Gazzetta Musicale di Milano, 1872/N. 14
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IDEE MUSICALI DI GIUSEPPE MAZZINI Dio e Popolo — Pensiero ed Azione. Sempre che mi avviene di rammentare il grande italiano, sia che guardi alle sue azioni, alle sue scritture, alla sua filosofia, alla sua fede, ai suoi sentimenti artistici, lo faccio coll’occhio fisso a queste imprese di battaglia. Dotato di natura profetica, egli spese tutta la vita nell’apostolato d'un'idea, come tutti gli apostoli, non però alla stessa maniera; il suo potentissimo intelletto gli tolse di ricadere nell’errore di tanti predicatori sentimentali, che disprezzarono o dimenticarono i mezzi del mondo reale, credendo bastasse a convertire a una fede, una fede, la propria, un esempio, il proprio, spesso soltanto la propria parola. L’idea mazziniana non cammina sola in mezzo agli uomini — nessuno le avrebbe badato — essa si eleva sopra una piramide e chiama dall’alto la folla sbigottita. Non è soltanto un’idea, è un sistema. Il sentimentalismo di Mazzini non è’ sfibrato; ma ha nervi e sangue; la sua convinzione non è soltanto profonda, ma gagliarda; a differenza degli adoratori volgari egli pose il suo idolo in cima non al suo pensiero soltanto, ma all’universo pensante. Letteratura, Arte, Filosofia, Religione, siccome non sono che la manifestazione d’uno stesso vero, così non devono avere di mira che una conquista — la patria, l’umanità. La musica non potè sottrarsi a questo appello. A Mazzini, appassionato della musica, forse meno indottamente di quel che egli confessi, non poteva sfuggire il carattere generale, umanitario, che essa ha come linguaggio e come pensiero. «La musica, egli scrive, sola favella comune a tutte le nazioni, unica che trasmetta esplicito un presentimento d’umanità, è chiamata certo a più alti destini che non son quelli di trastullare l'ore d’ozio a un piccol numero di scioperati.» Era difficile resistere al fascino di questa idea ad uno che lavorava intorno all’edifizio della propria missione. Il sistema di Mazzini, così intero, così bello, così giusto nelle proporzioni, così netto nei contorni^ non tradisce, come tanti sistemi filosofici, la violenza — ci è l’unità e l’interezza delle costruzioni pelasgiche; non è artificioso e fragile accozzamento di immagini e di parole. Nondimeno se vi è una pietra di questo incantevole edifizio che sembri ribellarsi alla legge universale, se vi è un pensiero che guardi al sistema come ad un carcere, è il pensiero musicale. Prima di dirigere una forza ad un intendimento, convien conoscere la natura di questa forza; prima di dire alla musica: «io voglio questo da te», ei conviene ripetere il famoso: Musique, que me veux-tu? che, prima e dopo Fontenelle, fornì argomento di meditazione a tutti i pensatori. Mazzini è così convinto della missione della musica, che accenna alla domanda di Fontenelle come alla sintesi di una scuola sensualistica e materialistica e non le riconosce altro significato; ma sa egli poi meglio di Fontenelle che cosa sia la musica? L’articolo «Filosofia della musica» porta in fronte questa epigrafe concisa ma eloquente: Ignoto numini. Ma coll’ignoto non è umanamente possibile porre le basi di nulla di noto e il bisogno di determinare, di dare contorni all’idea musicale apparisce a lampi qua e là nella scrittura. Nè lo scrittore può così dissimulare il vuoto che si scava ogni tanto, sotto i suoi passi, che non getti ad intervalli lo sguardo nell’ignoto per intravedere la faccia del nume. Egli dice: «La musica è un’armonia del creato, un’eco del mondo invisibile, una nota dell’accordo divino che l’intero universo è chiamato ad esprimere un giorno.» Parole di credente, linguaggio di profeta, bagliori che non splendono se non quanto basta a mostrare il bujo. Il Musique, que me veux-tu? rimane più saldo di prima. La formula l'arte per l'arte, che Mazzini biasima colla vigoria dell’indignazione in letteratura, forma pure l’oggetto di tutte le sue riflessioni intorno alla musica. Ma quanto altrimenti egli riesce efficace qui che altrove! Le sue parole sono più eloquenti che vigorose, 112 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO rP L ì U | i suoi colpi sono più brillanti che formidabili. Egli fa acciuffare corpo a corpo la musica sociale colla musica indivichmle^ ma la lotta dà l’immagine di quelle inutili e lunghe prove di atleti rivali, non fatte che per offrire uno spettacolo al pubblico, e che finiscono sempre senza che nissuno degli avversarli prema col dorso le tavole del palcoscenico. Se la letteratura non deve essere scopo a sè stessa, la musica, io temo assai, non può far altro. Vediamo: che cosa domanda Mazzini alla musica? Qui è palese un’indeterminazione che non si trova in nissun’altra scrittura di Mazzini. La logica si vendica del lirismo. Che volete domandare ad un’arte di cui vi è ignota l’intima natura? Mazzini vi dice tutto ciò che la musica non è, tutto ciò che la musica non fa; non sa dirvi ciò che dovrebbe essere, ciò che dovrebbe fare. Egli la vuole angiolo elei santi pensieri, ispiratrice di forti fatti, diretta ad un intento sociale. Ma io domando: quale intento? per quali vie? È egli possibile dirigere quello che non si conosce? È egli possibile prefìggere uno scopo determinato ad un’arte che ha contorni così sfumati, e in cui il genio è ridotto più all’ufficio di sognatore che a quello di pensatore, ad un’arte di cui molti possono essere fortunati tentatori, padrone nessuno? Che cosa è la musica? Alla definizione di Mazzini che la dice un’eco d’un mondo perduto, io preferisco quella di San Giovanni Damasceno: «una serie di suoni che si chiamano l’un l’altro.» Ma nè S. Giovanni nè Mazzini sono padroni del segreto; questa musica che allieta i mortali e parla d’un mondo ignorato è creatura del cielo e si nasconde ritrosa fra le nubi. Gl’intelletti potenti ne hanno intravveduto le forme, l’anima è rimasta occulta. Credete voi al nuovo Prometeo che debba rapirle la scintilla? Io non ho questa religione, nè Mazzini stesso l’aveva. Comunque sia, fino a che la musica non sarà altro che sensazione,’non potrà ispirare altro che brevi sentimenti. Il fatto dei selvaggi che si sono convertiti alla fede per la musica non prova nulla. Nissan uomo civile che oltre una fede abbia un cervello farà mai un’apostasia a. questo prezzo. Adoperate le arti che parlano alla mente, che provocano il pensiero a battaglia, se volete ottenere una vittoria; non la musica che parla ai sensi od al cuore, che può darvi una carezza, una melanconia, un entusiasmo, non un pensiero; l’impeto che distrugge, non la forza che crea. Ogni moto sociale è indifferente alla musica, per quel che io ne penso; essa sarà sempre al fianco dell’umanità come una parola d’angiolo, in terra come una carezza di cielo. Siamo usi a parlare di pensiero musicale, d’idea musicale; e il gergo aggiunge i periodi e le frasi musicali. È una concessione al nostro linguaggio, è forse un indovinamento — ma dove è il pensiero musicale? Possiamo noi ammettere pensiero senza significato palese, idea a cui non si possa contrapporre un’altra idea? E provatevi, se vi riesce, a contrastare con un sillogismo musicale, un’aria della Norma o del Rigoletto. Ad essere esatti, siccome la musica non nasce che dalla fantasia e dal cuore, le frasi, i periodi e i pensieri dovrebbero essere chiamati sentimenti o fantasmi. Ho detto che lo stesso Mazzini non crede a questa missione sociale della musica. Infatti, dopo aver diviso anche la musica come la letteratura in individuale e sociale, e dato alla prima base la melodia e patria l’Italia, alla seconda base l’armonia e patria la Germania, ne«’a ad entrambe l’indirizzo vero. La musica tedesca che risponde all’elemento sociale, non è sociale; le mancano contorni spiccati, è sintetica ma vaporosa, abbraccia l’universo, ma se lo lascia sfuggire, guarda al cielo, vi erra intorno, si perde nelle astrazioni; non ha muscoli e sangue — è nebbia. L’italiana è più gagliarda, esaurisce le sensazioni, ma è materialistica, parla ai sensi, non all’anima o poco, accarezza, blandisce, addormenta, non consiglia nulla; ha muscoli e sangue ma non ha un proposito fuor quello di divertire. Giudicato con questo criterio Rossini è un titano, è il Napoleone d’un’epoca; ha sancito l’indipendenza, ha dichiarato l’onnipotenza elei genio, ma non ha fatto che conchiudere l’individualismo; Bellini era in^eemo di transizione, anello tra la scuola italiana e la scuola futura, e il solo Donizetti accenna a intendere i nuovi bisogni del dramma musicale. Il dramma musicale! Ecco la chiave del sogno di Mazzini; quando egli parla della musica ha in mente, senza avvedersene, il melodramma, e quando ne vuole determinare in qualche modo la missione sociale non trova di concreto altro che il dramma per musica. Egli scriveva queste cose nel 1836, quando Rossini era grande, e Bellini era appena morto dopo essersi fatto immortale, e Donizetti intelletto potentemente assimilatore aveva fuso i caratteri delle due musiche e messo il melodramma sulla vera via. Ammesso il connubio delle parole coi suoni, Mazzini vide fino d’allora ciò che poi abbiamo tutti ripetuto, che la musica non doveva regnare da tiranna, ma piegarsi il meglio possibile alle situazioni, ai caratteri dei personaggi, al sentimento espresso dalla parola. Questa non è utopia, come è utopia la missione sociale della musica, e se può trovare chi esagerandola la snaturi, non è meno vero che la lira del musicista ha come la lira del poeta corde varie per l’amore, pel dolore-, per la gioia, per l’entusiasmo, per l’ira, e in generale per tutti i sentimenti dell’anima umana, e che questo sposalizio è possibile. E tanto è possibile che dello stesso Donizetti, e più di Verdi che venne dopo, di Meyerbeer, di Gounod e di parecchi altri possiamo, dopo quasi quarant’anni, enumerare più di quaranta capilavori in cui la nota non ha fatto violenza alla parola. In questo Mazzini ebbe l’occhio giusto, e scagliò il ridicolo con parole convinte, e riuscì eloquentissimo perchè vero. Ma non forse così scrupolosamente vero quanto sarebbe stato se non si fosse affannato dietro la chimera della musica ezeropea, sociale, missionaria. Perchè egli domanda, oltre al drammatismo musicale^ anche l’elemento storico, il colore musicale dei tempi e dei luoghi in cui l’azione si svolge; fantasie nebbiose, soggettive, che sfuggono all’osservazione e & । A GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 113 che possono essere intese e fraintese in mille maniere. Certo la musica di un dramma che dipinge la Venezia voluttuosa e feroce, e quella di un dramma che espóne l’energia severa della repubblica romana, o la frivola galanteria della reggenza, o gli eroismi e i poetici entusiasmi del medio evo possono e devono avere ad ora ad ora caratteri diversi, ma non così da trascurare le passioni ed opprimerle e confonderle in una monotonia faticosa, non così da dimenticare che l’amore, l’odio, T entusiasmo, il dolore sono corde che vibrano alla stessa maniera in ogni tempo e in ogni luogo, perchè sono corde d’una lira che si chiama umanità.. Se le idee particolari di Mazzini sulla musica mi trovano in molti punti avversario, le intenzioni sempre generose d’un apostolo, onesto e leale anche nell’entusiasmo, mi hanno cresciuto la venerazione che ho per l’illustre italiano. Nè vo’fìnire queste incomposte parole senza consigliare ai giovani maestri d’oggi^ ciò che Mazzini consigliava quarantanni sono ai giovani maestri d’allora. «S’innalzino, egli scrive, collo studio dei canti nazionali, delle storie patrie, dei misteri della poesia, dei misteri della natura a più vasto orizzonte che non è quello dei libri di regole e dei vecchi canoni d’arte. Si accostino alle opere dei grandi nella musica, dei grandi, non d’un paese, d’una scuola o d’un tempo, ma di tutti i paesi, di tutte le scuole e di tutti i tempi; non per anatomizzarli e disseccarli colle fredde e vecchie dottrine di professori di musica, ma per accogliere in sè stessi lo spirito creatore e unitario che move da quei lavori; non per imitarli grettamente e servilmente, ma per emularli da liberi e connettere al loro un nuovo lavoro.» JS. FARINA. L’appendicista della Perseveranza, parlando della splendida stagione della Scala, scrisse queste parole: «Quanto alla riconoscenza pel successo fenomenale dell’Aida e della Forza del destino, la si deve prima di tutto al Verdi, che scrisse la musica affascinando il pubblico; poi all’onnipotenza ed influenza sua e dell’Editore nelFesigere in ogni particolare dell’esecuzione tutte quelle minuziosità e tutte quelle splendidezze che- decisero del successo e alle quali l’impresa si è sobbarcata con passiva e contristata rassegnazione. Non voglio discutere adesso se questo predominio degli Editori sia conveniente, nè favorevole in complesso al teatro musicale; è certo che costituisce preferenze ed esclusioni poco giovevoli al libero sviluppo dell’arte: ma nel caso concreto è incontrastabile -che la influenza, o a meglio dire la volontà onnipotente dell’editore è stata giovevole alla buona esecuzione musicale, al pubblico che si è divertito, all’Impresa che ha intascati fior di quattrini, e all’onorevole Direzione che può pavoneggiarsi cogli allori conferitigli dal Pungolo. Ma è necessario sapere, per ispiegare certe cose, che l’Editore in quistione poteva riescine a così splendidi risultati di esecuzione e di messa in scena, non solo colla inesorabilità del verbo volere, ma col corredo delle cognizioni speciali di musica e d’arte anche rappresentativa, di cui va fornito il signor Giulio Ricordi: il quale con una passione indomabile assistette a tutte le prove sorvegliando ogni particolare accessorio tanto di scene che di abiti, meccanismi, e decorazioni. E stato, si può dire, il vero direttore artistico, ideale, di cui la Scala abbisogna e che pur troppo non c’è. «A queste eccessive lodi il direttore della Gazzetta musicale j rispose una lettera che fu inserita nella Perseveranza. La riproduciamo per darle la massima pubblicità: Amico carissimo, “Dagli amici mi guardi Iddio, che dai nemici mi guardo io - e questo dico perchè, se le tue ultragentilissime parole a mio riguardo contenute nell’Appendice della Perseveranza d’oggi, sono dettate dall’amicizia di cui mi onori, questa amicizia ti ha fatto velo agli occhi, epperò gli elogi che mi fai non posso accettarli senza il benefizio di un minuzioso inventario. E comincio: l.° Non è vero che l’impresa della Scala si sia sobbarcata con passiva e contristata rassegnazione alle esigenze dell’Editore: al contrario l’impresa colla massima compiacenza mise a piena disposizione dell’Editore tutti i mezzi di cui poteva disporre, nè mai oppose difficoltà di sorta per l’esecuzione di tutte le minuziosità e di tzitte quelle splendidezze che decisero del successo. 2.° Io non so se il sig. Alessandro Melzi appartenga alla Direzione, alla Commissione teatrale, alla Commissione artistica, ecc., ecc.: certo è che quando in un teatro si conta una persona della sua levatura non si può dire che vi sia mancanza di espsrienza e di cognizioni artistiche. Il sig. Melzi ha la fortuna di possedere, oltre a queste due eminenti qualità, una preziosa, incomparabile biblioteca ch’egli mette sempre a disposizione del teatro stesso. - Una infinità di dettagli nei costumi, attrezzi, scene, giojelli, ecc., ecc., dell’Aida furono con paziente ed intelligente buon gusto forniti dallo stesso signor Melzi. A me non toccò altra briga, tranne quella di curare a che le condizioni del contratto fra Editore ed Impresa venissero scrupolosamente adempite, fatica d’Èrcole di 3.a classe, giacché l’impresa fu leale esecutrice d’ogni patto stabilito: se a ciò aggiungi che la parte artistica musicale e scenica fu diretta nientemeno che da Verdi, coadiuvato dal maestro Faccio (il quale con molta giustizia!... hai interamente scordato ne’ tuoi hosanna) vedrai che il mio merito si riduce a questa semplice ma eloquente forinola 0^0=0. Qui avrei terminato di annoiarti (e tu ne saresti stato felicissimo) ove nella tua Appendice non avessi letto questa frase sibillina, a due taglienti: Non voglio discutere adesso se questo predominio degli Editori sia conveniente, nè favorevole in complesso al teatro musicale; è certo che costituisce preferenze ed esclusioni poco giovevoli al libero sviluppo dell’arte. A che cosa vuoi alludere con queste parole di colore eburneo? alla stagione passata?.... o, più probabilmente come uomo dell’avvenire, alle stagioni che verranno?
Non si dovrebbero mai scrivere e peggio pubblicare frasi che possono dar agio al pubblico di fare commenti a carico di questa o quella persona non nettamente designata: le cose vai meglio tacerle, od avere il coraggio di dirle lealmente come sono. Nel caso nostro io so benissimo che tu sei informato per filo e per segno del come andarono le faccende nella spirata stagione alla Scala, e se vi furono o no preferenze ed esclusioni!... Potevi tacere, ed era meglio, oppure parlare con franchezza e dire a ciascheduno il fatto suo. Questa sarebbe stata una vera prova d’amicizia per me, della quale ti sarei stato riconoscentissimo, ed avresti fatto in pari tempo cosa veramente giovevole all’arte. Questa mia lettera, buttata giù alla carlona, non meriterebbe d’essere fatta conoscere al pubblico, ma per timore che gli elogi che tu mi hai fatto pubblicamente possano indurre taluno ad accusarmi d’essermi fatto bello de’meriti altrui, ti prego di far in modo ch’essa trovi un pesticcino nella Perseveranza e possibilmente domani, senza aspettare la tua prossima Appendice, giacché un ritardo mi sarebbe davvero spiacentissimo. Posso far conto sulla tua lealtà ed amicizia?.... Non ne dubito punto, e ti ringrazio fin d’ora. Tuo aff.° Giulio Ricordi. Ai nostri associati che non hanno pratica dello stile e del genere di critica elevata che si fa in certi giornali letterarii, artistici, teatrali, offriamo un saggio tolto dal Cosmorama Pittorico che è per l’appunto letterario, artistico e teatrale: “ Martedì, 20 marzo. - Ripresa dell’Aichz alla Scala col nuovo Amonasro e col nuovo Ramfis. Tutto va a gonfie vele, come il solito, e come nulla fosse cangiato. Finiti i singoli pezzi del primo, del secondo e del terzo atto, l’usato silenzio di qualche secondo, interrotto dal consueto batter di mani da un palco di quarta fila, cui tengono dietro regolarmente venti applausi dal quinto ordine, cinquanta dal loggione e tre dalla platea. E la storia di tutte le rappresentazioni, senza eccezione, dell’ultimo capolavoro di Verdi. „ Quel palco in quarta fila a cui si fa sottilmente allusione, dovrebbe essere quello del proprietario àeWAida e di questa Gazzetta. L’editore Ricordi, ha, secondo l’accorto critico, trovato la vera ricetta di assicurale il successo agli spartiti di cui è proprietario - un palco di quarta fila. Non parrebbe vero, tanto la 114 GAZZETTA MUSI cosa è semplice, ma è cosi, e l’effetto è garantito. Ad uno che batta le mani in un palco di quarta fila, rispondono invariabilmente venti applausi dal quinto ordine, cinquanta dal loggione, e tre dalla platea, nè uno più nè uno meno. Ora tutti sanno a memoria che per fare un successo splendido alla Scala occorre 1 applauso dal quarto ordine, 20 dal quinto, 50 dal loggione e 3 dalla platea. E a chi non lo sapesse lo insegna il coscienzioso cronista del Cosmorama. Rivista Milanese Sabato, 6 aprile. La stagione di quaresima si chiuse il di di Pasqua coll’Az^; quest ultima rappresentazione fu occasione di grandi feste a tutti gli esecutori. Espongo fatti. Alle signore Stolz e Waldmann furono offerti enormi mazzi di fiori, ricchi nastri, corone d’alloro; Fancelli ebbe pure la sua corona d’alloro, e l’ebbe pure il maestro Faccio; e dopo l’opera tutti ebbero acclamazioni e chiamate entusiastiche. Altri fatti. Le 24 rappresentazioni deH’4z4a diedero un introito di L. 184,941 20. Evidentemente scrivendo 200.000 lire nel passato numero io sono stato inesatto e a quest’ora vi è certo chi ne ha fatto l’osservazione. Infatti io non aveva tenuto conto degli abbonati che sono un migliaio circa e che hanno pagato in media cento mila lire per 60 sere, vale a dire circa 45,000 lire per VAida, e poi ho anche taciuto degli incassi del loggione, sui quali bisognerebbe fare lo stesso calcolo di proporzione. Non ei è dubbio di sorta, io sono stato inesatto; dove è detto che le rappresentazioni delTAfcta hanno fruttato all’impresa circa 200,000 lire, bisognerà leggere invece circa 250,000. Ma chi sa se gli amanti dell’esattezza troveranno meglio il loro conto? Ora che la stagione è finita e che la Scala è chiusa incominciano le dicerie intorno alla.riapertura. Fortunatamente che il voto del Municipio venne presto a troncare un altro argomento di ciancie assai più tediose che necessarie. Parlo della dote alla Scala che fu concessa senza contrasti. A chi volesse trovare un conforto degli spettacoli della Scala, il Politeama al Tivoli offre V Aroldo di Verdi e il ballo Anna di Masovia del Rota. TP Aroldo è più noto nelle provinole che in Milano, ove non ebbe che una cattiva interpretazione, molti anni sono, al Carcano. È opera ricca di melodie, di situazioni drammatiche, e ha un’impronta di grandioso e di magistrale nelle forme. È lo Stiffelio accomodato ai rigori della censura di altri tempi, con un libretto ricostruito malamente ad uso di altri personaggi sul telajo degli stessi affetti. Il carattere sacro del protagonista primitivo è passato a forza nel crociato Aroldo; quel guerriero che leva sempre gli occhi al cielo, anche quando commuove, ha sapore di ridicolo; lo si vorrebbe più guerriero che crociato, ed egli è invece meno crociato che crocifero. La musica che assoggetta le sue prime intenzioni al nuovo libretto è tiranneggiata e tiranna allo stesso tempo; ciò apparisce chiaro più d’una volta e specialmente nella stupenda preghiera dell’atto quarto. Non ostante questi difetti estetici, che a parer mio dovrebbero consigliare il ritorno di questo poema musicale alla sua prima impronta di Stiffelio, cosi come è, apparisce un lavoro colossale, ispirato da cima a fondo, e pieno di bellezze melodiche ed armoniche straordinarie. 11 pubblico del Politeama mostrò di gustarle immensamente non ostante l’esecuzione per molti riguardi infelice. E fu infelice più per mancanza di studio che per insufficienza assoluta degli artisti, i quali non dirò che sieno aquile, ma non appartengono nemmeno a certa classe proverbiale di quadrupedi canori. Certo il soprano (MiiTa) ha molta inclinazione ALE DI MILANO alle stonature e riesce spesso a indurre in tentazione anche i suoi compagni; certo il tenore, (Aroldo) canta più spesso in chiave di catarro che in chiave di tenore; ma non possono dirsi artisti biasimevoli. Il soprano quando non stona (pur troppo le accade di frequente) fa pompa di voce non ingrata, nè fioca, nè insufficiente, è il tenore quando si slancia sugli acuti ei sta da acrobata valente, sicuro del fatto suo; e sa essere caldo, appassionato e perfino soave nell’accento. Le parti di Briano e di Egberto erano affidate al basso Mazza che gode buona riputazione e la merita e al baritono Viganotti, l’àncora di salvezza degli spettacoli che stanno sotto il mediocre. A quest’ora ho già visto più d’una nave sdruscita tirata in porto da questo bravo baritono; e per essere giusto devo aggiungere l’Aroldo ai casi di salvataggio che lo additano alla riconoscenza del pubblico. Egli cantò tutta la sua parte con passione e con vigoria, e nella cavatina dell’atto terzo riuscì a portare la tepidezza del pubblico alla temperatura dell’ebullizione. Gli altri esecutori ebbero qualche momento buono, in cui furono applauditi; ma molte bellezze furono storpiate, e in quasi tutti i pezzi concertati, cori, artisti, e orchestra parvero gareggiare nel non intendersi mai. Il pubblico ebbe intervalli di collere frenate, momenti di malumore palese, e momenti di entusiasmo. Tale la fisionomia della prima rappresentazione Nelle successive le cose andarono su per giù alla stessa maniera. Il ballo Anna di Masovia del coreografo Rota ebbe al contrario un successo straordinario a bella prima. Piacquero i ballabili, benché le linee del disegno si confondano, per la strettezza del palco scenico, in un via vai incomprensibile; piacque il passo a due danzato dalla coppia Didan-Conti, piacque un grazioso passo a tre umoristico, piacque il meccanismo, piacque la prima ballerina signora Didan, insomma piacque tutto. Tutto, vale a dire anche la parte mimica; anzi questa piacque più della parte danzante un po’ per merito del Rota, il solo che sapesse far interessare il pubblico alle passioni da sordomuto dei balli, e un po’ anche per merito del mimo Catte e della mima signora Mezzanotte; quest’ultima ebbe momenti in cui si rivelò vera artista. Il pubblico messo di buon umore fece ripetere il passo a tre umoristico, chiamò alla scena il coreografo Bini riproduttore del ballo, la mima Mezzanotte, il macchinista, il primo ballerino, ecc., ecc. Aggiungiamo che la musica, una delle meglio riuscite del dall’Argine, è briosa, vivace e aggiunge anzi che togliere anima alla parte coreografica. In fatto di spettacoli musicali, oltre Aroldo, non abbiamo avuto che la Vie Parisienne e Le Chateau à Toto di Offenbach al Re (vecchio), dove la compagnia Meynadier recita da parecchie sere. La Vie Parisienne è uno dei vaudevilles più ameni e più scamiciati di Offenbach; gli artisti della compagnia Meynadier lo interpretano con molto garbo e il pubblico si diverte un mezzo mondo. Le Chateau à Toto appartiene alla stessa scuola; come buffoneria è assai poco riuscita, come musica è gettata sul solito stampo. Il teatro Milanese ei ha dato un’altra novità: I tribuleri del sur Spella parole e musica d’un anonimo. Piacquero i primi due atti, per certe scene ben immaginate e per la vis comica del dialogo; piacque sopra tutto la musica che è ben fatta sempre e spesso originale. I pezzi più applauditi furono il finale del primo atto e la canzonetta delle sartine nel secondo. Gli ultimi due atti piacquero poco. Con alcune modificazioni il successo potrà farsi intero. Intanto, poiché tutti ripetono il nome dell’anonimo autore, lo ripeterò anch’io: Raffaele Parravicini. ALLA RINFUSA
- La celebre Abbadia ha abbandonato definitivamente le scene, e si dedicata all’istruzione pel canto. Essa ha già, dato alle scene molti allievi di bel nome.
- Riuscì molto bene il primo Concerto sacro datosi al teatro Principal di Saragozza: la Lanzi, Masato, Chiesi, Nicola Varvaro e Padovani furono applauditissimi.
- Una novità musicale venne data in Orano (Algeria). È un’opera buffa, La diffa, musica di Albert Giraud.
- Scrive l’Art Musical di Parigi: La Traviata di Verdi è in questo momento l’opera che si rappresenta con maggior successo nei teatri di provincia. Quest’opera simpatica si dà quasi nello stesso tempo in 15 scene dipartimentali.
- Il consiglio municipale di Parigi ha rifiutato il solito sussidio di 14,000 lire ai due direttori dell’Orphéon, signori Bazin e Pasdeloup. Ecco adunque l’istituzione orfeonica parigina senza direttori!
- Il dottor G. B. Lampugnani, direttore della Gazzetta dei Teatri di Milano, fu nominato cavaliere dell’ordine di Carlo III dal Re Amedeo di Spagna.
- Le Docteur Rose, nuova opera di F. Ricci, sarà eseguita quanto prima a Bruxelles.
- Fu di passaggio nei giorni passati in Milano, il celebre letterato e poeta Giulio Schanz; esso pose a termine la traduzione in tedesco del libretto dell'Aida, traduzione riuscita splendida per meriti letterarii elettissimi: fra pochi giorni sarà pubblicata. Il signor Schanz visitò il Manzoni a Milano, ed il Verdi a Genova, ed i due illustri uomini lo accolsero con molta simpatia ed interesse.
- Dall’Eco d’Italia di Nuova York apprendiamo che gli abbonamenti per la Grand’opera Italiana Parepa-Rosa, quantunque non ne sia stato ancora pubblicato il manifesto, ammontano già a duemila e cinquecento dollari. Si prevede una delle più grandi stagioni musicali che si sieno date negli Stati Uniti.
- Lo stesso giornale ci fa sapere che il celebre tenore Tamberlik, ora impresario all’Avana, ha stabilito di dare con la sua compagnia di canto una lunga serie di rappresentazioni in Nuova York nell’autunno ed inverno prossimo.
- A Filadelfia il 9 corrente si appiccava il fuoco in un edifizio attiguo all’Accademia di musica, mentre in questo vasto recinto trovavansi riunita circa 4000 persone! Accorsero tutte le pompe a vapore della città compresa quella del teatro. L’operazione fu ben diretta, senza allarme, e l’incendio fu spento prima che l’uditorio si fosse accorto del pericolo che gli sovrastava.
- Il maestro Zajtz, allievo del Conservatorio di Milano, ha scritto e fatto rappresentare testé in tedesco, a Zagabria, una sua opera nuova, il titolo della quale è Ban Leget. Non pare però che la musica abbia piaciuto.
- Il genio critico dei francesi è in ebollizione. Secondo certo signor Benedict, appendicista del Figaro di Parigi, Donizetti non fu che un prodigioso artigiano musicale, senza genio, la Favorita è une boite à musique, la Borgia un’opera ineguale d’ispirazione e d'un'istrumentazione rumorosa e volgare. (!)
- D’un’altra opera nuova è imminente la rappresentazione al teatro la Pergola di Firenze; ha per titolo Astolfo Cavalcanti e la musica è del maestro Bensa.
- A Penne ci fu una serata a beneficio dell’impresario! Cicero pro domo sua.
Torino, 4 aprile.
L’avvenimento più importante della quindicina è stato il gran Concerto di Beneficenza al teatro Vittorio Emanuele la sera di venerdì, 22 scorso mese. Vi prendevano parte la Marchisio, quella che Rossini chiamava la sua dolce Barbara, la signorina Cristino, il tenore Prudenza, il basso Fiorini ed il violoncellista Casella, una numerosissima orchestra e cento coristi d’ambo i sessi, allievi del nostro Liceo, e parecchi distinti dilettanti di canto e suono, tutti sotto l’intelligente direzione dell’egregio maestro cav. Pedrotti.
Il programma constava di dieci pezzi, fra cui i due preludi del Lohengrin di Wagner e la sinfonia Slruensée di Meyerbeer, nuovi per Torino, erano i principali attraenti. Contuttociò l’aria di Mozart, nel Don Giovanni, ed il duetto nella Bianca e Fallerò di Rossini piacquero molto agli archeologi; la romanza della Luisa Miller, cantata dal Prudenza, a dispetto di qualcuno che non vedeva di buon occhio un pezzo di Verdi, siccome non abbastanza classico (?), destò un vero fanatismo, e il rondò della Cenerentola ebbe l’onore della replica, affidato alla valentia della Marchisio, che per le fioriture rossiniane conserva sempre una speciale abilità ed una meravigliosa nitidezza. La signorina Cristino, dopo essersi fatto onore nel duetto sopracitato, non è stata ben consigliata ad affrontare la cavatina della Norma, perchè sobbarcandosi ad un peso superiore alle proprie forze lasciò insoddisfatto qualche desiderio, sebbene educata a buona scuola e largamente provveduta di mezzi vocali; il cav. Casella, come al solito, ha deliziato col suo violoncello, facendoci gustare una specie di fantasia con variazioni di Gottermann, chiamata secondo concerto in re minore.
Quanto ai pezzi di Wagner quegli che ha telegrafato un successo d‘ entusiasmo non lo ha fatto certo dopo il preludio e coro di nozze dell atto secondo, pezzi accolti assai freddamente per due ragioni: prima perchè il coro, per difetto di prove sufficienti, è stato eseguito male; in secondo luogo perchè questo coro manca di novità, di concisione e quel che più monta di carattere, potendosi agevolmente scambiare con una preghiera. Il Pedrotti, visto e compreso che l’accoglienza non rispondeva alle fatiche spese ed al valore dell’orchestra, stimò opportuno replicare immediatamente il solo preludio, e questo fruttò vivissimi applausi, perchè invero assai bene eseguito.
Per contro il primo preludio, gustato subito, perchè veramente nuovo, ed interpretato con singolarissima bravura, ha avuto l’onore della replica dietro l’unanime insistenza del pubblico, che non si stancava di applaudire alla brava orchestra ed al predalo talento del suo Direttore, senza però fare proseliti al wagnerismo, di cui l’indeterminatezza nei motivi e la prolungata attenzione dal cadenzare, risolvendo il componimento in una serie di svariate combinazioni sonore, lascia freddo il cuore e l’immaginazione a digiuno di concetti e di idee capaci di svegliare un sentimento qualsiasi. Io poi per parte mia come preludio lo trovo troppo lungo e come figura geometrica mancante di proporzione nel centro, in cui il fortissimo si prolunga a danno del pianissimo delle parti estreme.
Bisogna anche per verità osservare che i pezzi di Wagner sono stati grandemente compromessi da quel colosso di lavoro sinfonico, che è la sinfonia dello Slruensée, con cui si è cominciato il concerto, e per la quale il numeroso ed intelligente uditorio, formato dal fiore dei nostri concittadini, è stato proprio, senza spirito di parte, senza alcuna preparazione, tratto a quel vivo ed infrenabile entusiasmo che si prova a conoscere il vero bello il vero grandioso, il vero elaborato, l’opera gigantesca di un genio prepotente.- In questo lavoro l’immaginazione ha largo campo di vitalità, non seguendo quelle pretese illustrazioni per cui le scale ascendenti dei violini vogliono significare la smania di Slruensée di salire al trono, ma sibbene lasciandosi trasportare da quella fluidità di concetti svariati che a due o tre sole idee melodiche si riferiscono, ma che si presentano sempre nuove, sempre belle, sempre gradite, sempre incisive.
Ed io penso che fin tanto che si avranno nello strumentale di questi capilavori, le innovazioni, le trovate acustiche Wagneriane, non si faranno mai larga strada: potranno soddisfare, potranno sorprendere, ma non giungeranno mai ad ottenere il pieno consenso di chi vuole nell’arte innanzi tutto la squisitezza del sentimento, scopo precipuo di essa, e all’infuori del quale tutto si riduce ad un puro giuoco di meccanismo. Il concerto si è chiuso col Sanctus della piccola messa solenne di Rossini, m cui il coro ha fatto dimenticare le scappate precedenti e la Marchisio, la Cristino, il Prudenza e il Fiorini guadagnarono di nuovo il pubblico plauso.
L’altro ieri si riapri il Balbo coll’opera di Verdi I Vespri siciliani’, il successo fu felicissimo, ma di ciò e del nuovo spartito Ombra, la cui andata in scena al Rossini è differita fino a sabato, terrò parola nella mia prossima corrispondeza. GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 116 Parigi. 27 marzo. (Ritardato) I teatri di musica han guadagnato la causa: T Assemblea nazionale ha votato la sovvenzione; ha fatto anche di più — l’ha aumentata. L’Opéra che non aveva che 600,000 franchi, ne ha ottenuto 800,000; Y Opéra-Comique, da 100,000 franchi, è stata portata a 140,000. Il teatro Italiano serba i 100,000 che già aveva, ed il teatro Civico ha 60,000 franchi. In tutto, pei soli teatri di musica, senza contare il Conservatorio, un milione e cento mila franchi. Ammetterete che con questa somma, che non è poi così modica, si ha dritto a pretendere qualche opera nuova! Non già che Roberio il Diavolo, la Dama bianca ed il Barbiere non siano veri capilavori, ma non sarebbe mestieri che si tirassero dalla borsa dei contribuenti 1,100,000 franchi per dar eternamente queste opere, senza rinfrescare il repertoiio ed aggiungervi anno per anno qualche novello spartito. All’Opéra sopratutto la penuria di opere nuove è grande. Che abbiamo avuto da cinque o sei anni a questa volta? Don Carlo ed Amleto. La prima di queste due opere, per pregevole che sia, non è stata più ripresa, non so per qual malvolere della direzione, che si riposa troppo comodamente sulle quattro opere di Meyerbeer. Oh! per queste non c’è pericolo che vadan neglette! Si direbbe che la direzione ha contratto un obbligo verso gli eredi per serbarle costantemente sull’affìsso. Cadono le citta, cadono i regni, ma non c’è paura che Roberto il diavolo, Gli Ugonotti, il Profeta e V Africana abbandonino l’affìsso, foss’anche per quindici giorni! Che bella rendita, non è egli vero? Ma questa volta i giornali sembrano risoluti ad alzar la voce, e se il novello direttore dell’Opéra, dopo aver ottenuto la sovvenzione di 800,000 franchi, si affida di continuar a non dare che i suddetti quattro spartiti di Meyerbeer, sì meritevoli che sieno, senza opere nuove, non credo che l’anno venturo alla discussione del Budget, 1 eloquenza di Giulio Simon basterà a far votare di nuovo la sovvenzione. È veramente vergognoso di alimentare tutta un’annata teatrale con le opere del vecchio repertorio e di ostinarsi a non voler metter in iscena alcun nuovo lavoro! Costà le cose tìon andrebbero allo stesso modo; si griderebbe e non a torto; ma qui il pubblico è così inchinevole alla dabbenaggine, che lascia fare. Qui i fischi non si conoscono; non vi si ricorre, all’Opéra sopratutto, che in rarissime occasioni; e piuttosto come una protesta, che come un biasimo. Nello spazio di circa a enti anni non ho inteso fischiar che due volte AY Opéra: la prima ad un’opera di Teodoro Labarr, che minacciò di non finire; la seconda al Tannhaüser di Riccardo Wagner, e fu piuttosto per protestar contro l’invasione d’una scuola novella che contro la musica per essa stessa. All’incontro, se i fischi non sono in uso, gli applausi non mancano mai, per insufficiente e biasimevole che sia l’esecuzione. La cosa è ben semplice: i plaudenti sono una corporazione conosciuta sotto il nome di Claque. Il capo, che mette sulle sue carte di visita: il tale intraprenditore di successi, si fa pagare una data somma dal direttore, dagli autori, dagli artisti, e ha dritto anche ad un numero di biglietti di platea. Li dà gratuitamente ad individui ad hoc, con l’obbligo di applaudire ad ogni segnale che egli ne darà, battendo il suolo col suo baston di comando... In questo modo è chiaro che i plausi non mancano mai. Ed il pubblico se ne accontenta! — Immaginate ora, se tollerando la claque, questo stesso pubblico bon enfant si lamenterà perchè non gli si danno opere nuove. Checché ne sia il nuovo direttore, per far prendere pazienza ai pochi giornali che cominciano a mormorare a proposito del vecchio repertorio ha promesso di mettere in iscena senza gran ritardo qualche nuova opera. Ne ha tre o quattro a sua disposizione, di autori francesi. Ed il signor Beulè, membro dell’istituto, che in seno dell’Assemblea Nazionale ha patrocinato con grand’eloquenza la causa delle sovvenzioni teatrali, ha parlato anche dei maestri stranieri, dicendo che TO^era è ad essi ospitaliera. Sicché il signor Halanzier potrà senza tema di rimprovero sceglièr indistintamente compositori nazionali e stranieri. E giacché parici del Beulè, aggiungerò che nel calore dell’eloquenza si è lasciato sfuggire qualche frase inesatta; per esempio, quando ha detto che la prima scena lirica di Parigi serve di perfezionamento ai maestri stranieri, ed ha portato per esempio il Verdi, che, secondo lui, non ha perfezionato la sua maniera di stromentare se non dopo un soggiorno a Parigi!... Ma che volete!... il Beulè non è un perito in fatto di musica, e non è per l’arte musicale che è membro dell’istituto; ha detto quello che gli è sembrato probabile o che ha inteso ripetere. Nel seno d un Assemblea legislativa una di queste inesattezze non è poi gran latto perniciosa. All’Istituto un consimile linguaggio sarebbe stato più grave. Non posso passar sotto silenzio la riapparizione del pianista Francis Planté, che ha fatto qui una vera esplosione, se mi permettete questo vocabolo: nè è esagerato. Tutti i giornali parlano di lui; tutti vogliono andare a udirlo. Il sig. Heugel, l’editore di musica e direttore del Menestrel, ha avuto la felice idea di far dare al Conservatorio una serie di tre concerti, nei quali si farebbero udire i signori A lard e Franchomme, le signore Paolina Viardot e Miolan-Carvalho ed il signor Planté. La prima di queste mattinate musicali ha avuto luogo domenica scorsa, la seconda sarà data il lunedi di Pasqua e la terza la domenica seguente. Già, alla prima di esse, la sala del Conservatorio era piena zeppa. Per la seconda, se il numero dei biglietti fosse doppio... che dico! se fosse decuplo, sarebbe venduto. Tutti parlano del Planté, tutti vorrebbero aver assistito al concerto. Il vero è che è valentissimo. Aggiungete all’attrattiva di un’eccellente esecuzione, il canto cosi perfetto della signorina Carvalho o quello della Viardot e comprenderete quanto sia giustificato il desiderio di assistere a questi concerti. Se invece di soli tre, il sig. Heugel ne avesse promesso sei ed anche di più, avrebbe soddisfatto il voto di quanti amano la buona e bella musica magistralmente eseguita. Questa volta non vi parlerò del teatro Italiano; avrei poco o nulla a dirvi; appena potrei rendervi conto di due rappresentazioni del Don Pasquale con la Volpini, che è piaciuta; ed ecco tutto. Ma la settimana santa mette fine alle rappresentazioni sceniche, e dappertutto, nella sale.di concerti come nei teatri, non si ode più parlar che di musica religiosa. È un po’ strano che la scena abbia a servir per l’esecuzione d’una Messa o d’uno Stabat! Senza voler tuffare la penna nell’acqua benedetta, come diceva il povero Giusti, amerei meglio che la musica sacra fosse eseguita nelle chiese. Ivi è più solenne e più imponente. Se mi spiace sentir cantare l’O salutaris ostia e Y Agnus Dei qui iollis sul palcoscenico ove la sera precedente han cantato d’amore Rosina e Lindoro, altrettanto mi spiace udir sull’organo il brindisi di Lucrezia Borgia o il duetto del Don Giovanni all’elevazione dell’ostia santa. Avrò torto o no; ma credo che ogni cosa debba essere al suo posto. E Dante aveva ben ragione quando diceva: Coi santi in chiesa, ed in taverna, coi ghiottoni. A A "R, 2 aprile. Ho molto a dirvi questa volta; farà d’uopo esser laconico per dir di tutto un poco. Comincio dal nuovo: la Silvana di Weber, la cui rappresentazione ha avuto luogo iersera, dopo esser stata varie volte differita, al teatro Lirico (sala dell’Ateneo). Mi affretto a dichiarare che l’opera ha avuto un esito felice; non dico già un successo d’entusiasmo, ma tale da assicurarle una lunga serie di rappresentazioni. A mio avviso, è fuor di dubbio che la musica sia dell’autore del Freyschütz: se non che vi manca quel che chiamasi colorito generale; non v’è unità e non ve ne poteva essere, perocché è un’opera composta di frammenti diversi, tutti pregevoli, ma che era difficile, impossibile anzi di coordinare. E un mosaico di pietre finissime, ma che non offre alcun disegno. Quasi tutti i pezzi di cui l’opera si compone sono belli, e ad onta di ciò, l’opera per sè stessa non soddisfa completamente. Nullameno la maggior parte della musica rivela la grazia, l’eleganza, la purità di stile del Weber, e la si GAZZETTA MUSI ascolta con piacere. Con tutti questi frammenti, due scrittori drammatici hanno costruito una specie di melodramma un po’ fosco, un po’ sinistro, come l’antica scuola ne forniva alla dozzina, e così è nata Topera in quattro atti data al teatro Lirico col titolo di Silvana. V’è abbisognata l’addizione d’un artista drammatico (che non canta), il sig. Clemente Fust, e d’una mima (muta ma non sorda), la signorina Pallier dell’Opéra, il primo per sostener la parte, di Melchior (il tiranno o il traditore, come vogliate chiamarlo), l’altra quello della protagonista, Silvana; il che rende assai difficile la rappresentazione di quest’opera su altre scene all’estero. Come volete che l’impresario d’un teatro di musica si faccia prestare dal direttore d’una compagnia drammatica un buon artista e scritturi un’eccellente mima per poter dare la Silvana? Ciò-è possibile a Parigi o nelle grandi capitali, ma riesce più malagevole nelle città di second’ordine, ove ogni teatro può appena vivere del suo. Checché ne sia, ripeto che l’esito è stato felice; quasi tutti i pezzi sono stati applauditi; la mima o ballerina è stata vivamente festeggiata; l’altro, Clemente Fust, ha prodotto una grande impressione, ed i cantanti, soprano, comprimaria, tenore e baritono ( signora Balbi e Donau, signori Durvast, Neveu, ecc.) hanno rivaleggiato di zelo ed ottenuto la loro parte di successo - Povero teatro Lirico! fa tanto per l’arte, e non ha potuto avere, a gran fatica, che una sovvenzione di 60,000 franchi all’anno, quando V Opéra che non dà quasi mai opere nuove, ne ha 800,000! Se volete ora che vi racconti in poche righe l’intreccio del dramma, il farò. Il Duca Mathias vuol dare sua nipote in isposa ad un giovine gentiluomo, il conte Alberto, che l’ama, ma non riamato, il cuore della graziosa Elena essendo stato dato al figliuolo del Duca, Rodolfo, scacciato dalla corte e detestato dal padre, senza aver mai saputo il perchè di questa mortai avversione. Rodolfo si è gettato nei boschi ove vive triste e solingo. Ivi ha incontrato una fanciulla, una specie di zingara, orfana e priva della favella; ne diviene l’amico; ma essa, Silvana, ha per Rodolfo un più tenero e fervido affetto. Un malandrino, Melchior, metà zingaro, metà indovino, si avvede dell’amore che Silvana ha pel proscritto, e geloso all’eccesso, vuol assassinare il suo preteso rivale, ma al momento in cui è per ferirlo, una frase sfuggita a Rodolfo gli rivela che questi non ama Silvana, ma Elena la nipote del Duca. Il tristo cangia allora di disegno; gli importa d’allontanare Rodolfo, di separarlo da Silvana; gli racconta però le prossime nozze d’Alberto e d’Elena e gli consiglia d’impedire questo matrimonio. Intanto Alberto, che in una caccia ha incontrato Silvana ed avuto pietà della vita nomade della fanciulla, T ha fatta trasportare mentr’ella era addormentata nel palazzo ducale. Melchior la segue e credendo che essa sia venuta al castello per ritrovar Rodolfo, le giura che questi non l’ama, che ama invece Elena, e perchè l’incredula gli presti fede, egli le offre il suo pugnale, dicendole: «Se mi convincerai dì menzogna, uccidimi.» Rodolfo ha voluto impedir le nozze di Elena col conte; ma il padre sopravviene furioso, lo minaccia, lo vilipende, lo scaccia chiamandolo «figlio della colpa.» Elena si getta nelle braccia del cugino; Silvana gelosa, vuol con lo stile che le ha dato Melchior, svenar la rivale; ne è impedita, è per essere trascinata, quando Melchior s’interpone, favorisce la sua fuga e fogge con lei. Tornato nei boschi, lo zingaro perde le tracce di Silvana; è disperato; ma gode che altri soffra egualmente. Con una sola parola egli potrebbe disingannare il Duca e far che riapra le braccia all’infelice Rodolfo, ma noi farà. L’imprudente! ha parlato solo ed a voce alta (come in tutti i drammi!) E Silvana ha udito le sue parole. La povera muta si sacrifica: finge di abbandonarsi all’amore di Melchior, a condizione che questi sveli al padre di Rodolfo il secreto che possiede. Melchior consente. Il segreto è questo: il Duca aveva sorpreso nella camera da letto della Duchessa, madre di Rodolfo, un uomo che v’era penetrato col favor della notte. Lo credè un amante; era un ladro; era lo stesso Melchior; ed in prova di quanto asserisce, mostra la busta vuota di gemme, involata alla duchessa. CALE DI MILANO 117 Il Duca abbraccia il figlio, cosi ingiustamente scacciato; il conte Alberto, vedendo che Rodolfo ed Elena si amano, rinunzia alla mano della giovanotta, e Silvana compie il sacrifizio gettandosi nel torrente. Melchior la vede travvolta nell’onde, dà in uno scroscio di riso ed impazzisce. Elena sposa Rodolfo. Ecco il dramma; la musica non bastando a tutta questa roba, s’è dovuto ricorrere ai due personaggi, uno drammatico, T altro mimico, di Melchior e di Silvana. Mi par che ve n’abbia detto abbastanza sul teatro Lirico. Passiamo ad altro. Il teatro italiano ha riportato la palma in fatto di musica religiosa durante la settimana santa. Ammesso questo genere di musica nei teatri — il che non mi è mai sembrato regolare — bisogna convenire che il programma del teatro Italiano pel giovedi e pel sabato santo offriva una scelta bellissima di musica religiosa. Aggiungerò che l’esecuzione non è stata abbastanza lodevole. Certamente non è giunta a quella perfezione che si ha diritto ad esigere da questo teatro; ma la povera direzione fa quel che può; e quando offre come primi soggetti T Alboni e la Penco, sarebbe ingiusto il domandarle di più in questa fine di stagione. Il suo vero torto è di non aver un tenore, altro che Gardoni; e di abusar un po’ troppo del Gardoni. Non può farlo cantare tutte le sere ed in tutte le opere. Quanto all’altro, al nuovo tenore, Guidotti, me ne rincresce per lui, ma non è accetto al pubbblico. Siccome a questo teatro il silenzio è l’unico segno di disapprovazione l’artista non ha a soffrir altro dispiacere. Quando canta qualche duetto o pezzo d’insieme, si applaude, ed egli ne prende la sua parte; quando è solo a cantare, si tace. Come vedete, il male non è poi tanto grave, almeno per lui. Ma pel pubblico non è lo stesso; e la scrittura d’un buon tenore verrebbe molto a proposito. Nulla di nuovo ancora all’Opéra, benché il nuovo direttore Halanzier si vegga veramente nell’obbligo di dare qualche opera nuova. Non sa dove dar di capo. Qui non è mica una piccola impresa quella di metter insieme una grand’opera in cinque atti. La spesa è considerevole, e se l’opera non riesce, felice notte! Or il signor Halanzier non è l’uomo che rischia un soldo senza esser sicuro, non dico solo di non perderlo, ma anche di. guadagnare. Avvezzo a fare il direttore di provincia, non si è mai trovato nel caso di dover mettere in iscena un’opera nuova. A Marsiglia, a Bourdeaux, a Lione si va sempre innanzi con le opere del repertorio. Egli credeva di poter fare lo stesso a Parigi. Ma dopo che la sovvenzione è stata portata da 600 ad 800 mila franchi’, si guarda più davvicino, e gli si domanda altra cosa che l’eterno Roberto il Diavolo ed i non meno eterni Ugonotti. Vedremo che cosa ei darà. Egli tentenna, ma è forza pure che si arrenda al giusto desiderio del pubblico. Pare che voglia rimettere in iscena il Freyschutz, ma è sempre un’opera vecchia. Non è questo che gli si domanda. Farà il sordo per due o tre mesi, ma dovrà pur finire per rassegnarsi. Si parla dell’Aia, ma finora nulla è risoluto. Vi terrò a giorno di quel che sarà deciso. Londra, aprile. Se il principio ha da essere il criterio della stagione, le cose del Covent-Garclen avranno doppio titolo all’attenzione del pubblico. La rappresentazione, che ha inaugurato la stagione, non è stata addirittura un fiasco, ma è stata causa di un primo disappunto. La Sessi, colpita da «improvvisa indisposizione», dovette essere surrogata nella giornata stessa della recita; e lo fu da quella coraggiosa ed abile prima donna ch’è la signora Sinico, la quale sostenne la parte di Margherita in guisa da essere chiamata da applausi non invero assordanti all’onore d’una replica. Un Faust più melanconico, più morto del signor Naudin sarebbe impossibile trovare. Ei sembra aver perduto ogni conoscenza di scena, dopo aver perduto da lungo tempo la voce, come 118 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO sapete. I suoi falsetti, o meglio il suo canto ordinariamente falso, cominciano a persuadere anche i buoni inglesi che T epoca del signor Naudin è passata. Nelle scene, in cui avrebbe dovuto far pompa e della sua voce e della sua abilità drammatica, pareva che sospirasse e che gli si riempissero gli occhi di lagrime. Faure nella parte di Mefistofele, sebbene piaccia al Gye forse più che al pubblico, soddisfa tuttavia l’uditorio. Il suo costume rosso non lascia nulla a desiderare, e nessuno è disposto a dire ch’egli non sappia vestirlo. L’onorario mensile ch’esso riceve ammonta precisamente a lire sterline cinquecento, cioè cento meno di quello ch’è generosamente concesso al signor Naudin. Il Faust fu ripetuto giovedì e sabato invece della Figlia del Reggimento — fatto che contribuì al secondo e terzo disappunto! Il prospetto della settimana corrente promette il debutto delF Albani, della quale diconsi «mirabilia» e il debutto «definitivo» della Sessi. LJ Albani deve cantare nella Sonnambula domani sera e nella Lucia di Lammermoor sabbato prossimo. La prima comparsa della Lucca è promessa pel lunedi (8) della settimana entrante. I principali artisti della Sonnambula assieme all’Albani sono il «’ gran» Faure, favorito di Gye; il Fallar, che non è una stella, e il Naudin, che sebbene impotente ama di far credere che sia potente. Nessuno può dubitare che il Naudin conosca a perfezione la parte debole degl’inglesi, i quali finiscono sempre per credere alla divinità di coloro, che si ostinano a darsi per semidei. Nella Lucia, l’Albani ha nuovamente a collega il Naudin, e con esso il signor Cotogni. Il Cotogni è divenuto per la sua bella voce un favorito. È giovedì prossimo che la- Sessi conta mostrarsi sulle scene nella Figlia del Reggimento e con essa saranno la DemericLablache, il Ciampi e il [Bettini. Il Bettini ha una voce, la cui freschezza e robustezza rivalizza felicemente con quella del Fancelli. Certo il Bettini deve avere un segreto, al quale è dovuto il mirabile mantenimento della sua voce e della sua persona. La Trebelli è attesa in questa settimana da Parigi, dove ha cólto nuovi trionfi. Fra i popolari artisti ^italiani in Inghilterra la Trebelli occupa meritamente il primo posto. Non prive d’interesse sono le notizie musicali che vengono di Russia. Il maestro Bevignani, tanto a Mosca che a Pietroburgo, ha riportato un segnalato trionfo. L’orchestra gli ha fatto un regalo d’una splendida tazza d’oro e d’argento, mirabilmente cesellata, in attestato della sua solerte e intelligente direzione. E Fingrata orchestra nulla ha dato all’Arditi, il quale, ogni qualvolta eravi un’opera, nuova per lui, da mettere in scena, studiava con essa da cinque a sei ore per giorno. Ma F orchestra sembra che credesse non poter l’Arditi esporsi a dirigere un’opera, che non conosceva, senza sì lungo studio; mentre invece essa non credeva averne bisogno. D’onde l’impopolarità del signor Arditi in Russia, e il pericolo che non continui per molti anni a’ dirigere l’orchestra dell’opera italiana di quel paese. Il concerto a benefizio dell’Arditi ebbe a Pietroburgo un. grande successo, ma l’introito non ammontò a lire 37,000, come audacemente il telegrafo annunziò a suo tempo, ma si limitò a 16,000 — l’introito massimo in una serata di piena! Quel giovine pianista che voi certo conoscete, e che il governo italiano ha coperto della sua protezione per varii anni, sig. Alfonso Rendano trovasi da qualche giorno a Londra, dove intende stabilirsi, e, quello ch’è meglio, far buoni affari. Esso ora viene da Lipsia, dove ha passato il suo quarto anno d’educazione musicale a spese del governo italiano. Una serie di 18 concerti è annunziata nell’Albert Hall sotto la direzione di Sir Michael Costa, e di Carlo Gounod. Quest’ultimo dirigerà i concerti corali.Il coro dell’Albert Hall recentemente formato conta a quest’ora 1600 voci. Si annunziano già nei giornali due concerti, nei quali canterà la Nilsson il 5 e 24 giugno in St. James’s Hall. Berlino, 25 Marzo. (Ritardato) «Ermione», la nuova opera di Max Bruch, ebbe la sua prima rappresentazione giovedì passato con esecuzione buonissima e un successo incerto, causa la poesia mediocre e più la mancanza degli eòetti moderni nella musica. Il poeta Hopffer ebbe per modello il Racconto d’inverno di Shakespeare, e gli confessiamo con piacere molta abilità nella tessitura delle scene, che però non basta per un libretto senza una lingua pura, bella e poetica; talvolta egli l’ha, main generale gli fa difetto. Il maestro Bruch appartiene a quei compositori che cercano ed hanno uno scopo purissimo nell’arte; egli è autore, oltre di molti lavori sinfonici, sonate, canzonette, quartetti, e di un bellissimo concerto per violino, anche di parecchie cantate stupende di stile elevatissimo e d’un colorito ideale. Tali: il Friijhof, Salamis, La fuggita della santa famiglia, il Canto delïlsis, ecc., le quali ei fecero sperar un buon compositore teatrale; sa trattar perfettamente l’orchestra e il canto, il suo contrappunto mostra una profonda sapienza e l’armonia è di molta novità. — ma io credo che non abbia trovato il successo bramato, per aver voluto far la musica teatrale troppo classica. Ho bisogno di dirvi che il Bruch è antagonista risoluto della musa wagneriana e della nuova scuola tedesca; la sua musica ha la base nel territorio classico dei celebri nostri maestri, ma l’evitare ansioso ogni piccolo effetto comune e lo scrivere moderno, arrendendosi alle pretensioni del gran pubblico, era il massimo fallo dell’opera e la causa principale del solo successo di stima. Il pubblico è modesto assai, brama qualcosa (non tutto!) secondo il suo gusto e ne ha piena ragione; nell’opera di Bruch vi era troppa sapienza e, mi spiace dirlo, appena una melodìa tale, da restar facilmente in memoria. — Non voglio tacere però delle molte bellezze e finezze nel dettaglio che si incontrano in tutta l’opera a incominciare dalla bella introduzione; nell’atto primo quasi nulla merita d’esser menzionato specialmente, ma nel seguente la preghiera della Ermione, il suo sognò e la scena del tribunale erano buonissime. L’atto migliore e bellissimo è il terzo, di cui la scena avviene nei campi d’Arcadia. L’autore ha disegnato con molto talento e con intelligenza artistica la vita popolare, la musica da ballo è molto caratteristica e rassomiglia nella fattura a quella del Gluck; è principalmente riuscito benissimo il pastore Titiro. In quest’atto sono degni di menzione anche uno stupendo crescendo nell’orchestra, come non abbiamo mai inteso nulla di simile, e poi i canti di Perdita. L’atto quarto non elevasi all’altezza degli altri ed il suo finale è mancato. Degli esecutori era la migliore la Voggenhuber (protagonista) ed il Betz (Leonte), non meno la Grossi (Perdita), la Brandt (Irena), il Woworsky (Polissene) ed il Formes (Florizel) Tutti costoro furono chiamati parecchie volte alla scena col valente maestro. Uno spettacolo veramente raro furono le due rappresentazioni della società d’opera italiana dell’impresario Pollini col concorso della famosa Artot-Padilla, già riputatissima fra noi. Premetto che l’opinione del pubblico di Berlino musicale era lusinghiera non poco per l’arte e per il canto italiano. L’opera prima rappresentata fu il Don Pasquale, prova stupenda e perfetta, in cui brillava, Norina gentilissima, la Desiderata Artot. Accolta all’apparire sulla scena con una frenesia di battimani, ella li seppe serbar durante l’opera fino all’ultimo finale, in cui cantò Il piacer, valzer di Balfe con molta bravura. La sua voce rassomiglia molto a quella della Lucca; ha la stessa leggierezza infaticabile delle coloriture e la stessa naturalezza nelle scene drammatiche. Ernesto fu il Marini, tenore di cartello, che ha voce soavissima e una agilità straordinaria; la celebre serenata dell’atto quarto fu fatta ripetere in mezzo agli applausi. Un Dottore Malatesta assai comico fu il Padilla; quest’artista congiunge una voce eufonica piena di forza con molta intelligenza musicale e garbo scenico veramente aristocratico, ma è migliore di tutti il Bossi, nella parte di Don Pasquale. Non si vede che raramente da noi la perfezione artistica, nel canto e nella scena, CALE DI MILANO GAZZETTA MUSI di questo basso comico. Bisogna averlo veduto nella scena in cui leva il biglietto della Norina ed averlo inteso nel duetto, pieno di grazia, col dottore Malatesta, per apprezzare o riconoscere le sue rare doti. L’insieme di questi quattro veri artisti, principalmente nel celebre quartetto, fu tale, che bisognò ripeterlo, ed il pubblico l’avrebbe udito col massimo piacere una terza e quarta volta. Quanto allo spartito di Donizetti è stupendo, ed io lo conto il secondo capolavoro comico italiano dopo il Barbiere; disgraziamente non abbiamo tali perfetti artisti nel genere comico che possano far valere i meriti della musica presso il pubblico, e occorre a quest’opera buffa un’esecuzione compita per produrre l’effetto bramato. La seconda rappresentazione era il Barbiere, in cui, avemmo ospite il basso comico Selva dell’Opera da Madrid, nella parte di don Basilio; è un buon comico, ma la sua voce perde molto allato a quella del Bossi, che fece ridere a crepapelle nella parte di dott. Bartolo. Il Marini ed il Padilla non piacquero come nel Don Pasquale, perchè ambedue indisposti, ma un vero trionfo fu la parte di Rosina pella signora Artot-Padilla, che fu cappricciosa attraentissima e piena di gusto artistico. Chiese il pubblico il bis della Mandolinata, cantata da lei nella lezione di canto. Ora gli artisti sono andati ad Amburgo e Brunswick, e ritorneranno nei primi giorni d’Aprile in cui rappresenteranno la Tramala, l’Elisir cb amore ed il Rigolello; non mancherò di darvene conto. Il nostro pubblico onorò molto gli ospiti stranieri, e la corte imperiale non mancò alle dette rappresentazioni, di più i coniugi Artot-Padilla, favoriti specialmente dall’imperatrice nostra, ebbero inviti lusinghieri ai concerti di corte. Nella festa dell’Imperatore (venerdì passato) la società rappresentò nel palazzo imperiale, oltre molte altre cose, il terzo atto del Ballo in maschera di Verdi, con successo brillantissimo. Voglio finir la mia rivista teatrale menzionando due ospiti: il Colomann-Schmidt da Francoforte sul Meno e la Zimmermann prima donna, da Dresda; questi artisti esordirono sulla nostra scena, Duna nella parte di Euryante nell’opera di questo nome di Weber e nell’Elsa (Lohengrin), e l’altro nella parte di Raoul (Ugonotti) e Manrico (Trovatore). La Zimmermann sarebbe artista perfetta, se avesse ciò che i critici le negano, cioè il sentimenfo profondo artistico; io non posso altrimenti che consentir coi critici, pure confesso che mi ha soddisfatto totalmente col puro canto. Nella parte di Elsa però fu troppo realistica. Il Colomann-Schmidt, già rinomato fra noi, ha stupenda voce di tenore, migliore nei luoghi lirici che nei drammatici, pure gli riuscirono benissimo le due sue parti; egli sa trattar colla misura giusta la sua voce e non le chiede più che possa sostenere. Nell’aria famosa del Trovatore, nonché nella romanza e nel quartetto degli Ugonotti, ottenne applausi vivissimi e ben meritati. E sono assolutamente convinto, che adoperando ancora uno studio severo, diventerà un giorno uno dei migliori tenori della Germania. Nella fine della stagione dei concerti il maestro Killer venne da Colonia per darci un gran concerto nella Singakademie a beneficio della fondazione, Imperatrice Augusta, col concorso della Joachim, del professore Franck (pianista), della riunione di canto dello Sterne e della Berliner Sinfoniecapelle; non esegui che composizioni proprie sia per piano, canto ed orchestra. In generale l’autore confermò di nuovo d’essere insignificante assai nell’invenzione e di possedere un’abilità tecnica da far stupore. È naturale che questa possa nasconder per poco tempo la sua impotenza musicale, ma non per sempre; ed infatti la maggior parte delle composizioni sue non trovarono T applauso bramato. La Joachim cantò stupendamente un canto patriottico, Zur Welter (canto e poesia dello Killer) nel genere della Wacht am Rhein pezzo che non saprei come si adatti adfuna sala di concerto. I pezzi per piano a quattro mani «Scene militari» eseguiti dall’autore e dal professore Franck, rassomigliali molto a tutti i «divertimenti facili sopra motivi favoriti» di quella schiera famosa di compositori per i saloni. Il capolavoro di questa serata fu: Y Inno trionfale d’Israele (Israel’Siegesgesang); appartiene a quanto di meglio fu creato da questo maestro, è scritto nella maniera di Mendelssohn, con semplicità ed elevatezza d’espressione;, trattata benissimo è l’orchestra, non che le voci, e per nominar qualcosa è di fattura classica e assai caratteristica il coro: Sono affondati i crudeli pagani, il coro finale: Lodatelo coi cimbali, coi timpani, e il coro femminile: Seminale colle lagrime e mieterete con gioia. Conchiuse il concerto la Festmarsch scritta espressamente per l’esposizione internazionale di Londra per grande orchestra; è un quadro pomposo senza vita individuale e contenuto d’idee - non fu cosa savia nel concertista di cancellare T impressione buonissima dell’Inno trionfale con una delle più deboli produzioni sue. L’Heller il giorno dopo il concerto ebbe dalle LL. MM. imperiali i loro ritratti, poi dall’imperatore l’ordine della corona accompagnata da una lettera molto lusinghiera. Di più dicesi che otterrà la carica di Generalmusikdirector, carica che ebbero Mendelssohn, Spontini e Meyerbeer - Se non è vero è ben trovato! Rimandiamo al prossimo numero la pubblicazione d’una corrispondenza da Napoli, arrivata troppo tardi. ROMA. Al Capranica ebbe buon esito la Vestale, eseguita dalla signora Novetti e dal tenore Lucidi. GENOVA. Ci scrivono: Il teatro Doria inaugurò la stagione primaverile coi Lombardi, che furono piuttosto bene interpretati da tutti gli artisti. Merita • lode speciale il giovine maestro Monleone che diresse l’orchestra stupendamente. Buoni i cori. — Al Paganini abbiamo la compagnia francese Terris e Coste, che ei regala di Offenbach fino a sazietà; al teatro Nazionale.ebbe un’esecuzione mediocre il Nuovo Figaro del Ricci. REGGIO (Emilia). Il teatro Groppi si riaprì domenica passata colla Linda, protagonista la signora Clementina Flavis-Cencetti, invece della Munari-Cosmi indisposta. La brava cantante fu accolta con feste. Oltre l’opera fu eseguito il duetto del Crispino eia Comare tra soprano e buffo, e fu fatto ripetere. RAVENNA. L’opera I Masnadieri, rappresentata giórni sono al teatro Patuelli, ebbe lieto esito. Aveva ad interpreti la signora Facci Catina, il tenore Candio, il baritono Sutter e il basso Bonato; tutti questi artisti furono applauditi. Bene i cori e l’orchestra, diretta dal maestro Ligi; discreta la messa in scena. CREMONA. Ci scrivono: Senza l’indisposizione del buffo Migliava, l’esito della Follia a Roma del Ricci, andata in scena testé, sarebbe stato entusiastico; l’opera pei’ altro piacque immensamente, e in generale piacquero tutti gli artisti. La signora Pernini ebbe i primi onori; le stettero degnamente al fianco la signora Galimberti (contralto) e la comprimaria signora Negri, che ha voce aggradevole e canto intonato. Il terzetto delle donne fu applaudito freneticamente. Bene gli altri artisti; insufficiente l’orchestra. LISBONA. Il Don Giovanni fu un nuovo trionfo per la Fricci, Cotogni e Stagno; bravissima anche la Galli-Altinzi; gli altri artisti contribuirono al successo, che fu dei più splendidi che ricordi quel teatro. NUOVA YORK. Scrive VEco d’Italia del 16 marzo: Assistemmo mercoledì sera alla rappresentazione della Traviata, all’Accademia di Musica. La Nilsson, Violetta, non seppe mostrarsi all’altezza della sua parte, alla cui interpretazione si richiede quell’eletto sentire che è qualità esclusiva delle artiste italiane e che la natura dello spartito stesso esige. Difatti la Gazzàniga, la Piccolommi, la Carozzi-Zucchi suscitarono, non sono molti anni, in quest’opera un vero entusiasmo. Il Capoul, Alfredo, sempre con quell’artifìcio compassato e ripetuto fino alla nausea d’un canto smanioso e convulso, esagerazione della scuola francese, frastagliò la perfetta concatenazione dei ritmi del bel lavoro di Verdi, che dovette anche in molti pezzi trasportare. Il Barre, * Germout, incerto nella voce e nell’azione, non potè immedesimarsi nella parte che rappresentava. Del resto i cori, la più parte italiani, e l’orchestra fecero del loro meglio. BRUXELLES. Le Petit Poucet, opera buffa in tre atti, musica del signor Laurent de Rillé, ottenne al teatro delle Gallerie un successo di stima non ostante l’esecuzione eccellente. DRESDA. Le rappresentazioni della signora Artot. Padilla destano entusiasmo. Il Don Pasquale fu un trionfo senza esempio. 120 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO NOTÌZIE italiane — Milano. La dote alla Scala fu votata dal Consiglio Comunale in seduta del 3 aprile. Ecco la parte di resoconto di detta seduta che vi si riferisce. «Leggesi la relazione sulle proposte del prossimo annuale esercizio dei teatri della Scala e della Canobbiana e del contemporaneo mantenimento delle annesse scuole. Essa chiede che il Consiglio autorizzi la Giunta ad un appalto 1872-73 sulle basi dell’ultimo appalto. Pelgiojoso trova che l’entità della spesa è eccessiva, giacché per Fanno scorso la somma del sussidio fu di L. 200 mila. Si diffonde à narrare quanto fecesi a Bologna pel Lohengrin e legge un brano d’un’appendice musicale della Perseveranza (1) dove se ne magnifica il successo. Eppure in quel teatro si fece tutto questo con sole 40 mila lire di sussidio! E questo anno quel Municipio soppresse interamente anche quella dote. Trova uno spreco enorme di denaro nei balli. Dice che bisogna che i palchettisti concorrano, giacché essi godono, ed il Comune spende. Piuttosto di continuare a spendere per gli altri, propone persino di fabbricare un teatro nuovo. Mussi. Amerebbe che la questione dei teatri venisse trattata a fondo, e non voterà che a malincuore qualsiasi misura provvisoria, tanto più che il provvisorio minaccia di durare a lungo, giacché dal Parlamento non sarà votata la legge in proposito prima di molto tempo. I palchettisti fino a che non saranno messi al muro non daranno mai un soldo. Cita Venezia e Bologna, dove non ei sono doti. Chiudasi il teatro, e chi avrà interesse a divertirsi penserà a tirar fuori i denari. Tuttavia per non precipitare* un argomento di somma importanza, dice che voterà la cifra di 180 mila lire. Se il Municipio vuol vedere prosperare la città, ribassi il dazio consumo, e otterrà assai meglio il suo scopo. Peretta. Nota che i due oratori prece enti hanno ammessa in tesi generi., le la dotazione. Narra che la Commissione legale incaricata dal Municipio per riferire sulla questione dei teatri, ha emesso il parere che si potranno obbligare i palchettisti a -concorrere alla spesa. Ribatte F asserzione che il Parlamento non discuterà presto la legge sui teatri, e asserisce che forse nel presente anno verrà data una decisione. Afferma che gli spettacoli della Scala, come fu più -volte detto e provato, sono di vantaggio più che ai ricchi al ceto industriale e laborioso. Finisce insistendo sull’opportunità di una dotazione conveniente. Mosca come membro della Commissione dice che il parere emesso non assicura l’esito della causa. Insiste sulla necessità di un concorso di tutti gli interessati; spiega le idee della Commissione accennando che la causa dei palchettisti trovasi innanzi alla Cassazione, e conchiude dichiarando necessaria la votazione di una somma per il sussidio. Mussi loda e ringrazia F avv.Mosca delle spiegazioni date: dice che la sua proposta non è negativa, ma sibbene per diminuire di lire 20,000 la dotazione. La sua proposta tende a che si trovi modo di costringere-i palchettisti a concorrere. Massarani riconosce che il contegno di quei palchettisti i quali ricusano il loro concorso è condannabile, ma non vorrebbe che’ per punirneli il Comune ledesse poi quei molteplici interessi la cui prosperità è inseparabile dallo splendore del nostro massimo teatro. Certo il tutelare le grandi tradizioni dell’arte che sono patrimonio dell’intera nazione è compito che dovrebbe piuttosto incombere al. solo Parlamento; ma anche il Comune dove ha sede un grande teatro non può lasciarlo in non cale. Circa alla misura del sussidio, egli accetta quella proposta della Giunta, la quale è meglio in caso di giudicarne: se il teatro s’ha a sussidiare, bisogna sussidiarlo efficacemente. L’esempio di Bologna non calza, perchè non regge il paragone fra i due teatri; e il critico citato fa salire anche le sue pretensioni, riguardo alla Scala, a cifre iperboliche. Chiudendo, Foratore ricorda che la Francia, oppressa da tante sventure, osò mantenere le sovvenzioni ai teatri, e che a propugnarle sorse quello stesso Jules Simon, il quale ne’ suoi libri si mostrò così austero pensatore e così caldo fautore delle classi laboriose. Peretta, Pelgioioso, Massarini e Mussi parlano sulla questione, dando spiegazioni sui concetti già svolti. Il Sindaco deplora pure il provvisorio, ma fino a tanto che la quistione dei teatri non è decisa, trova necessario che non si lasci chiusa la Scala. Riguardo al teatro di Bologna, risponde al consigliere Belgiojoso che la prima donna di quel teatro costava cinque mila lire e che la Stolz ne costava qui invece 42 mila. Questa proporzione s’estendeva poi via via. A proposito di quel critico afferma che a lui 200 mila lire di dote parrebbero affatto insufficienti. Dice che si spesero L. 250 mila delle quali 200 • mila dal solo Comune, 10 mila dalla Provincia. Il resto si ebbe dai canoni e dalle sottoscrizioni dei palchettisti. Peretta e Mosca parlano.a favore delle recite per gli istituti teatrale e filarmonico, ora da quattro ridotte a due, e amerebbero venisse tenuto conto dei bisogni in cui versano quegli Istituti. Griffai fa la proposta che la somma non abbia mai a oltrepassare 200 mila lire. (1) Senza porre in dubbio l’autorità del nostro amico Filippi, ei permettiamo di trovare molto strano che un’appendice teatrale sia portata in Consiglio Comunale come documento che possa pesare sulle determinazioni pubbliche. Certo un critico ha diritto di convincere ad uno ad uno tutti i Consiglieri comunali, ma questi, ei pare, dovrebbero farsi forti della loro convinzione non della fonte onde l’hanno attinta. Mussi e Pelgioioso insistono sulla loro proposta di L. 180 mila. Messa ai voti, è respinta. Messa ai voti la proposta Grifóni, è approvata quasi all’unanimità. La seduta è levata alle ore 5 1/2. Oggi seduta all’ora solita. — Ferrara. Ci scrivono: Riuscì splendidamente una Mattinata Musicale che ebbe luogo il 31 marzo nelle sale della Società dei Negozianti. Furono eseguiti vanii pezzi, fra cui la sinfonia dell’Assedw diArlemdì Verdi e quella del Nabucco per 4 pianoforti, una romanza del Campana Morir per te, l’aria del Palio in maschera e della Saffo per soprano; questi due ultimi pezzi furono cantati dalla signora Valburga Melloni, esordiente, allieva del Conservatorio di Milano, e le valsero tali entusiastici applausi, che dovette ripetere Faria del Palio in maschera. NOTIZIE ESTERE — Lipsia. Il Paradiso perduto, di A. Rubinstein fu eseguito il 26 marzo sotto la direzione dell’autore al 2° concerto straordinario della Società dei Filarmonici. — Il concerto che deve dirigere Riccardo Wagner è fissato al 12 maggio venturo. Il programma comprende la musica composta per la rappresentazione del Tannliduser a Parigi, l’ouverture dell’Ifigenia, la sinfonia eroica e il preludio del Tristano ed Isolda. — Anversa. Emilio Reusens, musicologo valente, morì il 27 marzo a 37 anni. È aperto il concorso pel conferimento dell’appalto del teatro Comunale di Trieste per le stagioni d’antunno e di carnevale-quaresima p. v. 1872-73. Le basi delle condizioni risultano dal Capitolato ostensibile nell’Ufficio della Direzione, e la dote consterà di fiorini sessantaduemila (62000) effettivi d’argento oltre ai proventi tutti del Teatro stesso. La concorrenza rimane aperta a tutto il dì 30 corrente Aprile, presentando con lettera suggellata la propria offerta, sempre sulle basi che la direzione indica nel predetto Capitolato esibendo quanto potesse tornare in vantaggio del buon servizio pubblico. Le offerte dovranno essere cosi presentate all’Ufficio della.Direzione in Trieste, accompagnate dall’avallo di f. 2000 effettivi d’argento, oppure l’equivalente in valori al corso della giornata. L’avallo verrà trattenuto al solo deliberatario in acconto dei f. 10.000 effetivi di deposito cauzionale che dovrà versare all’atto della sottoscizione del Contratto d’appalto. Trieste, 2 aprile 1872. La. Direzione Teatrale. POSTA DELLA GAZZETTA Sig. Augusto Mon. — Roma — N. 46S. Diciamo a voi ciò che si è detto agli altri; pazientate; il Piccolo Romanziere, che fu annunziato in corso di stampa, non è ancora pronto. Signor Ang. V. — Pavia — N’. 113. Nella chiave.diplomatica non vi è errore di sorta. Signor Luigi P. — Napoli — N. 672. Pei premi in arretrato che vi spettano scriveteci precisamente che cosa scegliete; però bisogna vi atteniate ai programmi degli anni antecedenti, e non a quello del corrente 1872. — Raccomandiamo ai corrispondenti di Firenze e di Roma di farsi vivi. Signor Giulio Cesare R. — Suez — N. 490. Vi abbiamo spedito oggi N. 8 fotografie spettantevi come premio. La Cronologia de’ Teatri è in corso di stampa, e la riceverete tosto pubblicata. SCIARADA Nume potente al par di quel che invoca Il primo è l’altro, ed è Y intero voce Che ha molti gridator, pratica poca. Quattro degli abbonati che spiegheranno la Sciarada, estratti a sorte, avranno in dono uno dei pezzi enumerati nella copertina della Rivista Minima, a loro scelta. Spiegarono la Sciarada del N. 12 i signori: Angelo Vecchio (Pavia), Carlo Castoldi (Milano), Alfonso Fantoni (Piacenza), Camillo. Cora (Torino), E. Bonamici (Livorno), Ernestina Benda (Venezia), Ferdinando Ghini (Cesena), P. Pomé (S. Remo), D- Ragazzi Pietro (S. Felice), Cesare Cavallotti (Vicenza), E. Donadon (Milano), Conte Francesco Tarsis (Milano), maestro Antonio Biscaro (Treviso), Giuseppe Bagatti-Valsecchi. Riuscirono premiati i signori: Carlo Castoldi, Francesco Tarsis, E. Donadon, E. Bonamici. Editore-Proprietario, TITO DI GIO. RICORDI. Oggioni Giuseppe, gerente. Tipi Ricordi — Canta Jacob.