Firenze artigiana nella storia e in Dante/Agna Gentile
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AGNA GENTILE ",-.■•, AGNA GENTILE Fra il 1333 e il 34 la Repubblica fiorentina versava in condizioni politiche singolari. Tali erano, del resto, anche quelle della Chiesa e dell' Impero nelle reciproche relazioni ; e natu- ralmente, le conseguenze di ciò, più o meno immediate, investivano, o guelfi o ghibellini, i grandi Comuni d' Italia. Dopo V impresa cesa- rea di Arrigo VII miseramente fallita, V Impero si era ingolfato nelle avventure di Lodovico Ba- varo, di Federigo d'Austria, di Giovanni di Boemia figliuolo d'Arrigo. Il papato d'Avi- gnone, impotente, non che a dominare quelle 90 AGNA GENTILE tedesche ambizioni, ma nemmeno a destreg- giarsi fra esse, le combatteva tutte egualmente, in servizio dell' ambizione regia, pur con impe- riali aspirazioni, del Gigante francese drudo e signoreggiatore della Meretrice dantesca l ), Di quello scandaloso papato degni rappresentanti in Italia erano i Legati; allora Bertrando de Pouget, più tardi Gildez d'Albornoz, e altret- tali: sinistre figure di preti condottieri, che di città in città, specialmente di Romagna e di Lombardia, scorazzando in quella loro scon- cia vesta, tramescolata di cotta d'arme e di cotta da altare, dove non trafficavano curial- mente a denari, insanguinavano con le compa- gnie di ventura; e così venivano lungo l'Ap- pennino infocolando le pretensioni ecclesiastiche a quella signoria temporale, che finì poi con essere, tanto saldamente quanto le sue illegit- time origini lo consentivano, compaginata dal Duca Valentino e da Giulio II. Ci fu un mo- mento, che il Cesare tedesco, accolto dalle città lombarde nella persona di quel figliuolo del magnanimo Arrigo, dette da pensare e ai due grandi « tiranni » ghibellini fra Ticino ed Adige, i Visconti e gli Scaligeri, e agli Este guelfi sul Po, e ai Gonzaga sul Mincio; tanto più che il sottomettersi a lui di città così guelfe come ghibelline era favorito e aiutato dal Legato Purg. xxxu, 148-60. papale. Costui, il Del Poggetto, aveva bensì bruciato in piazza il De Monarchia di Dante, e avrebbe voluto far lo stesso delle ossa di lui difese in pia custodia dai poveri figliuoli di Francesco d’Assisi: ma altra cosa era quel codice degli eterni principii del giure imperiale e pontificio, ed altra i fatti; ai quali cotesta politica di cherici senza scrupoli, si adattava con non altro criterio che del tornaconto quotidiano. Allora Firenze, che non poteva vedere senz’apprensione tutto quel tramenarsi di Cesare e Pietro in sulle soglie di casa sua, e ingrossarlesi addosso da ogni parte questo Stato pontificio di formazione novissima; e che era uscita allor allora dai pericoli estremi ne’ quali un Ghibellino di grand’animo, Castruccio, agitando le insegne imperiali, l’aveva condotta; non stette a bada più oltre: e data la mano, di verso Roma, al suo solito re Roberto, e di là dall’Appennino ai Visconti, agli Scaligeri, agli Este, ai Gonzaga, a Guelfi e a Ghibellini indistintamente, fermò di botto con questa strana alleanza quella non meno strana tregenda imperiale e legatizia. Le genti del Legato furono rotte a Ferrara: re Giovanni, vista la mala parata, vendeva al miglior offerente le città bonamente donatesegli; e fatto il solito sacchetto cesareo di fiorini italiani, se ne tornava in Boemia, lasciando nelle peste, alle prese con Ghibellini e con Guelfi, l’amico Legato. Un Pontefice consapevole e memore de' suoi doveri avrebbe potuto da quella turpe e dolo- rosa confusione trarre nobilmente partito per finire la servitù babilonica della Chiesa; resti- tuirsi a Roma; pacificare la città non più ro- mana sede d' Impero o di Chiesa, ma divenuta palestra miserabile ai baronali tumulti; pacifi- care altresì le città tutte d' Italia, valendosi di questo momentaneo artificiale accozzamento di parti guelfa e ghibellina : e poiché il re di Fran- cia da qualche anno ostentava ardori guerreschi pel rinnovamento della Crociata alla liberazione di Terra Santa, ben avrebbe potuto, un Pon- tefice degno del nome, volgere le forze di questa concorde cristianità a una guerra, della quale Impero e Chiesa sarebbero stati, sotto l' insegna unica della Croce, i naturali campioni. Ma il papa era Giovanni XXII, uno dei più mondani pontefici che abbiano tenuta la sedia apostolica, anzi fra i pastori avignonesi il più compiuto esempio, ne' suoi diciott' anni di pontificato, di que' « caorsini e guaschi dissanguatori del gregge» i quali Dante marchiò d'infamia 1 ), e il Petrarca non dubitò di chiamare « ponte- 2 ). Perchè Roma e l'Italia e !) Farad, xxvii, 58-59.
- ) // Papa soldano (Petrarca, Son. cxxxvn), da me in- terpetrato a pag. 227-33 del libro, per nozze Scherillo-Negri, Da Dante al Leopardi, Raccolta di scritti critici, ecc. di set- tanta autori; Milano, Hoepli, 1904. la cristianità potessero sperare quei benefizi, bisognava che a papa Giovanni le loro sorti stessero tanto a cuore quanto il peculio che, morendo nonagenario, questo profano vegliardo lasciò strabocchevole mostruosamente. Tuttavia nel 1333 quella povera Roma, che era ormai un ammasso di rovine non pur pa- gane ma anche cristiane, qaiale il Petrarca la ritrasse mirabilmente nel verso e tutto quel ch'una mina involve *),. gli si raccomandava per la restituzione della sede pontificale : ed egli non diceva di no ; ma prima voleva che que' brutali tumulti di baroni e di plebe, plebe senza popolo, cessassero, e la presenza del pontefice fosse da tutti unanime- mente invocata. Verrebbe a Bologna, e lì si tratterrebbe; dove, a buon conto, il suo legato Bertrando (suo, dicevano, anche figliuolo) edi- ficava a residenza papale una ben munita for- tezza. Si disponessero intanto Principi e Comuni al passaggio oltremare per la liberazione del Santo Sepolcro. Con questo si giunse alla fine del 34, e il vecchio papa, senz'essersi mosso d'Avignone, morì. La restituzione della sede a Roma sarebbe poi avvenuta fra più di quaran- t' anni, per opera principalmente d' una Ver-
- ) Canz. lui, « Spirto gentil », gine toscana d'animo virile; la Crociata, mai: Firenze e le altre città d'Italia potevano ripi- gliare operosamente il lavorio molteplice delle configurazioni guelfe e ghibelline di loro irre- quieta politica. La divina poesia colse queir « attimo fug- gente » di storia italiana e fiorentina, e lo fermò in un sonetto. Il sonetto è di Francesco Petrarca 1 ). Non uno de' più belli, diciam pure ; il che può sempre voler dire bellissimo, quale invero è in alcuni tratti, che l' Alfieri al solito rilevò : de- gno certamente del grande araldo della patria latina agli uomini del rinascimento, e apparte- nente a quella medesima ispirazione civile che trionfa ampiamente nella Canzone per la Cro- ciata, nella Canzone al novello Rettore di Roma, e nel Carme secolare del dolore italiano ; mentre poi anche qui fremono e vibrano, nel breve te- trastico condensate, le ire magnanime de' tra- gici Sonetti sul sacrilegio e l' onta di Babilonia. Il successor di Carlo, che la chioma con la corona del suo antiquo adorna, prese ha già l'arme per fiaccar le corna a Babilonia e chi da lei si noma; !) Son. xxvn ; ediz. Carducci-Ferrari ; Firenze, Sansoni. 899: ediz. Salvo Cozzo; Firenze, Sansoni, 1904. e '1 Vicario di Cristo con la soma
de le chiavi e del manto al nido torna, sì che, s' altro accidente noi distorna, vedrà Bologna e poi la nobil Roma. La mansueta vostra e gentil Agna abbatte i fieri Lupi : e cosi vada chiunque amor legittimo scompagna ! Consolate lei dunque, eh' ancor bada, e Roma che del suo sposo si lagna; e per Gesù cingete ornai la spada. Il sonetto è, come pur troppo anche le altre poesie civili del Petrarca, anepigrafo: il che, come per alcune di esse ha provocato e ali- mentato tante controversie di argomento e di tempo, così a questa ha procurato che non si riconoscesse ciò che a me non sembra dubi- tabile, eh' ella è diretta ai Fiorentini. Dico, non « ad alcuni amici fiorentini », che, fra le inter- petrazioni date, è la meno lontana dal conte- nuto reale, ma ai Fiorentini, a Firenze, alla città della quale egli si sentiva, nonostante i natali dell'esilio, glorioso figliuolo. Che se a un sonetto di quello squisito artefice di bel- lezza da semplicità si addicessero i titoli am- biziosi che piacciono e giovano agli artificiatori moderni, il Sonetto potrebbe intitolarsi : Ai Fiorentini, per l' Impero, per la Chiesa, per la Crociata. « Il re di Francia Filippo VI, successo a Carlo V, ma altresì successore di Carlomagno sul trono dei Franchi, e che porta la corona, la quale fu anche imperiale, di questo suo grande « antiquo », impugna le armi della Crociata, che fiaccheranno la potenza di « Babilonia »: della Babilonia musulmana, e di coloro che da quella han preso « nome », perchè n'han preso, cri- stiani e sacerdoti, il costume e la miscredenza pagana. Il papa, tornando ad essere verace- mente « Vicario di Cristo », riconduce il pon- tificato al suo « nido », alla sedè originaria e legittima, Roma. È già disposto, se non vi si frappongono impedimenti, eh' egli verrà a Bo- logna, e di lì poi alla « nobil Roma ». Firenze, il grande Comune artigiano, possente di arti pacifiche e gentili, così com' è situato fra le due città che aspettano il Pontefice, si adopera vi- rilmente pel grande evento. Essa, alleatasi con altre signorie italiane, abbatte la malnata vo- race violenza dei Legati avignonesi. Così anche vadano in malora i fomentatori di discordia in quella e nelle altre cittadinanze d' Italia ! O Fio- rentini, attendete dunque a fare star di buon animo Bologna, che è tuttavia in ansiosa aspet- tativa; e a confortare del vostro appoggio Roma, che da tanti anni si lamenta d' essere abbando- nata dal pontefice suo sposo. E possiate poi, con gli altri Comuni dell' Italia pacificata e cristiana, partecipare alla Crociata che finalmente si bandirà pel sepolcro e per la fede di Gesù ! »
« La mia interpetrazione non è, in sostanza, che il compimento, o meglio il completamento storico, di quella che il De Sade pur storica- mente compose, ma che tuttavia rimase di lui solo e del Marsand (e primo vi aveva accen- nato un altro commentator settecentista, il Pa- gello), finche il Carducci, in quel suo bellissimo Saggio di un testo e commento nuovo la ravvivò e allargò, e nel Petrarca distesamente commen- tato la confermò anche contro all'annotazione del Leopardi *). La quale annotazione è proprio una delle più meritevoli della severa sentenza che lo stesso Carducci ha recato sul commento leopardiano 2 ). Secondo questo 3 ), pertanto, il sonetto è « ai Signori d'Italia, onde prendano « parte nella crociata di papa Giovanni XXII »,
- ) Rime di Francesco Petrarca sopra argomenti sto- rici morali e diversi. Saggio di tcn testo e commento nuovo a cura di Giosuè Carducci; Livorno, Vigo, 1876; a pag. 19-20. E Le Rime di Francesco Petrarca di su gli originali commentate da GIOSUÈ CARDUCCI e SEVERINO FER- RARI ; Firenze, Sansoni, 1899; a pag. 37. 2 ) A pag. xiv-xv del Saggio, e xxxvi-xxxvn del Com- mento. 3 ) Nella edizione Le Monnier del 1845, più volte ripetuta. del 1334 dunque : ma poi il « successor di Carlo » è « Carlo IV imperatore »; asceso al trono, si avverta, non prima del 1347, e coronato im- peratore solamente nel 55! Quindi il Leopardi annota : « E indirizzato ai principi d' Italia, « come dicono i commentatori, ma veramente « ad uno solo, o al più ad una famiglia, come « dirò qui appresso sopra il primo terzetto. » E nel primo terzetto 1' « agna » e i « lupi » non sono altro, per lui, « che due case nobili « romane, significate così per allusione alle loro « armi gentilizie. La fazione di una delle quali « case, cioè quella dell' agna, aveva di fresco « riportata una vittoria sopra la fazione della « casa dei lupi. I nomi di queste due case non « mi occorrono al presente, e non ho agio di « ricercarli nelle storie di quei tempi : ma tengo « per fermo che debba essere molto facile a ri- « trovarli. » « E pure non è », soggiunge il Car- ducci: il quale, lasciando cadere nel vuoto il gratuito indovinamento ; e così anche le non men fatue interpetrazioni, che 1' « agna » siano « i buoni cittadini, le buone fazioni (?) d' Italia, « la parte che ama la pace », e 1' « agna gen- tile » racchiuda in sé anche un' allusione a gen- tilezza di sangue, e che i « lupi » siano « i cit- « tadini perversi, le fazioni malvagie, la parte « inquieta, ecc. »; ritorna, il Carducci, pur du- bitando, alla opinione che fra il Quattro e il Cinquecento ebbe séguito, cioè « che il Poeta « indirizzasse questo sonetto ad alcuni amici « fiorentini, e che l'Agna sia Firenze. L'agnello « infatti era l'insegna dell'Arte della Lana pre- « dominante allora nel reggimento del Comune ; « il quale in quell' anno si era collegato ad altri « Stati d' Italia contro Giovanni di Boemia e «contro il legato Del Poggetto.... »: e cita, dalle Epistolae poetiche di messer Francesco, l'esservi colui identicamente ritratto, « lupo « rabbioso, che le terrene cose anteponendo alle « spirituali, va, sotto coperta di pace, covando « suoi maneggi di dominio temporale. » l ) Ma questi dovevano in breve, dopo mortogli il Papa, spezzarsi al Del Poggetto fra le mani ; ed essergli riserbata, cacciato dai Bolognesi, l' umiliazione di vedersi dai Fiorentini, che sulla Chiesa non amavan mai stravincere, trafugato a salvamento, mentre dietro alle sue spalle mi- nava distrutta, pietra a pietra, dal popolo, al grido « Muoia il Legato e chi è di Lingua- doca! », la fortezza da lui edificata per apo- stolica residenza all' aspettato pontefice 2 ). « Ve- drà Bologna.... »: ahimè né il pastore la vide, né i lupi ci fecero il covo! almen per allora. !) Ep. I, 3 : « terrena supernis Sceptra etenim potiora pu- tans, extendere fines Tegmine sub pacis rabidus lupus incubat ». 2) G. Villani, XI, vi. 7* Vero è che, secondo taluno di quelli altri più spediti e spacciati interpetri del malagevol so- netto, l'ottavo verso non dice se non questo: che chiunque venendo di Provenza scenda, per V alta, verso 1' « umile » Italia, prima « vedrà Bologna e poi la nobil Roma », tal e quale allora come ora: indicazione preziosa all'itine- rario del Santo Padre ! sebbene già si sappia comunemente, che a Roma tutte le strade con- ducono. Con la interpetrazione dal Carducci rivendi- cata, si rientrava nel terreno dei fatti, quali io ho testé lumeggiati; si stenebrava il sonetto da quel «buio d'istoria», che giustamente lo aveva fatto dispiacere al Muratori ') ; alle ima- gini del Poeta si restituivano linee e propor- zioni adequate e storicamente verosimili. Ade- quate in tutto, fuorché nel ristringere in « alcuni amici » quello che di per sé non può investire se non un ente collettivo, e la cui azione sia pubblica e di non picciol momento e di largo effetto. Perchè, come si può ad « amici » affi- dare l' ufficio di « consolare » le due ? la « no- bil Roma » l' una, e « lei » che non può essere se non l'altra, la prima, delle due nominate, !) Le Rime di Francesco Petrarca, ecc. S'aggiun- gono le Considerazioni d' A. TASSONI ecc. e le Osservazioni di L. A. Muratori; Modena, 171 1; a pag. 73. cioè Bologna? Non certo 1' « Italia », come an- notò il Leopardi, perchè da nessuna parte del contesto emerge la possibilità di tale relazione. E nemmeno 1' « agna », com' annotò il Carducci, ed è stato ripetuto l ). Ma il Carducci converrà meco, spero, non potere all' Agna abbattitrice de' fieri Lupi (e « consolabile », domando io, di che?) riferirsi il « badare », che tanto bene si adatta a Bologna aspettante il Pontefice ; e vorrà concedermi che all'ufficio di « conso- lare » invece, com' era il caso, le due città nella loro inquieta aspettativa non possano, come avevo cominciato a dire, ragionevolmente de- putarsi private persone, per autorevoli che si voglian pensare, ma bene si possa un' altra no- bilissima città italiana. E troppo gran cosa poi, per « alcuni amici fiorentini », era che si dicesse loro « e per Gesù cingete ornai la spada », come se dalla partecipazione di quattro o cinque o dieci valentuomini potesse benaugurarsi del- l' esito nientemeno che d' una Crociata ! laddove quell'apostrofe appropriatamente è rivolta alla !) Le Rime di Francesco Petrarca, con note dichia- rative e filologiche di Giuseppe Rigutini ; Milano, Hoepli, 1896; a pag. 351-52. Ivi anco si legge: « Che 1' agnella ab- « batta i lupi, è cosa che ha del miracolo; ma qui per Agna « intese il P. la mansuetudine cristiana. Cristo è simboleggiato « nelT agnello, ed è chiamato Agnello di Dio. Del resto, su « questa Agna se ne son dette non poche ». Repubblica di Firenze. Non senza allusione, forse, alle discordie cittadine espressamente ac- cennate ne' versi io e 1 1 ; per le quali, e per altre non debite imprese, troppo eli' era pronta, la poderosa Repubblica, a « cinger la spada », che ora il Poeta la esorta a cingere finalmente, « ornai » (e in questo « ornai » è amarezza di rimprovero), per la guerra di Gesù legittima e benaugurata. Che poi simbolo di Firenze sia posta l'« agna mansueta e gentile », insegna della più potente fra quelle Arti che erano esse lo stato, è con- cezione degna in tutto della squisitezza petrar- chesca. E degno altresì della oratoria patriot- tica, che il Leopardi, poeta e prosatore sovrano, sentiva nelle Canzoni civili di lui *), è l'atteg- giamento dato dal Petrarca a cotesta figura. Secondo le figurazioni di quella zoografia poli- tica, i cui documenti sopravvivono specialmente sulle pietre dei nostri pretorii e palagi popolari e nella poesia storica contemporanea, sono ani- mali battaglieri che di altri animali menano strazio e vittoria. Era, in più luoghi di Firenze, l'aquila guelfa che ghermiva il drago ghibel- lino o la volpe pisana ; era, nel palagio di Giano !) Epistolario (Firenze, Succ. Le Monnier, 1892), I, 175; e Pensieri di filosofia e letteratura, I (Firenze, Succ. Le Mou- nier, 1898), 108-109, 120. a Pistoia, il leon di Firenze che strangolava l' aretino cavallo sfrenato ; e nel sigillo ghibel- lino di Pisa, era esso il leone fiorentino che soggiaceva all' aquila imperiale ; era sul palazzo di San Giorgio il grifone genovese che di quel- V aquila faceva scempio ; era, o fu immaginato che fosse, sulla tomba di Corradino in Santa Croce di Napoli il leone angioino che spennac- chiava l' aquilotto venutogli a morir fra le bran- che; e sulla ringhiera di Palazzo Vecchio era il Marzocco dorato che avea sotto la lupa se- nese. Nel poema di Dante il leone angioino sta in pericolo d'essere artigliato dall'aquila vendicatrice l ) : ma quando il vescovo d'Arezzo ne volea far pittura nel suo palazzo ghibellino, il pennello motteggiatore del fiorentino Bona- mico invertiva le parti, ed era il leone che sbranava l' aquila 2 ). Nel simbolo petrarchesco, abbattitrice della « antica maledetta lupa » , si- nistra imagine di losche profane cupidigie, è V « agna mansueta e gentile » , insegna d'Arte e di democrazia: della democrazia, trionfatrice pacifica d'ogni rozza e violenta barbarie; di ') Farad, vi, 107. E del Leone fiorentino, con la frase dantesca, il Machiavelli {Decennali, I, 124-25): «Ed al vo- stro Leon trasser de' velli La Lupa con San Giorgio e la Pan- tera », che era Lucca. 2 ) Franco Sacchetti, Nov. clxi. quella democrazia, nel cui «bello ovile» Dante l ) non disdegnò, « nimico ai lupi, dormire agnello ». Il leone, questa volta « si posava »: era l'« agna » che combatteva e vinceva. Oggi che, per opera della Società dantesca italiana, il palagio di quell'Arte addivien casa di Dante, 1' « agna mansueta e gentile », che i lanaiuoli vi scolpivano nel 1308, ci fa ripensare quei fieri e pietosi versi dell' « esule immerite- vole », rimpiangente il suo « bello ovile ». Ad essi noi congiungiamo, integrato ne' suoi in- tendimenti, il Sonetto di Francesco Petrarca; nel quale leggiamo, sotto i velami poetici, una pagina di storia fiorentina, che, a così breve distanza dalla morte di Dante, era sempre sto- ria di lui, storia degli amori suoi e de' dolori, de' suoi ideali e de' suoi disinganni, della sua anima e della sua poesia. 1) Picrg. XX, IO; Farad. XXV, 5-6; Purg. VI, 66. ««1