Gli sposi promessi/Tomo II/Capitolo XI
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Cap. XI.
Giunti a questo punto della nostra storia, noi ci fermiamo per qualche momento con gioja, come il viaggiatore del deserto1 s’indugia a diletto alla frescura ristoratrice d’una oasis ombrosa, dov’egli2 abbia trovata una sorgente di acqua viva.3 Poiché ci siamo avvenuti in un personaggio,4 la memoria del quale apporta una placida commozione di riverenza, una nuova giocondità anche5 alla mente, che già stia contemplando, e scorrendo fra gli uomini i piú eletti che abbiano lasciato ricordo di sé sulla terra:6 or quanto più7 un po’ di riposo nella considerazione di lui debb’essere giocondo a noi, che da tanto tempo siamo condotti da questa storia per mezzo8 ad una9 rude, stolida, schifosa perversità, dalla quale certamente10 avremmo da lungo tempo11 ritirato lo sguardo, se il desiderio del vero12 non ve lo avesse ´ tenuto a forza intento!13 Federigo Borromeo fu uno degli uomini,14 rarissimi in qualunque tempo,15 i quali adoperarono16 una lunga vita, un ingegno eccellente,17 un animo18 insistente nella ricerca19 di ciò che è pudico, di ciò che è giusto, di ciò che è santo, di ciò che è amabile, di ciò che dà buon nome, di ciò che ha seco virtù, e lode di disciplina. 20 Nato coi più bei doni dell’animo, il primo uso, che egli fece della sua ragione, fu di coltivarli con ardore e con costanza, di custodirli con una attenzione sospettosa,21 come se fino d’allora egli22 ponesse cura a conservare tutta bella, tutta irreprensibile una vita, che in progresso di tempo avrebbe avute età cosi splendide:23 e infatti la vita di lui è come un ruscello, che esce limpido dalla roccia, e limpido va a24 sboccare nel fiume: tutto ciò che si sa di lui è25 gentilezza, e sapienza:26 negli errori stessi, che la prepotenza dell'universale consenso aveva imposti alla sua mente, sono sempre accompagnati e quasi scusati da una intenzione pura,27 e l’applicazione di esse alle cose della vita è stata per lui un esercizio di tutte le virtù. Fanciullo grave e sobrio, giovane pensoso e pudico, uomo operoso quant’altri mai fosse, senza mai nulla intrarprendere, né maneggiare, né condurre a fine per un interesse privato di qualsivoglia genere, vecchio soave e candido, egli ebbe in ogni età le virtù più difficili,28 gli ornamenti più rari, ma non in modo che escludessero i pregi più comuni in quella età a tutti gli uomini. Nutrito29 tra le pompe e lo splendore delle ricchezze, fra quel basso corteggio, che coglie30 i fortunati del secolo alle prime porte della vita, per corromperli, per cattivarli, per farli fruttare; egli31 scorse dai primi suoi giorni che l’umiltà e la staccatezza32 sono verità e bellezza, e le prescelse:33 posto sotto la disciplina del suo celeste cugino San Carlo34 in presenza di quella virtù severa e malinconica, l’animo puerile di Federigo non fu disgustato dalla severità, e sentì l’ammirazione e la docilità volonterosa per la virtù.35
Si diede ardentemente allo studio dalla fanciullezza; ma i metodi stolti d’insegnamento, ma la confusione e la stoltezza delle cose insegnate, il sopracciglio comicamente grave dei maestri lo svogliarono dall’apprendere; e fu questo, o doveva essere il primo segno della eccellenza del suo ingegno.36 Stomacato dei libri e delle lezioni, si diede tutto all’armi e ai cavalli;37 ma durò in quegli esercizi sol tanto quanto bastasse a mostrarlo disposto ad ogni esercizio, che domandi una38 prontezza di qualunque genere.
Il fanciullo voleva sapere, e andava interrogando tutti quegli, che egli credeva sapienti; e da tutti gli veniva risposto, che i libri e la scuola soltanto potevano condurlo alla scienza. Sospinto da questa uniformità di consenso, egli tornò voglioso ai libri ed ai maestri; e finí a stare con quelli perseverantemente, vincendo con la volontà le ripugnanze, delle quali egli39 non poteva allora comprendere la ragione profonda. Giovanetto fra i giovanetti nello studio di Pavia, egli trovò quivi stabilite consuetudini,40 massime,41 opinioni, che distribuivano lode e biasimo alla differente condotta, e non ne fece alcun conto: regolò la sua condotta coi suoi principj, come avrebbe fatto in un eremo,42 senza esitazione, senza braveria;43 e solo da prima,44 opposto quasi in tutto al tipo prescritto dall’opinione, rifiutando tutte le cose che davano la gloria, facendo quelle che rendevano ludibrio, fu in poco tempo oggetto della venerazione dei suoi condiscepoli. Uomo fatto poi, cardinale, arcivescovo, sempre45 continuò in quella disciplina, di meditare ciò che fosse il comandato e il meglio, e di eseguirlo, non riguardando nei giudizj degli uomini se non ciò che potesse essere46 una vera ed utile47 correzione per lui,48 o il segno di una irritazione e di una resistenza dannosa49 ai resistenti, e che potesse essere impedimento al bene ch’egli intendeva di operare. Fu quindi moderato ed umile tra il favore e gli applausi, placido e50 fermo tra i contrasti, non avendo di mira che la cosa da farsi, e il perché e l’effetto.51 Veduta la bellezza, l’utilità e la possibilità d’un disegno, egli lo intraprendeva, ne curava attentamente il complesso e i minimi particolari con quella unità di attenzione, che non sorprende chi rifletta alla unità, ch’egli aveva del fine.
Edificò dai fondamenti la biblioteca, a cui volle dare il nome di Ambrosiana; la dotò di libri, di manoscritti, di macchine, di monumenti d’arte; vi raccolse professori, e nello stesso tempo52 poneva cura che le reliquie della sua mensa, piuttosto povera che frugale, fossero diligentemente raccolte, e date ai poverelli: tutto era per lui benevolenza, e cura degli altri. Cosi egli chiamò53 da lontano professori di lingue orientali, per introdurre, se avesse potuto, ogni coltura in quella rozza, ostinata, e presuntuosa barbarie, nella quale egli54 sentiva di vivere; spedì uomini, dotti quanto allora si poteva, per l’Italia, per la Germania, per la Spagna, per la Grecia, nella Siria, a fare incetta di libri, di manoscritti, di ogni cosa, che potesse essere stromento di studio e di coltura: e diede ad essi55 istruzioni, avviamenti, consigli; e per la medesima accuratezza di ben fare,56 in questa stessa carestia, di cui abbiamo già toccato qualche cosa in questa storia, egli, oltre i soccorsi che distribuiva57 alla sua casa, alle case dei poverelli, pensò anche di mandare attorno sacerdoti: che raccogliessero i poverelli, che,58 mancanti di soc¬ corso, cadevano sfiniti per le vie, e dessero loro i conforti della religione; e insieme coi sacerdoti mandò facchini, che portassero pane, vino, minestra, uova fresche, brodi stillati, aceto,59 per nutrire, per confortare coloro che cadessero per inedia; e tutti questi particolari erano meditati da lui, perché tutto quello che fosse utile, era per lui importante,60 e l’idea grande e generale della carità era dal suo cuore applicata tutta intera nei minimi suoi particolari.
Cosí61 amava egli, oltre ogni compagnia, quella dei dotti e dei poveri, per62 vivere sempre nell’esercizio delle sue più nobili facoltà.63 E da tanta operosità, da tante cure del suo ministero, da tanti impicci in cui era tirato dalla confusione, che in quelle cure stesse avevano introdotta la confusione delle idee e le passioni degli uomini, egli sapeva togliere ancora64 assai tempo, per impiegarlo nello studio65 degli scritti i più stimati di qualunque tempo e di qualunque nazione,66 e nel lavoro dei molti scritti, ch’egli ha lasciati.
Noi non vogliamo qui esaminare tutti i pregi di questo uomo:67 basti il dire ch’egli ebbe principalmente le virtù68 più difficili, curò le più opposte ai vizj che signoreggiavano la generazione dei suoi contemporanei. Già forse l’amore dell’argomento ci ha trasportati ad una prolissità nojosa; ma non possiamo a meno di non avvertire una di queste virtù, perché è quella che non certo per la sua importanza ma per la rarità ci sembra degna di osservazione; ed è la tranquillità e il contegno mirabile di Federigo. In un tempo, in cui69 opinioni, fatti, discussioni,70 odi, amicizie, delitti, giudizi,71 tutto era avvelenato e precipitoso, in cui le virtù stesse avevano qualche cosa72 per dir cosí di spiritato e di fantastico, Federigo fu temperato, aspettatore, ponderato,73 lento nel credere, nell’operare, nel l’affermare: tutto condí con una temperanza, che74 raddolcí75 in parte quell’impeto indisciplinato, e fu se non altro ammirata da quegli stessi, che ne erano incapaci.
È cosa di76 maraviglia77 e di osservazione che il nome di78 un tal uomo già ai nostri tempi, in una posterità così poco remota, sia non dirò dimenticato, ma certo non ripetuto così sovente come si fa degli uomini più illustri; che a questo nome, sia appena associata una idea languida d'un merito incerto, d’una eccellenza indeterminata; che questo nome pronunziato fuori della patria di Federigo e della società di quelli che più79 particolarmente si applicano alle cose nelle quali egli80 fu attore,81 o passi inavvertito, o riesca anche nuovo, e, invece di risvegliare la memoria di una rara82 preminenza, faccia nascere la curiosità di sapere che abbia fatto colui che lo portava; e che l’elogio che noi vi abbiamo unito,83 abbia avuto bisogno84 di schiarimento e di prove. E forse ancor più stupore deve nascere al pensare che un uomo, dotato di nobilissimo ingegno, avido di cognizioni,85 perseverante nello studio, sommamente contemplativo, e nello stesso tempo versato nelle società più varie degli uomini, e attore in affari86 importanti, abbia posta ogni cura nel comporre opere d’ingegno, ne abbia lasciato un numero, che lo ripone87 fra i più fecondi e i più laboriosi; e che queste opere d’un uomo, che aveva tutti i doni per farne d’immortali, non sieno ora quasi conosciute che dai loro titoli, nei cataloghi di quegli scrittori, che88 tengono memoria di tutto ciò che è stato scritto in un89 tempo, in un paese.90 Ma91 la spiegazione di questo fenomeno sì può forse trovare nella condizione dei tempi, in cui92 scrisse Federigo. A produrre quelle parole o quei fatti, che rimangono presso ai posteri oggetto di una ammirazione93 popolare, non basta la potenza94 di un ingegno, né la costanza di una volontà: è duopo95 che queste facoltà possano esercitarsi sopra una materia, la quale abbia da sé qualche cosa di splendido, di memorabile: gli uomini96 di tutte le età rimasti insigni giunsero a quel grado di fama, o97 accompagnati da una folla d’uomini non insigni com’essi, ma pure partecipi dei loro studj, curiosi delle stesse cognizioni, ornati in parte della stessa coltura; o almeno, combattendo contra errori, abitudini, idee, che avessero qualche cosa d’importante, di problematico98 in quelle dottrine che sono un esercizio perpetuo dell’intelletto umano trovarono in somma una massa di99 notizie e di opinioni, un complesso di coltura, sul quale fondarsi, dal quale progredire, al quale applicare gli aumenti e le correzioni, per cui la memoria del genio rimane. Che se pure è viva tuttavia la fama e le opere di uomini vissuti in tempi rozzissimi, lo è perché100 quei tempi erano sommamente originali, e quelle opere ne conservano il carattere e101 mostrano ai posteri un ritratto102 osservabile d’una età, che nessuna altra cosa potrebbe rappresentarci. Ma Federigo Borromeo visse in tempi di somma,103 universale ignoranza, e di falsa e volgare scienza ad un tratto, fra una brutalità104 selvaggia ed una pedanteria scolastica, in tempi nei quali l’ingegno, che,105 per darsi alle lettere,106 a qualunque studio di scienza morale, cominciava (ed è questa la sola via) ad informarsi di ciò che era creduto, insegnato, disputato, a porsi a livello della scienza corrente, si trovava ingolfato, confuso in un mare tempestoso di assiomi assurdi, di teorie sofistiche,107 di questioni, alle quali mancava per prima cosa il punto logico, di dubbj frivoli e sciocchi, come lo erano le certezze. Non v’è ingegno esente dal giogo delle opinioni universali e già una parte di queste miserie diventava il fondamento della scienza degli uomini i più pensatori.108 Che se anche109 i più, anche i più acuti, profondi fra essi,110 avessero veduta e detestata tutta la falsità e le cognizioni di quel sapere, avessero potuto sostituirgli il vero, giungere al punto dove si trovano le idee e le formole potenti, solenni, perpetue, a chi avrebbero eglino parlato? E chi parla lungamente senza ascoltatori? Il genio è verecondo, delicato, e se è lecito cosi dire, permaloso;111 le beffe, il clamore, l’indifferenza, lo contristano: egli si112 rinchiude in sé e tace.113 O, per dir meglio, prima di114 parlare, prima di sentire115 in sé le alte cose da rivelarsi, egli ha bisogno di misurare l’intelligenza di quelli a cui saranno rivelate, di trovare un campo, dove sia tosto raccolta116 la sementa delle idee che egli vorrebbe far germogliare: la sua fiducia, il suo ardimento, la sua fecondità nasce117 in gran parte dalla certezza di un assenso, o almeno di una comprensione, o almeno di una resistenza ragionata. Veggansi per esempio le opere di eloquenza di due sommi118 ingegni, vissuti in circostanze ben diverse nella età posteriore a quella di Federigo, Segneri e Bossuet. Veggasi quali idee, quale abitudine di linguaggio, quali pregiudizj anche suppongano le orazioni funebri di questo119 negli ascoltatori di quelle; veggasi dalle prediche del Segneri120 che opinioni egli doveva distruggere, in che sfera d’idee egli doveva attignere i suoi mezzi, le sue prove per persuadere quegli ingegni, a quali costumanze egli doveva alludere:121 nella differenza dei due popoli ascoltanti è certamente in gran parte la spiegazione della somma distanza fra le opere di due ingegni, ognuno dei quali era grande.
Prima che un popolo, il quale122 si trova in questo grado d’ignoranza, possa produrre uomini per sempre distinti, è duopo123 che molti124 sorgano a poco a poco da quella universale abiezione, che125 riportino su gli errori, su la inerzia comune, molte vittorie d’ingegno difficili, e che saranno dimenticate; che attirino con grandi sforzi le menti a riconoscere verità che126 sembrano dover essere volgari; che preparino agli intelletti venturi127 una congerie d’idee,128 delle quali o contra le quali si possano fare lavori degni di osservazione; e che finalmente,129 col progresso, con la esattezza, con la130 fermezza e prespicuità delle idee, migliorino a poco a poco il linguaggio comune, dimodoché i sommi ingegni possano avere uno strumento, che131 renderanno perfetto, ma che pure hanno trovato132 adoperevole, possano per133 quell’istinto d’anologia, che ad essi soli è134 concesso, arrivare a quelle formole135 inusitate, ma chiare, ardite, ma sommamente ragionevoli,136 nelle quali sole possano vivere i grandi pensieri. Questo fa duopo,137 ovvero che138 la coltura più matura, più perfezionata d’un altro popolo139 venga ad educare140 quello, di cui abbiamo parlato.141 Allora gl’ingegni singolari, attirati142 dalla luce del vero, da qual parte ella si mostri, si levano dalla moltitudine dei loro concittadini, e tendono al punto che essi scorgono il più alto. Cominciano allora le ire di molti e i lamenti di altri contra l’invasione delle idee barbare, contra la dimenticanza delle cose patrie, contra la servilità agli stranieri, contra il pervertimento del linguaggio e del gusto; e non si può negare che queste ire e questi lamenti non atterriscano143 alcuni e non gli contristino a segno di144 far loro abbandonare la via di studio intrapresa;145 giacché fargli ritornare146 al falso conosciuto è cosa impossibile. Ma v’ha pure di quegli ingegni, ai quali è per cosi dire comandato di fare; e questi,147 tenendosi in comunicazione con un’altra età o con un’altra società d’uomini,148 dicono ai loro contemporanei cose, che questi ascoltano da prima con disprezzo e con indifferenza, quindi in parte pure con qualche curiosità; quando la fama viene dallo straniero ad avvertirli che fra loro v’è uno scrittore, imparano un poco mal loro grado; e sono poi quasi tutti concordi sul merito dello scrittore, quand’egli ha dato l’ultimo sospiro.
Cosí, un secolo forse dopo Federigo, cominciò a rinascere in Italia un po’ di coltura, e fra quella [vennero] a sovrastare alcuni scrittori, dei quali vivono le opere e la memoria; ma i principj di quel risorgimento non furono149 un progresso, un perfezionamento delle idee allora dominanti: fu una nuova coltura, introdotta in opposizione alle idee predominanti;150 sul che tutti concordano. Ma intorno alla sorgente di questa nuova coltura v’ha due opinioni estremamente disparate. Alcuni,151 anzi moltissimi, hanno152 creduto e detto che dal fondo della ricchezza letteraria del secolo decimosesto153 e dai pochi sommi scrittori più antichi sieno state tolte le idee, le quali hanno rinnovellato lo spirito della letteratura e ricondotto154 il cólto pubblico al senso comune;155 e che principalmente dai canzonieri del Petrarca e del Costanzo156 sia stata tolta la luce, che dissipò le tenebre del seicento.157 Infatti i primi riformatori si posero, come158 alla faccenda più premurosa, ad imitare quelle rime, che l’immortale Costanzo vergò per placare, se fosse stato possibile, quell’empia tigre in un vólto umano,159 per la quale è cosi diviso e combattuto il sentimento della posterità. Poiché, quando si pensa ai dolori160 intimi, incessanti, cocenti, che quella tigre fece tollerare a quel161 celebre sventurato, non si può a meno di non162 sentire per essa, voglio dire per la tigre, un certo orrore, un rancore vendicativo. Ma quando poi si venga a riflettere che senza quei dolori non sarebbero stati partoriti quei sonetti e quelle canzoni, che163 senza quei sonetti e senza quelle canzoni l’Italia si rimarrebbe forse forse tuttavia nell’abisso del gusto perverso, allora si prova una certa non solo indulgenza, ma riconoscenza per colei, che con la sua crudeltà fu occasione, fu causa d’un tanto utile e glorioso effetto: si vede allora quanto sia vero che le grandi cognizioni non vengono all’intelletto degli uomini che per mezzo di grandi dolori.
164 Questo è detto nell’ipotesi di coloro, i quali tengono che la rivoluzione nelle lettere, il ritorno165 ad un certo qual senso comune, che ebbe luogo nel principio del secolo decimo ottavo, abbia cominciato166 dalla poesia, e sia venuto nella poesia dallo studio ripreso dei cinquecentisti e del Costanzo in ispecie.
Ma non si deve dissimulare che v’ha alcuni altri (pochissimi invero), i quali tengono invece che la lettura degli167 insigni scrittori francesi, che fiorirono appunto nel tempo in cui le lettere in Italia erano più stolide e più vuote,168 cominciò a risvegliare alcuni italiani, a dar loro169 idea d'una letteratura nutrita di ricerche170 importanti, di ragionamenti serj, di discussioni sincere, d’invenzioni che somigliassero a qualche cosa di umano e di171 reale,172 diretta173 a far passare nell’ingegno dei174 lettori una persuazione ragionata di chi scriveva, a condurre i molti ad un punto più elevato in scienza di sentimento, a cui erano giunti alcuni con una meditazione particolare: scorgono costoro che questi italiani175 cominciarono ad imparare dalla lettura di quei libri, e furono176 dal confronto nauseati degli scritti, dei giudizj, degli intenti, dei metodi, delle riputazioni, di tutta insomma la letteratura italiana di quel tempo; e cominciarono a porre essi nei loro scritti una cura più esatta a cercare un vero importante,177e lo fecero con una mente più disciplinata, più addestrata a questa ricerca, e diffusero a poco a poco nei cervelli dei loro concittadini il buon senso che avevano attinto. Questa178 tengono essi che fosse179 non la sola cagione, ma la principale, la prossima, della rivoluzione generale e 180 osservabile nel gusto letterario degli italiani.181 I pochi, i quali tengono questa opinione,182 si trovano in un bell’impiccio; perché, mettendola fuori, sono certi di acquistarsi il titolo di cattivi cittadini,183 e fanno compassione; perché è184 doloroso il trovarsi tra la necessità, o di negare la verità conosciuta o di acquistarsi un titolo brutto e odioso. E in verità noi vorremmo avere qualche autorità,185 qualche appicco, qualche entratura coi loro avversarj, per poterli pregare186 di187 provare soltanto con ragioni di fatto che quella opinione è falsa, e di lasciare da banda quel titolo affatto estraneo alla questione e fuori di proposito.188 E infatti, se fosse a proposito, dovrebbe applicarsi a tutti189 gli uomini di qualunque nazione sieno, i quali riconoscano che la loro possa190 essere stata coltivata con gli studj d’un’altra: ora noi non applichiamo generalmente questa misura; poiché quando troviamo negli scritti d’un francese quella opinione che la Francia barbara, incolta abbia ricevuta la luce delle lettere per mezzo dei grandi scrittori d’Italia, noi non191 chiamiamo quella opinione una ingiuria fatta da quegli scrittori alla loro patria, ma una generosa confessione del vero; non gli chiamiamo cattivi cittadini, ma uomini192 veggenti, candidi, imparziali.193 Ricordiamoci adunque che194 l’adoprar peso e peso, misura e misura, è cosa abbominevole;195 e siamo coi nostri così giusti e indulgenti come siamo con gli stranieri: senza pregiudizio però, giova ripeterlo, delle buone ragioni, che si potranno dire quando a Dio piaccia, per provare a questi nostri che pigliano un granchio.
196Per vedere una volta quale di queste due opinioni sia la più ragionevole, bisogna esaminare due gran fatti, o due serie di fatti. La prima: in che consistesse principalmente197 la corruttela delle lettere nel seicento se questa corruttela sia stata una deviazione forzata198 dalla via tenuta nel cinquecento, quali idee si siano perdute, quali pervertite da un secolo all’altro; giacché la corruttela delle lettere non può essere altro che smarrimento o pervertimento d’idee, a meno che non si voglia ammettere una letteratura, che non sia composta d’idee. L’altra: quali,199 dopo quella abbominazione del seicento, siano state le idee introdotte negli scritti italiani, le quali hanno riprodotta200 una letteratura ragionevole e splendida, hanno201 avvertita l’Europa che le lettere in Italia non erano più, come lo erano state per un secolo, una buffoneria e un mestiere guastato, l'hanno costretta a rivolgersi con attenzione a questa parte per udire, con la speranza di una istruzione,202 di un diletto razionale; quali siano le idee uscite dall’Italia203 e ricevute204 in parte del patrimonio comune della coltura Europea. Raccolti i sommi capi di queste idee della letteratura italiana risorta, bisognerà ancora cercarne la sorgente; vedere se sieno state riprese, svolte dagli scritti del cinquecento, o da che altra parte205 sieno venute a fare impeto nella letteratura italiana. Quanto alla prima questione... ma qui una buona ispirazione ci avverte che siamo fuori di strada; che, musando cosi in ciarle di discussione mentre206 si tratta di raccontare, noi corriamo rischio di perdere, abbiamo forse già perduti tre quarti dei nostri lettori, cioè almeno una trentina; tanto più che questa fatale digressione è venuta appunto a gettarsi nella storia207 nel momento più critico, sulla fine d’un volume, dove il ritrovarsi ad una stazione è un pretesto, una tentazione fortissima al lettore di non andar più innanzi, dov’è mestieri di una nuova risoluzione, d’un generoso proposito, per208 riprendere e quasi ricominciare il penoso mestiere del leggere. Noi tronchiamo dunque subitamente questa digressione, pregando quei pochi, i quali l’avessero letta fin qui, a209 fare le nostre scuse a quelli che per noja avranno gettato il libro a mezzo di questo capitolo; pregandoli anche di210 assicurarli che, saltando tutto il capitolo, avrebbero la continuazione della storia, e di prometter loro in nostro nome, che noi211 vi ci getteremo in mezzo a pie’ pari al principio del volume, che la212 continueremo senza interruzione,213 seguendo fedelmente il manoscritto, e mescolandovi del nostro il meno che sarà possibile.
Fine del secondo volume.
- ↑ [rimane a riposarsi | si rimane quando abbia potuto trovare] si ferma quasi dimentico della via che gli resta a percorrere, quando ha posto il piede in una [oasi] oasis ombrosa, dove si ferma nella cupa frescura degli alberi in riva ad una sorgente d’acqua viva (lacuna) si ferma E a margine: [si ferma] quasi dimentico della via che gli resta a percorrere si ferma su una oasis ombrosa, sotto [d] alla cupa
- ↑ abbia trovata ❘ od acqua viva
- ↑ A margine, in penna: «punto fermo e lasciare il - poiché - ».
- ↑ l’incontro del quale
- ↑ a chi
- ↑ A margine, in penna: «punto fermo».
- ↑ [giocondo debb’essere il riposare] un po' di riposo nella considerazione di lui debb’essere giocondo
- ↑ alla più
- ↑ perversità rude, misera, schifosa
- ↑ non avremmo potuto tener cosi lungamente intento lo sguardo, se il vero [non ve lo | se] non ve lo ritenesse
- ↑ rivolto
- ↑ lo rit
- ↑ in un tale spettacolo A capoverso, quasi come un titolo Federigo Borromeo
- ↑ più eccellenti che sieno passati su la terra;
- ↑ [nei quali si trovano riunite | i quali cercarono in tutti i giorni della] i quali spesero la vita loro in cerca
- ↑ che abbiano adoperato
- ↑ Variante un nobile svegliato
- ↑ costante a ricercare
- ↑ A margine: «Paul. ad Philipp. Cap. IV v.8»
- ↑ E se il nome di lui [già ai nostri giorni | dopo già] presso ad una [cosi poco ❘ in una] posterità cosi poco remota non è sovente ripetuto come si suole di quello degli uomini più illustri, se appena [posto con sé | uno | un ricordo] vi è associata una memoria una [memoria] idea languida ed incerta di
- ↑ quasi egli sentisse fin d’allora che una vita la quale [doveva ave] avrebbe avuto [parti] età cosi splendide doveva (lacuna)
- ↑ Variante sentisse quanto importava di
- ↑ A margine, in penna: «. punto fermo.»
- ↑ perdersi
- ↑ saviezza
- ↑ i suoi errori
- ↑ Sic. Ma la cancellatura precedente spieghi l'erroneo costrutto, dovuto certamente a mancata revisione; perché il bel brano, con varie delle pagine seguenti, non comparve nella stampa. Cancellato e sono stati applicati da lui alle cose della vita con una rettitu
- ↑ ma non in modo che gli ornamenti
- ↑ fra
- ↑ Variante agguata
- ↑ fu dai primi suoi giorni umile, pio disingannato, distaccato
- ↑ Sottolineatura in lapis.
- ↑ A margine, in penna: «. punto fermo ».
- ↑ Variante all’aspetto continuo
- ↑ Giovinetto fra i giovinetti nello studio di Pavia
- ↑ Lasciati
- ↑ e si trattenne in quegli esercizi
- ↑ abilità
- ↑ stesso
- ↑ massi ❘ di
- ↑ opinioni [regola di] modo di vivere
- ↑ senza braveria
- ↑ A margine, in penna: « . punto fermo»
- ↑ diverso
- ↑ seguì quella regola
- ↑ un avvertimento per lui
- ↑ ammonizione
- ↑ o un’ammonizione di prudenza per non
- ↑ agli uomini
- ↑ tenace del
- ↑ Veduta la necessità e la possi
- ↑ invi
- ↑ profes | a Milano
- ↑ viveva; e
- ↑ la più minuta istruzione con insieme
- ↑ Di qui a per lui importante una linea verticale, e a margine, in penna (carattere del Manzoni): «sostituire qualche altra cura minuta nel fare il bene e trasportar questo alla carestia foglio 4’»
- ↑ pensò
- ↑ cadevano
- ↑ tutti, tutti i conforti che secondo il caso possono dispensarsi dai sacerdoti
- ↑ e la carità
- ↑ [egli con lieto vólto accoglieva avidamente i dotti, o quelli che ne avevano allora il grido, e i bisognosi, mendi | egli si circondava volenterosamente di dotti e di poveri] amava egli di trovarsi fra i dotti e i poveri
- ↑ esercitare
- ↑ Tale era
- ↑ un tempo
- ↑ delle opere
- ↑ e nella composizione
- ↑ e già l’amore dell’uomo ci ha trasportati ad una prolissità forse nojosa;
- ↑ opposte
- ↑ tutto era
- ↑ nemici
- ↑ vizj e virtù
- ↑ di fantastico
- ↑ A margine, in penna: «lasciare - lento - perché può essere difetto, e sostituire: il card. era attivissimo.»
- ↑ fosse
- ↑ qualche
- ↑ osservazione
- ↑ che
- ↑ quest
- ↑ di un [merito] merito d’una eccellenza indeterminata, se fuori [di] della sua storia, e dalla società di quelli che più | questo nome pronunziato
- ↑ operò
- ↑ [questo nome pronunziato] o riesce talvolta nuovo
- ↑ eccellenza fa
- ↑ ha
- ↑ di qualche schiarimento: la colpa è certamente dei tempi in cui quell'uomo passò sulla terra. Poiché a
- ↑ e versato in tutti gli studje versato in tutti gli studj
- ↑ negli affari
- ↑ Sic.
- ↑ fanno
- ↑ secolo
- ↑ Qui un segno, con richiamo in fondo alla pagina, e queste parole in penna: «m’immagino che qui comincia la nominazione volontaria».
- ↑ cagione
- ↑ Federigo
- ↑ volgare
- ↑ dell’in
- ↑ Sic.
- ↑ rinominati
- ↑ [accompagnati] seguiti a qualche distanza
- ↑ [che appartenessero] in cose
- ↑ idee
- ↑ quest
- ↑ lasciano
- ↑ imp
- ↑ ignoranza e di
- ↑ selv
- ↑ [si applicava allo studio) voleva
- ↑ alle scienze morali a qu
- ↑ di sistemi nei quali il punto dell
- ↑ Che se anche
- ↑ taluno
- ↑ scorgeva
- ↑ il riso
- ↑ richi
- ↑ [Poiché] Prima che [un popolo] una generazione] un popolo
- ↑ conoscere
- ↑ in sé il
- ↑ e [frutti] germogli il seme
- ↑ Sic.
- ↑ nell’età posteriore
- ↑ nei loro
- ↑ quali erano le idee
- ↑ e dall
- ↑ che
- ↑ Sic.
- ↑ insorgano
- ↑ ottengano
- ↑ dove
- ↑ [una materia] l'occasione di vincere
- ↑ ricevute, [che] intorno alle quali
- ↑ con le idee [col] con l’animo
- ↑ persu
- ↑ perfezione
- ↑ utile
- ↑ quella
- ↑ dato
- ↑ inusitate, che [poiché] fanno pensare ma
- ↑ Variante con le
- ↑ Sic.
- ↑ la coltura
- ↑ invada il | educare di que
- ↑ questo che abbiamo detto
- ↑ Allora dalle | in
- ↑ [attirati] rivolti
- ↑ gli sto
- ↑ Sic.
- ↑ poiche (sic)
- ↑ a quell'antica
- ↑ [vivendo un 1 | concentrati nella contemplazione fanno | separati dai loro contemporanei si] vivono con la mente in un’altra età, o in un’altro (sic)
- ↑ dicono
- ↑ cavati dalle idee
- ↑ di q | In ciò veda
- ↑ stimano che
- ↑ detto
- ↑ e dei pochi
- ↑ gli animi
- ↑ [ed ecco brevemente come il cervello] E infatti la riforma cominciò in Roma per opera di alcuni letterati, i quali stanchi [annoj] disgustati dalle assurdità che erano in voga si posero a leggere attentamente [il Petrarca, e il Costanzo) i canzonieri del Petrarca e del Costanzo,
- ↑ sieno state tolte le ani ❘ che
- ↑ e che
- ↑ alla cosa più
- ↑ [alla quale) verso la quale sentiamo un impeto d’ira quando ci sovviene dei dolori immortali ch'ella | dalla quale | per la quale
- ↑ profondi
- ↑ povero
- ↑ provare
- ↑ senza quei sonetti [senza quelle canzoni forse forse | quei sonetti] e quelle canzoni
- ↑ Questo è detto nell’ipotesi che dallo studio ripreso dei cinquecentisti e del Costanzo in ispecie sia venuta la rivoluzione nelle lettere, il ritorno al senso comune nella
- ↑ al senso
- ↑ Variante colla
- ↑ scrittori francesi
- ↑ cominciò ad aprirsi gli occhi ad alcuni italiani; e a | i quali ❘ farli a | ad
- ↑ un
- ↑ serie
- ↑ ragionevole
- ↑ e a nause
- ↑ a persuadere
- ↑ molti
- ↑ a cui erano not
- ↑ nauseati col confronto
- ↑ e una mente più [displi] disciplinata in questa vi
- ↑ credon
- ↑ la [con la ❘ una ❘ la principale cagione ❘ la occasione] cagione principale di quella rivoluzione
- ↑ un po’ interrotta
- ↑ se ogni | non la | la cagione principale e non la sola | I pochi i quali hanno questa opinione corrono gran rischio, mettendola fuori di acquistarsi il brutto rimprovero di cattivi cittadini;] I pochi i quali tengono questa opinione, sono [in una situazione] in situazione
- ↑ sono
- ↑ Ed è una situazione molto dolorosa [quella di chi si trova] l’essere trat
- ↑ una situazione molto
- ↑ veste per sorgere
- ↑ di lasciare da banda questo titolo affatto estraneo alla questione
- ↑ convincere
- ↑ Infatti se fosse ragionevolmente meritato
- ↑ coloro i quali
- ↑ aveva imparato
- ↑ chiamiamo
- ↑ onesti
- ↑ Ora un
- ↑ aver
- ↑ e siamo
- ↑ Per [decidere una] risolvere (lacuna)
- ↑ il pervertimento
- ↑ o subitanea
- ↑ all’abbominio
- ↑ Variante ricreata
- ↑ avvertita l’Europa che l’Italia [in Italia | l’Italia in fatto di lettere era tornata nei pensi | pen | che le opere d’Italia uscivano a creare in fatto di lettere intimi ammaestramenti | chiamata | avvertita l’Europa che] le lettere italiane erano vere, che v’era in Italia
- ↑ diletto
- ↑ [dopo] e diven
- ↑ come un patrimonio
- ↑ siano originate
- ↑ in qu
- ↑ sulla fine d'un volume, in quel momento critico in cui il loro ritrovarsi ad un termine è una forte tentazione pel lettore, di approfittare del riposo per via della stazione, | nel momento più critico
- ↑ ricominciare
- ↑ promettere
- ↑ prometter loro in nostro nome che se non siamo | che
- ↑ la ripiglieremo
- ↑ seguiteremo
- ↑ di