Pagina:Gazzetta Musicale di Milano, 1872.djvu/124

GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 116 Parigi. 27 marzo. (Ritardato) I teatri di musica han guadagnato la causa: T Assemblea nazionale ha votato la sovvenzione; ha fatto anche di più — l’ha aumentata. L’Opéra che non aveva che 600,000 franchi, ne ha ottenuto 800,000; Y Opéra-Comique, da 100,000 franchi, è stata portata a 140,000. Il teatro Italiano serba i 100,000 che già aveva, ed il teatro Civico ha 60,000 franchi. In tutto, pei soli teatri di musica, senza contare il Conservatorio, un milione e cento mila franchi. Ammetterete che con questa somma, che non è poi così modica, si ha dritto a pretendere qualche opera nuova! Non già che Roberio il Diavolo, la Dama bianca ed il Barbiere non siano veri capilavori, ma non sarebbe mestieri che si tirassero dalla borsa dei contribuenti 1,100,000 franchi per dar eternamente queste opere, senza rinfrescare il repertoiio ed aggiungervi anno per anno qualche novello spartito. All’Opéra sopratutto la penuria di opere nuove è grande. Che abbiamo avuto da cinque o sei anni a questa volta? Don Carlo ed Amleto. La prima di queste due opere, per pregevole che sia, non è stata più ripresa, non so per qual malvolere della direzione, che si riposa troppo comodamente sulle quattro opere di Meyerbeer. Oh! per queste non c’è pericolo che vadan neglette! Si direbbe che la direzione ha contratto un obbligo verso gli eredi per serbarle costantemente sull’affìsso. Cadono le citta, cadono i regni, ma non c’è paura che Roberto il diavolo, Gli Ugonotti, il Profeta e V Africana abbandonino l’affìsso, foss’anche per quindici giorni! Che bella rendita, non è egli vero? Ma questa volta i giornali sembrano risoluti ad alzar la voce, e se il novello direttore dell’Opéra, dopo aver ottenuto la sovvenzione di 800,000 franchi, si affida di continuar a non dare che i suddetti quattro spartiti di Meyerbeer, sì meritevoli che sieno, senza opere nuove, non credo che l’anno venturo alla discussione del Budget, 1 eloquenza di Giulio Simon basterà a far votare di nuovo la sovvenzione. È veramente vergognoso di alimentare tutta un’annata teatrale con le opere del vecchio repertorio e di ostinarsi a non voler metter in iscena alcun nuovo lavoro! Costà le cose tìon andrebbero allo stesso modo; si griderebbe e non a torto; ma qui il pubblico è così inchinevole alla dabbenaggine, che lascia fare. Qui i fischi non si conoscono; non vi si ricorre, all’Opéra sopratutto, che in rarissime occasioni; e piuttosto come una protesta, che come un biasimo. Nello spazio di circa a enti anni non ho inteso fischiar che due volte AY Opéra: la prima ad un’opera di Teodoro Labarr, che minacciò di non finire; la seconda al Tannhaüser di Riccardo Wagner, e fu piuttosto per protestar contro l’invasione d’una scuola novella che contro la musica per essa stessa. All’incontro, se i fischi non sono in uso, gli applausi non mancano mai, per insufficiente e biasimevole che sia l’esecuzione. La cosa è ben semplice: i plaudenti sono una corporazione conosciuta sotto il nome di Claque. Il capo, che mette sulle sue carte di visita: il tale intraprenditore di successi, si fa pagare una data somma dal direttore, dagli autori, dagli artisti, e ha dritto anche ad un numero di biglietti di platea. Li dà gratuitamente ad individui ad hoc, con l’obbligo di applaudire ad ogni segnale che egli ne darà, battendo il suolo col suo baston di comando... In questo modo è chiaro che i plausi non mancano mai. Ed il pubblico se ne accontenta! — Immaginate ora, se tollerando la claque, questo stesso pubblico bon enfant si lamenterà perchè non gli si danno opere nuove. Checché ne sia il nuovo direttore, per far prendere pazienza ai pochi giornali che cominciano a mormorare a proposito del vecchio repertorio ha promesso di mettere in iscena senza gran ritardo qualche nuova opera. Ne ha tre o quattro a sua disposizione, di autori francesi. Ed il signor Beulè, membro dell’istituto, che in seno dell’Assemblea Nazionale ha patrocinato con grand’eloquenza la causa delle sovvenzioni teatrali, ha parlato anche dei maestri stranieri, dicendo che TO^era è ad essi ospitaliera. Sicché il signor Halanzier potrà senza tema di rimprovero sceglièr indistintamente compositori nazionali e stranieri. E giacché parici del Beulè, aggiungerò che nel calore dell’eloquenza si è lasciato sfuggire qualche frase inesatta; per esempio, quando ha detto che la prima scena lirica di Parigi serve di perfezionamento ai maestri stranieri, ed ha portato per esempio il Verdi, che, secondo lui, non ha perfezionato la sua maniera di stromentare se non dopo un soggiorno a Parigi!... Ma che volete!... il Beulè non è un perito in fatto di musica, e non è per l’arte musicale che è membro dell’istituto; ha detto quello che gli è sembrato probabile o che ha inteso ripetere. Nel seno d un Assemblea legislativa una di queste inesattezze non è poi gran latto perniciosa. All’Istituto un consimile linguaggio sarebbe stato più grave. Non posso passar sotto silenzio la riapparizione del pianista Francis Planté, che ha fatto qui una vera esplosione, se mi permettete questo vocabolo: nè è esagerato. Tutti i giornali parlano di lui; tutti vogliono andare a udirlo. Il sig. Heugel, l’editore di musica e direttore del Menestrel, ha avuto la felice idea di far dare al Conservatorio una serie di tre concerti, nei quali si farebbero udire i signori A lard e Franchomme, le signore Paolina Viardot e Miolan-Carvalho ed il signor Planté. La prima di queste mattinate musicali ha avuto luogo domenica scorsa, la seconda sarà data il lunedi di Pasqua e la terza la domenica seguente. Già, alla prima di esse, la sala del Conservatorio era piena zeppa. Per la seconda, se il numero dei biglietti fosse doppio... che dico! se fosse decuplo, sarebbe venduto. Tutti parlano del Planté, tutti vorrebbero aver assistito al concerto. Il vero è che è valentissimo. Aggiungete all’attrattiva di un’eccellente esecuzione, il canto cosi perfetto della signorina Carvalho o quello della Viardot e comprenderete quanto sia giustificato il desiderio di assistere a questi concerti. Se invece di soli tre, il sig. Heugel ne avesse promesso sei ed anche di più, avrebbe soddisfatto il voto di quanti amano la buona e bella musica magistralmente eseguita. Questa volta non vi parlerò del teatro Italiano; avrei poco o nulla a dirvi; appena potrei rendervi conto di due rappresentazioni del Don Pasquale con la Volpini, che è piaciuta; ed ecco tutto. Ma la settimana santa mette fine alle rappresentazioni sceniche, e dappertutto, nella sale.di concerti come nei teatri, non si ode più parlar che di musica religiosa. È un po’ strano che la scena abbia a servir per l’esecuzione d’una Messa o d’uno Stabat! Senza voler tuffare la penna nell’acqua benedetta, come diceva il povero Giusti, amerei meglio che la musica sacra fosse eseguita nelle chiese. Ivi è più solenne e più imponente. Se mi spiace sentir cantare l’O salutaris ostia e Y Agnus Dei qui iollis sul palcoscenico ove la sera precedente han cantato d’amore Rosina e Lindoro, altrettanto mi spiace udir sull’organo il brindisi di Lucrezia Borgia o il duetto del Don Giovanni all’elevazione dell’ostia santa. Avrò torto o no; ma credo che ogni cosa debba essere al suo posto. E Dante aveva ben ragione quando diceva: Coi santi in chiesa, ed in taverna, coi ghiottoni. A A "R, 2 aprile. Ho molto a dirvi questa volta; farà d’uopo esser laconico per dir di tutto un poco. Comincio dal nuovo: la Silvana di Weber, la cui rappresentazione ha avuto luogo iersera, dopo esser stata varie volte differita, al teatro Lirico (sala dell’Ateneo). Mi affretto a dichiarare che l’opera ha avuto un esito felice; non dico già un successo d’entusiasmo, ma tale da assicurarle una lunga serie di rappresentazioni. A mio avviso, è fuor di dubbio che la musica sia dell’autore del Freyschütz: se non che vi manca quel che chiamasi colorito generale; non v’è unità e non ve ne poteva essere, perocché è un’opera composta di frammenti diversi, tutti pregevoli, ma che era difficile, impossibile anzi di coordinare. E un mosaico di pietre finissime, ma che non offre alcun disegno. Quasi tutti i pezzi di cui l’opera si compone sono belli, e ad onta di ciò, l’opera per sè stessa non soddisfa completamente. Nullameno la maggior parte della musica rivela la grazia, l’eleganza, la purità di stile del Weber, e la si