Giaffà/Nostra Signora del Buon Consiglio

Nostra Signora del Buon Consiglio

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Nostra Signora del Buon Consiglio
Ultime avventure di Giaffà Le disgrazie che può causare il denaro

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Nostra Signora del Buon Consiglio.

Oggi, miei piccoli amici, voglio raccontarvi una storia che vi commoverà; se non vi commoverà, non sarà certamente per colpa mia o delle cose che vi narro, ma perché avete il cuore di pietra.

C’era una volta in un villaggio della Sardegna per la quale voi non siete passati e forse non passerete mai, un uomo cattivo, che non credeva in Dio e non dava mai elemosina ai poveri.

Quest’uomo si chiamava don Juanne Perrez, d’origine spagnuola, ed era brutto come il demonio.

Abitava in una casa immensa, ma nera e misteriosa, composta di cento e una stanza, e aveva con sè, per servirlo, una nipotina di quindici anni, chiamata Mariedda. [p. 58 modifica]

Mariedda era buona, bella e devota quanto suo zio era cattivo, brutto e scomunicato. Mariedda aveva i piú bei capelli neri di tutta la Sardegna, e i suoi occhi sembravano uno la stella del mattino, l’altro la stella della sera.

Don Juanne non voleva bene a Mariedda, come del resto voleva male a tutti i cristiani della terra; e, potendo, le avrebbe cavato gli occhioni belli; ma per un ultimo scrupolo di coscienza non aveva il coraggio di farle danno; solo quando lei ebbe compiuto i quindici anni, pensò di sbarazzarsene maritandola a un brutto uomo del villaggio.

Ella però non volle acconsentire a questo infelice matrimonio, e il brutto uomo del villaggio, per vendicarsi dell’umiliante rifiuto, una notte sradicò tutte le piante del giardino di don Juanne e pose sulla soglia della casa, ove Mariedda e lo zio abitavano, un paio di corna e due grandissime zucche; e ogni notte passava sotto le finestre cantando canzoni cattive.

Impossibile descrivere l’ira di don Juanne, e l’avversione che d’allora cominciò a nutrire contro la povera Mariedda. Basta dire che un giorno [p. 59 modifica]la prese con sé nella stanza piú remota della casa, e le disse:

— Tu non hai voluto per marito Predu Concaepreda (Pietro Testadipietra). Beh! Siccome tu devi assolutamente maritarti, preparati a sposar me.

La poveretta rimase, come suol dirsi, di stucco: poi esclamò:

— Ma come va quest’affare? Voi non siete mio zio? E da quando in qua gli zii possono sposar le nipoti?

— Tu sta’ zitta, fraschetta! Io ho dal papa il permesso di sposarmi con chi voglio, e di sposarmi anche senza prete. E ho deciso di ammogliarmi con chi mi pare e piace. Tu pensa bene ai fatti tuoi. O quell’uomo del villaggio, o me. Ti lascio una notte per deciderti.

E se n’andò chiudendola dentro.

Appena sola, Mariedda si mise a piangere e a pregare fervorosamente Nostra Signora del Buon Consiglio, perché l’aiutasse e la ispirasse.

Ed ecco, appena fatta notte, le apparve una donna bellissima, tutta circondata di luce, vestita di raso e di velo bianco, con un mantello azzurro [p. 60 modifica] e un diadema d’oro simile a quello della regina di Spagna.

Donde era entrata?

Mariedda non poteva spiegarselo, e stava a guardar a bocca aperta la bella Signora, quando questa le disse con voce che sembrava musica di viola:

— Io sono Nostra Signora del Buon Consiglio, ed ho sentito la tua preghiera. Senti, Mariedda: chiedi a tuo zio otto giorni di tempo, e se in capo a questi egli non avrà deposto il suo pensiero, chiamami di nuovo. Consèrvati sempre buona, e mai ti mancherà il mio aiuto e il mio consiglio. —

Ciò detto sparve, lasciando nella stanza una luce di luna e un odore di gelsomino.

Mariedda, che provava una viva gioia, pregò tutta la notte; e il domani chiese a suo zio otto giorni di tempo. Sebbene a malincuore, don Juanne glieli concesse; intanto, perché non fuggisse, la teneva sempre rinchiusa in quella stanza remota, nella quale duravano la luce di luna e l’odore di gelsomino. Passati però gli otto giorni, le chiese se si era decisa, ché lui voleva assolutamente sposarsela il giorno dopo. [p. 61 modifica]

Rimasta sola, Mariedda si rimise a piangere e a pregare, ma subito ricomparve quella Celeste Signora, con un vestito di broccato d’oro e un diadema di perle come quello della Regina di Francia.

— Dormi, Mariedda, e non temere, — le disse, con voce che pareva musica di rosignolo. — Prendi questo rosario, che ha virtú di guarire i malati, e nella fortuna non dimenticarti di me, se non vuoi che t’incolga sventura. —

E sparí, lasciando nella stanza una luce d’aurora primaverile e una fragranza di garofani.

Mariedda non aveva potuto dire una sola parola. Speranzosa ed estasiata baciò il rosario di madreperla lasciatole dalla divina Signora, se lo pose al collo e si addormentò tranquillamente senza chiedersi che cosa l’indomani avverrebbe.

Ma l’indomani ella si svegliò sotto un roveto, vicino ad una palude; e tosto pensò che là doveva averla trasportata, durante il sonno, la sua Santa Protettrice.

Levatasi, recitò la solita preghiera, poi si avviò verso una città che si scorgeva in lontananza, tra i vapori rosei del bellissimo mattino.

Cammina, cammina, vide un piccolo pescatore [p. 62 modifica]che, a piedi scalzi e con la lenza sulla spalla, si recava a pescare in certi piccoli stagni. Gli chiede:

— Bel pescatore, di grazia, come si chiama quella città?

Il pescatore non rispose, e si mise a cantare:


Io pesco anguilla, e dò la caccia all’oca;
Quella città laggiú si chiama Othoca1.


— Bèh! — pensò Mariedda, — siamo ad Oristano.

Cammina, cammina, entrò in città, e subito si diede a cercare una famiglia presso la quale potesse entrare come serva; ma inutilmente. Dopo tre giorni e tre notti di viavai da una porta all’altra, morente di fame e di stanchezza, Mariedda non aveva ancora trovato padrona. Ma non disperava; e pregava, pregava sempre la bella Signora del Buon Consiglio, perché l’aiutasse.

Ora, al quarto giorno, passando davanti al palazzo reale, vide molta gente che parlava sommessa, pallida in volto e piena di dolore. [p. 63 modifica]

— Bel soldato, — chiese ad un giovane armigero, triste anch’egli; — che cosa avviene?

— Sta per morire il figlio del Giudice di Arborea, e nessun medico può salvarlo. —

Il Giudice era il re di Arborea; quindi il figlio era il principe reale, il piú bel cavaliere di tutta la Sardegna.

Mariedda fu scossa dalla dolorosa notizia e stava per dire un’Ave per il principe moribondo, quando, toccando i grani del suo rosario si ricordò con gioia che questo possedeva la virtú di guarire i malati.

Senza dir nulla, allora, ella attraversò la folla e riuscí a penetrare nel palazzo reale; ma un capitano delle guardie la fermò, e le chiese con arroganza cosa voleva.

— Vengo a guarire don Mariano, il principe malato, — ella rispose umilmente. — Ho una medicina meravigliosa che fa guarire anche i moribondi.

Allora il capitano arrogante la introdusse presso il Giudice, un vecchio re dalla barba lunga fino alle ginocchia, al quale Mariedda dové ripetere il motivo della sua presenza. Il Giudice [p. 64 modifica] restò commosso dalla bellezza della piccola sconosciuta, e più per la sua promessa; disse:

— Bada, fanciulla dagli occhi di stella, se tu c’inganni, noi ti taglieremo la testa.

— E se salvo il principe?

— Ti daremo ciò che vorrai. —

Ciò detto introdusse egli stesso Mariedda presso il principe morente. Era tempo; ancora pochi istanti e tutto era perduto.

Ma la nipote di don Juanne Perrez mise il rosario intorno al collo del principe e, inginocchiatasi sulla pelle di cervo stesa davanti al letto, pregò fervidamente.

Allora tutti gli astanti, bianchi in volto e pieni di meraviglia, videro un miracolo straordinario.

Don Mariano riapriva gli occhi, i begli occhi castanei dalle lunghe ciglia. A poco a poco le sue guance diventarono rosee come il fiore degli oleandri dei giardini reali; la sua fronte rifulse di vita; sorrise; si alzò dicendo:

— Padre mio, io rinasco. Chi mi ha salvato? —

Il Giudice piangeva di gioia: piangeva tanto, che la sua barba gocciolava di lagrime come un albero bagnato dalla pioggia. [p. 65 modifica]

— Ecco! — rispose, sollevando e indicando Mariedda.

— Tu devi essere una fata, — disse il principe, abbracciandola. — I tuoi occhi hanno una luce di luna. Tu sarai la mia sposa. —

Infatti, poco tempo dopo, cioè appena giunsero dalla Francia e dalle Fiandre i vestiti di broccato che stavano ritti da sé, tanto oro e argento avevano, e appena arrivarono anche i veli e i manti per Mariedda, ella diventò Giudichessa d’Arboréa.

* * *

Ed era tanto felice, che cominciò a dimenticare la raccomandazione di Nostra Signora del Buon Consiglio, cioè di pregarla e ricordarla sempre anche nella buona fortuna.

Dopo un anno Mariedda aveva interamente dimenticata la sua Celeste Protettrice: il rosario miracoloso stava appeso nella cappella reale, fra altre reliquie, e la Giudichessa scendeva raramente nella cappella, passando invece il tempo tra [p. 66 modifica] feste, cacce, tornei, e fra i canti e i liúti, e le mandòle dei trovadori, che non mancavano nella corte degli Arboréa.

Ora avvenne che gli Spagnoli invasero il regno di Arboréa, e don Mariano, lo sposo di Mariedda, dovette partire col suo esercito per difendere le sue terre e cacciare gl’invasori. Partí e lasciò Mariedda che fra poco sarebbe diventata madre di un bel principino.

— Addio, bella amica — le disse baciandola in fronte, prima di montare sul suo gran cavallo bianco dalla gualdrappa rossa, — sta’ di buon animo, e fa’ che al mio ritorno trovi un nuovo principino bello e forte come...

— Come te, bell’amico! — rispose donna Mariedda con orgoglio.

Durante la guerra, don Mariano stette lungo tempo lontano dalla sua capitale, dal vecchio padre, dalla sposa, e questa, qualche mese dopo la sua partenza, divenne madre di un bellissimo bambino. Questo bambino era color di rosa, e aveva i piedini e le manine che sembravano fiori.

Bisogna che sappiate, però, che vi era chi aspettava ansiosamente il giorno della nascita del [p. 67 modifica] bellissimo bambino, per demolire tutta la felicità della Giudichessa donna Mariedda.

Era don Juanne Perrez. Sentite.

Dopo la scomparsa della nipote, aveva cominciato a odiarla ferocemente, giurando di vendicarsi di lei. Ma per quante ricerche facesse nel Logudoro e nelle terre vicine, nessuno aveva mai nè sentito parlare della fanciulla dagli occhi di stella, né l’aveva veduta; e don Juanne già cominciava, con malvagia gioia, a credere che se la fosse portata via il demonio; quando, recatosi ad Oristano per le feste in occasione delle nozze del principe, vide con meraviglia e dispetto, che la sposa era Mariedda!

Allora cosa fece? Tornò nel suo villaggio, vendè tutto ciò che possedeva, e vendè persino la sua anima al diavolo, perché lo aiutasse nella vendetta; si vestí da medico, con una lunga barba bianca, e una zimarra nera. Si vestí cosí perché in un vecchio libro aveva letto che in tal modo vestiva Claudio Galeno, un antico dottore. Cosí travestito, don Juanne Perrez se n’andò nuovamente ad Oristano, spacciandosi per un medico arrivato da Alemagna, e che aveva studiato a Ratisbona. [p. 68 modifica]

E tanto disse e tanto fece, che lo accettarono per medico di Corte.

Mariedda non lo riconobbe. Perciò, quando nacque il bellissimo bambino piú sopra accennato, fu chiamato il falso medico; e il falso medico, che aspettava questa occasione per vendicarsi, nascose il bellissimo bambino, e lo sostituí destramente con un cagnolino nero, brutto e rognoso, che teneva pronto. E fece quest’azione vigliacca con tanta destrezza, che neppure Mariedda se ne accorse.

Don Juanne non uccise il bellissimo bambino, ma lo lasciò morir di fame; per ciò ancor oggi, in molti punti della Sardegna, la fame vien chiamata Monsiú Juanne, in memoria di questo fatto.

Intanto nella Corte Reale si era immersi nel massimo dolore e spavento, perché mai si era vista una cosa simile; e Mariedda aveva la febbre dal dispiacere e dall’umiliazione. Pazienza fosse stata una popolana a diventar madre di un cagnolino nero, brutto e rognoso, Santo Iddio! la cosa sarebbe stata passabile, perché in quei tempi esistevano le streghe che si maritavano col diavolo, e da questi orribili matrimoni potevano nascere anche cagnolini e scorpioni: ma da una [p. 69 modifica] Giudichessina, che aveva vestiti di broccato che stavano ritti da sé tant’oro e argento portavano!...

Basta; la cosa fu scritta a don Mariano che, per la prima volta in vita sua, pianse di dolore. E forse avrebbe perdonato Mariedda; ma, sparsa nel campo spagnolo, la notizia, destò tale ilarità e tante beffe a danno del principe nemico, che egli salí su tutte le furie, e scrisse al suo Maggiordomo che subito pigliasse la Giudichessina col suo mostricciattolo e la portasse lontano lontano, in luogo donde non potesse far ritorno, poiché egli la ripudiava.

Il Maggiordomo obbedí; e una notte la povera Mariedda si vide trasportata lontano lontano, in una campagna deserta e silenziosa. Fra le braccia stringeva il cagnolino, al quale aveva posto un grande amore.

Lasciata sola in quella campagna deserta e silenziosa, in quell’ora tremenda di disperazione, ricordò finalmente il suo passato, ricordò Nostra Signora del Buon Consiglio e cadde al suolo piangendo, chiedendo misericordia e perdono.

Allora, come nella stanza buia e remota della casa di don Juanne, ecco si fece una gran luce d’oro, e apparve la Madonna col vestito bianco e [p. 70 modifica] il manto azzurro e il diadema simile a quello della Regina di Spagna.

— Mariedda, Mariedda, — disse con voce soavissima che consolò la povera afflitta — tu ti sei dimenticata di me, e per ciò sventura. Ma io non abbandono gli afflitti, e sono la madre dei dolorosi. —

Con la fronte al suolo Mariedda piangeva e pregava.

— Mariedda — continuò la Madonna — cammina, cammina. Troverai una casa che sarà tua, dove nulla ti mancherà. Vivi là finché sia giunto il tuo giorno e non dimenticarti piú di me.

Ciò detto sparve. Sulle desolate campagne si sparse una luce di sole nascente, le siepi fiorirono, i ruscelli brillarono; un soave profumo di puleggio passò per l’aria, e una fila di merli dal becco giallo cantò su un muro vicino.

Quando sollevò la fronte dal suolo, Mariedda si trovò fra le braccia non piú il cagnolino nero, ma un bellissimo bambino tutto color di rosa, le cui manine e i cui piedini sembravano fiori. Per un momento pensò di tornarsene in Corte con quel bambino; ma le parole di Nostra Signora del Buon Consiglio le stavano fitte in mente: e subito [p. 71 modifica] riprese a camminare attraverso la grande pianura improvvisamente fiorita.

Cammina, cammina e cammina, dopo lunghe ore si trovò davanti a una bella casetta verde, nascosta in un boschetto d’aranci e rose. Dagli aranci pendevano grosse palle d’oro, e dalle rose salivano grandi fiori di corallo. Mariedda picchiò.

Una serva vestita in costume, con la sottana di scarlatto fiammante, il corsetto di broccato verde-oro e un gran velo bianco in testa, aprí e disse inchinandosi:

— Siete voi la padrona che s’aspettava?

— Sí — rispose Mariedda sorridendo.

E da quel giorno, infatti, ella fu la padrona della casetta verde nascosta fra gli aranci e le rose.

Nessuno passava mai là vicino; il mondo era lontano, lontano, eppure nulla mancava mai nella casetta: c’era sempre il pane che sembrava oro; l’acqua che sembrava argento; il vino che sembrava corallo; l’olio che sembrava ambra; il miele che sembrava topazio; il latte che sembrava neve: Mariedda pregava sempre, e aspettava il giorno promesso, nel quale sperava rivedere lo sposo diletto. Intanto il bellissimo bambino, che [p. 72 modifica] si chiamava Consiglio, cresceva come i piccoli aranci del boschetto, e rideva e correva su cavalli di canna, ai quali, sebbene non avessero che la coda, faceva eseguire rapidissimi volteggi.

Trascorsero cinque anni. Un giorno, finalmente, passò vicino alla casetta verde una comitiva di cacciatori, che si erano smarriti in quelle campagne disabitate, e chiesero ospitalità a Mariedda.

Immaginatevi voi il batticuore, la sorpresa e la gioia di Mariedda nel riconoscere il suo sposo nel capo di quei cacciatori!

— Ecco giunto il giorno! — pensò trepidando.

Ma non si fece conoscere, perché era cambiata e vestiva in costume. Però accolse graziosamente i cacciatori, fra i quali vi era anche don Juanne, il medico del diavolo.

Tutti furono incantati dalla buona accoglienza e dalla bellezza di Mariedda e di Consiglio. A tavola don Mariano, che sedeva accanto alla padrona, le raccontò la sua sventura, e le disse che si era pentito del suo atroce comando, che aveva fatto cercare la povera sposa per tutti i monti e le valli di Sardegna, e che, non avendola potuta ritrovare, adesso era l’uomo più infelice della terra, tormentato dai rimorsi e dai ricordi. [p. 73 modifica]

Mariedda fu intenerita da questo racconto, e decise di rivelarsi prima che i cacciatori partissero.

Intanto accadde questo fatto straordinario, che dimostrò come la giustizia di Dio si riveli dalle piú piccole cose. Sentite. Un cucchiarino d’oro del servizio da tavola era caduto per terra. Consiglio che giocorellava tra le sedie lo raccolse, e ficcatosi sotto la mensa, cosí giocando, lo pose dentro la scarpina di marocchino ricamata di don Juanne. Poi se n’andò via e dalla serva fu messo a dormire.

Quando, sparecchiando, si notò la mancanza del cucchiarino d’oro, questo non si potè ritrovare in alcun posto.

— Bel signore, — allora disse Mariedda al principe, — io ho dato ospitalità a voi ed ai vostri cavalieri. Perché dunque mi si paga cosí?

E raccontò l’affare del cucchiarino d’oro, che, senza dubbio, era stato rubato da qualcuno dei cacciatori.

Don Mariano montò su tutte le furie e traendo la spada, gridò:

— Cavalieri, qualcuno qui ha rubato. [p. 74 modifica] Confessate la vostra onta o ve ne pentirete amaramente!

Tutti negarono: don Mariano riprese:

— Bene, bei signori! Frugherò io stesso le vostre persone, e guai al traditore indegno, che ha così ricompensato l’ospitalità di questa nobile dama. Lo trapasserò con la mia spada.

Detto fatto. Frugò tutti i cacciatori, e trovò il cucchiarino d’oro nella scarpina di marocchino ricamata di Juanne. Invano questi si protestò innocente.

— Messere — gli disse il principe — voi morrete per mia mano. —

E stava per ucciderlo, quando Mariedda impietosita, chiese grazia per lui e rivelò chi era, con grande contentezza del principe.

Commosso da questa scena, don Juanne si gettò ai piedi della nipote che lo aveva salvato, e confessò le sue colpe.

Mariedda e il principe lo perdonarono; solo, in penitenza, gli imposero di viver sempre nella casetta verde nascosta fra gli aranci e le rose perché si pentisse ed espiasse i suoi peccati nella solitudine. Non sappiamo se egli si sia veramente pentito: sappiamo però che egli non si mosse [p. 75 modifica]piú di là; mentre Mariedda, Consiglio col suo cavallo di canna, la serva col suo costume e il suo velo, don Mariano e tutti gli altri cacciatori tornarono alla corte, dove furono accolti con grandi feste, e dove vissero lungamente felici.

Mentre passavano vicino agli stagni, quel pescatore che aveva cantato quando Mariedda era arrivata la prima volta ad Oristano, questa volta cantava cosí:


Uccelli che volate, che volate,
In compagnia di me,
Andate e ritornate,
Fatto han la pace la regina ed il re.



Note

  1. Antico nome di Oristano.