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IDEE MUSICALI DI GIUSEPPE MAZZINI Dio e Popolo — Pensiero ed Azione. Sempre che mi avviene di rammentare il grande italiano, sia che guardi alle sue azioni, alle sue scritture, alla sua filosofia, alla sua fede, ai suoi sentimenti artistici, lo faccio coll’occhio fisso a queste imprese di battaglia. Dotato di natura profetica, egli spese tutta la vita nell’apostolato d'un'idea, come tutti gli apostoli, non però alla stessa maniera; il suo potentissimo intelletto gli tolse di ricadere nell’errore di tanti predicatori sentimentali, che disprezzarono o dimenticarono i mezzi del mondo reale, credendo bastasse a convertire a una fede, una fede, la propria, un esempio, il proprio, spesso soltanto la propria parola. L’idea mazziniana non cammina sola in mezzo agli uomini — nessuno le avrebbe badato — essa si eleva sopra una piramide e chiama dall’alto la folla sbigottita. Non è soltanto un’idea, è un sistema. Il sentimentalismo di Mazzini non è’ sfibrato; ma ha nervi e sangue; la sua convinzione non è soltanto profonda, ma gagliarda; a differenza degli adoratori volgari egli pose il suo idolo in cima non al suo pensiero soltanto, ma all’universo pensante. Letteratura, Arte, Filosofia, Religione, siccome non sono che la manifestazione d’uno stesso vero, così non devono avere di mira che una conquista — la patria, l’umanità. La musica non potè sottrarsi a questo appello. A Mazzini, appassionato della musica, forse meno indottamente di quel che egli confessi, non poteva sfuggire il carattere generale, umanitario, che essa ha come linguaggio e come pensiero. «La musica, egli scrive, sola favella comune a tutte le nazioni, unica che trasmetta esplicito un presentimento d’umanità, è chiamata certo a più alti destini che non son quelli di trastullare l'ore d’ozio a un piccol numero di scioperati.» Era difficile resistere al fascino di questa idea ad uno che lavorava intorno all’edifizio della propria missione. Il sistema di Mazzini, così intero, così bello, così giusto nelle proporzioni, così netto nei contorni^ non tradisce, come tanti sistemi filosofici, la violenza — ci è l’unità e l’interezza delle costruzioni pelasgiche; non è artificioso e fragile accozzamento di immagini e di parole. Nondimeno se vi è una pietra di questo incantevole edifizio che sembri ribellarsi alla legge universale, se vi è un pensiero che guardi al sistema come ad un carcere, è il pensiero musicale. Prima di dirigere una forza ad un intendimento, convien conoscere la natura di questa forza; prima di dire alla musica: «io voglio questo da te», ei conviene ripetere il famoso: Musique, que me veux-tu? che, prima e dopo Fontenelle, fornì argomento di meditazione a tutti i pensatori. Mazzini è così convinto della missione della musica, che accenna alla domanda di Fontenelle come alla sintesi di una scuola sensualistica e materialistica e non le riconosce altro significato; ma sa egli poi meglio di Fontenelle che cosa sia la musica? L’articolo «Filosofia della musica» porta in fronte questa epigrafe concisa ma eloquente: Ignoto numini. Ma coll’ignoto non è umanamente possibile porre le basi di nulla di noto e il bisogno di determinare, di dare contorni all’idea musicale apparisce a lampi qua e là nella scrittura. Nè lo scrittore può così dissimulare il vuoto che si scava ogni tanto, sotto i suoi passi, che non getti ad intervalli lo sguardo nell’ignoto per intravedere la faccia del nume. Egli dice: «La musica è un’armonia del creato, un’eco del mondo invisibile, una nota dell’accordo divino che l’intero universo è chiamato ad esprimere un giorno.» Parole di credente, linguaggio di profeta, bagliori che non splendono se non quanto basta a mostrare il bujo. Il Musique, que me veux-tu? rimane più saldo di prima. La formula l'arte per l'arte, che Mazzini biasima colla vigoria dell’indignazione in letteratura, forma pure l’oggetto di tutte le sue riflessioni intorno alla musica. Ma quanto altrimenti egli riesce efficace qui che altrove! Le sue parole sono più eloquenti che vigorose,