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112 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO rP L ì U | i suoi colpi sono più brillanti che formidabili. Egli fa acciuffare corpo a corpo la musica sociale colla musica indivichmle^ ma la lotta dà l’immagine di quelle inutili e lunghe prove di atleti rivali, non fatte che per offrire uno spettacolo al pubblico, e che finiscono sempre senza che nissuno degli avversarli prema col dorso le tavole del palcoscenico. Se la letteratura non deve essere scopo a sè stessa, la musica, io temo assai, non può far altro. Vediamo: che cosa domanda Mazzini alla musica? Qui è palese un’indeterminazione che non si trova in nissun’altra scrittura di Mazzini. La logica si vendica del lirismo. Che volete domandare ad un’arte di cui vi è ignota l’intima natura? Mazzini vi dice tutto ciò che la musica non è, tutto ciò che la musica non fa; non sa dirvi ciò che dovrebbe essere, ciò che dovrebbe fare. Egli la vuole angiolo elei santi pensieri, ispiratrice di forti fatti, diretta ad un intento sociale. Ma io domando: quale intento? per quali vie? È egli possibile dirigere quello che non si conosce? È egli possibile prefìggere uno scopo determinato ad un’arte che ha contorni così sfumati, e in cui il genio è ridotto più all’ufficio di sognatore che a quello di pensatore, ad un’arte di cui molti possono essere fortunati tentatori, padrone nessuno? Che cosa è la musica? Alla definizione di Mazzini che la dice un’eco d’un mondo perduto, io preferisco quella di San Giovanni Damasceno: «una serie di suoni che si chiamano l’un l’altro.» Ma nè S. Giovanni nè Mazzini sono padroni del segreto; questa musica che allieta i mortali e parla d’un mondo ignorato è creatura del cielo e si nasconde ritrosa fra le nubi. Gl’intelletti potenti ne hanno intravveduto le forme, l’anima è rimasta occulta. Credete voi al nuovo Prometeo che debba rapirle la scintilla? Io non ho questa religione, nè Mazzini stesso l’aveva. Comunque sia, fino a che la musica non sarà altro che sensazione,’non potrà ispirare altro che brevi sentimenti. Il fatto dei selvaggi che si sono convertiti alla fede per la musica non prova nulla. Nissan uomo civile che oltre una fede abbia un cervello farà mai un’apostasia a. questo prezzo. Adoperate le arti che parlano alla mente, che provocano il pensiero a battaglia, se volete ottenere una vittoria; non la musica che parla ai sensi od al cuore, che può darvi una carezza, una melanconia, un entusiasmo, non un pensiero; l’impeto che distrugge, non la forza che crea. Ogni moto sociale è indifferente alla musica, per quel che io ne penso; essa sarà sempre al fianco dell’umanità come una parola d’angiolo, in terra come una carezza di cielo. Siamo usi a parlare di pensiero musicale, d’idea musicale; e il gergo aggiunge i periodi e le frasi musicali. È una concessione al nostro linguaggio, è forse un indovinamento — ma dove è il pensiero musicale? Possiamo noi ammettere pensiero senza significato palese, idea a cui non si possa contrapporre un’altra idea? E provatevi, se vi riesce, a contrastare con un sillogismo musicale, un’aria della Norma o del Rigoletto. Ad essere esatti, siccome la musica non nasce che dalla fantasia e dal cuore, le frasi, i periodi e i pensieri dovrebbero essere chiamati sentimenti o fantasmi. Ho detto che lo stesso Mazzini non crede a questa missione sociale della musica. Infatti, dopo aver diviso anche la musica come la letteratura in individuale e sociale, e dato alla prima base la melodia e patria l’Italia, alla seconda base l’armonia e patria la Germania, ne«’a ad entrambe l’indirizzo vero. La musica tedesca che risponde all’elemento sociale, non è sociale; le mancano contorni spiccati, è sintetica ma vaporosa, abbraccia l’universo, ma se lo lascia sfuggire, guarda al cielo, vi erra intorno, si perde nelle astrazioni; non ha muscoli e sangue — è nebbia. L’italiana è più gagliarda, esaurisce le sensazioni, ma è materialistica, parla ai sensi, non all’anima o poco, accarezza, blandisce, addormenta, non consiglia nulla; ha muscoli e sangue ma non ha un proposito fuor quello di divertire. Giudicato con questo criterio Rossini è un titano, è il Napoleone d’un’epoca; ha sancito l’indipendenza, ha dichiarato l’onnipotenza elei genio, ma non ha fatto che conchiudere l’individualismo; Bellini era in^eemo di transizione, anello tra la scuola italiana e la scuola futura, e il solo Donizetti accenna a intendere i nuovi bisogni del dramma musicale. Il dramma musicale! Ecco la chiave del sogno di Mazzini; quando egli parla della musica ha in mente, senza avvedersene, il melodramma, e quando ne vuole determinare in qualche modo la missione sociale non trova di concreto altro che il dramma per musica. Egli scriveva queste cose nel 1836, quando Rossini era grande, e Bellini era appena morto dopo essersi fatto immortale, e Donizetti intelletto potentemente assimilatore aveva fuso i caratteri delle due musiche e messo il melodramma sulla vera via. Ammesso il connubio delle parole coi suoni, Mazzini vide fino d’allora ciò che poi abbiamo tutti ripetuto, che la musica non doveva regnare da tiranna, ma piegarsi il meglio possibile alle situazioni, ai caratteri dei personaggi, al sentimento espresso dalla parola. Questa non è utopia, come è utopia la missione sociale della musica, e se può trovare chi esagerandola la snaturi, non è meno vero che la lira del musicista ha come la lira del poeta corde varie per l’amore, pel dolore-, per la gioia, per l’entusiasmo, per l’ira, e in generale per tutti i sentimenti dell’anima umana, e che questo sposalizio è possibile. E tanto è possibile che dello stesso Donizetti, e più di Verdi che venne dopo, di Meyerbeer, di Gounod e di parecchi altri possiamo, dopo quasi quarant’anni, enumerare più di quaranta capilavori in cui la nota non ha fatto violenza alla parola. In questo Mazzini ebbe l’occhio giusto, e scagliò il ridicolo con parole convinte, e riuscì eloquentissimo perchè vero. Ma non forse così scrupolosamente vero quanto sarebbe stato se non si fosse affannato dietro la chimera della musica ezeropea, sociale, missionaria. Perchè egli domanda, oltre al drammatismo musicale^ anche l’elemento storico, il colore musicale dei tempi e dei luoghi in cui l’azione si svolge; fantasie nebbiose, soggettive, che sfuggono all’osservazione e & । A