Francesco Foscari e le sue monete
Questo testo è stato riletto e controllato. |
Francesco Foscari e le sue monete
(1423-1457)1
Con lunga e contrastata elezione fu creato doge Francesco Foscari che tenne il seggio ducale per trentaquattro anni in una dello epoche più avventurose della nostra repubblica. Si avverarono così i timori del prudente predecessore: l’ingrandimento dei possessi in terraferma costò a Venezia dure lotte e penosi sacrifici, di cui si sentirono per lungo tempo le conseguenze nelle finanze e nella prosperità dello stato. Non si può. senza ingiustizia, darne tutta la colpa al doge Foscari, il quale aveva energia ed avvedutezza non comuni e sentiva altamente di sè e della repubblica, ma conviene attribuirne gran parte ai principi vicini, ambiziosi e senza fede, ed alle condizioni generali dell’Italia in quei tempi tristissimi. Filippo Visconti agognava il dominio di tutta la penisola e le due repubbliche di Firenze e di Venezia dovettero allearsi per difendere la loro libertà contro il nemico comune. Aspre ed accanite lotte si pugnarono sui campi di Lombardia, sotto il comando dei più illustri capitani di ventura, con varia vicenda; più volte fu segnata la pace, ma si riprese poco dopo la guerra, e solo dopo la morte del Duca Filippo i Veneziani poterono concludere una pace durevole colla cessione definitiva di Cremona, oltre a Brescia e Bergamo ottenute nei precedenti trattati.
Gli sforzi fatti nelle lunghe guerre d’Italia impedirono di tutelare validamente gli interessi veneziani in levante, dove i Turchi si avanzavano minacciosi molestando continuamente l’impero greco ed i principi cristiani. Nel 1430 presero Salonicco, di cui gli abitanti s’erano dati pochi anni prima a Venezia, e nel 1453, dopo una memorabile difesa, entrarono in Costantinopoli con gravissimo danno del commercio e dell’influenza dei Veneziani che non avevano potuto recare efficace soccorso ai Greci per l’abbandono di tutte le potenze europee e per la mancanza di forze militari ed economiche stremate nelle guerre d’occidente.
Gli ultimi anni del vecchio doge furono amareggiati da sventure e dolori, e principalmente dalla condanna a morte del figlio Jacopo, che si era reso colpevole di gravi infrazioni alle leggi dello stato. Finalmente la deposizione dal dogado, consigliata da crudele ragione di stato o da altri motivi assai difficili, a distanza di secoli, ad apprezzarsi, affrettò la fine di quel principe elettivo, che aveva avuto più lungo regno.
Quanto alla zecca pochi fatti importanti sono da notare in questo periodo, meno forse che in altri regni più brevi, ma più calmi. Relativamente al più prezioso dei metalli non si conoscono che due soli documenti: un decreto del 18 settembre 14532 con cui il Senato delibera di eleggere tre nobili per istudiare e proporre quelle misure che credessero più utili ad aumentare il concorso e la coniazione dell’oro, ed una legge del 1 dicembre 14543, colla quale il Maggior Consiglio incarica il Senato di fare all’ufficio del saggio dell’oro quelle riforme che stimasse convenienti a mantenere il ducato in quella perfezione, per la quale è reputato in tutto il mondo. Non havvi memoria che gli studi ordinati e le proposte, che dovevano esserne la conseguenza, abbiano avuto un pratico risultamento, anzi è da ritenere che nessun provvedimento sia stato adottato, non trovandosene traccia nel Capitolare dei massari all’oro. Dalle considerazioni che precedono il decreto 18 settembre 1453, in cui è detto che la quantità dell’oro portato in zecca era minima, mentre abbondantissimo era l’argento che si coniava in moneta, si può facilmente argomentare che gli inconvenienti lamentati dipendevano dall’abbondanza del ricavo delle miniere d’argento, mentre era scarso il prodotto di quello d’oro. Non era quindi in potere dei savi consultori della repubblica rimuovere le cause di questo fenomeno economico, mentre abbassando continuamente e progressivamente il valore dell’argento si otteneva d’impedire l’esportazione della ricercatissima moneta d’oro.
Alcuni provvedimenti troviamo quindi in questo senso e, prime in ordine di data, due parti sancite dal Senato nel giorno 9 luglio 1429: nella prima4 si ordina che coll’argento del quarto che i mercanti avevano obbligo di consegnare alla zecca per farne moneta, debbano essere coniati soldi della forma usata due nuove monete, l’una da 8, l’altra da 2 soldi, in uguali proporzioni, e cioè un terzo di ogni qualità. Il grosso da 4 soldi viene mantenuto, ed i mercanti possono farne coniare per la Soria e per gli altri paesi del levante col rimanente dell’argento, dopo francato l’obbligo del quarto. Sì le nuove che le antiche monete dovevano avere la lega e la bontà usata fino allora e andare al taglio di lire 31 per marca, ed in modo che 104 soldi valessero un ducato, aggiungendo calde raccomandazioni per l’esattezza del peso e della fabbricazione. Tale decreto, motivato dalla invasione di monete forastiere nelle nuovo provincie di Brescia e Bergamo, prescrive che le monete da 1, da 2 e da 8 soldi sieno spedite in quei territori, conservando i grossi per i commerci dell’Oriente. È questa la ragione per cui nei ripostigli che si rinvengono nella, terraferma, dove la Repubblica estendeva i suoi possessi, troviamo più facilmente i grossoni ed i pezzi da uno e da due soldi, mentre i grossi vengono ai raccoglitori dai ritrovamenti fatti in Oriente.
La seconda parte presa in quel giorno5 revocava la deliberazione 4 gennaio 1419 (1420), nella quale si abolivano tutte le restrizioni e si permetteva di vendere l’argento in qualsiasi luogo ed a qualsiasi persona, e richiamava in vigore l’antica legge 28 settembre 1374, la quale ordinava che tutto l’argento condotto a Venezia fosse venduto a campanella a Rialto.
Nel 1442, 24 maggio6, quando più grande era il bisogno di denari a cagione delle guerre, si ordina che ogni marca di argento posta in zecca debba pagare due grossi por indennizzare le spese per la fusione e per le altre operazioni. Nel 15 gennaio 1443 (1444)7 si rinnovano le prescrizioni per la vendita dell’argento, emanate nel 1429, minacciando, a quelli che contravvenissero, la perdita del metallo, da dividersi fra i denunciatori ed il Comune. Con decreto del 23 gennaio dello stesso anno8 il Senato porta il taglio della moneta a 34 lire per marca, con nuova e sensibile diminuzione, determinando che si stampino soldi, e non grossoni, nè altre monete: la quale disposizione, trovata troppo gravosa per i lavoranti della zecca, si modifica nel giorno dopo, 24 gennaio9, deliberando che una terza parte sia ridotta in grossi da 4 soldi, e gli altri due terzi in soldi, ferme le altre disposizioni. L’aumento del taglio induceva naturalmente i mercanti a portare in zecca l’antica moneta più pesante, per avere la nuova e lucrare la differenza; per cui nel 2 febbraio 1443 (1444)10, ottenevano che si abolisse il pagamento dei 2 grossi per marca, in quanto si trattasse dei grossoni e di altre vecchie monete, e, per evitare i lamentati ritardi nella consegna delle nuove monete lavorate, fa accordato che l’argento fosse ridotto metà in soldi, metà in grossi. Non bastando per questa trasformazione il termine fissato da prima a tutto aprile, fu prorogato nel 26 giugno11 fino a tutto agosto dello stesso anno.
I bisogni delle esauste finanze fecero ricorrere a frequenti emissioni di monete di bassa lega, le quali davano alla zecca non pochi guadagni, destinati ad alleviare le spese delle guerre lunghe e costose. I pezzi di questo genere, abbondantissimi anche oggi, col nome di Francesco Foscari, sono vari di tipo e di peso, per cui viene naturale il sospetto che sieno stati creati per località e monetazioni differenti; ma siccome non hanno alcun segno che chiarisca l’attribuzione, non si seppe fin’ora trovare una soddisfacente spiegazione. Su ciò le cronache e le storie sono mute, ond’è necessario ricorrere ai documenti, che in quest’epoca si susseguono numerosi e ordinati.
Nei primi anni del dogado del Foscari non havvi alcun cenno di moneta minuta, per cui è probabile si continuasse la coniazione dei piccoli e dei tornesi col peso e col titolo usato precedentemente.
Solo nel 22 febbraio 1441 (1442)12, si trova il primo decreto del Senato, il quale delibera di diminuire l’intrinseco dei piccoli, che si battono in zecca per Brescia, Bergamo, Verona e Vicenza, sub diversis stampis secundum cursum locorum essendo necessario, per la strettezza della guerra, far denaro in tutti i modi onesti. Quasi a giustificazione si osserva che quelle provincie sono invase da moneta del ducato di Milano detta Sesino che di sopra è imbianchita, ma del resto è tutta rame, e, per sostituirla, si ordina che i bagattini colle stampe usate per Bergamo, Brescia, Verona, Vicenza e Venezia, contengano 1|18 parte di argento, invece di 1|9 come avevano precedentemente.
Il 24 maggio dello stesso anno 144213 osservando il Senato che, provveduto per Bergamo, Brescia, Verona e Vicenza, nulla sia espresso per Padova, Treviso ed altro terre, determina che i massari della moneta d’argento mittere debeant Paduam, Tarvisium, et ed alias terras nostras a parte terre et in patriam Foro Julii i bagattini che vengono usati in tali siti, fatti colla lega fissata precedentemente, e stabilisce che i rettori delle provincie debbano in ogni pagamento dare, per ogni ducato, almeno cinque soldi di tali monetine, e tutti gli utili sì di questa che della precedente fabbricazione debbano essere mandati allo Sforza, che comandava le armi veneziane in Lombardia, per gli stipendi delle truppe. Con decreto dello stesso giorno14 s’incaricano i governatori delle entrate di riscuotere dalle provincie l’equivalente dei piccoli spediti e di rifondere alla zecca il capitale esborsato, destinando l’utile alle spese di guerra.
Questi provvedimenti confermano che la stessa lega era adoperata per le diverse monetine, che con tipi variati si usavano nelle provincie: bisogna dunque ricercare nel solo peso a quali lire corrispondano i denari coniati in quell’epoca. A Padova ed a Treviso erasi sempre adoperata la stessa lira che a Venezia, e quindi i piccoli o denari veneziani avevano corso in tutti quei territori, nei quali ora anche comune la tradizione della forma concava o scifata. Infatti, tra gli esemplari che si conservano nei medaglieri, alcuni sono di buon aspetto ed hanno la consueta quantità d’argento, altri invece sono neri e di lavorazione negletta. I primi sono quelli coniati avanti il decreto, gli altri colla nuova lega più scadente, ma tutti hanno lo stesso peso che supera di poco i quattro grani e non raggiunge i 4 1|2. A Verona e Vicenza correva invece la lira veronese, la quale, come fu detto precedentemente, valeva un terzo di più della veneziana, e quindi per quelle Provincie si continuavano a coniare i denari colla croce a lunghe braccia, che divide a due a due le lettere dell’iscrizione, simili a quelli per la prima volta coniati da Michele Steno, che pesano scarsi 6 grani. I territori di Brescia e della Lombardia veneziana usavano la lira imperiale, doppia della veneziana, come rilevasi anche da un documento poc’anzi riferito, e quindi ad essi deve attribuirsi quel piccolo assai comune che da un lato ha il leone accosciato senza iscrizione e dall’altro, fra le braccia della croce, le lettere F F D V, il cui peso, abbastanza variabile fra pezzo e pezzo, ha però una media di 8 grani e 1|2. È questa la prima volta che nei documenti veneziani s’ incontra la parola bagattino, che invece a Padova è adoperato sino dall’ultimo quarto del secolo XIII15, ed a Treviso anche prima, e precisamente nel decreto 7 settembre 1317, in cui si ordina la coniazione del piccolo ossia bagattino16.
Il Pegolotti, riportando i cambi ed i prezzi della piazza di Venezia, li traduce sempre in lire e soldi di grossi, lire e soldi di piccoli o denari, ma non nomina mai i bagattini tranne quando fa il ragguaglio fra la moneta friulana e la veneziana (cap. XXXIII), dove parla di bagattini piccioli di Venezia. In tal modo quell’esattissimo scrittore di usi commerciali, mostra che i bagattini ed i denari erano bensì una stessa cosa, ma che il nome di bagattino era adoperato nelle vicine provincie, non a Venezia.
Anche a Venezia se ne parla per la prima volta quando si tratta di coniare i piccoli per la terraferma. Senza occuparmi dell’origine di questa parola, nè della sua etimologia, osservo solo che in Lombardia si usa tutt’ora bagai per dinotare un essere singolarmente piccolo, bagatti per significare un valore minimo, e nel giuoco del tarocco si chiama bagatto la carta più piccola: le quali voci tutte hanno la radice comune con bagattella, parola usata in italiano ed in francese.
Alla data del 18 luglio 144217 e cioè pochi mesi dopo i provvedimenti relativi alla moneta minuta per le provincie della parte di terra troviamo inscritto, nel libro riguardante le faccende del mare, un decreto del Senato che ordina la coniazioni di quattrini e mezzi quattrini per Ravenna, secondo la lega ed il modello presentato dai massari dell’argento, e prescrive al provveditore di Ravenna, di adoperare, in tutti i pagamenti fatti in quei territori, tali monete nella misura di un cinque per cento.
Il Lazari nella piccola moneta col nome di Ravenna e coll’immagine di S. Apollinare, credette vedere il quattrino coniato in quest’epoca. Però nelle sue memorie, che conservo manoscritte, egli giustamente si ricrede, osservando che la fattura di questo pezzo, perfettamente uguale a quello coniato per Rovigo, li mostra entrambi incisi dalla stessa mano e battuti nella stessa epoca, che per Rovigo non si può anticipare dal 1484, seconda occupazione di quella città. Aggiungerò che non sarebbe naturale che la zecca di Venezia, soltanto in questo caso per Ravenna, avesse messo il Santo protettore ed il nome della città, uso introdotto soltanto più tardi, e che il volume ed il peso di tale monetina non permettono di supporre un mezzo quattrino, che sarebbe riuscito tropico piccolo e troppo leggero. D’altronde la lira ed il quattrino di Ravenna erano uguali a quelli adoperati nelle città di Rimini, Pesaro ed altre vicine; ma i quattrini di quel tempo e di quei luoghi sono più pesanti e stanno fra i 14 ed i 16 grani. Crederei piuttosto riconoscere il quattrino decretato sotto Francesco Foscari in quel rarissimo nummo, che ha da un lato la croce ornata e dall’altra il leone rampante senza ali, colla banderuola fra le zampe anteriori, il cui peso si avvicina assai a quello dei quattrini battuti nella città della Romagna ed è tale da permettere la coniazione di un mezzo quattrino di sufficiente volume.
Il quattrino a Ravenna e nelle Romagna valeva due denari piccioli della lira usata in quelle provincie, come dimostra lo Zanetti, per cui il mezzo quattrino era uguale alla 1|240 parte della lira. Sembrami poterlo identificare in quella moneta esistente nel Museo di S. Marco, che Lazari credette un tornese. Siccome più tardi si sono ritrovati degli esemplari del vero tornese di Francesco Foscari e di Cristoforo Moro, con la solita croce, non si può ammettere che la zecca abbia lasciato un tipo antico e popolare, come quello del tornese, per riprenderlo più tardi. Un esemplare meglio conservato, che da poco è stato acquistato dalla raccolta Bottacin, mi fa credere, tanto per l’aspetto, quanto per il peso di circa 7 grani, ch’esso sia il mezzo quattrino desiderato.
Resta ancora da interpretare una singolare monetina assai comune, avente sul diritto una croce patente col nome del doge e sul rovescio un leoncino e le sole lettere S M. Essa è tanto tenue, tanto leggera, che riesce difficile a comprendersi come abbia potuto essere praticamente adoperata. Ne troviamo la spiegazione in un decreto dei Pregadi del 21 giugno 144618, che abolisce l’antico modello dei piccoli ed ordina una nuova stampa, la cui scelta affida al Collegio, ma colla stessa lega e colla stessa bontà. Lo scopo di questo cambiamento era quello di liberarsi da molte falsificazioni che infestavano il paese, e, sebbene non sia espresso, è facile intendere che si tratta di quei piccoli scodellati, che si coniavano per Venezia, e che avevano corso nei territori vicini di Padova e di Treviso; infatti questi denaretti hanno lo stesso intrinseco e lo stesso peso dei precedenti denari scodellati, sebbene seguano la tendenza comune delle monete di quest’epoca, e cioè vadano insensibilmente scapitando nel peso, dacchè si cercava di aumentare quant’era possibile il largo guadagno, che la fabbricazione recava al pubblico erario, essendo lo stato travagliato da bisogni sempre crescenti. Così finisce e scompare una delle più antiche monete veneziane, che era stata la prima base della nostra monetazione; ma il piccolo nummo chiamato a sostituirla era destinato a breve vita, perchè la sua esiguità conduceva naturalmente ad adoprare il puro rame, come avvenne più tardi.
Nel 18 dicembre 145319 il Senato ordina alla zecca di coniare colla massima sollecitudine, per la somma di 20,000 ducati, quattrini, da 4 piccoli l’uno, i quali sieno spesi in tutto lo stato, ad eccezione della città di Venezia, proibendo però di eccedere quella somma senza autorizzazione dello stesso Consiglio. Tali quattrini si trovano assai facilmente anche oggi, od hanno sul diritto la croce col nome del doge o sul rovescio un leone rampante senza ali, che tiene nelle zampe anteriori la spada. Servivano utilmente per avere una comune moneta nei conteggi delle varie lire adoperate nella terra ferma veneziana, giacche a Padova ed a Treviso valevano quattro piccoli e con tre pezzi si aveva il soldo veneziano; a Verona ed a Vicenza il quattrino valeva tre denari di quella lira e quattro quattrini formavano un soldo veronese. La comodità di tali monete era tanto apprezzata che la Comunità di Verona nel 149320, e quella di Vicenza nel 149821 chiesero al Consiglio dei Dieci di far coniare in zecca quattrini da tre al marchetto ed oboli da nove al marchetto, per servire alle minute contrattazioni. A Brescia gli stessi quattrini avevano un valore doppio del bagattino o denaro locale, por cui si dicevano quattrini-duini, nome che viene adoperato in un decreto del 29 agosto 1458, di cui parleremo più tardi, ed in un contratto conchiuso in Collegio (19 ottobre 1474)22, per la vendita di monete fuori d’uso a certo Antonio Agostini, a cui restava vietato di spenderle, contratto in cui sono specificati i quattrini duini da Brescia ed i pizzoli cecchi dal lion, le qual monede non se possino in alchuna parte del mondo spender.
Data così soddisfacente spiegazione di pressochè tutte le monete di bassa lega, che portano il nome di Francesco Foscari, una sola ci resta da chiarire, ed è quella lavorata accuratamente, che da un lato reca la testa del Santo Evangelista e dall’altro una croce accantonata da quattro punti triangolari, la quale esiste anche col nome di Tomaso Mocenigo, per cui ne ho già parlato nel capitolo che riguarda quel doge. Sia por l’epoca in cui fu introdotto questo tipo, sia per non poterlo ad altra regione attribuire, sospettai che questo denaro sia stato coniato per la provincia del Friuli, conquistata dai veneziani precisamente ai tempi di Tomaso Mocenigo. Il decreto 24 maggio 1442, riferito più sopra, ordina che i Masseri nostri della moneda de largento mandare debiano a padoa. trevixo e ale altre tere nostre da parte de tera et in la patria del friul di bagatini, i qual sien spesi in li diti luogi. Tale dizione sembra confermare che si coniassero anche pel Friuli bagattini di una stampa speciale, avendo quella provincia una monetazione differente da quella usata a Padova ed a Treviso: altrimenti il decreto avrebbe semplicemente ordinata la coniazione e la spedizione di un solo tipo di denari, sapendosi che la stessa lira era adoperata a Venezia, Padova e Treviso, e che alle monete speciali di Verona e Vicenza, di Brescia e Bergamo, erasi provveduto coll’altro decreto 22 febbraio 1441 (1442).
Così abbondanti e ripetuti emissioni di monete scadenti, il cui pregio era di gran lunga inferiore al valore ed al ragguaglio colle principali d’oro e d’argento, recavano non pochi danni al commercio ed a tutti i cittadini, producendo, fra gli altri inconvenienti, anche quello di incoraggiare le imitazioni e le falsificazioni. In tale epoca ai volgari falsificatori, che esistettero sempre, si aggiungevano alcuni principi e governi, i quali non avevano scrupolo di copiare i tipi più conosciuti e più pregiati e di riprodurli con lievi modificazioni in metallo scadente, ricavando non iscarso guadagno da tale disonesta operazione. Il ducato ed il grosso veneziano erano stati copiati in Italia ed in levante, ma era ben più facile imitare piccole monetine di fabbricazione molto trascurata, approfittando della negligenza che si osserva nel pubblico di tutti i tempi, nelle cose di poco valore. Infatti il Senato si preoccupa dei piccoli falsi che infestano il paese, ordinando nel 7 maggio 144623 a tutti i cittadini di presentarli alle autorità, per essere indennizzati del solo valore del rame, e chi avesse piccoli falsi e non li denunciasse deve perderli. Visto che gli altri rimedi non sono sufficienti ad estirpare il male, si decide di cambiare il tipo dei denari veneziani, come abbiamo raccontato più sopra prescrivendo a tutti di portare agli ufficiali della zecca i piccoli della vecchia forma, per avere in cambio quelli nuovamente coniati24. Pochi mesi dopo, 9 settembre 1446, si minacciano pene e multe a chi introduce monete false nello stato, con proibizione di far grazia, ed il decreto25 parla principalmente di soldi e di piccoli. Finalmente nel 15 dicembre 1454 il Senato26, trovando troppo miti e non adequate alla colpa le punizioni sino allora comminate, estende anche a quelli, che portano o fanno portare dall’estero monete false, le pene stabilite per i falsificatori, che non erano certamente leggere, giacchè si trattava della perdita della mano destra e di tutti e due gli occhi, oltre a multe gravissime, alle quali una parte era devoluta ai denunciatori.
Collo stesso scopo il Senato (28 agosto 1447) sancisce una legge27 secondo la quale gli intagliatori della zecca devono essere cittadini originari di Venezia, per isfuggire il pericolo che i coni possano cadere nelle mani dei signori forestieri, che imitano le monete veneziane, e poco tempo dopo (29 novembre 1447), essendo vacante il posto dell’intagliatore delle stampe delle monete d’argento, per la morte di Gerolamo Sesto, il Collegio prescrive28 che la elezione debba farsi assieme dagli ufficiali della moneta dell’argento con quelli della moneta d’oro, tanto in questo caso, quanto in quello che mancasse il maestro delle stampe dell’oro.
Indipendentemente dalle falsificazioni i danni causati da sì grande copia di monete inferiori erano tanti e così manifesti, che il Senato più volte ne fu compreso e sospese la coniazione dell’uno o dell’altro genere di monetine, quando troppo si era abusato di questo ripiego finanziario. Ma si tornava a ricorrervi sotto la pressione delle necessità di una guerra lunga e dispendiosa, sostenuta da truppe di ventura, che smungeva lo finanze dello Stato e lo risorse del paese. Per esempio nel 23 novembre 1443, dopo sognata la pace, sperandosi tempi più tranquilli, si proibisce la coniazione di piccoli per Brescia, Padova ed altre terre29, ma nel 13 marzo 1447, quando più urgente era il bisogno di denaro, si ordina ai massari dell’argento di fabbricare tremila marche di piccoli per Brescia, per ricavare 3500 ducati di utilità, che sono destinate agli armamenti30. Nel 25 settembre 1451 si sospende nuovamente la fabbricazione di piccoli per Brescia31, e nel 12 novembre successivo32 si ordina alla zecca di far uscire in qualsiasi modo i piccoli di Brescia, già pronti e che non si possono spedire costà per la proibizione fatta, consegnando il ricavato all’arsenale per provviste di guerra, ma nel 29 dicembre dello stesso anno si delibera la coniazione di 7000 ducati di piccoli da Brescia, non ostante tutti gli ordini contrari33. Nel 18 settembre 1453 il Senato proibisce agli ufficiali della zecca di coniare piccoli da Venezia34 sotto pena di 200 ducati di multa da infliggersi dagli Avogadori del Comune: tre giorni dopo questo provvedimento viene sospeso per ordine della Signoria35 finchè sia completata la somma di 18,000 lire di tali denari decretata nel 22 agosto precedente36, il cui ricavato doveva essere consegnato all’arsenale per l’armamento di cinquanta galere.
Giunte le cose a questo punto vi si ingerisce il Maggior Consiglio, il quale in una legge del 16 marzo 145637 osserva che nel tempo della guerra, e per le necessità delle terre e per le molte spese, furono ordinati e coniati nella zecca quattrini e piccoli di varia sorte, e si sono continuati a coniare anche dopo la pace, ed ora sono talmente moltiplicati che nella terraferma sembra che non vi sia altra moneta se non di rame, e comincia, ad esserne infestata anche la città, ciò che è causa di questioni, di confusioni e di altri gravi inconvenienti. Per cui proibisce agli ufficiali della zecca di coniare quattrini piccoli senza il permesso dello stesso Maggior Consiglio, minacciando la privazione dell’ufficio, pene pecuniarie e personali, agli ufficiali ed agli stampatori che contravvenissero a questi ordini.
Nel 20 febbraio successivo 1456 (1457)38, essendovi circa 2500 marche di rame legato coll’argento giacente in zecca con danno del Comune, il Maggior Consiglio ordina di fabbricare quattrini con quella pasta e di adoperare in preparativi di guerra la utilità risultante, calcolata in 1500 ducati, e ciò solo per la materia esistente e non più, rimanendo ferme le disposizioni e le pene stabilite dal precedente decreto.
Con siffatti provvedimenti si chiude questo periodo importante di storia numismatica veneziana.
Per lungo tempo non si coniarono più dalla nostra zecca monete di bassa lega, se non nella quantità strettamente necessaria ai bisogni.
MONETE DI FRANCESCO FOSCARI.
1. Ducato. — Oro, titolo 1,000; peso grani veneti 68 52|67 (grammi 3.659).
D/ — S. Marco porge il vessillo al doge FRAC • FOSCARI; lungo l’asta DVX, dietro il Santo • S • M • VENETI
R/ — Il Redentore benedicente in un’aureola elittica cosparsa di stelle, quattro a sinistra, cinque a destra • SIT • T • XPE • DAT • Q • TV • REGIS • ISTE • DVCAT’•
Tav. IX, N. 1.
2. Varietà. — Nel D/ FRAC • FVSCARI •
3. Grossone da 8 soldi. — Argento, titolo 0,919 (peggio 60): peso grani veneti 59 45|100 (grammi 3,076).
D/ — Il doge in piedi volto a sinistra, tiene con ambe le mani l’asta di un orifiamma ed è chiuso in un cerchio di perline, oltre il quale sporge la banderuola volta a destra • FRANCISCVS • FOSCARI DVX
R/ — S. Marco di fronte, mezza figura, cinto il capo d’aureola, tiene il Vangelo colla mano sinistra, e colla destra benedice: un cerchio di perline divide dall’iscrizione + • SANCTVS • MARCVS • VENETI •
Tav. IX, N. 2.
4. Varietà. — D/ — Il doge in ginocchio, volto a sinistra, tiene con ambe le mani l’asta di un orifiamma, la cui banderuola, volta a destra, divide l’iscrizione. Il diametro della moneta è minore e manca il cerchio di perline FRANCISCVS • FOSCARI.... VX •
R/ — S. Marco di fronte, come sopra, manca il cerchio di perline.
Tav. IX, N. 3.
L’esemplare del Museo Correr, solo conosciuto, è bucato e consumato dall’uso, per cui non pesa che grani veneti 55 (grammi 2,846).
5. Grosso o Grossetto. — Argento, titolo 0,949: peso grani veneti 30 92|100 (grammi 1,600), legge 6 febbraio 1420-21; grani veneti 29 72|100 (grammi 1,538), legge 9 luglio 1429 e grani veneti 27 10|100 (grammi 1.402) legge 22 gennaio 1443-44.
D/ — S. Marco porge il vessillo al doge FRA • FOSCARI, lungo l’asta DVX, a destra • S • M • VENETI • nel campo, tra le figure e l’iscrizione, lo iniziali del massaro.
R/ — Il Redentore in trono + TIBI LAVS 7 • GLORIA
Tav. IX, N. 4.
Iniziali dei massari:
AP BS DI DZ FL LG LL MB MM ML MP MI NC NF ZB ZZ.
6. Mezzo Grosso (2 soldi). — Argento, titolo 0,949: peso grani veneti 14 86|100 (grammi 0,769).
D/ — Il doge in piedi, volto a sinistra, tiene con ambo le mani un vessillo, la cui banderuola svolazza a destra • FRA • FOSC ARI • DVX
R/ — S. Marco di fronte, mezza figura, con aureola, tiene il Vangelo con la mano sinistra e colla destra benedice • S • MARC’ VENETI •
Tav. IX, N. 5.
7. Soldino. Argento, titolo 0.949: peso grani veneti 7 73|100 (grammi 0,400), legge 6 febbraio 1420-21; grani veneti 7 43|100 (grammi 0,384), legge 9 luglio 1429 e grani veneti 6 77|100 (grammi 0,350) legge 23 gennaio 1443-44.
D/ — Il doge in piedi tiene con ambe le mani il vessillo FRA • FOSCA RI • DVX, nel campo dietro alla figura del doge le iniziali del massaro una sopra l’altra.
R/ — Leone accosciato sullo zampe posteriori, tiene colle anteriori il Vangelo: la iscrizione è qualche volta divisa da un leggero cerchietto, che manca completamente in altri esemplari + • S • MARCVS • VENETI •
Tav. IX, N. 6.
Iniziali dei massari:
B | D | E | F | F | F | G | K | M | M | M | M | N | N | N | N | N | R | Z | Z | Z |
S | I | P | L | M | V | M | Q | B | L | M | P | B | C | D | F | V | B | B | L | Z |
8. Piccolo o denaro. — Mistura, titolo 0,111 e 0,055: peso grani veneti 4 80|100 (grammi 0,248): scodellato.
D/ — Croce in un cerchio + FRAC • FO DVX
R/ — Croce in un cerchio + S MARCV S
Tav. IX, N. 7.
9. — Varietà — D/ — FRA • FO • DVX
Per la negligenza degli stampatori della zecca, i piccoli di questo doge, sono talvolta incusi da un lato, tal altra mancano di ogni impressione sul rovescio.
10. Piccolo o denaro, nuovo tipo. — Mistura, titolo 0,055: peso grani veneti 4 1|2 (grammi 0,232) circa.
D/ — Croce patente in un cerchio • FRA • FO • DVX •
R/ — Leone nimbato, senza ali. rampante a sinistra nel campo S • • M
Tav. IX, N. 8.
11. Quattrino per la terraferma (4 denari). — Mistura, titolo 0,055: peso grani veneti 18 (grammi 0,931) circa.
D/ — Croce patente, colle braccia divise longitudinalmente in tre comparti, quello di mezzo di perline, il tutto chiuso in un circolo, attorno • FRA • FOSCARI • DVX •
R/ — Leone rampante, nimbato, senz’ali, che tiene la spada nella zampa destra anteriore, volgendosi a sinistra, chiuso in un circolo + • S • MARCVS • VENETI •
Tav. IX, N. 9.
12. — Varietà. — Nel D/ Croce colle estremità ornate di ricci, simile al D/ del n. 13.
Tav. IX, N. 10.
13. — Quattrino per Ravenna (due piccioli). — Mistura, titolo 0,055: peso grani veneti 12 (grammi 0,621).
D/. — Croce colle estremità ornate di ricci, chiusa in un circolo + • FRA • FOSCARI • DVX •
R/ — Leone rampante, nimbato, senz’ali, volto a sinistra, con un orifiamma nelle zampe anteriori la cui banderuola esce dal circolo che separa l’iscrizione S • MARCVS • VENETI
Tav. IX, N. 11.
Gabinetto di S. M. Torino.
Museo Brittannico.
Conte Antonio de Lazzara — Padova.
I tre esemplari conosciuti sono consumati e quindi deficienti di peso.
14. — Mezzo Quattrino per Ravenna (picciolo). — Mistura, titolo 0,055: peso grani veneti 7 1|2 (grammi 0,388).
D/ — Leone colle estremità ornate di ricci, in un cerchio + • FRA • FOSCARI • DVX •
R/ — Leone accosciato, col Vangelo tra le zampe anteriori, in un cerchio • S • MARCVS • VENETI •
Tav. IX, N. 12.
R. Biblioteca e Museo di S. Marco.
Museo Bottacin. Padova.
15. — Piccolo o Bagattino per Brescia. — Mistura, titolo 0,111 e 0,055: peso grani veneti 9 (grammi 1,465) circa.
D/ — Croce a braccia uguali, accantonata dalle quattro lettere F F D V
R/ — Leone accosciato, che tiene il Vangelo tra le zampe anteriori, senza iscrizione.
Tav. IX, N. 13.
16. Piccolo o Bagattino per Verona e Vicenza. — Mistura, titolo 0,111 e 0,055; peso grani veneti 5 93|100 (gr.mi 0,309).
D/ — Croce a braccia uguali, accantonata da quattro anellini: le estremità delle braccica dividono l’iscrizione FR A•F O•D VX
R/ — Testa di S. Marco in un cerchio + • S • M • VENETI •
Tav. IX, N. 14.
17. - Varietà. — Nel D/ FA FO S•D VX
18 — Piccolo o Bagattino pel Friuli (?) — Mistura, titolo 0,055: peso grani veneti 11 (grammi 0,569).
D/ — Croce accantonata da quattro punti triangolari in forma di raggi, entro un cerchio, attorno • FRAC • FOS • DVX •
R/ — Busto di S. Marco, con aureola di puntini in un cerchio, attorno • S • MARCVS •
Tav. IX, N. 16.
Museo Correr.
19. — Tornesello. — Mistura, titolo 0.111 e 0,055; peso grani veneti 14 (grammi 0,724).
D/ — Croce patente • FRAC FOSCARI • DVX •
R/ — Leone accosciato, col Vangelo tra le zampe anteriori VEXILIFER • VENECIA.
Tav. IX, N. 16.
Nicolò Papadopoli.
Opere che trattano delle monete di Foscari.
Muratori L. A. — Antiquitates italicæ medii ævi. Mediolani, 1738-42. Tomo II, Dissert. XXVII, col. 650-652, n. XVI. ed in Argelati F., De monetis Italicæ, etc. Mediolani, 1730-39. Parte I, pag. 48 e 49, tav. XXXVIII, n. XVI.
Schiavini F. — Observationes in venetos nummos, etc. in Argelati, Parte I, pag. 283 e 287, n. II.
Carli Rubbi G. R. — Delle monete e dell’istituzione delle zecche d’Italia. Aja, 1754. Tomo I, pag. 420, Tav. VI n. VI e X.
Bellini V. — Dell’antica lira ferrarese di marchesini. ecc. Ferrariæ, 1754, pag. 6, nota 1.
— — De monetis Italiæ medii ævi, etc. Dissert. I. Ferrari», 1755, pag. 101, 105 e 109 n. XXVII, XXVIII, XXIX, XXX ed in Argelati, Parte V, pag. 30 t. e 32 t., n. XXVII, XXVIII, XXIX e XXX. — Dissert. II. Ferrariæ, 1767. pag. 133-135, n. IV, V e VI.
Duval et Frölich — Monnoies en or qui composent une des différentes partie du cabinet de S. M. l’Empereur. Vienna, 1759, pag. 276.
Gradenigo G. A. — Indice delle monete d’Italia raccolte ed illustrate, in Zanetti G. A., Nuova raccolta delle monete e zecche d’Italia. Bologna, 1775-89. Tomo II, pag. 176-178. n. LXXXIII, LXXXIV, LXXXV, LXXXVI, LXXXVII, LXXXVIII. LXXXIX, XC, XCI, XCII, XCIII, XCIV, XCV, XCVI e XCVII.
Terzi B. — Osservazioni sopra alcune monete inedite d’Italia. Padova, 1808, pag. 20-30, tav. II, n. 12.
Appel, J. — Repertorium zur Münzkunde des Mittelalters und der neuern Zeit. Wien, 1820-29. Vol. III, pag. 1127-1128, n. 3943, 3944, 3945, 3946, 3947 e 3948.
Manin L. — Esame ragionato sul libro delle monete dei veneziani, ecc. — Esercitazioni scientifiche e letterarie dell’Ateneo, ecc. Venezia. 1827, pag. 189, n. 11 della tavola.
Gegerfelt (von) H. G. — Numi ducum reipublicæ venetæ in numaphylacio academico Upsalenusis. Upsaliæ, 1839, pag. 9.
Zon A. — Cenni istorici intorno alla moneta veneziana. — Venezia e le sue lagune. Venezia, 1817. pag. 25, 31, 34-36, tav. I, n. 14.
Schweitzer F. — Serie delle monete e medaglie d’Aquileja e di Venezia. Trieste, 1848-52. Vol. II, pag. 29 e 30 (n. 322 a 373), e tavola.
Lazari V. — Le monete dei possedimenti veneziani di oltremare e di terraferma. Venezia, 1852, pag. 72, 135-137 e 144-147, tav. VI, n. 30 e tav. XIV, n. 70.
Kunz C. — Primo catalogo degli oggetti di Numismatica. Venezia, 1855, pag. 9 e 10.
Orlandini G. — Catalogo di una serie di monete dei dogi veneti, ecc. Portogruaro, 1855, pag. 7.
Biografia dei Dogi, ecc. Venezia, 1855 e 1857. – Doge LXV.
Numismatica Veneta, ecc. Venezia, 1854 e 1863. — Doge LXV.
Padovan V. e Cecchetti B. — Sommario della Nummografia veneziana. Venezia, 1866, pag. 20-21, 85 e 96.
Wachter (von) C. — Versuch einer systematischen Beschreibung der Venezianer Münzen nach ihren Typen. — Numismatische Zeitschrift, Wien, Vol. III, 1871, pag. 228-233 254-255. Vol. V, 1873, pag. 207-210. Vol. XI, 1879 pag. 130 e 158.
Schlumberger G. — Numismatique de l’Orient latin. Paris, 1878, pagina 474, tav. XVIII, n. 10.
Padovan V. — Le monete della Repubblica veneta, ecc., Venezia, 1879, pag. 23-25 e 124. — Le monete dei Veneziani, Sommario, Archivio Veneto, Tomo XII, pag. 103-104, Tomo XIII, pag. 147, Tomo XXI, pag. 136 e Tomo XXII pag. 292 — terza edizione 1881, pag. 19-20, 89, 335 e 356.
Note
- ↑ Questo articolo fa parte della importantissima illustrazione delle Monete di Venezia, al quale il Ch.mo Autore attende da parecchi anni, il cui primo volume (dalle origini fino a Nicolò Tron) uscirà verso la fine del corrente anno.
(N. d. D.).
- ↑ R. Archivio di Stato. Senato. Terra reg. III, carte 79.
- ↑ Ivi. Maggior Consiglio, registro Ursa, carte 191.
- ↑ Ivi. Senato, Misti reg. LVII, c. 126 t. — Capitolare delle Brocche, carte 24 t. — Capitolare dei Massari all’argento, carte 61 t.
- ↑ R. Archivio di Stato. Senato, Misti reg. LVII, carte 126 t. — Capitolare delle Brocche, carte 25. — Capitolare dei Massari all’argento, carte 65 t.
- ↑ R. Archivio di Stato. Senato, Terra reg. I, carte 67 t. — Capitolare delle Brocche, carte 29 t.
- ↑ R. Archivio di Stato. Senato, Terra reg. I, carte 113 t. — Capitolare delle Brocche, carte 29 t. — Capitolare dei Massari all’argento, carte 67.
- ↑ R. Archivio di Stato. Senato. Terra reg. I, carte 111 t. — Capitolare delle Brocche, carte 30.
- ↑ R. Archivio di Stato. Senato, Terra reg. I, carte 145. — Capitolare dello Brocche, carte 30 t.
- ↑ R. Archivio di Stato. Senato. Terra reg. I, carte 116 t. — Capitolare delle Brocche, carte 30 t.
- ↑ R. Archivio di Stato. Senato, Terra reg. I, carte 134. — Capitolare delle Brocche, carte 30 t.
- ↑ R. Archivio di Stato. Senato, Terra reg. I, c. 59 t. — Capitolare delle Brocche, carte 29. — Capitolare dei Massari all’argento, carte 66
- ↑ R. Archivio di Stato. Senato. Terra reg. I, c. 67 t. — Capitolare delle Brocche, carte 29.
- ↑ R. Arcliivio di Stato. Senato, Terra reg. I, c. 67 t. — Capitolare delle Brocche, carte 29 t.
- ↑ Verci G. B., Delle monete di Padova, in Zanetti G. A., Nuova raccolta di zecche e monete d’Italia. Tomo III, pag. 374. Brunacci J., De re Nummaria Patavinorum, pag. 46.
- ↑ Azzoni Avogaro, R. Delle monete di Trevigi. in Zanetti G. A., Nuova raccolta, etc. Tomo IV.
- ↑ R. Archivio di Stato. Senato, Mar. reg. I, c. 406. — Capitolare delle Brocche, carte 29 t.
- ↑ R. Archivio di Stato. Senato, Terra reg. I, c. 195. — Capitolare delle Brocche, carte 31.
- ↑ R. Archivio di Stato. Senato, Terra reg. III. c. 92. — Capitolare delle Brocche, carte 34.
- ↑ R. Archivio di Stato. Consiglio dei dieci, Misti reg. XXVI, c. 3.
- ↑ Ivi. Consiglio dei dieci. Misti, reg. XXVII, c. 183, t.
- ↑ Ivi. Capitolare delle Brocche, c. 44.
- ↑ R. Archivio di Stato. Senato, Terra reg. I, carte 190. — Capitolare delle Brocche, carte 30 t.
- ↑ R. Archivio di Stato. Senato, Terra reg. I, carte 195. — Capitolare delle Brocche, carte 31 (21 giugno 1446).
- ↑ R. Archivio di Stato. Senato, Terra reg. II, carte 2. — Capitolare delle Brocche, carte 31 tergo.
- ↑ R. Archivio di Stato, Avogaria del Comune, Deliberazioni del Maggior Consiglio, registro C. II, carte 61. — Capitolare dei Massari all’argento, c. 68.
- ↑ R. Archivio di Stato. Senato. Terra reg. II. c. 13. — Capitolare delle Brocche, carte 31 t. — Capitolare dei Massari all’argento, carte 67 t.
- ↑ R. Archivio di Stato. Collegio. Notatorio reg. XVI, carte 66. — Capitolare delle Brocche, carte 31 tergo.
- ↑ R. Archivio di Stato. Senato, Terra reg. I, carte 111. — Capitolare delle Brocche, carte 29 tergo.
- ↑ R. Archivio di Stato. Senato, Terra reg. II, carte 24 t. — Capitolare delle Brocche, carte 31.
- ↑ R. Archivio di Stato. Senato, Terra reg. III, carte 2. — Capitolare delle Brocche, carte 33.
- ↑ R. Archivio di Stato. Capitolare delle Brocche, carte 33.
- ↑ R. Archivio di Stato. Senato, Terra reg. III. carte 13. — Capitolare delle Brocche, carte 33 t.
- ↑ R. Archivio di Stato. Senato, Terra reg. III, carte 79. — Capitolare delle Brocche, carte 33 t.
- ↑ R. Archivio di Stato. Capitolare delle Brocche, carte 34.
- ↑ R. Archivio di Stato. Capitolare delle Brocche. carte 33 t.
- ↑ R. Archivio di Stato. Maggior Consiglio, reg. Regina, c. 5 t. – Capitolare dei Massari all’argento, carte 69.
- ↑ R. Archivio di Stato. Maggior Consiglio, reg. Regina, c. 10 t.