Firenze sotterranea/Capitolo IX

Capitolo IX

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IX


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I bambini indirizzati al delitto non parlano, non fanno rivelazioni, perchè avvezzati sin da quella tenera età a riguardare come ostile la società, ingiuste le sue leggi, crudeli e soverchianti i suoi castighi.

Si adusano a tenere per tiranno, usurpatore de’ loro beni ogni persona ben vestita, agiata, di aspetto onesto. Accostatevi a que’ bambini, interrogateli sulla cosa più indifferente, vi rispondono con una menzogna.

I padri, le madri, i parenti, gli sfruttatori, che si giovano dell’opera di que’ fanciulli, hanno loro inspirato con sevizie, con punizioni efferate, uno spavento, un terrore, senza nome. Come tante cose che io vi racconto, pare incredibile questa perversità dell’infanzia: ma io non esagero nulla!... Pur troppo, chi ripensa i [p. 138 modifica]casi della vita, si sarà avveduto che non vi è nulla di tanto inverosimile quanto il vero.

Nella scuola di piccoli borsaiuoli, che io ho potuto vedere una sera, nascosto ad una certa distanza, con la mia guida C..., si faceva questo esperimento.

Quattro fanciulli, da’nove ai tredici anni, erano raccolti in una stanzaccia, annessa a un’osteriuola privata, dove convengono alcuni de’furfanti più matricolati con certe loro sozze baldracche; osteriuola, che serve ai ladri, ai pregiudicati, di ritrovo, e di casa da giuoco.

Quasi tutti i ladri sono giuocatori, e di là d’Arno, come in certi vicoli del Mercato, vi sono immondi tugurii, dove di giorno, e più specialmente di sera, si raccolgono per giuocare fino a trenta e cinquanta persone, tutte note per reati, e che hanno bazzicato più volte le prigioni. Queste bische sono tenute da uomini pregiudicatissimi, da vecchi avanzi di Corte d’Assise, di postribolo e di galera. La Polizia le conosce: ma l’entrarvi è difficile e rischioso. Pure si sono trovati intrepidi agenti, che tentarono l’impresa e vi riuscirono con somma destrezza. S

otto uno de’ più foschi vicoli ad arcata, nel Vecchio Mercato, è uno de’ raddotti di giuoco. [p. 139 modifica]La casa è chiusa da una solida portaccia, tinta di rosso: ha una sola finestra sulla facciata, tutta bianca, con una Madonna (!) nel mezzo: e la finestra è sbarrata da grossa inferriata. La notte, passandovi a una cert’ora, accostandovisi con cautela, aguzzando l’orecchio, si sentono i mormorii dei giuocatori, che puntano, le loro grida.

Di tratto in tratto, venendo giù per i torti vicoli, si avvicina un ammonito, un pregiudicato, un cattivo arnese, che ha scontato di poco la sua pena, un sospetto: riconosce, per esempio, un agente della Polizia, che ronza vicino alla casaccia, e subito lo saluta, muta strada, scantona, come se avesse voluto andare per tutt’altro verso.

Ma perchè — direte — la Polizia non fa chiudere certe case? Perchè spender tanto, faticar tanto a sorvegliare dei tristi? Bisogna sappiate che la libertà è come il sole, rischiara della sua luce le aquile, i dorati fastigi, i parchi odorosi, e gl’insetti, i pantani insalubri, gli sterpeti.

La libertà, l’immensa dea, cuopre del suo manto il bene ed il male: la virtù e l’abuso: veglia sul filosofo e lo premunisce da salire sul rogo con la pagina dove ha scritto i suoi pensieri arditi e eloquenti: ma veglia altresì alle porte degli [p. 140 modifica]abitacoli di malfattori: vi guarentisce una certa indipendenza e sicurtà.

Dobbiamo noi amare meno ardentemente e appassionatamente la libertà perchè i furfanti sanno voltarla a loro utile? No. Ma dobbiamo spogliare certa ingenuità di pregiudizii. Dobbiamo far leggi di Pubblica Sicurezza più pratiche e meno platoniche: dobbiamo pensare che con la libertà è obbligo conciliar la giustizia: che è opera di reggimento bene ordinato, non già il largheggiare di massima impunità ai bricconi, ma guarentire il quieto vivere dei galantuomini.

Le nostre leggi peccano per un difetto: il briccone ha troppa libertà per nuocere: il galantuomo non ne ha assai per difendersi! Io non mi occupo di politica: la Polizia politica, o sia esercitata da repubblicani contro monarchici, o da monarchici contro repubblicani, sarà sempre odiosa, perchè riuscirà sempre arduo, a non dire impossibile, voler ristringere in freni il pensiero umano, sentenziarlo, condannarlo con equità.

Ma noi avevamo una legge di sicurezza mirabile, in sè perfetta, applicabilissima anch’ oggi: legge, la quale ha dato frutti stupendi: la legge di Leopoldo I, che istituì la Polizia toscana, la [p. 141 modifica]quale fu modello a tutte le altre, tanto che in Toscana mandò l’Inghilterra a studiare e copiare ciò che conteneva di prodigiosa, esemplare saviezza,un sì piccolo Governo.

Per quella legge si ebbero a giorni vuote tutte le carceri della Toscana: l’ho riletta di fresco e sempre con nuova ammirazione.

Scopo precipuo del legislatore era l’impedire ai cattivi di nuocere: il toglier loro la libertà del far male: oggi invece sentiamo sempre gemiti nuovi perchè i bricconi non hanno abbastanza libertà.


Qual’è la conseguenza del nostro sistema; del rammollimento cerebrale per cui non si vogliono cacciati da città come Firenze centinaia di furfanti, i quali si agglomerano in certi punti, tengon scuola di vizio, propagano la corruzione, sono nocivi egualmente alla morale e alla salute pubblica?

Perchè non si fa, e non si attua una buona legge di Pubblica Sicurezza, per la quale sieno allontanati dai centri più popolosi uomini, che hanno subito le dieci, le venti e trenta condanne, e si tengono invece a far sempre nuove prodezze, sapendosi non volere e poter essi viver d’altro che di furto, di lenocinio, e, quando occorra, pronti al reato di sangue? [p. 142 modifica]


Torniamo alle case da giuoco dei malviventi! La Polizia chiuderle non può; non può sfrattare dalla città i bricconi che le tengono, nè punire quelli che vi usano. Occorre li sorprenda in flagrante delitto, con le carte in mano; occorre che faccia nella casa una discesa.

Se il suo avvicinarsi è subodorato, le carte sono nascoste, le poste riprese, i giuocatori spulezzano. Ma un accortissimo agente riuscì, non è molto, a entrare in uno di questi raddotti nel Vecchio Mercato.

Una sera, verso le undici, fece mettere in fila rasente il muro, dall’uscio della casa, e poi giù, voltando per il canto di una piazzetta, circa venti guardie.

Poco più di mezz’ora dopo, uno de’ giuocatori apre la porta di strada per uscire. L’agente, che guidava gli altri, prima che costui abbia richiuso la porta, gli mette una mano sulla bocca: gli fa cenno di non proferir motto, e darsela a gambe, se non vuole gli sian strette al polso le tacchelle.

Così gli agenti si fanno avanti e si mettono in [p. 143 modifica]ordinanza lungo la scala fino all’uscio, dal quale s’entra nella casa.

Sentono i giuocatori arrapinarsi, vociare, il tintinnìo dei soldi; ad un tratto un passo si avvicina, il chiavistello cigola negli anelli: la porta si apre e si fa sulla scala un manigoldo.

Subito è acciuffato dagli agenti, che vogliono entrare. Ma il padrone del raddotto li ha adocchiati e corre a scavezzacollo per chiuder la porta. Allora, prima che avesse tirato di nuovo il chiavistello, due guardie abbattevano la porta con calci sonori, ed entravano tutte insieme. Sequestravano i denari, le carte, arrestavano alcuni de’ giuocatori.

Oggi nella casa si giuoca come prima: io stesso una notte ho sentito i rumori, avvicinandomi in un punto con ogni cautela. La Polizia non ha mezzi, nè uomini per far tutte le sere una sorpresa!

Le nostre leggi di Pubblica Sicurezza sono tali, che obbligano la Polizia a star sempre sulle intese, a menar la vita più arrovellata, a sorvegliare centinaia di vagabondi, di tristi, i quali devono godere anch’essi della libertà, e a cui non dovrebbe neppur esser permesso di dimorare in città come Firenze.

Mandate alle isole, alle colonie, al lavoro i [p. 144 modifica]vagabondi, i malfattori per mestiere, i manutengoli per industria.

Siate meno rètori e più prudenti!...

Vengo a riparlarvi della scuola de’ borsaiuoli. Nella stanzaccia, dietro l’osteriuola, erano quattro bambini. Colui che li dirigeva, avea dato ad essi ad intendere che sarebbe sopravvenuto in quella stanza un contadino.... Egli doveva aver con sè un fagotto, e in tasca un portafogli, che bisognava arraffare. Stessero attenti i quattro bambini all’arrivo dell’ospite!

E l’ospite arrivò, con un fagottino, che posò accanto a sè su una panca. Era un ladro, e un ladro de’più matricolati: uno di quelli che devono profittar de’ bambini quando siano scozzonati nell’arte nuova.

Ma il ladro avea in tutto sembiante di contadino: si era camuffato così bene, da ingannare i ragazzi! Essi credevano dunque di poter fare un buon tiro ad un allocco.

Il contadino sedette. Subito il maestro de’bambini se gli avvicinò, si misero a parlare ad alta voce: il contadino lo invitò a sedersi e a bere [p. 145 modifica]con lui. Il maestro sedette, ma fece un cenno a’ ragazzi. Ammiccava loro una tasca dalla quale si vedeva sbucare la còcca d’un portafogli. I bambini, un dopo l’altro, fecer ressa al contadino: cominciarono, a dar vista di volersi baloccare con lui: poi io li scorsi uno prendere il portafoglio, l’altro il fagottino, e passarlo agli altri due, che lo gettarono vicino al ripostiglio, dove la mia guida tremava di vederci scoperti.

E infatti partimmo subito. Aveva veduto abbastanza. Le due facce ignobili del maestro di ladri, del ladro che faceva da contadino, non scorderò mai.

— Il finto contadino — mi disse la mia guida

— si è lasciato rubare, e non ha detto nulla, perchè i bambini lo hanno rubato bene, senza urtarlo, e crede che in una occasione equivalente, che aspettano, si condurranno a meraviglia. I bambini non lo conoscono e quindi hanno già dato prova di sangue freddo: essi credevano proprio di rubare ad un avventore dell’osteria!... Del rimanente il portafogli, che hanno gettato vicino a noi, è vuoto; e le dirò che è un oggetto, rubato forse stamani per questo esperimento! —

Infatti, il portafogli era nuovo. Più tardi, in quella sera, vidi l’interno dell’

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[p. 146 modifica]osteriuola. Ci erano cinque o sei uomini, dal ceffo orrendo, e con loro sei o sette turpissime treccone, giovani e vecchie, alcune con le gonnelle tirate sulle ginocchia, senza calze le gambe tutte nude; e pigliavano ora il sigaro, or la pipa dalle labbra avvinate dei loro sucidi bertoni, e fumavano esse. Rammento una vecchia con barba bianca, lunga due centimetri, intorno al mento e sulle labbra: schifosa Gorgone, tremula, mucchio di ossa quasi scarnate, che parea dovesser crocchiare ad ogni suo moto. Si udivan bestemmie, il linguaggio dei bari, dei proseneti; avean tutti visi d’abbrutiti, impustolati, rossastri, chiazzati di segni d’ignominia.


Ho conosciuto un vecchio, il quale abita in un vicoluzzo presso il Ghetto, e che è fra i personaggi, che bazzicano per il Ghetto, forse il più degno di essere studiato. Lo interrogai una volta dinanzi alla Polizia: conveniva di essere stato condannato alla galera, di avervi passato varii anni: ma non si allungava, non voleva entrare in particolari, che già io sapeva, che gli penava, sembra, o ripugnava di squattrinare davanti ufficiali della Polizia. [p. 147 modifica]

Un giorno confabulai con lui da solo. Era tutt'altro! Mi disse che era povero, gli promisi che l’avrei soccorso. La sua vita è davvero strana.

— Son molto vecchio, ma non so quando sia nato! — mi diceva. — Son nato nel Vicolo.... — e mi nominò un vicolo del Mercato. — Mi ricordo che avevo due sorelle. I genitori ci trattavano malissimo. Ci mandavan fuori la mattina ed esigevano ad ogni modo che portassimo a casa denaro.... Una notte la mia sorella Luisa non tornò a casa.... Aveva, credo, appena sett’anni. Forse le avevano rubato la scatoletta, su cui portava cianfrusaglie a vendere: e non avea avuto coraggio di tornare la sera.... La rividi tre anni dopo, a Lucca, in un cortile, mentre raccattava un pezzo di pane, fra le spazzature.... Sulle prime non la riconobbi. Essa mi venne incontro piangendo. Morì a venticinque anni qui in Firenze.... Una notte, mentre stava accosciata sullo scalino della sua casupola nel Vicolo.... dove abitava con altre due donne.... fu ferita da un tale, che dicevano suo innamorato. Era incinta, e morì dallo spavento.... Ecco là quello che ferì la mia sorella!... —

E m’indicava in una stanzuccia, dall’altro lato della piazzetta, un uomo magro, pallidissimo, con viso appuntato, di faina, senza neppur un capello [p. 148 modifica]sulla grossa testa calva, e tutto inteso a far delle ventole da lumi e dei fiori di carta colorata.

— È stato in galera sette anni! — mi disse.

— Ma a voi non fa male di vedervi così vicino l’uomo, che ha ammazzato vostra sorella?

— Oh, signore! — Ed ebbe un gesto, quasi volesse significarmi: — Le pare che un pover uomo, come me, annetta importanza a tali piccolezze?

— Non è un cattivo ragazzo — replicò (notate che il ragazzo deve avere almeno cinquanta anni) — e anche ieri andai a pranzo con lui.... Pranzo, s’intende, — interruppe, credendo io potessi supporre che egli vivesse lautamente — una minestra fatta con osso di prosciutto e poi una aringa! —

Il vecchio, di cui vi parlo, si chiama L.... Ha circa novantanni. Fu ladro di mare, ora va talvolta raccogliendo le cicche, i cenci, le ossa: mangia con le elemosine che gli danno i Cappuccini: e spesso, quando il caldo gli rende il suo covile insopportabile, lascia i traghetti del Mercato, va in campagna e dorme per le capanne.

Fu in galera con un tale G.... che è de’più sanguinari e feroci uomini abitanti nel Ghetto, sebbene oggi molto vecchio e forse non più [p. 149 modifica] [p. 151 modifica]capace di delitti. Ha un figliuolo ora in prigione, imputato di omicidio. G..., l’amico del vecchio ladro di mare, era nato da buona famiglia di negozianti, che lo scacciarono per condotta scioperata.

Ecco il delitto che i due amici, ora ospiti del Ghetto, commisero insieme.

Presso i Bagni di Lucca viveva un impiegato, pensionato dal Governo Toscano.

Costui avea una bellissima figliuola, promessa sposa ad un giovane sarto. G.... s’innamora della ragazza: è corrisposto: la rapisce con l’aiuto del suo amico: la porta a Pisa.

Finiti i quattrini, l’amante e l’amico si recano di nuovo presso i Bagni di Lucca.

Là, di notte, entrarono nella casa, ove dimoravano i genitori della ragazza: li scannarono: presero i denari che avevano, e tornarono a Pisa. Scoperti, il ladro L..., oggi novantenne, tradì l’amico, confessò tutto.

Furon condannati a vent’anni di galera: la ragazza tornata a stare con una zia morì poco tempo dopo dal dolore.

Uscirono ambedue di galera, prima d’aver scontata la pena. [p. 152 modifica]

E vi dico in qual modo.

Furon cambiati di carcere: messi a fianco di tre liberali imprigionati da poco, per farli cantare.

Gli sprovveduti incapparono nella ragna; si misero a parlare: e il Governo riuscì a saper tanto da sequestrare a Fiumicino una cassa di fucili, e impedire uno sbarco che si preparava.

Strani tempi, forse non al tutto tramontati, in cui i Governi fan la polizia coi galeotti!