il che fu opportuno che le sorelle per obidentia li trovasseno una violetta; la quale habiuta, sonò lei più volte, et cum incomperabile dolceza cantava: et gloria eius in te videbitur. Et a le volte stava come muta, cum la faza verso cielo, che ricordare facea la sancta lira del divo re Davit. Le sorelle, vedendo questa armonia, stavano admirande, non cignoscendo la perfectione de la sancta donna; piangevano pur ancora perchè stava male; et lei dicea:«Non piangeti, che ancora starò cum voi; che Dio perdoni a chi n’è stato casone.» Et così levandosi de lecto et non senza grave male, andò per il monastero quasi uno anno, che mai fece lamento, cum la magiore pacientia del mondo.
Lavorava cum l’altre sorelle, parlando a loro cum amonitione et documenti de cose dulcissime, perchè la bocha sua era piena de spirito sancto.
Uno venerdì avanti il transito suo, pervenendo a la sua fine, adimandò tutte le sorelle, et per spatio de tre hore havendo parlato de l’alte virtute de la oratione, cum illusri documenti et exempli, disse in questa forma: Sorelle dilecte in Cristo et cordiale mie figliuole, non ve sia penoso il mio longo dire, perchè spero questo sia l’ultimo capitulo che farò a le vostre carità; io non ò a stare più con voi, et in breve vedereti la mia fine. Fate, dolce le mie figliuole, ve amate tutte in carità, supportando li deffecti l’una de l’altra. Voi seti tutte le mie figliuole et seti membre de uno capo, zoè Christo. Non ve scandalezati legiermenti, ma comportative l’una l’altra, et fati che habiate in memoria le mie parole, et maximamente quando sareti temptate. Recordative la vita mia, quale è passata sempre cum varia infirmità et afflictione. La mia fine è venuta et vadomene alegramente: et sempre me è stato gaudio a patire per Christo. Io ve lasso la pace mia. Donovi la pace mia. Amative l’una l’altra. Et molte altre cose disse, ma loro non la intenderono, credo fusse divina voluntà; perchè se loro l’avessero intesa, certo l’haverebbeno cum baci et abraciamenti mangiata, per il smisurato amore li portavano.
Finito questo capitulo, et il sabato et la domenica stette seco cum molta consolatione. La domenica sera, poi che lei hebbe cenato cum le sue sorelle et figliuole, se pose nel lecto et più non se levò, infirma di febre et de li altri suoi soliti morbi, che gli erano per uno martirio a parte a parte xxviii anni durati; poi el martedì de l’altra septimana disse a le sorelle mandasseno per il confessore, quale venuto stette assai cum lei. Venuto il giorno del mercuri, ad ore xxiiii, disse remandasseno presto per il confessore, et che paresseno de pore el corpo de Christo, et de dare la extrema untione; et che da li piedi li fusse uno crocifixo posto et che portasseno l’acqua sancta et candele benedecte.
Le sorelle, questo intendendo, tutte se smarirono, imperhò che alcuno segno in lei non vedeano da morire; et incominciòli in questa forma brevemente a parlare per suo testamento, che fu a li nove giorni de marzo, in li anni de la salute Mcccclxiij. Io vado; et più non sarò cum voi presente altrimente. Io vi salso la pace, la quale sopra tutto vi recomando. Recomandovi la vicaria, la quale sempre a mi è stata bona et fidele figliuola. Pregovi che la mia genitrice ve sia recomandata. Recomandove le novice, le presente et le future. Guardative bene tutte, che mai veruna cerchi, nè tratti, nè dentro nè fuori, che niuna sia mandata altrove et che alcuna ce ne venga. Et chi questo cercasse, io ne dimandarò vendecta al divino iudicio, et pregarò Dio che la castighi. Voi seti tutte donne, et non fanzulette. Non cercati altro. Amative insieme de cordiale amore. Chi questo farà, serano mie figliuole, et pregarò per loro che siano consolate; et meglio vi farò ne l’altra vita, che in questa non facio. Consolative duncha tutte, figliuole mie, che questo si è lo mio testamento.
Le sorelle alhora, per li loro pietosi cori in tanta matre, incominciarono a piangere tutte et suspirare et condolersi per sì subita et volante partita da loro; cun ciò fusse che in quilli pochi giorni stette nel lecto, visse tutta iocunda, facendosi spesso cantare quella laude:
Anima benedecta
da l’alto Creatore,
resguarda el tuo Signore
conficto, che ’l te aspecta.
Et la sera ancora se havea facto questa medesima laude cantare, et lei cum loro ancora havea cantato; et tutte sbigotite erano, quasi fuori de l’usato sentimento. Lei cum l’occhio de la pietate a loro se volse, et disse: «Fate, figliuole mie, che ve amate insieme; io ve lasso la pace mia». Et confortolle che non dovesseno piangere, che chi piangesse non sarebbeno sue figliuole. Et disse, per inspiratione de spirito sancto, a le donne rotare, che ivi flebile erano cum l’altre sorelle, che presto presto andasseno a la porta che ’l patre confessore era venuto e che a la porta pulsava. Et così andarono, et trovarono essere come essa dicea.
Questo patre confessore entrato dentro et venuto a lei (che parea impossibile fusse venuto per discorso humano al tempo che fu adimandato, ma fu volere divino, et che ella sapesse che a la porta lui fusse giunto), la gravata donna a lui parlò francamente et confessosse, come non havesse havuto male alcuno. Et volendola comunicare et non trovando in lo libro le opportune parole a dire a tanto sacramento, e volgendo et rivolgendo le carthe, lei disse per intelecto de spirito sancto: «Patre, reguardate nel megio del libro, che le trovareti.» Et così fece, et subito l’hebbe trovate. Et cum grandissima sanctità ella prese el corpo de Christo; et guardando tutte le monache, disse: «Figliole et sorelle mie, a tutte dimando perdono de ogni pena et scandolo che dato ve havesse; et pregate Dio per me.» Et lucidandose ne la faza alciò gli occhii in loro, et poi declinandoli li chiuse; et tre fiate dicendo: «Jesù, Jesù, Jesù» spirò la felice anima al suo factore, come uno picolo et dolce suspiro, havendo de sua ettate anni cinquanta.
In questa sua sancta fine se fece beffe de la apparitione del diavolo, come decto havea dopo le victorie havea de lui habiute, facendoli tre volte del muso.
Era, morta, più bella assai che quando vivea: che certo parea una polcella de quindici anni che dormisse. Del corpo morto, benchè fosse uncto et impiastrato de cose fetente, ne ussiva suave odore, quale fin al presente giorno dura in dolce memoria de tanta donna.
Li pianti, li gridi et li lamenti si levarono infra le monache, sì et in tal modo, che tutto lo monastero de dolorosi pianti, suspiri et singulti ribombava. Et furono de quelle, che per il grande merore cadeno in terra tramortite, per modo chiamarono subito li physici per revocarli li smariti spiriti, et li confessori ancora chiamarono per confessarle. Et or questa, or quella per pietate se abrazavano, dicendo cum flebile voce: «Oimè, infelice noi, chi sarà più li nostri conforti! Ogni bene abbiamo perduto! Oh benigno Dio, habii de noi pietate!» Così, cum quisti amari cordogli portarono il corpo in la ecclesia per fare lo exsequio: et come fu avanti al sacramento, fu veduto tutto il volto morto fare nova jubilatione. Ma le tribulate donne non curavano, per essere tutte occupate de amaritudine et angosioso pianto; et abraciandola, et bacìandoli infinite volte il viso, le mane et li piedi, perchè diceano havere perduto ogni suo bene, pace, conforto, gaudio et unica gloria del suo monastero; che mai credo in simile grege fusse magiori lamenti, stridi et pianti. Et così cum lachrimabile exequio la portarono in la fossa. Ma a quelle che la seppellivano, dolendoli per pietate, che quel viso, il quale in vita a loro fu spechio de consolatione et sanctità, che similmente morto dimostrava, fusse da la terra comprimuto, li poseno uno panicelo sopra, et poi una asse non polita, che sopra il corpo stava alta uno palmo, et poi la coprirono della terra,
La fossa, per chi passava, sentiva rendere odore; et da alcune sorelle, de giorno et de nocte, andando al matutino, fu veduto certi ragi sopra la fossa lustrare; per la qual cosa judicarono le sorelle lei fusse sancta. Così alcune de loro che erano offese, chi da doglie de capo, chi de schena, et chi de uno accidente et chi de uno altro, andavano a la sepultura de la fossa, et ivi devotamente recomandandose a la gloriosa anima de tanta beata donna, et subito resanavano. Per il che le sorelle, dolendoli che quel corpo dimorasse in la propria terra, che già erano xviii giorni che era sepulta, cum licentia de li suoi superiori patri, deliberarono de trarla de la fossa, et porla in una cassa di legno, et poi ritornarla in terra ne la fossa, che così comandò li patri, non fidandosi bene che lei fusse intieramente sancta, per l’odore usiva de la fossa. Così quatro monache secretamente feceno fare la cassa per porgliela dentro. Ma quando la volseno desepelire, per la invidia de li diavoli se conturbò il tempo de tuoni, de aqua, di tempesta et venti, per modo desepelire non la poteano. Le quatro sorelle deputate a questo officio se ingenochiarono sotto la logia a lato al cimiterio, et fecerono oratione, che Dio quietasse il tempo, aciò la potesseno desepelire; et il tempo quieto se fece. Ma erano tante le tenebre de la nocte, che per niente el luoco dove era sepulta non poteano vedere. Alhora una de queste quatro monache, nominata Iluminata, figliuola de Laurentio Bembi, illustre patricio venitiano, entrò nel cimiterio, et scongiurando il tempo et le tenebre cum la santa croce, pregò Dio, se de sua voluntà era, che ’l corpo de questa donna se desepelisse, ne facesse segno. Facta la oratione, subito il cielo, miraculosamente, quanto continea el cimitero, se fece bello, sereno et adorno de lucente stelle, dimostrandose Phebea bella cum la sua rotondità; et specialmente sopra la propria sepultura parea descendere li ragii de una stella che dimostrasse il luoco, non altrimenti facesse la stella ostenditrice a li orientali principi el luoco, là donde era nato el Salvatore. Così senza impedimento la desipelirono et poneronla in la cassa, per retornarla in la fossa; ma subito la portarono, come forzate, sotto la logia al cimitero propinqua; la quale, cum tutto el monastero, fu repieno de’ magiori odori del mondo. Per la qual cosa tutte le monache, correndo ad vederla, furono piene de celeste consolatione.
Il viso et li panni li netarono, da la terra inquinati; et il naso et tutto il corpo, che era compremuto da l’asse, che li era stata posta sopra, la quale li era calata per il pondo de la terra, li reconciarono cum le dita, et al suo luoco retornò, et similmente il corpo; et usitte del morto naso vivo sangue, come alhora fusse morta. Come l’hebbeno polita et ne la cassa reconcia, quela preseno per portarla per obidentia ne la fossa, come li era da li superiori patri imposto. Ma per voluntà divina, non se advedendo, la portarono come per forza voltate, in la ecclesia, avanti el sacramento. Al quale visibilmente fu veduto da loro questo corpo, per tre volte, aluminandose nel viso, farli reverentia cum expergimento de odore grandissimo. Di che tutte le sorelle incominciarono devotamente a gridare Jesù, Jesù, perchè quello odore li furava il core, li spiriti et l’anima per excellentia, presso la veduta reverentia da loro a Dio. Questo corpo ad hora ad hora se facea più bello, et più iocondo, bianco et colorito, sudandoli la faza. Il sudore era odore solenne, quale a le volte parea colore di sangue.
Questa cosa sentendose per la citate nostra, tutti li notabili homini, cum licentia de Angelo Capranica, cardinale de Sancta Croce, apostolico Legato, andarono per cosa miracolosa ad vedere questo felice corpo. Il prefato Legato, per devotione, volse per lui la bavara, piena de quello odorifero liquore del volto de questa sancta donna. Volse ancora una copia de uno libretto, che se trovò scripto de propria mano de lei, pieno de virtute divine. Quale libretto scripse nel tempo de la sua vita secrettamente, in la sua povera cella de stuore coperta, in li anni de la salute mille cccxxviii, regnante la abatessa Tadea figlia del signore magnifico Giberto Pio de Carpo, consorte già de li Alidosi, principi de Imola. La quale copia esso cardinale mandò a donare ad Isabella regina de Neapoli, le cui virtute infrascriptamente, per moltiplicare bene de ornamento il nostro Gynevero, narraremo. Beata quella monaca, che potea havere de le spoglie, le quale portava la sancta donna, essendo viva. Per septi giorni fu visitato, viduto et palpato questo corpo, che parea pur alhora da l’anima fusse lassato.
Fu da molti iudicato, che per uno corpo sancto giamai fu il più precioso et odorifero veduto, come ancora è iudicato, quando per cosa singular et degna è veduto da homini et donne, da re, principi et signori che passano per quindi, porto seco generale de Italia. Ogni giorno se vede et sente miraculi et gratie da questo corpo, per chi a la sua delicata anima per pietà recorre.
Io non posso ogni virtute al suo loco exprimere, perchè a mi bisognarebbe havere peculiare la facundia et lo artificio de quel nostro principe et singular lume de eloquentia, Marco Tulio Cicerone. Ma noi ce remeteremo per supplimento a la fidele et sancta opera nominata Spechio de Illuminatione, compilata per la illustre religiosa, sore Illuminata antedecta, che Vinetia honora, et al presente matre et abatessa sancta de questo nostro monastero del corpo de Christo (1472). La quale havendo più che altra, in giovanile aetate, lunga familiaritate cum la gloriosa anima de questa beata Catherina, di costumi, gesti, virtute, opere et exempli, cum singular facundia ha scripto, per modo ignoro se Italia habia una altra religiosa donna reclusa de tanta spirituale eloquentia et prestantia de ingegno et sufficientia de guberno, et veramente non oblita de le virtute et documenti de questa sua defonta matre santa. De la quale habiamo facto devota et sincera memoria per le prelibate rasone, et perchè in fra le virtute de l’altre donne el nostro Gynevero habia spirituale contento. Quale certo è tenuto in paradiso recordato da la diva anima de questa sancta donna, come in questa mortal vita, cum carità grande, vocandolo colombina sua, fia sempre recordata.