Gynevera de le clare donne/23. De Ursina Vesconte de li Torelli
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Ursina Vesconte cum sapiente consiglio fu matrimonialmente copulata cum Guido Torello, valoroso conte et signore de alcune delle castella in Parmesana, territorio ducale. Fu donna formosa, quanto altra donna de quelle parte. Quando venne ad marito, le noce se celebrarono cum grande triumpho, liberalità et abondantia, come costume de la nobilissima famiglia de li Torelli, generosi parmesani, che pare per natura sia stata in Italia de grande magnificentia et de grande splendore. Questa donna hebbe andare prestante; il parlare suo fu sempre honesto, ma veloce, et fu virago in molti effecti. Hebbe perhò de l’humano assai; fu liberale donna, virtù che piacque al magnifico marito, per essere conforme a la natura de lui. A le volte lei usò munificentia de arme et de cavali, et già in presentia d’altri, essendo invitata per accidentia, se spogliò de le proprie vestimente per donare a le spose, che li fusseno piaciute le loro maniere. Donava quando poteva auxilio et presidio, per amore de Dio, ad maritare povere donzelle, cum molta gratia; le opere pie ultimamente a lei piaqueno sempre; ogni giorno cum devotione audiva messa; dicea sempre l’officio de la Imperatrice del Paradiso, orava et deiunava quando poteva; pregava Dio che li concedesse gratia, potesse iustamente gratificare li homini suoi cum laude del marito. Li usurari et le femine lasive et lorde, cum gli occhii de la mente non potea vedere. Havea in odio li propri occhii quando vedevano li blastematori de Dio et de sancti, per modo li haverebbe per ultione morduto il core. Fu de colera adusta, ma presto da lei cum assai prudentia se partiva. Fu clemente, come magnanima in perdonare. Fu virtuosa molto et specialmente in quello, che a le donne apertiene in lo artificio de le mane, et in la prudentia de gubernare la casa et la famiglia cum boni exempli, virtù degna et grata a Dio. Sempre se conservò in laudatissimo nome, et in gratia del marito magnifico et de tutti li parenti, amici et subditi suoi; per la qual cosa de felicità in tutta Lombardia illustre se fece.
Essendo infra el Senato Venetiano, regnante el suo duce Francesco Foscari, et infra Philippo Maria duca de Milano grandissima guera, esso Senato Veneziano mandò una strenua armata de Schiavoni per el fiume del Pado, et in le terre del marito de la savia donna sceseno, per potere poi cum novo exercito transcorrere in Parmesana: perchè el marito de la donna era a Milano presso el prefato duca, per fidele consiglio et forteza del ducal stato. Sesa che fu in terra, se pose a campo al castello de Bresello, et quello in pochi giorni l’hebbe. Habiuto che l’hebbe, l’armata andò al castello de Guastalla, posto sopra la ripa del fiume de Pado, il quale castello per la providentia de la donna era stato cum grande celerità munito de ogni cosa opportuna; et incominciòli dare la bataglia et prese li teragli. La qual cosa intendendo la valorosa donna, che era nel castello di Monterexu, lontano dal castello de Guastalla circa dieci miglia, subito fece a se chiamare alquanti homini d’arme et molti altri homini da conto, et disse a loro in questa forma: « Figlioli et fratelli mei, voi sapete che Bresello è perduto et Guastalla è combatuto per modo, chi non lo soccorre presto, pervenirà a le mane de li inimici; cosa che oltra la iactura et perdita de le terre del conte mio marito, darà grandissimo travaglio et disturbo al stato del nostro duca de Milano, per modo sarebbe meglio a noi la morte che la dispiacevole vita. Per il che ho deliberata personalmente, sotto la speranza del vostro aiuto, andare ad soccorrere Guastalla. Pertanto, fratelli mei, pregovi, se amate il conte Guido et il duca Philippo et me, che ardo in la vostra fede et in lo vostro valore, che me vogliate sequire ». Ogni homo, a le virile et affectionate parole de la donna, resposeno essere tutti disposti et parati al suo volere.
Alhora la donna per alegreza fece dare il fuoco ad una bombarda, et facesse armare de coraza, de celata et de guanti, et montò ad cavalo bardato, et disse: « Io non me spogliarò l’arme, nè me coprirò de veli il capo, fin non habia spezato li inimici ». Et non cum mancho alteza de animo et astutia militare andò ad soccorere il combatuto castello, che facesse Semiramis, nobilissima regina de li Asiri, la quale facendose petinare et aconciare il capo de treze, et quello megio interzato, al costume et fogia del paese, li fu nontiato come Babilonia se era dal suo imperio ribellata; presto lassò stare il cominciato ornamento del capo, et quello megio interzato, prese l’arme valorosamente, come perita per longo exercitio in la disciplina militare; et mai non volse finire de interzarsi il capo, fin non hebbe recuperata Babilonia; per la cui gloria, presso li altri suoi gran facti, fu facta de brongio una statua de femina che havea li capelli megi interzati, et megi sparsi et petinati, in la prefata cità de Babilonia.
Or questa valorosa Ursina, essendo montata ad cavalo, et cum la spada in mano, uscitte de Montecirù; et quello lassato munito et cum optimo ordine, a belle squadre da piedi et da cavalo, secundo le gente havea de gl’homini suoi che havea radunati, et cavalcò a l’obsesso castello de Guastalla, li cui teragli già erano perduti, come decto habiamo. Giunta che ivi fu, incominciò cum fiera invasione ad combatere cum l’armata inimica; et quilli de la terra, rinfrancati de animo et de forza, aiutarono la valorosa donna per tal modo, che l’armata fu rota et spezata tutta, et furono morti circa cinquecento Schiavoni; et anchora ne furono morti assai de la gente de la donna, per modo le pietre furono de sangue rubricate. Lei se adoperava come uno imperatore de arme, inanimando li suoi ad ferire li inimici, et fu veduta circa tre volte infra li inimici. Et quasi fu opinione che se inquinasse le proprie mane nel schiavone sangue, perchè de quello era scaturita sopra l’arme, et sopra la curta camura de panno celestre. Per la quale clade recuperò cum sua singular gloria Guastalla, et reaquistò Bersello. Il duca Philippo et il marito, sentendo questa valorosa virtù de la donna, cum tutta la citate de Milano ne feceno singular festa, per modo che ’l prefato duca disse che più perdere non potea, et che per tanta astutia et animo femineo de costei dimostrava non per il sexo, ma più presto la virtù de l’animo generoso essere opportuno a lo imperio.
Questa gloriosa donna hebbe tri figliuoli, dui masculi et una femina. Il primo fu il conte Christopharo et il (secondo il) conte Piero; li quali furono illustri duci de arme in guerre, et in triumphi de giostre et torniamenti, per modo sempre honorarono Italia de militare splendore. La femina hebbe nome Antonia, maritata in lo signore Piero Maria Rosso, che fu homo ne l’arme singulare; la quale fu de tanta alteza de animo per heredità materna, che essendo di poco el conte Francesco Sforza facto duca de Milano, et essendo in Bressana seco il marito in campo, contra lo exercito del Veneto Senato, ella se partì de le soe terre cum molta gente, et entrò dentro da la cità de Parma che in libertà vivea, et fornitte essa citate contra la voluntà populare, et dettila al duca Francesco.
Questa Ursina, donna de magnitudine de animo et de core, non mancò mai de opere degne, cum grande honestate; che così per benigna et sancta fama havesse Semiramis le sue illustre opere adcompagnate da pudicicia, che ancora la sua statua de brongio, non solamente in Babilonia, ma in tutto el mondo sarebbe stato uno idolo de sanctitate et uno simulacro de pudicitia! Et la misera non seppe difensarse da tanta lasivia, che ha inquinata la gloria de la moltitudine de li suoi facti. Che così non ha facto la inclyta Ursina, la quale in la vechieza comendabilmente pervenuta, finite li suoi anni come fidele cristiana, havendo sempre bono conoscimento, come de tanta gratia havea implorato l’alta maiestà divina. Di che, fin a l’ultimo spirito de sua vita, ponendose le mane in croce per venia de’ suoi peccati, invocò el nome de Jesù, che lei non fusse da sua pietà divina derelicta et abandonata. Così existimamo, come questa donna ha lassato in questo seculo di se inclyto nome, così de quello ne debbe iubilare in cielo, come de quello citadina; et non senza angelica relatione de l’ornamento Gynevero, il quale lucidaremo de sancto privillegio, narrando per iuste rasone le divine opere et virtute de la nostra beata Catherina colendissima in vita et in morte al nostro Gynevero, in questa devota propria forma.