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GAZZETTA MUSI ascolta con piacere. Con tutti questi frammenti, due scrittori drammatici hanno costruito una specie di melodramma un po’ fosco, un po’ sinistro, come l’antica scuola ne forniva alla dozzina, e così è nata Topera in quattro atti data al teatro Lirico col titolo di Silvana. V’è abbisognata l’addizione d’un artista drammatico (che non canta), il sig. Clemente Fust, e d’una mima (muta ma non sorda), la signorina Pallier dell’Opéra, il primo per sostener la parte, di Melchior (il tiranno o il traditore, come vogliate chiamarlo), l’altra quello della protagonista, Silvana; il che rende assai difficile la rappresentazione di quest’opera su altre scene all’estero. Come volete che l’impresario d’un teatro di musica si faccia prestare dal direttore d’una compagnia drammatica un buon artista e scritturi un’eccellente mima per poter dare la Silvana? Ciò-è possibile a Parigi o nelle grandi capitali, ma riesce più malagevole nelle città di second’ordine, ove ogni teatro può appena vivere del suo. Checché ne sia, ripeto che l’esito è stato felice; quasi tutti i pezzi sono stati applauditi; la mima o ballerina è stata vivamente festeggiata; l’altro, Clemente Fust, ha prodotto una grande impressione, ed i cantanti, soprano, comprimaria, tenore e baritono ( signora Balbi e Donau, signori Durvast, Neveu, ecc.) hanno rivaleggiato di zelo ed ottenuto la loro parte di successo - Povero teatro Lirico! fa tanto per l’arte, e non ha potuto avere, a gran fatica, che una sovvenzione di 60,000 franchi all’anno, quando V Opéra che non dà quasi mai opere nuove, ne ha 800,000! Se volete ora che vi racconti in poche righe l’intreccio del dramma, il farò. Il Duca Mathias vuol dare sua nipote in isposa ad un giovine gentiluomo, il conte Alberto, che l’ama, ma non riamato, il cuore della graziosa Elena essendo stato dato al figliuolo del Duca, Rodolfo, scacciato dalla corte e detestato dal padre, senza aver mai saputo il perchè di questa mortai avversione. Rodolfo si è gettato nei boschi ove vive triste e solingo. Ivi ha incontrato una fanciulla, una specie di zingara, orfana e priva della favella; ne diviene l’amico; ma essa, Silvana, ha per Rodolfo un più tenero e fervido affetto. Un malandrino, Melchior, metà zingaro, metà indovino, si avvede dell’amore che Silvana ha pel proscritto, e geloso all’eccesso, vuol assassinare il suo preteso rivale, ma al momento in cui è per ferirlo, una frase sfuggita a Rodolfo gli rivela che questi non ama Silvana, ma Elena la nipote del Duca. Il tristo cangia allora di disegno; gli importa d’allontanare Rodolfo, di separarlo da Silvana; gli racconta però le prossime nozze d’Alberto e d’Elena e gli consiglia d’impedire questo matrimonio. Intanto Alberto, che in una caccia ha incontrato Silvana ed avuto pietà della vita nomade della fanciulla, T ha fatta trasportare mentr’ella era addormentata nel palazzo ducale. Melchior la segue e credendo che essa sia venuta al castello per ritrovar Rodolfo, le giura che questi non l’ama, che ama invece Elena, e perchè l’incredula gli presti fede, egli le offre il suo pugnale, dicendole: «Se mi convincerai dì menzogna, uccidimi.» Rodolfo ha voluto impedir le nozze di Elena col conte; ma il padre sopravviene furioso, lo minaccia, lo vilipende, lo scaccia chiamandolo «figlio della colpa.» Elena si getta nelle braccia del cugino; Silvana gelosa, vuol con lo stile che le ha dato Melchior, svenar la rivale; ne è impedita, è per essere trascinata, quando Melchior s’interpone, favorisce la sua fuga e fogge con lei. Tornato nei boschi, lo zingaro perde le tracce di Silvana; è disperato; ma gode che altri soffra egualmente. Con una sola parola egli potrebbe disingannare il Duca e far che riapra le braccia all’infelice Rodolfo, ma noi farà. L’imprudente! ha parlato solo ed a voce alta (come in tutti i drammi!) E Silvana ha udito le sue parole. La povera muta si sacrifica: finge di abbandonarsi all’amore di Melchior, a condizione che questi sveli al padre di Rodolfo il secreto che possiede. Melchior consente. Il segreto è questo: il Duca aveva sorpreso nella camera da letto della Duchessa, madre di Rodolfo, un uomo che v’era penetrato col favor della notte. Lo credè un amante; era un ladro; era lo stesso Melchior; ed in prova di quanto asserisce, mostra la busta vuota di gemme, involata alla duchessa. CALE DI MILANO 117 Il Duca abbraccia il figlio, cosi ingiustamente scacciato; il conte Alberto, vedendo che Rodolfo ed Elena si amano, rinunzia alla mano della giovanotta, e Silvana compie il sacrifizio gettandosi nel torrente. Melchior la vede travvolta nell’onde, dà in uno scroscio di riso ed impazzisce. Elena sposa Rodolfo. Ecco il dramma; la musica non bastando a tutta questa roba, s’è dovuto ricorrere ai due personaggi, uno drammatico, T altro mimico, di Melchior e di Silvana. Mi par che ve n’abbia detto abbastanza sul teatro Lirico. Passiamo ad altro. Il teatro italiano ha riportato la palma in fatto di musica religiosa durante la settimana santa. Ammesso questo genere di musica nei teatri — il che non mi è mai sembrato regolare — bisogna convenire che il programma del teatro Italiano pel giovedi e pel sabato santo offriva una scelta bellissima di musica religiosa. Aggiungerò che l’esecuzione non è stata abbastanza lodevole. Certamente non è giunta a quella perfezione che si ha diritto ad esigere da questo teatro; ma la povera direzione fa quel che può; e quando offre come primi soggetti T Alboni e la Penco, sarebbe ingiusto il domandarle di più in questa fine di stagione. Il suo vero torto è di non aver un tenore, altro che Gardoni; e di abusar un po’ troppo del Gardoni. Non può farlo cantare tutte le sere ed in tutte le opere. Quanto all’altro, al nuovo tenore, Guidotti, me ne rincresce per lui, ma non è accetto al pubbblico. Siccome a questo teatro il silenzio è l’unico segno di disapprovazione l’artista non ha a soffrir altro dispiacere. Quando canta qualche duetto o pezzo d’insieme, si applaude, ed egli ne prende la sua parte; quando è solo a cantare, si tace. Come vedete, il male non è poi tanto grave, almeno per lui. Ma pel pubblico non è lo stesso; e la scrittura d’un buon tenore verrebbe molto a proposito. Nulla di nuovo ancora all’Opéra, benché il nuovo direttore Halanzier si vegga veramente nell’obbligo di dare qualche opera nuova. Non sa dove dar di capo. Qui non è mica una piccola impresa quella di metter insieme una grand’opera in cinque atti. La spesa è considerevole, e se l’opera non riesce, felice notte! Or il signor Halanzier non è l’uomo che rischia un soldo senza esser sicuro, non dico solo di non perderlo, ma anche di. guadagnare. Avvezzo a fare il direttore di provincia, non si è mai trovato nel caso di dover mettere in iscena un’opera nuova. A Marsiglia, a Bourdeaux, a Lione si va sempre innanzi con le opere del repertorio. Egli credeva di poter fare lo stesso a Parigi. Ma dopo che la sovvenzione è stata portata da 600 ad 800 mila franchi’, si guarda più davvicino, e gli si domanda altra cosa che l’eterno Roberto il Diavolo ed i non meno eterni Ugonotti. Vedremo che cosa ei darà. Egli tentenna, ma è forza pure che si arrenda al giusto desiderio del pubblico. Pare che voglia rimettere in iscena il Freyschutz, ma è sempre un’opera vecchia. Non è questo che gli si domanda. Farà il sordo per due o tre mesi, ma dovrà pur finire per rassegnarsi. Si parla dell’Aia, ma finora nulla è risoluto. Vi terrò a giorno di quel che sarà deciso. Londra, aprile. Se il principio ha da essere il criterio della stagione, le cose del Covent-Garclen avranno doppio titolo all’attenzione del pubblico. La rappresentazione, che ha inaugurato la stagione, non è stata addirittura un fiasco, ma è stata causa di un primo disappunto. La Sessi, colpita da «improvvisa indisposizione», dovette essere surrogata nella giornata stessa della recita; e lo fu da quella coraggiosa ed abile prima donna ch’è la signora Sinico, la quale sostenne la parte di Margherita in guisa da essere chiamata da applausi non invero assordanti all’onore d’una replica. Un Faust più melanconico, più morto del signor Naudin sarebbe impossibile trovare. Ei sembra aver perduto ogni conoscenza di scena, dopo aver perduto da lungo tempo la voce, come