Geografia (Strabone) - Volume 3/Libro V/Capitolo VII

Capitolo VII

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Strabone - Geografia - Volume 3 (I secolo)
Traduzione dal greco di Francesco Ambrosoli (1832)
Capitolo VII
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CAPO VII.


Descrizione del Lazio. — Sue antichità e suoi primitivi confini. — Sue città marittime e mediterranee. — Città del Lazio situate lungo le Vie Latina, Valeria ed Appia.


Di seguito alla Sabina sta il Lazio1, nel quale è compresa anche Roma con molte altre città che non appartennero al Lazio antico. Perocché gli Equi, i Volsci, gli Ernici, gli Aborigini (quelli almeno che abitano intorno a Roma) e que' Rutoli che occupavano l'antica Ardea, ed altre città maggiori o minori che stavano intorno ai Romani allorchè fu fabbricata primamente la loro città, si abitavano in borgate reggendosi con proprie leggi, senza essere punto ordinate in una sola nazione. Diecsi poi che Enea insieme col padre Anchise e col figliuolo Ascanio essendo approdato a Laurento vicino ad Ostia2 ed al Tevere, fondò su quella spiaggia una città a ventiquattro stadii dal mare. Latino re di quegli Aborigini che occupavan quel luogo dove ora è Roma, venuto ad Enea si valse di lui e de’ suoi come alleali a combattere i Rutoli a lui vicini che tenevano Ardea (da questa città a Roma si contano cento sessanta stadii); ed essendo rimasto vincitore, fabbricò quivi presso una [p. 49 modifica]città e la disse Lavinio dal nome della propria figliuola. Tornati poscia i Rutoli un’altra volta alla pugna, Latino vi perdette la vita; ma Enea rimasto vittorioso regnò invece di lui, è chiamò Latini quanti gli erano soggetti; e quando furono morti Enea ed Anchise, Ascanio edificò Alba sul monte Albano, distante da Roma quanto Ardea; e quivi i Romani insiem coi Latini formando una sola e comune signoria sogliono sagrificare a Giove, preponendo nel tempo di quel sagrificio alla città qualcuno de’ giovani più illustri3. Quattro cento anni dopo4 raccontansi le cose di Amulio e di Numitore suo fratello, in parte favolose, in parte più vicine alla credibilità. Costoro ereditarono a comune dai discendenti d1 Ascanio la signoria d’Alba che si stendeva fino al Tevere: ma Amnlio ch’era il più giovane, scacciato il fratello maggiore, occupò solo il regno; ed essendovi un figlio ed una figlia di Numitore, quello uccise a tradimento nella caccia, questa (acciocché non avesse a lasciar figliuoli) fece sacerdotessa di Vesta, obbligandola per tal modo alla verginità. Costei chiamavasi Rea Silvia. Ma la scoperse poi violata, sicché le nacquero due figliuoli gemelli: pure in grazia [p. 50 modifica]del fratello la imprigionò invece di farla morire, ed espose i neonati nel Tevere secondo il patrio costume. Dicono pertanto che costoro fossero figliuoli di Marte, e che sendo esposti fu veduta una lupa che li allattava finchè poi Faustolo, uno dei pastori di quel luogo, avendoli tolti di là, gli allevò (e vuolsi intendere che qualche ricco signore fra i soggetti di Amulio li prese con sè e li nutrì), chiamandone l’umo Romolo e l’altro Remo. Fatti poi uomini assalirono Amulio e i suoi figli, e dopo averli tolti di mezzo, ed avere restituita a Numitore la signoria, se ne tornarono al luogo della loro dimora e fondarono Roma in un sito proposto loro dalla necessità anzichè scelto: siccome quello che non era forte per natura, nè aveva un terreno proprio e sufficiente a nutrire una città, e nemmanco uomini che l’abitassero. Perocchè i circonvicini abitavano separati, e sebbene contigui alle mura della fondata città, non si accomunavano molto cogli Albani. Tali erano quei di Collatra, Antemua, Fidene, Labino, ed altri luoghi siffatti che allora erano piccole città, ed ora sono borghi e possedimenti d’uomini privali, a poco più di trenta o quaranta stadii da Roma. E nel vero tra la quinta e la sesta di quelle pietre che indicano le miglia da Roma avvi un luogo denominato Festi; il quale suol essere mostrato come il limite del territorio romano a que’ tempi; e quivi del pari che in parecchi altri luoghi creduti anch’essi confini, i custodi de’ sacri archivii5 fanno in un giorno determiuato un sagrificio detto Abarunia. [p. 51 modifica]

Raccontasi dunque che nel tempo stesso in cui si fondava questa città, essendo nata discordia tra i due fratelli, Remo vi perdette la vita. Quando poi la città fu costrutta, Romolo vi congregò molti uomini insieme raccolti, coll'avere assegnato come luogo d’asilo un bosco situato fra la rocca ed il Campidoglio6; e quanti colà riparavano dai paesi circostanti, li dichiarò cittadini. Non vi essendo poi donne da dare a costoro, bandì una certa solennità equestre sacra a Nettuno, la quale suol celebrarsi anche al presente: e quando molti furono concorsi a quello spettacolo, ordinò a coloro ai quali maucavan le mogli di rapire le giovani forestiere. Tito Tazio re dei Curiti volle vendicare l’ingiuria coll’armi; ma poi fe la pace con Romolo, e composero una sola nazione, avendo pattuita una comunanza di Signoria: finchè, ucciso a tradimento Tazio in Lavinio, di consenso dei Curiti Romolo regnò solo. Dopo di lui prese il regno Numa Pompilio già cittadino di Tazio, avendolo ricevuto dalla volontà medesima dei soggetti. Questa pertanto è la storia più creduta della fondazione di Roma.

Un’altra più antica e favolosa tradizione dice che i Romani furono una colonia venuta dall’Arcadia sotto la scorta di Evandro. Appo costui (dicono) stette come ospite Ercole quando traeva seco i buoi di Gerione;

[p. 52 modifica]ed avendo quel principe saputo dalla propria madre Nicostrata (era costei esperta nell’arte de’ vaticinii) che ad Ercole, come avesse compiute le sue imprese, era riserbato di essere ascritto fra i Numi, glielo fece palese, ed inoltre gli cousacrò un bòsco, e gl’instituì un sagrificio alla maniera degli Elleni, quale anche al presente si osserva in onore di Ercole stesso. Questa madre poi di Evandro la venerano i Romani reputandola una delle Ninfe, e la denominano Carmenta.

Adunque i Latini da principio furono pochi, e i più di loro non eran soggetti ai Romani: ma poi abbattuti dal valore di Romulo e di quei che regnarono dopo di lui, divennero sudditi tutti quanti. E così in progresso di tempo, vinti gli Equi, i Volsci, gli Ernici, e prima di costoro i Rutoli e gli Aborigini, ed anche i Reci, gli Argirusci e parte dei Privernati, tutto il paese che da costoro occupavasi venne sotto il nome di Lazio. La pianura de’ Volsci Pomezii confinante coi Latini era pregevole, e così anche la città di Apiola, la quale fu distrutta da Tarquinio Prisco. Gli Equi erano più vicini di tutti ai Curiti, ed anche le loro città furono da quel medesimo re devastale; e il figliuolo di lui prese Suessa7 metropoli de’ Volsci. Gli Ernici abitavano presso a Lavinio, ad Alba ed alla stessa Roma; nè distanti sono Aricia, Tellene ed Anzio. Gli Albani sulle prime erano in tutto concordi coi Romaui, siccome quelli che avevano una medesima lingua, ed erano aneli’essi Latini; [p. 53 modifica]e però sebbene questi due popoli si reggessero con governi particolari e divisi, nulla di meno celebravano matrimonii fra loro, e le cerimonie religiose ed altri dritti civili cran comuni in Alba ed in Roma: ma essendo poi nata guerra., Alba fu distrutta fuor solameute il tempio; e gli Albani furouo dichiarati cittadini di Roma. Delle altre città circonvicine, alcune furono distrutte, alcune furono danneggiate per avere voluto negare ubbidienza ai Romani; ma altre invece ne furono ampliate dalla loro amicizia. Ora poi tutta la spiaggia da Ostia fino alla città di Sinuessa chiamasi Lazio, il qual nome si estendeva da prima sol fino al monte Circeo8. Rispetto alle parti in fra terra, una volta il Lazio non si allargava gran fatto; ma poscia si estese fino alla Campania, ai Sanniti, ai Peligni e ad altri popoli abitanti presso l’Apennino.

Tutto il Lazio è un paese felice e fertile, qualora se ne eccettuino piccole parti lungo la spiaggia del mare, le quali sono pantanose e insalubri come a dire il territorio degli Ardeati, e quello fra Anzio e Lavinio fino a Pomezia, e parte di quel dei Setini e del territorio intorno a Taracina ed al Circeo, oltre ad alcuni altri siti montani e sassosi. Pur nè auche questi sono del tutto salvatici e infruttuosi, ma somministrano o pascoli abboudanti, o produzioni che amano le paludi e le rocce. Così il Cecubo ch’è un territorio palustre, nondimeno produce una vile arborosa e di vino squisito. [p. 54 modifica]Le città del Lazio sulla spiaggia del mare sono Ostia che non ha porto a motivo della continua alluvione del Tevere ingrossato da molti fiumi: quindi le navi stanno colà ancorate nell’alto mare, e vi corrono anche pericolo; ma vince nondimeno l’amor del guadagno, perocchè gran moltitudine di barche da trasporto si muove a pigliarne le mercatanzie onde sono aggravate, e così le pone in grado di continuare ben tosto la loro navigazione prima che abbian toccato alla foca del fiume, su pel quale poi alleggerite procedono fino a Roma per lo spazio di cento novanta stadii. In quanto ad Ostia la fondò Anco Marzio, e la sua posizione è quale l’abbiamo descritta. Dopo di essa trovasi Anzio città anch’essa importuosa, fondata sopra scogli, e lontana da Ostia circa duecento sessanta stadii. Al presente essa è quasi consacrata ai magistrati per riposarsi dalle faccende politiche quando l’occasione il comporti; d’onde poi vi furono costrutte molte splendide abitazioni per servire al soggiorno di que’ personaggi. Un tempo gli abitanti di quella città possedettero un navilio, e si associarono co’ Tirreni nel corseggiare, sebbene fossero già soggetti ai Romani. Per questo Alessandro da prima mandò a farne querela; e Demetrio poscia avendone pigliali alcuni9 li mandò a Roma, dicendo che perdonava loro la vita in grazia della consanguinità ch’era fra i Romani e gli Elleni; ma che nondimeno parevagli cosa indegna che una medesima [p. 55 modifica]gente e avesse la maggioranza in Italia, e lanciasse in mare ladroni; e che mentre nel foro in un tempio a tal uopo elevato adoravano i Dioscuri10, i quali da tutti sono denominati Salvatori, mandassero poi nell’ Eliade chi ne corseggiasse la patria. Il vero si è che i Romani distolsero poi gli Anziati da quell’nsanza. Nel mezzo di queste due città è Lavinio dov’è il tempio di Venere comune a tutti i Latini, e del quale hanno cura gli Ardeati fino ab antico. Trovasi colà anche Laurento; e al di sopra d’entrambe è Ardea colonia de’ Rutoli distante settanta stadii dal mare. Anche iu viciuanza di questa città è un tempio di Venere, nel quale sogliono congregarsi i Latini. I Sanniti devastarono una volta que’ luoghi ed ora vi rimangono solo alcune rovine di città, celebri nondimeno per essere state il soggiorno d’Enea: e si dice che le cerimonie religiose ch’ivi si praticano furono insegnate fin da que’ tempi.

Dopo Anzio è il monte Circeo a duecento novanta stadii circondato dal mare e dalle paludi per modo che rende sembianza d’un isola. Dicono ch’esso ha dentro di sè gran quantità di radici, forse per accomodarsi a quello che si favoleggia di Circe 11. Avvi anche una cittadella di Circe, ed un’ara sacra a Minerva 12; oltrechè sogliono quivi mostrare una coppa, [p. 56 modifica]la quale si dice che appartenne ad Ulisse. Fra Anzio e questo monte corre il fiume Sutra, alla cui foce è una stazione di navi: in tutto il resto la spiaggia è importuosa, se uon che v’ha un piccolo porto alla falda dello stesso Circeo. Al di sopra di questa spiaggia, dentro terra è la pianura Pomentina. E il paese che a quella tieu dietro l’abitarono primamente gli Ausonii, i quali occupavano anche la Campania. Dopo costoro sono gli Osci, ai quali pure appartenne una parte della Campania, che ora è tutta quanta dei Latini fino a Sinuessa, come s’è detto. Rispetto agli Osci ed alla nazione degli Ausouii è da uotare questa particolarità, che sebbene gli Osci siauo stati distrutti, il loro parlare dura tuttavia presso i Romani, per modo che se ne valgono anche al presente in certe poesie e in certe rappresentazioni drammatiche solite celebrarsi secondo un’antica usanza; e che sebbene gli Ausoni! non abbiauo mai abitato lungo il mar di Sicilia, esso per altro chiamasi Ausonio.

Cento stadii al di là del Circeo è Taracina13 chiamata primamente Trachina dalla sua situazione. Dinanzi ad essa sta una gran palude formala da due fiumi, il maggiore dei quali dicesi Aufido. Ivi per la prima volta la Via Appia s’accosta al mare, che da Roma va fino a Brentesio14, ed è frequentatissima. Le città

[p. 57 modifica]marittime che quella via attraversa sono queste sole, Taracina, poi Formio, Minturno, Sinuessa, ed all’ultimo Taranto e Brentesio. Presso a Taracina dalla parte di Roma va parallelo alla Via Appia un canale, che in molti siti è ingrossato dalle acque di maree e di fiumi. Sogliono navigarvi principalmente di notte, sicchè s’imbarcan la sera e smontano di buon mattino, a compiere il viaggio per la Via Appia: nondimeno anche di giorno si traggono per mezzo di muli le navi su quel canale.

Dopo Taracina è Formio fondata già dai Laconi, e detta Ormia da prima a motivo del suo buon porto15. I1 golfo ch’é fra queste due città lo chiamarono Caïatta, perocchè i Laconi danno tal soprannome a tutte le cavità. Alcuni dicono che quel golfo ha il nome della nutrice d’Enea16. La sua lunghezza è di cento stadii cominciandosi da Taracina sino al promontorio detto anch’esso Caïatta. Apronsi quivi smisurate caverne, le quali contengono grandi e sontuose abitazioni. Da Caïatta a Formio si contano quaranta stadii. Fra questa città e Sinuessa giace Minturno distante da entrambe circa ottanta stadii. Le scorre pel mezzo il fiume Liri che anticamente chiamavasi Clauis. Csso discende dai monti Apennini, bagna il paese de’ [p. 58 modifica]Vescini17 presso il borgo Fregelle che un tempo fu città di gran nome, ed entra in un bosco veneratissimo dagli abitanti di Minturno, al di sotto di questa città. Proprio nel cospetto delle mentovate spelonche sorgon nell’alto del mare due isole, Pandataria e Ponzia, piccole a dir vero, ma assai popolate, non molto distanti fra loro, e lontane dal continente duecento cinquanta stadii.

Al golfo di Caïatta seguita il Cecubo, ed a questo tien dietro Fondi, città situata lungo la Via Appia. Tutti questi luoghi poi sono molto feraci di buoni vini, fra i quali il Cecuba, il Fondano, il Sciino sono de’ più rinomati, come anche il Falerno, l’Albano e lo Statano.

Sinuessa è fondata nel golfo Setino18, e da questa sua posizione piglia il suo nome; perocchè un golfo dicesi sinus (seno). Vicino a questa città trovatisi bagni caldi opportuni a certe malattie. E queste sono le città dei Latini situate sul mare. Dentro terra poi la prima al di sopra di Ostia è Roma, ed è la sola bagnata dal Tevere; la quale abbiamo già detto che fu quivi costrutta per necessità, non per elezione. Or si vuol dire altresì che coloro i quali vi aggiunsero poi di tempo in tempo alcune nuove parli, non poterono eleggere quelle posizioni che sarebbero state migliori, ma servirono a quelle che già sussistevano. I primi pertanto murarono il Campidoglio, il Palatino ed il colle [p. 59 modifica]Quirinale, il quale dava così facil salita a quelli di fuori, che Tito Tazio, quando tolse a vendicare lo scorno delle rapile fanciulle, lo investì e lo prese. Anco Marzio aggiungendo alla città il monte Celio e l’Aventino colla pianura che giace loro nel mezzo (luoghi disgiunti cosi l’uno dall’altro fra loro, come anche dal rimanente della città già fabbricata) ubbidì anch’egli alla necessità. Perocchè non sarebbe stato conveniente laciar fuori delle mura colli di tanta importanza, e dei quali avrebbe potuto un nemico valersi a danno della cità; nè a lui era possibile di condurre la cinta fino al colle Quirinale. Ma Servio conobbe quel difetto, e conpiè il muro aggiungendovi il colle Esquilio ed il Viminale, e perchè anche questi davano facile accesso a cui veniva dal di fuori, perciò scavando una profonda fossa e gettando al di dentro la terra che ne traevano, fornirono un rialto lungo circa sei stadii sul margine interiore di quella fossa e vi piantarono un muro ed alcune torri dalla porta Collina fino all’Esquilina: e verso il mezzo di quel rialto è una terza porta che piglia il suo nome dal colle Viminale. Tale pertanto è la munizone di Roma, la quale poi aveva bisogno d’altri baluardi. E nel vero sembra che gli antichi abitanti di quella città così per sè stessi come pei loro discendenti pensassero che ai Romani era conveniente il procacciarsi e sicurezza e abbondanza non già colle fortificazioni, ma colle armi e col proprio valore; portando opinione che non i miri agli uomini, ma sì gli uomini ai muri debbon esseri baluardi. Da principio pertanto, non appartenendo a Roma il fertile ed ampio territorio ond’è [p. 60 modifica]circondata, ed essendo inoltre quella città facilmente accessibìle a chi volesse investirla, non potea trarre dalla sua posizione speranza veruna di dover essere coll’andare del tempo felice: ma poichè a forza di valore e di fatica ebbe fatti suoi que’ luoghi, si mostrò un certo concorso di beni, superiore ad ogni naturale feliciti. Laonde poi questa città, sebbene tanto accresciuta provvede al nutrimento de’ proprii cittadini; nè mai le mancano il legname e le pietre occorrenti alle sue costruzioni, che di continuo si fanno a motivo delle rovine, degli incendj e delle vendite, le quali cose sono anch’esse continue: perocchè anche le vendite sono una specie di volontarie rovine, diroccando e rifabbricando i cittadini le case a capriccio. Pure a tutto questo bastano mirabilmente l’abbondanza delle miniere, e le selve ed i fiumi sui quali trasportansi gli occorrenti materiali. Il primo di questi fiumi è l’Anio19 che scorre da Alba, città latina presso ai Marsii, e attraversa la pianura a quelli soggetta fin dove poi entra nel Tevere; poi il Nar e il Tenea20, i quali attraversando l’Umbria vanno anch’essi a gettarsi nel fiume Tevere; e finalmente il Clani21 che scorre per la Tirrenia e pel territorio Clusino. Ora Cesare Augusto provvide a siffatti mali della città, ordinando a soccorrere contro gl’incendii una coorte di [p. 61 modifica]libertini, e ponendo per evitare le rovine una legge, che non si possa costruire lungo la pubblica via alcun edifizio la cui altezza ecceda i settanta piedi. Tuttavolta sarebbe impossibile effettuare tutte le riparazioni occorrenti se loro non abbondassero le miniere ed i boschi, ed i mezzi per trasportarne in città gli oggetti che fan di mestieri.

Questi sono i vantaggi che la natura del paese somministra alla città di Roma; ma i Romani ne aggiunsero molti altri co’ loro provvedimenti. E nel vero gli Elleni sono in fama di avere felicemente fondale le loro città perchè guardarono alla bellezza, alla fortezza, ai porti, alla fertilità dei paesi: ma i Romani provvidero principalmente a quelle cose le quali gli Elleni neglessero, come sono le strade lastricale, gli acquidotti e le cloache per trasmettere nel Tevere le immondezze della città. Fecero poi strade anche nel restante del loro territorio spianando colli ed empiendo cavità, per modo che i carri potessero diffondere nelle provincie quanto veniva recato per mare sopra le navi nei porli; e costrussero al di sotto delle strade siffatti canali che possono qualche volta servir di passaggio per sino a carri carichi di fieno. E tanta è l’acqua degli acquidotti, ch’essa scorre per la città e pe’ canali sotterranei a guisa di fiumi: e quasi ogni abitazione ha cisterne, canali e serbatoj in gran numero, delle quali cose ebbe grandissima cura M. Agrippa che ornò la città anche di molti altri monumenti. A dir breve, gli antichi badarono poco alla bellezza di Roma, intenti alle cose di maggiore importanza e necessità; ma quelli che [p. 62 modifica]vennero poi, e principalmente quelli che vivono ai nostri giorni, senza lasciare addietro la cura di questi oggetti, empierono la città di molti e belli edifizii. Perocchè e Pompeo, e il Divo Cesare, e Augusto, e i figliuoli e gli amici, e la moglie e la sorella di lui superarono ogni diligenza e ogni spesa in siffatti ornamenti. La maggior parte di questi si trovano nel Campo Marzio, il quale e dalla natura e dallo studio degli uomini è stato abbellito: perocchè l’ampiezza di quella pianura è mirabile, e somministra lo spazio aperto ch’è necessario al correr dei carri e dei cavalli ed a quella gran moltitudine che suole esercitarvisi alla palla, al disco ed alla palestra; oltrechè gli edifizii ond’è circondato, il terreno sempre erboso, e la corona dei colli che rendono immagine di una scena cominciando al di sopra del fiume22 e venendo a ricongiungersi colla sua corrente, somministrano uno spettacolo da cui l’uomo non può distoglier i senza rincrescimento. Vicino a quel campo ve n’ha un altro, e molti portici all’intorno, e boschi, tre teatri, un anfiteatro, e templi sontuosi e contigui fra loro; per modo che a veder quella parte della città potrebbe credersi che la rimanente fosse quasi un’aggiunta. Laonde i Romani stessi considerando quel luogo come più venerabile di tutti, quivi eressero anche i monumenti degli nomini e delle donne più illustri. Fra questi monumenti ragguardevolissimo è quello chiamato Mausoleo23, il quale è un [p. 63 modifica]cumulo di terra che s’alza sopra un’eccelsa base di pietra bianca in vicinanza dei fiume, e tutto coperto sempre dall’ombra delle piante, e sul vertice poi v’è l’immagine di Cesare Augusto di bronzo. Sotto quel rialto di terra stanno le ceneri di Augusto stesso, de’ suoi congiunti e famigliari. Da tergo è un gran bosco, dentrovi mirabili passeggi. Nel mezzo poi del Campo24 avvi il sito dove fu già il suo rogo: all’intorno ha un cerchio di pietra bianca, ed una sbarra di ferro; al di dentro è tutto pieno di pioppi. Tuttavolta se l’uomo da questo Campo si trasferisce al vecchio foro, e contempla le basiliche, i portici, i templi chi quivi sono l’uno all’altro contigui, e poi vede anche il Campidoglio co’ suoi edifizii, e quelli che stanno sul Palatino, e il passeggio di Livia, facilmente dimenticherà tutto il resto. Tale è Roma.

Le altre città del Lazio si possono enumerare come con qualche altro ordine, così principalmente seguitando quello delle strade più conosciute che discorrono quel paese; perocchè trovansi o lungo quelle strade, o vicino ad esse o fra mezzo. Le strade poi più conosciute sono l’Appia, la Latina e la Valeria. L’Appia25 circonda le parti marittime del Lazio da Roma fino a Sinuessa: la Valeria va rasente la terra Sabina fino ai [p. 64 modifica]Marsii; e fra queste due sta la Via Latina la quale si unisce coll’Appia presso la città di Casilino distante diciannove stadii da Capua. Questa Via comincia dall’Appia, dalla quale si disgiunge inclinando a sinistra mentre è tuttora vicina a Roma; poi valica il monte Tosculano, fra la città di Tosculo ed il monte Albano, discende alla piccola città di Algido ed alla stazione di Pieta. Quindi le si unisce la Via Livia, la quale comincia dalla porta Esquilina d’onde muove anche la Via Prenestina: ma lasciando poi a mano manca così quella strada come il territorio Esquilino procede per più che cento venti stadii, e dopo essersi avvicinata all’antico Lavico, castello diroccato sopra un’altura, sel lascia a destra insieme con Tosculo, e finalmente a Pieta si confonde colla Via Latina, lontano da Roma duecento dieci stadii. Quinci innanzi, lungo la stessa Via Latina trovansi illustri abitazioni e città, Ferentino, Frusino, presso la quale scorre il fiume Cosa, e Fabrateria bagnata dal Trero26. Aquino è una grande città, lungo la quale scorre il Melpi, gran fiume; e Interamnio, che giace sul confluente dei due fiumi Liri e Casino, è anch’essa una città riguardevole, ed è l’ultima del Lazio. Perocchè Teano Sidicino che viene appresso, dal suo medesimo soprannome si fa conoscere appartenente ai Sidicini, i quali sono Osci e un avanzo della nazione dei Campani. Laonde meglio diremo che questa città appartiene alla Campaoia, ed è [p. 65 modifica]per altro anch’essa una delle maggiori che siano lungo la Via Latina. Ragguardevole è pure anche Caleno27 che le tien dietro, la quale è contigua a Casilino.

Rispetto ai luoghi situati lungo la Via Latina, sulla destra si trovano quelli posti tra essa e la Via Appia, cioè Setia e Signia28 feraci di vino: e quello di Selia è uno dei più cari; l’altro è acconcissimo a corroborar gl’intestini, e lo denominan Signio. Oltre Signia29 sono Priverno, Cora, Suessa, Trapunzio, Velitra, Aletri e Fregelle, lungo la quale scorre il Liri che va in mare presso Minturno: al presente è un borgo, e fu una volta ragguardevol città, e dipendevan da lei la maggior parte dei luoghi circonvicini da noi già mentovati, i cui abitanti anche oggidì sogliono convenire in Fregelle in certi giorni di mercato o di sacre solennità; ma fu rovinata quando si ribellò dai Romani30. Moltissime poi di queste città situate o lungo la Via Latina o dai lati, e costrutte nel territorio degli Ernici, degli Equì dei Volsci, furono fondate dai Romani.

Alla sinistra della Via Latina fra questa e la Via Valeria v’ha Gabio sulla strada di Preneste31, con una cava [p. 66 modifica]di pietre, della quale più che dell’altre fanno uso in Roma, e distante da questa città, ugualmente che da Preneste, circa cento stadii. Seguita poi Preneste di cui diremo appresso. Quindi nei monti che stanno al di sopra di Preneste si trovano Capitulo, piccola città degli Ernici, Anagni illustre città, e Cereale e Sora presso cui scorre il Liri32 andando a Fregelle e a Minturno; poi alcune altre Terre, e finalmente Venafro, d’onde si trae l’olio migliore. Questa città siede sull’alto di un colle, la cui radice è lambita dal Vulturno, il quale dopo essere passato lungo Casilino entra in mare presso alla città che ha il nome a comune con lui. Ma Æsernia ed Alife, che vengono appresso, appartengo già ai Sanniti; e la prima fu distrutta nella guerra co’ Marsi, l’altra dura tuttora.

La Via Valeria comincia da Tiburi33, e mena fra’ Marsii ed a Corfinio, metropoli de’ Peligni. Stanno lungh’essa le città latine Valeria, Carseoli ed Alba, ed ivi presso anche Cuculo.

Tiburi, Preneste e Tusculo si veggono da Roma. A Tiburi sono un tempio di Ercole, ed una cataratta formata dall’Anio34, fiume navigabile che da una grande altezza precipita giù in una valle profonda e boscosa vicino alla detta città. Di quivi poi va scorrendo per luoghi fertilissimi, lungo le cave del marmo Tiburtino [p. 67 modifica]e Gabio, e di quello che dicesi rosso; sicchè agevolmente le pietre da quelle cave si conducono per nave a Roma, dove si adoperano poi nella maggior parte degli edifizii. In quella pianura per la quale scorre l’Anio vanno anche le acque dette Albule che sgorgano fredde da molte fonti e risanano da varie malattie così chi le beve come chi vi si bagna. Tali sono anche, a poca distanza da queste, le acque Labane35 che trovansi Dell’agro Nomentano e nelle vicinanze di Ereto. A Preneste avvi un celebre tempio della Fortuna, dove si rendono oracoli. Tutte e due quelle città (Tiburi e Preneste) sono fondate sopra una stessa catena di monti, e sono distanti fra loro circa cento stadii. Da Roma poi la città di Preneste è lontana il doppio, e Tiburi un poco meno: ed è fama ch’entrambe siano d’origine ellenica, e che Preneste fosse primamente chiamata Polustefano. Sì l’una come l’altra sono città forti, ma Preneste assai più di Tiburi: perocchè al di sopra di quella città, e quasi per esserle in luogo di cittadella, s’innalza un monte scosceso che tagliato a picco da tergo sorpassa di due stadii il colle che da quel lato lo unisce alla catena delle montagne. Ma oltre a questa naturale fortezza, tutto il terreno è perforato da strade sotterranee che discendono sino alla pianura, e servono in parte come acquidotti, in parte per le uscite segrete. In una di queste vie sotterranee morì Mario36 assediato in Preneste. Ma dove nelle [p. 68 modifica]altre città l’avere una forte posizione suole considerarsi come cosa di gran vantaggio, ai Prenestini invece tornò in danno, a motivo delle sedizioni di Roma: perocchè i promotori delle politiche novità sogliono colà rifuggirsi, e quando poi sono costretti ad arrendersi, oltre al danno che ne soffre la città, accade sempre che ne sia confiscato il territorio, soggiacendo alla pena anche coloro che sono innocenti. A traverso poi del territorio Prenestino corre il fiume Veresis37.

All’oriente di Roma pertanto si trovano le città fin qui mentovate. Al di qua poi di quelle montagne sulle quali esse stanno v’ha un’altra sublime catena di monti (fra mezzo rimane la valle d’Algido) che si estende fino al monte Albano38. Sopra questa catena è fondata Tusculo, città non mal fabbricata. L’adornano le piantagioni e gli edifizii che le stanno d’intorno, principalmente quelli che trovansi dalla parte dì Roma: perocchè da quel lato il Tusculo è un colle fertile e abbondevole d’acqua, d’insensibil pendio, con bellissimi palazzi a somiglianza di reggie. Contigui al Tusculo sono i luoghi sottoposti al monte Albano, che di fertilità e di bellezza gli vanno del pari. Seguitano poi le pianure che in parte si vanno a congiungere con Roma e co’ suoi sobborghi, in parie si stendono al mare. Quest’ultima parte è meno salubre; il restante è sito comodo e ben coltivato.

Dopo il monte Albano, lungo la Via Appia, è la città [p. 69 modifica]di Aricia a cento sessanta stadii da Roma. Il terreno in cui essa giace è avvallato; pur nondimeno ha una forte rocca. Al di sopra di Aricia stanno Lavinio, città de’ Romani sulla destra della Via Appia, d’onde si posson vedere e il mare ed Anzio; e l’Artemisio chiamato Nemus (bosco di Diana), che trovasi sulla sinrstra di quelli parte che ascende al tempio di Aricina39. E dicono che sia questa la Diana Tauropulo: e veramente nelle sacre cerimonie che vi si fanno predomina qualche cosa di barbarico e di scitico. Perocchè suol esservi nominato sacerdote qualche uomo fuggiasco, il quale di propria mano abbia ucciso chi v’era da prima: ed egli per conseguenza va sempre armato di pugnale, e sta in sospetto ed apparecchiato a respinger le insidie. Il tempio è in un bosco, e gli sta dinanzi un lago somigliante ad un mare; e tutto all’intorno un cerchio di monti recinge quel tempio e quei lago in un sito cavo e profondo. Le fonti ch’empiono il lago si possono colà vedere; una delle quali chiamasi Egeria dal nome di una certa divinità: ma non vi si scorgono le uscite del lago, le quali appariscono invece assai lungi di là nella pianura. [p. 70 modifica]

Vicino a cotesti luoghi è anche il monte Albano che innalzasi molto più del bosco di Diana e de' gioghi ond’è circondato, sebbene siano molto elevati e scoscesi; e questo monte ha altresì un lago molto maggiore di quello che sta dinanzi al predetto bosco. All’oriente di questo monte stanno le città situate lungo la Via Latina e già menzionale da noi. Fra le città latine quella ch’è più dentro terra è Alba confinante coi Marsii, e fondata sopra un’alta collina presso il lago Fusinate che nell’ampiezza somiglia ad un mare.

Di questo lago si giovano grandemente e i Marsii e tutti i popoli circonvicini. Dicono che qualche volta s’empie fino all’altezza de’ monti, poi di nuovo s’abbassa per modo che rimangono all’asciutto i siti da prima allagati, sicchè possono coltivarsi. E queste mutazioni avvengono o perchè in alcuni tempi le acque del lago colano e si disperdono a traverso di uscite segrete; o perchè le sue sorgenti si chiudono per riaprirsi poi di bel nuovo; siccome dicono che avviene del fiume Amenano40 che attraversa Catana: il quale cessa talvolta per molti anni, e poi ripiglia nuovamente il suo corso. Raccontano che nel lago Fusinate siano le fonti di quell’acqua Marciana che suol beversi in Roma dov’è più stimata di tutte.

Di Alba poi, per essere quella città situata nel centro del paese, e molto fortificata, se ne valsero spesse volte i Romani come d’una prigione per tenervi coloro che più volevano custodire.

  1. Letteralmente la Latina; ἡ Λατίνη.
  2. Cioè: Vicino al luogo dove si fondò poi Ostia. — Notano poi gli Edit. franc. che se la città quì assegnata è Troja-Nova (Virg., lib. vii, v. 157) dovrebbe leggersi quattro stadii invece di ventiquattro.
  3. Il Siebenkees crede che tutte queste parole riguardanti il sagrificio (o le Ferie Latine) siano una interpolazione: e gli Edit. franc. notano che in un loro bel manoscritto non si leggono le parole preponendo, ecc. Il Falconer nella sua bellissima edizione (Oxonii, 1807) non fa verun cenno di questo dubbio del Siebenkees.
  4. O piuttosto: Trecento anni.
  5. I Ieromnemoni, Ἱερομνήμονες. — Rispetto al nome del grificio di cui quì si parla, sulla fede di qualche manoscritto per consiglio di molti interpreti dovrebbero intenderli i riti Ambarvali.
  6. Per rocca s’intende quì il monte Palatino.
  7. Dicevasi Suessa Pometia per distinguerla da Suessa Aurunca.
  8. Monte Circello.
  9. Leggo coi più recenti: καὶ Δημήτριος ὕστερον, τοὺς ἁλόντας, τῶν λῃστῶν ἀναπέμπων τοῖς Ῥωμαίοις, ecc.
  10. Castore e Polluce salvatori dei naufraghi.
  11. Cioè che col succo di radici veneGche tramutasse gli uomini in animali.
  12. Così la lezione comune. Secondo il Coray dovrebbe dirsi: Avvi una cittadella sacra a Circe, ed un’ara di Minerva. Gli Edit. franc. poi adottando una diversa punteggiatura traducono: Avvi una piccola città, un tempio di Circe, ed un’ara di Minerva.
  13. Terracina. Il nome poi di Trachina significherebbe aspra, montuosa.
  14. Brindisi.
  15. Buon porto, Εὔορμον.
  16. Gaeta chiamavasi la nutrice di Enea, che altri dicono invece essere stata nutrice di Crensa sua moglie o di Ascanio suo figlio. Dicesi che per molti secoli si vide in quella città un tempio sacro ad Apollo ed a Gaeta. (Edit. franc.)
  17. Leggo cogli Edit. franc. Οὐησκίνης in vece di Οὐηστίνης.
  18. Pare che dovrebbe leggersi nel golfo Vescino. (Ed. franc.)
  19. Teverone.
  20. La Nera e il Topino.
  21. La Chiana. Osservano gli Edit. franc. che questo nome Cleni o Glani fu comune a parecchi fiumi d’Italia.
  22. Cioè, descrivendo un semicerchio sul Tevere.
  23. Il monumento d’Augusto.
  24. S’intende ancora del Campo Marzio. Svetonio nella vita d’Augusto dice: Senatorum humeris delatus in Campum, crematusque.
  25. La via Appia cominciava dalla porta Capena: la Valeria da Tivoli.
  26. Clavier dice che Fabrateria (Falvaterra o Falvoterra) era situala sul Liri nominato ora Garigliano.
  27. Calvi.
  28. Sessa e Segni.
  29. Noi saremmo tentati (dicono gli Ed. franc.) di leggere non ταύτης, ma ταύταις, alludendo alle due città.
  30. Ciò accadde 125 anni prima dell’E. V.
  31. Paleslrina. Gabio ai crede che fosse presso a poco dov’ora è Castel dell’Osa. (Edit. franc.).
  32. Il Garigliano.
  33. Tivoli.
  34. Anio od Aniene si disse Teverone.
  35. I Bagni di Grotta Marozza. — I geografi poi non sono d’accordo sulla vera posizione di Ereto. (Edit. franc.)
  36. È questi il figlio di Cajo Mario; e Plutarco dice che si uccise da se medesimo.
  37. S’ignora qual sia questo fiume che Strabone qui accenna.
  38. Monte Calvo.
  39. Fra le molte maniere proposte dai commentitori per correggere il testo pare assai ragionevole quella degli Edit. franc., i quali con poche mutazioni lo ristabiliscono così: Ὑπέρκειται δ᾿ αὐτῆς (τῆς Ἀρικίας) τὸ μὲν Λανούβιον... ἐν δεξιᾷ τῆς Ἀππίας ὁδοῦ... τὸ δ᾿ Ἀρτεμίσιον, ὃ καλοῦσι Νέμος, ἐκ τοῦ ἐν ἀριστερᾷ μέρους τῆς ὁδοῦ, τῆς ἐξ Ἀρικίας ἀναβαινούσης εἰς τὴν δ᾿ Ἀρικίνην καὶ τὸ ἱερὸν. E interpretano la dizione τὴν Ἀρικίνην pel territorio d’Aricia.
  40. Il Judicello nella Sicilia.