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328 | nicolò papadopoli |
sua esiguità conduceva naturalmente ad adoprare il puro rame, come avvenne più tardi.
Nel 18 dicembre 14531 il Senato ordina alla zecca di coniare colla massima sollecitudine, per la somma di 20,000 ducati, quattrini, da 4 piccoli l’uno, i quali sieno spesi in tutto lo stato, ad eccezione della città di Venezia, proibendo però di eccedere quella somma senza autorizzazione dello stesso Consiglio. Tali quattrini si trovano assai facilmente anche oggi, od hanno sul diritto la croce col nome del doge o sul rovescio un leone rampante senza ali, che tiene nelle zampe anteriori la spada. Servivano utilmente per avere una comune moneta nei conteggi delle varie lire adoperate nella terra ferma veneziana, giacche a Padova ed a Treviso valevano quattro piccoli e con tre pezzi si aveva il soldo veneziano; a Verona ed a Vicenza il quattrino valeva tre denari di quella lira e quattro quattrini formavano un soldo veronese. La comodità di tali monete era tanto apprezzata che la Comunità di Verona nel 14932, e quella di Vicenza nel 14983 chiesero al Consiglio dei Dieci di far coniare in zecca quattrini da tre al marchetto ed oboli da nove al marchetto, per servire alle minute contrattazioni. A Brescia gli stessi quattrini avevano un valore doppio del bagattino o denaro locale, por cui si dicevano quattrini-duini, nome che viene adoperato in un decreto del 29 agosto 1458, di cui parleremo più tardi, ed in un contratto conchiuso in Collegio (19 ottobre 1474)4, per la vendita di