Esercitazioni filosofiche (Rocco)/VIII

Antonio Rocco/Galileo Galilei

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VII

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Calcoli per le stelle nove, situazione de gli orbi celesti,
cagione del flusso e reflusso del mare.

Esercitazione Ottava.

Tre importantissime controversie intendete discutere. Sig. Galileo, nel terzo e nel quarto vostro Dialogo; le quali se bene voi diffusamente trattate, io nonidimeno, senza pregiudicare alle vostre ragioni fondamentali, attraendone fidelmente il punto circa il quale s’aggira la trama, delle dissenzioni, con brevità lo ridurrò a capo od a leale legitima intelligenza. La prima, dunque, è delle stelle che già (come si è detto ancora) sono state viste per alcun tempo notabile nel ciel stellato; la seconda è della situazione o struttura de gli orbi celesti ed elementari; la terza, del flusso e reflusso del mare, con altre difficultà meno importanti inserte con varie occasioni in varii luoghi, che parimente, in conseguenza dell’ordine, non saranno da me pretermesse, per quanto perteneranno alla controversia tra voi e gli Aristotelici.

La prima per tanto, delle stelle, s’aggira intorno a questa difficultà, se elleno abbino avuto il suo sito reale nella region celeste e (come dicono universalmente) nel ciel stellato, o pure fra gli elementi; circa la quale ogni vostro sforzo e la totale vostra intenzione è di provare che siano state nel cielo: il che volete che sia certissimo per via di calcoli esattissimi di dodeci astronomi, i quali calcoli puntualmente registrate nel vostro terzo Dialogo, e dite che malamente, anzi con modi ed osservazioni più tosto ridicole che dimostrative, siano stati impugnati da un tal Peripatetico, il cui fine era mostrare, cotali stelle esser state sublunari. Volete dunque risolutamente che le predetto stelle siano state nel cielo, e che ciò con universal assenso de’ più periti astronomi sia da’ buoni intelligenti di questa professione ricevuto per vero indubitato; e voi specialmente, con pensiero costante ed immutabile, assicurato dalle vostre osservazioni, da i calcoli pretesi da voi infallibili, lo allumate e difendete per evidentissimo. Dalla qual posizione ne inducete per conseguenza due altre: l’una, che quelle stelle fussero di natura celeste; l’altra, che i cieli siano generabili e corruttibili. Or discorriamo prima del sito, e poi ordinatamente discenderemo allo conseguenze. Intorno a questa difficultà io non intendo, con calcoli ed osservazioni ripugnanti alle vostre ed a quelle di coloro che la intendono con voi, provare o dimostrar l’opposito di quello che voi ed essi hanno creduto provare e dimostrare, cioò che quelle stelle non siano state nella [p. 692 modifica] region celeste, ma solo fra gli elementi; e questo fl’accio por due cagioni. L’una, perche non pretendo concorrer con voi nelle professioni matematiche, onde con altre opposite dimostrazioni nell’istesso genere voglia espugnar le vostre: il che però non saria bastante per la mia causa, se fusse assolutamente questo concorsio necessario, anzi avrei inappellabilmente persa la lite, e non avrei assunta l’impresa o ne desisterei; ma perchè giudico, ed è vero in effetto, che gii principii filosofici sono per sè stessi sulìicientissimi alla difesa di ogni oppugnazione, di quanto ida loro dipende, come tutti i principii dell’altre scienze sono in quelle totalmente bastevoli, se pur non fussero di subalternate, il che non occorre al proposito. L’altra, perchè non credo pregiudichi in niun modo alle dottrine Aristoteliche l’apparenza di queste nove stelle, anco se nella region celeste e nel firmamento stesso siano realmente state esistenti. Talchè questo primo punto cortesemente per ipotesi vel concedo: se ben potrei anco ragionevolmente inculcarvi, che nella diversità fallace e variabile di tanti calcolipostille 1, che voi medesimo mostrate nelle particolari e puntuali descrizzioni di essi, siano parimente fallaci i vostri e de gii altri che seguono il vostro parere, non meno che quei di coloro che per l’istessa via hanno assegnata alle sudette stelle sede e situazione sotto la Luna; o almeno argomenterei in universale, e bene, che quell’oggetto circa il quale diligentemente impiegandosi gli intelletti di molti intendenti e versati, non e uniformemente da loro conosciuto, non sia dimostrativamente (ondunque l divenga il dfietto) cognoscibile, di modo che se alcuno in tali cognizioni deficienti, e forse appena probabili, si arroga sopra gli altri esser il vero ed unico dimostratore, meriti di esser stimato più tosto compagno d’Icaro che di Alcide. Io però non ho pur minimo pensiero di detrarre alle vostre fatiche, di scemare un punto di quanto giustamente vi si conviene; discorro solamente, e vi concedo quanto circa di questo volete. Siano state dunque assertivamente e senza controversia nella region celeste le stelle nove: che perciò voi pretendete da questo che fussero (dite) di natura celeste; ed è la prima consequenza. Circa la quale io non sento nè repugnanza nè disconcio alcuno alle nostre dottrine in concedervela; anzi, supposto che quello stelle fussero realmente in cielo, io tengo per certissimo che fussero di natura celeste, e di quella istessa condizione che sono l’altre, come le cose che sono in Terra ritengono del terrestre, ed ogni corpo naturalmente locato ha in qualche modo convenienza col suo proprio luogo. Oltre che, essendo state del tutto simili all’altre, se l’altre sono celesti, anco queste dovranno esser tali; la qual simiglianza (per quanto dicono) è stata conosciuta dal lume, dal moto, dalla figura, dal sito, etc.: il qual modo di filosofare a posteriori è vero, unico e concludente, e senza di cui non distingueressimo il [p. 693 modifica] cavallo dal leone, il bue dal cervo, etc. Non siamo per tanto, circa le sudette opinioni, discordi: l’importanza sta nella conseguenza seconda, circa la quale se ben ho parlato ancora più avanti, non sarà però inutile supplire a quanto resta. Con questa, dunque, credete atterrar e distruggerò una delle più nobili parti della peripatetica filosofia. Se le predette stelle (inferite) sono state situate nel cielo e sono parimente state di natura- coleste, ed apparvero per un tempo e poi disparvero, dunque si erano generate novamente nell’apparire, e nel disparir si corruppero, ondo la loro natura è generabile e corruttibile, anzi di fatto generata pria e poi corrotta; sarà anco generabile e corruttibile il cielo, già che il tutto partecipa la natura e condizione, dello sue parti, massime dell’integrali, e specialmente circa questi affetti di generabilità o corruttibilità: anzi se le stelle, parti del cielo più nobili, più dense, più tenaci, e per conseguente di maggior resistenza, così facilmente si generano e si corrompono, con più agevolezza l’altre parli più ignobili, più rare, men tenaci o di minor resistenza, saranno soggette a questa variabilità; ed in somma sarà tutta la celeste machina cormttibile, non trovandosi il tutto fuor delle suo parti, nè potendosi assignar parte che non sia, per le ragioni allegate, corruttibile. Al che io rispondo che queste conseguenze non sono di alcuna necessaria illazione. E chi direbbe mai giudiziosamente: «La tal cosa si è da noi novamente vista, dunque si è novamente genorata ? si è tolta di vista, dunque si è corrotta?» è forse indistintamente l’istesso il comparire col generarsi, il disparire col dissolversi? mancano forse i modi di occultarsi senza disfacimento, e di scuoprirsi a noi senza novella nascita? Non date voi queste medesime apparizioni e nascondimenti alle stelle Medicee, senza che si generino e si corrompano, ma solamente col volgersi nell’epiciclo intorno a Giove, e col restare ora luminose dal Sole, ora dalla assenza di esso tenebrose ed invisibili?1 E per qual cagione non ci potremo imaginare altri epicicli nella sfera stellata, che con moto proprio o più tardo, in anni o secoli, raggirino le stelle che già comparvero, e poi le ascondino, e che per la tardità del moto poco ne resti osservato e conservato nelle memorie de gli uomini?postille 2 Qual [p. 694 modifica] sità di cagioni concede a vostro arbitrio lo nasconderole alle stelleiuuuuuuuuuuuu8u8 che voi volete, o l’altro più grandi e più belle, posto nel più conspicuo cielo di tutti, non siano degne di giuochi sì dilettevoli, ma comparse appena una, volta, quasi esuli con pena, capitale avendo rotti i confini, ne siano perciò dannate a morte? Direte torse che il moto delle stelle Medicee, per esser celere e di tempo solamente di ore, non può ammettere questo repentine generazioni di corpi così vasti e nel medesimo sito. Non sapete, (ripiglio io) che il più ed il meno non variano, in quanto tali, la natura, de’ loro soggetti, e singolarmente mentre questo più e questo meno concernano solo la durazione? non è forse così fiore un fiore che duri solamente per un giorno, come sarà un altro della medesima specie, che duri per diece e per cento? Talchè il vedersi più spesso o più spesso ascondersi le Medicee che l’altre, non arguisce nò anco in sogno che quelle si corrompano, o queste solo si appresentino e si occultino. L’argomento reale è questo: si veggono le stelle Medicee in tanto tempo, e per tanto non si veggono, mercé del moto proprio dell’epiciclo da cui sono raggirate; dunque le stelle che apparvero nel firmamento e per longo tempo, nè, a memoria di uomini, si son visto altre volte e poi sono sparite, hanno epiciclo di altro moto, e tale qual può ragionevolmente bastare a mostrarle nel modo predetti): ed in questa maniera argomentarete por similitudine tra le coso simili, e non fra simili dal dissimile, che racchiude termini impertinenti e ripugnanti anco ad imaginaria conseguenza. In oltre, è cosa probabile che quelle che apparvero fussero assai maggiori delle Medicee, e per conseguente più difficili al generarsi ed al corrompersi, sì che per proporzione queste in più breve tempo, e giusto quando si veggono e si occultano, potriano sortir novo essere e tornarlo a perderlo, come dite di quelle: la qual cosa, però non volete voi, e molto meno i Peripatetici, anzi (come ho pur detto), che solo dal vario lume ciò accaggia, come io stimo per certo: e perchè non così in quell’altre? di grazia venitene alle cagioni particolari, se non volete che siano i vostri dogmi fregiati col titolo più tosto di vana loquacità che di pondolata, filosofiapostille 3. Dovreste con fondamenti esplicare in qual maniera si generorno e si corruppero quelle stelle celesti. È cosa indubitata da esperienze sensate, che niuna cosa si genera senza precedente disposizione, nè senza di questa si corrompe: quelle stelle, dunque, di mole sì smisurata fu necessario che prima avessoio le sue convenienti disposizioni, ed in tal modo fusse una massa che a poco a poco crescesse 2, ed indi ricevesse similmente l’essere in questa maniera; [p. 695 modifica] onde doveano vedersi nella lor produzione da picciole divenir grandipostille 4, e nella corruzzione l’opposito. Già una machina immensa, avendo le suo naturali resistenze, non nasce e non perisce intieramente in un istante; rimirate pure in tutte le cose naturali, e massime ne’ fenomeni sublunari durevoli, a’ quali dovrebbono assimilarsi le stelle vostre corruttibili, e le loro generazioni e corruzzioni alle generazioni e corruzzioni di questipostille 5. Or chi ha visto questo progresso nello stelle sudette? e perchè non dichiarate voi il modo della lor produzione o corruzzione?postille 6 troppo vi arrogate, credendo col dir solo «Si sono generate e corrotte, perche si son viste e disparse» vi si abbia a crederò, senza che ne apportiate una minima imaginaria ragionepostille 7; e tanto dite a punto, come cehi dicesse che alcuno nasce mentre va fuora di casa, e nell’entrar dentro muore. E qual inconveniente dall’altra parte fuora di poner gli epicicli col moto sudetto? forse repugnerebbe a quell’orbe che è tardissimo, almeno (come dicono) di un moto di settemila anni? che disconcio sarebbe se, a varii fini della natura incogniti ed impenetrabili dall’umano intelletto, qualch’una delle sue parti partecipi a porzione tal tardità di moto? Mostratemi, vi priego, caro Sig. Galileo (che non ho in verità, non ho, per Dio, altro fine che d’imparare), mostratemipostille 8 i grandi assurdi di questa posizione (che abbozzo, che accenno solamente, e ne lascio il compimento a chi più sapostille 9), e perchè [p. 696 modifica] tanti giri nelle stello Medicee? perdio tanti cerchi a guisa di scorzi di cipolla intorno al Sole, come pur dite voi?postille 10 e per salvar la vita a corpi sì nobili e sì degni non si trova nelle ricchezze della sfera stellata un cerchietto ove le misere possano ricuperarsi senza periglio? poverette, quanto vi compatisco! Ma aggiungo di più, che le cose nove sogliono esser più salde e più vigorose che le vecchio3; e pur di quell’altre, già numerate dagli antichi, non si è vista tal corruzione giamai: lo confessate voi stesso, anzi burlate chi dicesse che una stella, intiera si possa corrompere, come non si corrompe mai tutto il globo total della Terra; ricordatevene un poco, Sig. Galileo, e considerato le vostre ordinarie con- tradizioni ad ogni passopostille 11, nè crediate abbiano da esser interpretate como i responsi de gli oracoli. Ma so ben io donde può divenir questa diversità fra le antiche e lo moderne stelle, dal difetto della natura o dell’artefice: quella non avrà più materia sì salda per queste stelle nove, simile a quella delle vecchie; è esausto il suo erario, il tempo gli l’ha tarmata: o l’artefice sarà fatto vecchio, inabile, impotente, non saprà formar (come già taceva) le sue strutture ingegnose. Che peccato! Queste son le più hello cose che poteste mai direpostille 12: e forse non le dite per non far vulgari sì alti misteri, onde stimate meglio tacere; o volete publicar voi lo conclusioni, che altri ve lo difenda4. Vedete ormai con occhio lucido e con la mente tranquilla, aliena dall’amor disordinato di gloria, se sia o no corruttibile il cielo, o (per dir meglio) quanto abbiate in ciò mo- strato ingegno e sapore. Io però non intendo, nè che voi, nè che Aristotile, nè che altr’uomo del mondo, penetri questi arcani; ma a gli animi docili e moderati basta dì ridur al più congruo, al non implicante, al verisimile; al vero esatto, adeguato, in niun modo: è pensiero verace e modesto d’Aristotile, è verità reale; e tanto sarebbe a dire che uno si desse a credere come sia fatto il cielo, [p. 697 modifica] perchè da lontano lo vedo e lo contempla, come che un temerario nato in una grotta, che non avesso mai visto umane abitazioni, vedendo dalla cima d’un monte fra dense caligini una gran città, pretendesse sapere ciò che vi si contenga dentro, anco nelle case nelle sale e nelle camere de gli abitantipostille 13. E se il nostro corpo, tanto vicino a noi stessi, che è parte di noi, con tante anotomie di uomini sì grandi nell’arte, non è ancor in parte pienamente conosciuto, e ne resta in controversia l’essenza istessa di lui, conosceremo il celeste?postille 14 Oh con quanta sapienza hanno simboleggiato i più savii, che alcuni, misurando il cielo e credendo entrare ne’ penetrali del Paradiso, non veggono la fossa che in Terra hanno pericolosa avanti gli occhi! postille 15

Non voglio trascurar un punto che, quasi con digressione, voi toccate contra Aristotile, cioè che non sia stato provato da alcuno sin ora, che il mondo sia finito; conciosia che avendolo creduto di provar Aristotile per via del moto circolare, il quale non può esser di altro che di corpo finito, se gli negherete (dite) l’assunto, cioò che l’universo sia mobile, tutte le sue dimostrazioni cascano. Al che io vi dico, che Aristotile nel terzo della sua Fisica non per via solamente di moto, ma anco per altre ragioni evidentissime, ha mostrato esser impossibile che alcun corpo o altra quantità permanente possa trovarsi attualmente infinita, onde vi si comprende anco il cielo. L’ha provato ancora puntualmente nel sosto pur della Fisica, e specialmente in varie maniere nel suo primo del Cielo. Ed in vero, Sig. Galileo (siami pur concesso per gentilezza la libertà del dire, che corrisponda la lingua al cuore), io vi stimo per uomo prudente, che non operiate a caso, che drizzate le operazioni al fine, al sortimento de’ vostri disegni, che non senza mistero abbiate scritto il vostro libro in lingua nostrana, ma con disegno di farvi capo popolare nelle dottrine, con speranza che avendo da esser letto dalla maggior parte de gli uomini che non hanno lingua latina, dall’applauso di essi, che non hanno pescato ne gli profondi reconditi del Liceo, vi sia ammesso per vero ciò che vi piacepostille 16. Pensiero elevato in vero, e forse non fallace nella [p. 698 modifica] prattica: il numero di balordi, corrivi e pertinaci è senza numero, da gli impeti inconsiderati di quali si danno tal ora gli onori cd i principati non a chi più merita, ma a chi più a loro gradiscepostille 17. Che se intendevi parlare con gl’intendenti, con i versati nelle dottrine le quali pretendete impugnare ed espugnare, potevate credere che. dicendo voi «Aristotile non ha detto, non ha provato, vi sarebbe improverato per falso. Il dir parimente, che si potrebbe negale l’assunto di quel proposito, è vero (rispondo io) con la voce: il latto sta di parlar filosoficamente, assignar il perchè, poner dottrine opposite e roborarle con le ragioni. Ma veniamo all’altra controversia, alla situazione de gli orbi celesti.

In questa vostra nuova struttura del mondo, procedete in questa maniera. Ponete nel centro dell’universo il Sole immobile, designato col suo carattere e con la lettera O; intorno a lui Mercurio, col proprio carattere e con due lettere B.G. in varii siti; sopra di esso Venere, col carattere e con C, H; sopra di lei un altro orbe senza caratteri e con la lettera P, la qual lettera servirebbe anco all’orbe della Luna secondo l’ordine de gli altri, ai quali tutti ne assignate due; sopra di questo ponete l’orbe di Marte, col carattere suo, con le lettere D,I; e fra l’orbe di Marte e quel di Venere è situato, come un epiciclo, l’orbe della Luna col proprio carattere e con le lettere P, N; in mezo al quale è in distanza la Terra col spazio° inteso per gli altri elementi che la circondano, la sua lettera è un A; il centro del qual orbe è secato dalla circonferenza convessa dell’orbe senza caatteri, sì che viene questo orbe della Luna e de gli elementi insieme ad esser mezo nell’orbe di Marte e mezo in questo altro che secondo i Peripatetici sarebbe l’orbe del Sole, e voi lo chiamate orbe magno; sopra di Marte, il qual circonda l’orbe magno, è situato l’orbe di Giove col suo carattere e con le lettere E, L, la circonferenza convessa del quale seca un epiciclo nel centro, il qual epiciclo ha cinque cerchietti o piccioli orbi concentrici, ed in quattro di essi un punto per ciascuno, che designano i quattro pianeti [p. 699 modifica] Medicei; quel di mezo non ha punto o stella, talchè detto epiciclo ha una sua mcetà nell’orbe di Giove, l’altra in quel di Saturno, e vicino a lui è il carattere sudetto di Giove; in ultimo è l’orbe di Saturno col suo carattere e con lettere F, M. Ecco la figura, ritratta puntualmente.

Circa la qual situazione consideraremo le cose che più importano e che più sono di controversia; e prima che il Sole sia nel centro dell’universo, il che dite concludersi «da evidentissime, e perciò necessariamente concludenti, osservazioni: delle quali la più palpabile, per escluder la Terra da cotal centro e collocarvi il Sole, è il ritrovarsi tutti i pianeti ora più vicini ora più lontani dalla Terra, con differenze tanto grandi, che, v.g., Venere lontanissima si trova sei volte più rimota da noi che quando ella è vicinissima, e Marte si alza quasi otto volte più in uno che in un altro stato. E che i movimenti loro siano intorno al Sole, si argomenta da i tre pianeti superiori, Marte Giove e Saturno, dal ritrovarsi sempre vicinissimi alla Terra quando sono all’opposizion del Sole, e lontanissimi quando sono verso la congiunzione; e questo allontanamento ed avvicinamento importa tanto, che Marte vicino si vede ben 60 volte maggiore che quando è lontanissimo. Di Venere poi e di Mercurio si ha certezza del rivolgersi intorno al Sole dal non si allontanar mai da lui e dal vedergliesi or sopra or sotto, come la mutazion di figure in Venere conclude necessariamente. Della Luna è vero che ella non si può in niun modo separar dalla Terra, per le raggioni che più distintamente nel progresso si produranno.» Queste raggioni, che adducete (dico io) per stabilimento della vostra posizione, non si può negare che in questa parto non siano vaghe, degne e molto probabili, stanti i suppositi delle predette varie apparenze; c conosco anco le conseguenze evidentissime che ne seguirebbono, quando non fusse altra via per salvarle, e massime che la Terra si movesse intorno a l’orbe magno, ma non già del moto onde stimate che provenga il flusso e reflusso, come vedrete al suo luogo. Con tutto ciò altri egreggi professori di sì fatte speculazioni, lasciando il mondo nell’ordine che vien communemente statuito da gli Aristotelici e Tolemaici, le salvano anco tutte benissimo, quanto fate voi con queste rivoluzioni dell’universo, ed il Copernico istesso altre volte le salvò pienamente, come attestate voi stesso, se bene trovò difficultà nella struttura, ma non forse insuperabile, se il suo genio avesse voluto accomodarsi alla dipendenza: talchè trovandosi altre vie per venir a questo termine, e voi ponendone una sola, cascate in errore di conseguente, nel modo a punto che farebbe chi argomentasse in questa maniera: «Costui sente calore, è dunque necessario che abbia vicino il fuoco»; non varrebbe la consequenza, potendo il calore da altre cause che dal fuoco venirepostille 18. Il Sole (dite poi) è in mezo del mondo per esser più nobile de gli [p. 700 modifica] altri corpi, come nel mezo di un palazzo si servano lo cose più preziose, non le immonde, le sordide, quale la Terra; anzi che queste si riducono ne i cantoni e ne i più infimi luoghi, L’argomento è meno che dialettico, onde poco accaderebbe affaticarsi per scioglierlo: nondimeno vi dico, che altro è mezo di virtù, altro di mole; a quello deve aversi riguardo, non a questo, come notò l’istesso Aristotile: l’occhio è più nobil sentimento de gli altri, e pur non è fisso in mezo del corpo; il cuore istesso non ottien centro puntuale, e la testa è situata nell’estremo. Il fine necessita il resto. È il Sole in mezo a i pianeti, con distanza tale dalla Terra, che può agevolmente, conforme alla capacità e bisogni di lei, operare; ed essendo il Sole nel mezo, dite che deve esser immobile a guisa di un centro, intorno al quale fisso ed immoto il corpo si aggira. Al che rispondo, che non è ragione di alcun vigore, già che ogni corpo sferico, per esser mobile, basta che si aggiri intorno al proprio centro, e voi stesso ponete in questo modo mobil la Terra; ed è accessorio a qualunque moto circolare che il centro sia di altro corpo, o non del suo proprio; oltre che ii ponere immobile il Sole, nobilissimo sopra tutti i corpi dell’universo, sara ponerlo in natura senza natura, privo delle più degne operazioni, e quasi un cor inanimato. L’istesso si può dir delle stelle del firmamento, le quali anco ponete immobili, come tanti Soli, quantunque altrove abbiate insinuato l’opposito, mentre gli attribuiste diverse approssimazioni ed elongazioni notabili dalla Terra e dalli poli, che non possono riferirsi a moti di altre sfere, come anco colà toccai. Non concludete, dunque, che sia immobile il Sole ne che sia centro dell’universo, e molto meno conseguite l’intento di abbattere in questa parte la dottrina di Aristotile. La Terra poi insieme coll’orbe lunare, non so come, posta meza nell’orbe magno e meza in quello di Marte, possa aver il moto annuo dall’orbe magno: quel di Marte dunque non vi avrà parte alcuna? O come partecipa di ambedue questi moti? o in qual maniera resta esente da uno? o come si mischiano insieme? son cose da non esser lasciate intatte da chi voi dar dottrine uniformi e distinte; e pur non fate di ciò parola. L’istesse difiicultà sono dell’epiciclo Mediceo fra Saturno é Giove, se pur non aveste errato nel disegno della figura, o che non poneste qualche orbe senza corpo, ma pura superficie, che saria peggio. Vi vantate di metter la Terra in cielo ed onorarla; così parlate col vostro Simplicio nel primo Dialogo: ed io (scherzando in questo) vi dico anco che ciò fanno meglio i Peripatetici, constituendola in mezo del cielo, e voi solamente verso gli estremi, circondata, o in un luogo o nell’altro, sempre da gli elementi ed indi dall’orbe della Luna. [p. 701 modifica] Collocata però in questo o in quell’altro modo, non seguirebbono gli inconvenienti che inettamente inferiscono alcuni (secondo che voi riferite); cioè che si potrebbe dire, essendo nell’orbe magno la Terra e nel centro del mondo il Sole, che esso Sole, Venere e Mercurio sono sotto la Terra, e che le materie gravi vanno naturalmente all’insù e le leggiere all’ingiù, e che Cristo, nostro Signore e Redentore, salì a gli inferi e scese in cielo, quando partì da noi: non vogliono, dico, giachè tanto verso i detti pianeti quanto verso altra parto l’allontanarsi dalla Terra è sempre salire ed avvicinarsi al cielo. Non sono però argomenti da esser nominati, e mi meraviglio di voi che ne fate menzione, e per tal maraviglia ne accenno.

Dite che la Terra abbia quattro moti: uno, in un gran cerchio intorno al Sole in un anno; l’altro, di una vertigine in sè stessa di 24 ore; in oltre, il moto all’ingiù come grave, ed un’altra vertigine circa il proprio centro, contraria alla prima delle 21 ore, che si compie in un anno, e questo è il risguardare le parti celesti come fa la calamita: e forse essa Terra altro non è che calamita, la quale naturalmente si volta intorno a i poli ed ha più moti; onde non è vero quel che dice Aristotile, che un corpo semplice abbia un semplice moto, nè che questo moto divenga dall’elemento predominante, o che bisognarebbe dire che anco il cielo entrasse in queste mistioni, per salvar i movimenti predetti circolari. Nè basta, secondo i Peripatetici, che la simpatia ed antipatia delle cose sia sufficiente per far simili o contrarie operazioni; che questo è refugio communale, e simile ad una tal facezia di un galantuomo, che si gloriava aver dipinto un gran quadro per aver scritto, solo col gesso, qui una Diana con i cani, qui un fonte, qui un bosco, etc. Accenate in oltre, ma non risolutamente, che non si dia la sfera del fuoco: le quali difficultà voglio esaminare, pria che veniamo alla più importante del flusso e reflusso del mare, ed alla cagione che voi stimate di esso. E prima, quanto a i quattro moti della Terra, quello che voi gli attribuite dell’orbe magno è totalmente irraggionevole ed inintelligibile. Voi volete che ella sia da quell’ orbe portata nel spazio di un anno, forse nel modo che noi diciamo che sono dalle proprie sfere portati i pianeti e Pl’altre stelle. Se vi ricordaste di qual condizione abbiate statuito i vostri cieli, pensereste meglio a dar tal moto, con tal fondamento, alla Terra, ed insieme all’orbe della Luna ed a gli elementi. Come potete imaginarvi, non che tener per certo, che da un corpo tenue, rarissimo e cedente più dell’aria, sia spinto e portato un corpo solidissimo, qual è quel della Terra e della Luna? chi potria sognarsi giamai che l’aria portasse seco in giro regolarmente un sasso sospeso in essa?postille 19 e pur questo sarebbe meno inconveniente [p. 702 modifica] e meno impossibile: conciosiachè il sasso pensile, fuori del proprio luogo, non avrebbe molta resistenza all’altrui agitazione; ma la Terra, trovandosi nel suo luogo naturale determinato (già anco secondo voi som tutti i corpi naturali nel sito ove gli è dalla natura prefisso), non sarebbe alla vertigine di tal, più raro e per conseguente men vigoroso di essa, mobile. Un carro nella velocità del suo corso eccita parimente l’aria; ma mai, o poco e difficilmente, occorre l’opposito. La Terra istessa (pur cme avete detto voi) rapisce seco l’aria, per esser più dell’aria soda; ma non avete saputo dir giamai che l’aria sia bastante a mover la Terra e portarla: e pur è seco contigua, e pur più denza, onde più efficace, de i cieli; come dunque quell’orbe, più raro e più debile, è atto a far questo? Io non dico che ciò sia difficile perchè la Terra si opponghi col peso, tendendo all’ingiù come il sasso, già che, essendo nel proprio luogo, è lontana da questa azzione; ma ciò riferisco alla sua mole, alla sua resistenza, alla solidità grande di essa. Ma mi accorgo che faccio errore, che non scorgo, non che non ferisca, il bersaglio a cui indrizzo i miei dardi. Mi risponderete voi, che quell’orbe magno non tocca immediate la Terra, ma l’orbe della Luna, che è pur di natura celeste e cielo istesso, onde non ritiene queste disparità così immense, o dal ravolgimento di questo la Terra con gli altri elementi si raggira: così anco è designato nella Nostra figura. Benissimo; ho torto; condonatemi per cortesia la digressione, che è proceduta da- desio di dir tutto: non voglio però ritrattarmi; ne i discorsi divisivi, per concluder adeguatamente, si pongono anco i membri dividenti possibili ed imaginarii, almeno per escluderli e per toccar ciò che si possa o ritrovar in effetto o pensarsi o anco fantasticarsi. Sia dunque come volete voi; e rispondetemi, vi priego. L’orbe della Luna, toccato immediatamente da l’orbe magno, non è anco egli cielo? ( non parlo della Luna istessa, che la statuite dura come la Terra) Sì certo; è dunque raro e cedente: or quando è toccato con moto celere dall’orbe magno (ed egli altresì ha il suo moto), come questo è spinto regolatamente da quello? come non si mischiano e non si confondono in uno, nel modo che occorre fra i venti e l’aria? o in qual maniera, se ben quello che porta sia più potente, le parti più ime del portato rispondono ad equa! moto e velocità? conciosia che ciò solo accade di corpi solidissimi. Chi scuote impetuosissimamente la superficie del mare, non move nè conquassa per questo il fondo, nè tutto il resto dell’acqua; ed i venti che tal ora scorrono per la sommità dell*’aria, come si vede dal moto delle nubi, non perciò giungono in Terra, nè quell’aria, da essi commossa, commove però la nostra: nè il moto nel supremo de gli elementi si stende sino all’imo, per questa cagione; e tale è la natura di tutti i corpi fluidi e cedenti, come sapete e come credo possa veder per sensata, esperienza ciascuno. Talchè, concessovi, per non esser litigioso, che se quell’orbe contenesse entro sè stesso la sfera della Luna tenue, agiterebbe col suo moto la superficie convessa di quella, ma che si coummunicasse a tutto il resto del corpo, [p. 703 modifica] e poi anco de gli elementi e della Terra, non è imaginabile nè vero; oltre che verrebbe per ordine ad esser la Terra immediate portata e mossa dall’aria, anzi dall’acqua, non da quel cielo; e Questo sarebbe l’ordine: l’orbe magno moverebbe la sfera della Luna, quella il fuoco, questo l’aria, l’aria l’acqua, e l’acqua la Terra; e pur voi diceste di sopra che la Terra move l’aria col suo moto, se ben solo le parti contigue e crasse, non già al contrario. Direte forse che quel vostro orbe magno penetra sino alla Terra: ed io attenderò che altro non sia questo vostro orbe orbo che acqua aria e fuoco, penetrativo dell’orbe lunare etc.; e poi, perchè Marte non ha parte in questo moto della Terra e della Luna, se è situata l’intiera sfera di questi corpi egualmente in questo che in quello? se pur non errate nella figura. E se vi ha parte, essendo il moto di Marte diverso ed in due anni (come volete ancor voi), in qual guisa si accorda con l’annuo? o in qual modo fa circa ciò il suo officio? o per qual cagione ne è esente, o perchè voi nel dite? Direte forse che Marte non ha da far niente: ma se ciò sia vero, a chi rimira bene la vostra figura sarà necessario dire che il ciel di Marte non sia corpo, ma una sola superficie; e così avremo superficie separate, esistenti a guisa di sostanze, o le vostre matematiche non saranno di cose astratte, ma indifferenti dalle naturali, e gli accidenti saranno soli, separati dalle sostanze, mobili, e parti principali del mondo: e se liberate Marte da questa pena, sarete forzato ciò imputar a Giove o a Saturno, ovoro al vostro orbe magno. Nè voglio lasciar intatto un punto importantissimo e di gran conseguenza, cioè che i cieli, posti da voi rari e cedenti (mi occorre spesso far menzione di queste vostre pretesse qualità celesti, perchè sono in gran parte per base o per colonne, sì che sarò scusato se tal ora appaiono i discorsi tediosi e molesti), non solo non posano rapirsi, ma nè meno aver moti e natura diversa: già (pur come è stato detto) essendo di tali condizioni, diventano misti, e convengono in un moto medesimo indistinto, se ben forse confuso. Così intraviene all’aria ed a i venti, alle nubbi ed alle procelle, ed in somma a tutti i corpi flessibili, rari e cedenti: e così saria impossibile dar varii moti al cielo, nè anco ammetter cieli diversi, onde l’altre vostre consequenze e posizioni periscono. Direte forse che siano più o meno tali, che basta alla distinzione di essi e di lor moti. Già vi è stato detto altrove che il più ed il meno non variano essenzialmente la natura lor sustanziale. L’altro moto della vertigine in 24 ore si è impugnato a bastanza, ove si è provato diffusamente che non abbia naturalmente eccetto che il moto retto; e parimente, che ne abbia due contrarii per l’istessa linea nell’istesso tempo, perchè includerebbe contradizzion manifestissima, di moversi verso il termine e di non moversi, di acquistar e di non acquistar spazio, etc. Del moto retto, che procede dalla gravità, all’ingiù, non occorre dir altro. Che la Terra sia calamita o della natura di essa, non dirò altro, solo che seguirebbe che la Terra fosse la minor parte sè stessa, già che. in comparaziono della sua vasta mole, io credo che [p. 704 modifica] chissima sia la calamita; onde sarebbe cosa ridicola, come chi dicesse: Nell’acqua la minima parte è acqua. E se voi diceste che nelle viscere della Terra e ne i luoghi più riconditi ve ne sia in copia grandissima, e forse tutta la massa, io vi dirò di no, e sarà più credibile; nò voi lo confirmarete con esperienze nè con ragioni più di quel che potrò far io. Che la calamita naturalmente si aggiri intorno a i poli, io vi dico che è più probabile assai che il cielo nelle parti polari abbia virtù di attrar quella, che non quella di moversi a lui, nel modo appunto che diciamo die ella attrae il ferro, non che il ferro si mova a lei, che il Sole attrae i vapori, etc.; e così uno solo sia il suo moto naturale semplice di gravità, dall’elemento predominante; gli altri siano estranei e quasi violenti, come pur quel del ferro e de i vapori. Nè per far varietà di questi moti è necessario che, a guisa di un altro elemento, concorra alla composizione di misti il cielo; basta che sia causa effettiva, la quale per sò stessa, o per virtù impressa nel medesimo genere, opera e move; e si vede in tutti gli moti animali, ne i quali gli elementi non hanno parte alcuna, se non forse recettiva e fondamentale, ma vien direttamente dall’anima, e la virtù fu dal seme: a simiglianza di quali anco nelle cose inanimate sono virtù innumerabili operative ed efficacissime, che da più alta origine dipendono che da gli elementi; e non ha dubio alcuno che, parlando genericamente e da persone a cui le proprie cagioni adeguate sono incognite, non si può ridur ad altro principio la diversità e convenevolezza dell’opre, dell’unione e della discordia, che ad una simpatia over antipatia fra gli agenti e pazienti. È quasi nulla, è vero, lo confesso; ma dica meglio chi può: nò vi gloriate in alcun modo voi, sprezzando mordacemente questi modesti ricovri, pretendendo di averne trovato il capo o il fonte verace6; perchè nelle vostre longhe dicerie, ripiene eccessivamente di vanti, non vi ò cosa che sia disposizione pur minima, non che occasione, non che causa adeguata, di predetti moti della calamita. Il puro armarla, il vario toccamento, ed altre cose con le quali dite che diversamente move e sostiene, non è mostrar la causa delle sue operazioni, anzi nò meno insinuarla, ma più tosto, scorgendo varii effetti, far che restino difficultà maggiori nell’investigarne i principii. Leggansi pur a littera i vostri scritt noi terzo Dialogo a car. 402 ed oltre [pag.434, lin.26 — pag. r36, lin. 7], e si faccia giudizio di questi vostri profondi ritrovi. Circa la sfera del fuoco, non sete il primo voi a bandirla dell’universo; fra i quali egregiamente, al pari e forse meglio di ogn’uno, ne discorre Alessandro Tassoni, le cui raggioni, se ben sottilissime e degne del suo divino ingegno, non sono però disperatamente insolubili: anzi in un publico congresso filosofico fatto da i PP. Cassinosi, nel suo monastero qui di San Giorgio Maggiore (ove anco per un’ora del giorno vo ad esercitar il carico di Lettore [p. 705 modifica] in quelle scienze), apportate vivacemente da chi le stima insolubili, furno da quei PP. studenti (che sotto i felici auspicii ed il paterno zelo del M. R. P. D. Alvise Squadroni, veneto, non meno rispondono nell’osservanza di santa austera religione, che nel studio e profitto delle scolastiche discipline) con universal sodisfazione ed applauso di molti litterati, che ivi erano presenti, al possibile, delle difficultà e sottigliezze che contengono, egregiamente soluto. Ma io intendo esercitarmi per ora solo con voi, sì che non parlando voi intorno a questo assertivamente, nò di mente propria, nè con alcuna prova, non occorre che mi affatichi in altro.

Circa il flusso e reflusso del mare, dal quale effetto intendete demostrare la mobilità, anzi il moto attuale, della Terra, io vi confesso che non si è apportata sin ora, nè da Aristotile nè da altri auttori che io abbia letto, raggione alcuna nè adeguata nè che si accosti al vero. Che l’acque marino, dall’ampiezza del pelago ristrette ed angustiate dal continente in più breve spazio, perciò quindi e quinci con alterna vicissitudine si librino, come dice Aristotile, è cosa inintelligibile, ed apporta seco più difficultà che parole. Che la Luna ne sia cagione, potrebbe esser: ma l’affirmarlo per indubitato è più tosto specie di cieca credulità che di probabile opinione, massime se risguardiamo i varii accidenti di tale affetto; ed il filosofar senza fondamenti è irragionevole. Onde io giudicavo la cagione di ciò quasi impercettibile; pur speravo, dalle vostro posizioni si potesse raccoglier qualche convenevole determinazione, se bene con pregiudizio in molte cose della peripatetica filosofia: ma avendole sinceramente, con animo indifferente, a guisa di puro arbitro, con ogni diligenza lette e ponderatele, vi trovo più assurdi e più repugnanze che in alcuna dell’altre, non annoverando fra queste la disconvenevolezza che per construer una capanna minate una città, e pure nè anco la capanna sortisce la sua struttura. Or veniamo alla prattica. È la vostra opinione sommaria, che il flusso e reflusso del mare sia causato dal moto della Terra, e diffusamente, pria con essempi e poi col venire alla cosa istessa, cercatie di renderla credibile ed indubitata. Sono gli esempi di una barca piena di acqua, come sono quelle che del continuo vengono da Lizza Fusina a Venezia. Questa tal barca così piena, se regolatamente, senza agitazioni, senza scosse e senza urti, per il mare tranquillo cammini, non avrà moto proprio, distinto da quel della barca che la porta; ma se per caso la barca dia in secco con impeto, o da altra barca o in altra maniera sia urtata e rispinta, oltre tal moto violento della barca, si causa grande agitazione nell’acqua che vi ò dentro, qual dura fluttuante in varie maniere, anco che la barca si fermi, anzi può andar e tornar dalla prora idla poppa della barca più volte, ed altre simili agitazioni per varie bande e secondo l’urto più o meno sconcio. Così si vede anco die il mare istesso, conturbato da i venti, ritiene per qualche tempo Pl’agitazione impressagli, quantunque essi venti siano del tutto cessati. Intorno alla qual osservazione vi stendete a dichiarar [p. 706 modifica] varii accidenti. che dalla diversa forma di vasi ove è rinchiusa l’acqua proven gono: cose tutto voraci, notissime al senso, e perciò da ammettervisi cortesissi- mamente, Volete anc, dalla, predett- similitudine, che la Terr sia come la barca, il mare sia l’acqua che dentro vi si contiene: ed anco questo vi si conceda. La difficultà sta nell’urto, nell’agitazione della Terra, e nel modo; e qui consiste la vostra invenzione, il vostro novo astrologico filosofare. Volete per tanto che la Terra riceva quest’urto, per agitar il mare, dall’orbo magno, onde siegua, come da propria real cagion naturale, infallibilmente l’effetto del flusso e del reflusso: e perchè la controversia è importantissima, e la vostra posizione non è molto prolissa, voglio a littera recitarla, acciò ciascuno giudichi dell’efficacia o ineffi- ccia di essa. Doppo dunque di aver apportato varie mutazioni dell’acqua nella barca, agitata o urtata, a car. 418 [pag. 454, lin. 29 e seg.] parlate in questa forma: «Ora, Signori miei, quello che fa la barca rispetto all’acqua contenuta da ossa, e quello che fa l’acqua, contenuta rispetto alla barca, sua contenente, è l’istesso a capello che quel che fa il vaso Mediterraneo rispetto l’acque da esso contenute, e che hanno l’acque contenute rispetto al vaso Mediterraneo, lor contenente. Seguita ora che dimostriamo, come ed in qual maniera sia vero che il Mediterraneo e tutti gli altri seni, ed in somma tutte le parti della Terra, si movano di moto notabil mente difforme, benchè movimento nessuno che regolare ed uniforme non sia venga a tutto l’istesso globo assegnato.»

1. Risponde il vostro Simplicio: «Questo, nel primo aspetto,, me che non sono nè matematico nè astronomo, ha sembianza di un gran paradosso: e quando sia vero che. essendo il movimento del tutto regolare, quel delle parti, restando sem pre congiunte al suo tutto, possa esser irregolare, il paradosso distruggerà l’as sioma che afferma, eadem esse rationem totfius et partium».

Rispondete voi: «Io dimostrerò il mio paradosso, ed a voi, Sig. Simplicio, la scerò il carico di defendor 1‘ assioma da esso, o di mettergli d’accordo: o la mia dimostrazione sarà breve e facilissima, dependente dalle cose lungamente trattate ne i nostri passati ragionamenti, senza indur nè pur una minima sillaba in gra zia del flusso e reflusso».

Due aviamo detto esser i moti attribuiti al globo terrestre (avete anco detto quattro, a car. 391 [pag. 424, lin.14]; ma non importa): il primo, annuo, fatto dal suo centro per la circonferenza dell’orbe magno sotto l’eclittica secondo l’ordine de segni, cioè da occidente verso oriente; l’altro, fatto dall’istesso globo, rivolgendosi intorno al proprio centro, in 24 ore, e questo parimente da occidente verso oriente, benchè circa un asse alquanto inclinato e non equidistante a quello della conversione annua. Dalla composizione di questi due movimenti, ciascheduno per se stesso uniforme, dico resultare un moto difforme nelle parti della Terra: il che, acciò più facilmente si intenda, dichiarerò facendone la figura. E prima, intorno al centro A descriverò la circonferenza dell’orbe magno BC. nella quale [p. 707 modifica] preso qual si voglia punto B, circa esso, come centro, descriveremo questo minor cerchio DEFG, rappresentante il globo terrestre; il quale intenderemo discorrer per tutta la circonferenza dell’orbe maglio col suo centro B da ponente verso levante, cioè dalla parte B verso ed oltre a ciò intenderemo il globo terrestre volgersi intorno al proprio centro B, pur da ponente verso levante, cioè secondo la successione d’i punti D, E, F, G, nello spazio di 24 ore.»

2. «Ma (qui doviamo attentamente notare, come rigirandosi un cerchio intorno al proprio centro, qualsivoglia parte di esso convien moversi in diversi tempi di moti contrarii: il che è manifesto considerando che mentre le parti della circonferenza intorno al punto D si movono verso la sinistra, cioè verso E, le opposte, che sono intorno all’ F, acquistano verso la destra, cioè verso G, talchè quando le parti D1) saranno in E, il moto loro sarà contrario a quello che era prima, quando era in D; in oltre, nell’istesso tempo che le parti E discendono, per così dire, verso E, le G ascendono verso D. Stante dunque tal contrarietà di moti nelle parti della superficie terrestre, mentre che ella si raggira intorno al proprio centro, è forza che, nell’accoppiar questo moto diurno coll’altro annuo, risulti un moto assoluto per le parti di essa superficie terrestre ora accelerato assai ed ora altre tanto ritardato: il che è manifesto considerando prima la parte intorno a D, il cui moto assoluto sarà velocissimo, come quello che nasce da due moti fatti verso la medesima banda, cioè verso la sinistra: il primo de’ quali è parte del moto annuo, commune a tutte le parti del globo, l’altro è dell’istesso punto D, portato pur verso la sinistra dalla vertigine diurna; talchè in questo caso il moto diurno accresce ed accelera il moto annuo: l’opposito di che accade alla parte opposta E, la quale, mentre dal commune moto annuo e portata, insieme con tutto il globo, verso la sinistra, vien dalla conversion diurna portata ancor verso la destra; talchè il moto diurno viene a detrar all’annuo, per lo che il movimento assoluto, resultante dal componimento di amendue. ne riman ritardato assai: intorno poi a i punti E, G il moto assoluto viene a restare come eguale al semplice annuo, avvenga che il diurno niente o poco gli accresce o gli detrae, per non tendere nè a sinistra nè a destra, ma in giù ed in su. Concludiamo per tanto, che sì come è vero che il moto di tutto il globo e di ciascuna delle sue parti sarebbe eguabile ed uniforme quando elle si movessero di un moto solo, o fusse il semplice annuo o fusse il solo diurno, così è necessario che, mescolandosi tali due moti insieme, ne resultino per le parti di esso globo movimenti difformi, ora accelerati ed ora ritardati, mediante gli additamenti o suttrazzioni della conversion diurna alla circolazione annua. Onde se è vero (come è verissimo, e l’esperienza ne dimostra) che l’accelerazione e ritardamento del moto del vaso faccia correre e ricorrere nella sua lunghezza, alzarsi ed abbassarsi nelle sue estremità, l’acqua da esso contenuta, chi vorrà por difficultà nel credere che tal effetto possa, anzi pur debba di necessità, accader nel)’acque marine, [p. 708 modifica] contenute dentro i vasi loro, soggetti a tali alterazioni, e massime in quelli che per lunghezza si stendono da ponente verso levante, che è il verso per il quale si fa il movimento di essi vasi? Or questa sia la potissima o primaria causa del flusso o reflusso, senza la quale nulla seguirebbe di tal effetto. Ma perchè multiplici e varii sono gli accidenti paiticolari che in diversi luoghi e tempi si osservano, i quali è forza che da altre cause diverse concomitanti dipendano, se ben tutte, devono aver connessione con la primaria, però fa di mestiere andar proponendo ed esaminando i diversi accidenti che di tali diversi effetti possano esser cagioni.» Fin qui parlate voi di queste cagioni universali del flusso: e perchè gli particolari accidenti, di quali anco pienamente ed in conseguenza discorrete, dipendono totalmente dalle predette cause, esaminando quelle, resterà anco bastevolmente determinato di questi; e se quelle caderanno, essi non avranno alcuna sussistenza, onde anco sarà vano trattarne per riferirgli a loro e per considerargli in ordino a i vostri suppositi fondamenti. Veniamo dunque a ponderar, quanto intorno a ciò si conviene; e per maggior intelligenza e più sincerità, avanti di ogni altra cosa sia qui registrata la vostra figura.

1. Prima dunque mi si appresenta il detto che «tutte le parti della Terra si movano di moto notabilmente difforme, benchè movimento nessuno, che regolare ed uniforme non sia, venga a tutto P istesso globo assignato»; il quale, ancorchè voi intendiate di dimostrarlo, ed a me basterebbe rispondere a parte a parte alla vostra dimostrazione, come in effetto farò, voglio prima in universale considerare qual verità possa contenere questa vostra asserzione, e poi gradualmente discendete al resto. Tutte dunque (secondo voi) le parti della Terra si movono di moto notabilmente difforme, ed a tutta la Terra non convien movimento alcuno, che non sia regolare ed uniforme. Ditemi, per vita vostra: qual è quella cosa che possa chiamarsi tutta, se non in ordine e dependenza, dalle sue parti? e quale denominazion totale può darsi ad alcun tutto, da cui siano le parti escluse? se niuna parte del cigno è negra, come si dirà egli tutto negro? e se niuna parte della Terra si move di moto regolare ed uniforme, come è uniforme e regolare il moto del suo tutto? Io trovo, e l’approverà ogn’uno, che uniformità non sia altro che forma indivisamente ed una communicata al tutto ed alle parti; è relativo che corrisponde all’altro, nè mai alcuno sarà uniforme se non ad altri ed in comparazione di che si dice tale. È uniforme il moto totale della Terra per voi. e con chi ha questa uniformità? forse con la difformità? o con moti che non si trovano? Io non niego che in un mobile regolare si dia difformità di moto, come le parti circonferenziali della sfera difformemente si movono dalle centrali, cioè più velocemente; e per tal difformità quel moto vien detto [p. 709 modifica] difforme: ma chiamarlo uniforme dalla difformità, fa tanto quanto chi chiamasse amaro il miele dalla dolcezza. Parimente il moto regolare è quello che non ammetto alcuna inegualità di velocità, ma dal principio al fine e sempre con una medesima celerità o regola procede; onde dal regolare il tutto con l’irregolarità, di ciascuna parto è parimente constituir un tutto chimerico, un tutto ideale, alla platonica, impossibile, tutto e non tutto. Non è inconveniente nè anco che alcun moto possa esser regolare o difforme, come il coleste in rispetto a diverse parti; nè che alcuno sia uniforme ed irregolare, come quello di cadenti o proietti, che hanno diversa velocità nel tutto, o ritengono in questa diversità uniformità nelle parti: ma che uno sia dalle parti irregolari regolare, dalle difformi uniforme, non è possibile nè imaginabile; e so bene in alcuni casi ed in qualche parte del tutto secondo vari rispetti potesse ciò intravenire, non sarebbe mai secondo il vostro intento ed al proposito di quel che protendete. Mi esplico. Se un corpo fluido, come di acqua o di nubi, fusse per regolata linea, o retta o circolare, portato, potrebbe senza dubio, non variando il regolato viaggio, ricevere varie agitazioni ed ondegiamcnti nello parti, come se il mare tutto, portato in giro per linea regolare, ondeggiasse; e forse qui volete battere voi. Ma ciò non vi è di refugio. Prima, perchè se tutte le parti (come dite della Terra) si movessero difforme ed irregolarmente tutte tutte, uscirrebbon del segno, e vi toccherebbe a dire e mostrare quel tutto senza parti, che avesse altro moto distinto da loro. Ma il mio essempio caderebbe di alcune che non variassero notabilmente sito c velocità, anzi con proporzionata alternativa l’una ricompensasse il mancamento dell’altra: nel modo che possiam dire, un bracciale da pallone esser rotondo, colle sue parti ineguali per la proporzione; ma se tutte fossero inequali ed irregolari, ogni uniformità e regolarità si leverebbe. L’altra, che se ben questo ch’io dico abbia parzial verità ne i corpi fluidi, per esser le parti divisibili e mobili distintamente (già chi move un poco d’acqua nel mare, non è necessario nè possibile che la commova tutta), ma ne i corpi solidi, duri e continuati e resistenti, qual è la Terra, quel che dite è assolutamente falso e chimerico. Chi ha visto mai volger da una parte una macina da molino, over una ruota di orlogio, di carrozza o di altro, e che altre parti non si sian mosse? e chi ha visto ritenerne o ritardarne una parte, che non si sia fermata tutta tutta la ruota, se pur non si è rotta in pezzi? Veniamo anco a gli altri essempi, che si assomigliano naturalmente alle vostre posizioni. Le ruote esterne di molini da una parte toccano l’acque di fiumi, e sono da esse acque agitate e rivoltate; dunque dalla parte dell’aria, ove non hanno questo intoppo, sono più veloci che da quella dell’acqua, ove sono urtate? chi lo direbbe? chi non vede l’opposito? Ed appunto la Terra nella vostra figura è a guisa della ruota, e l’orbe magno dell’acqua, o con poca differenza: lo cose simili non si hanno da intendere per istesse. Non è dunque possibile che in un corpo solido si dia irregolarità nelle parti, che anco non risulti nel tutto. [p. 710 modifica]

2. Parimente nè anco è vero che un cerchio movendosi intorno al proprio centro, qualsivoglia parte di osso convenga moversi di moti contrarii in diversi tempi. Conciosia che dove è una indivisa continuazione, ivi è vera unità, nè è altro esser uno, che indiviso; onde essendo le parti predette ed il moto loro similmente continuato, è un solo attuale, che è impossibile che sia contrario a sè stesso, essendo la contrarietà fra dueo e repugnanti: e perciò volle ragionevolmente Aristotele, nell’ottavo della sua Fisica, che niun moto contrario fusse con l’altro continuato, e diede per questo la quiete ne i moti retti reflessi; nè vi apporto questa dottrina per auttorità, che l’abbiate da ammettere, ma per mostrar la conformità del suo dire alla verità dello cose. Il moversi verso la destra e verso la sinistra senza discontinuazione non fa contrarietà nè tanpoco pluralità. L’istesso diremo dell’ascendere e discendere, che per somiglianza si dicono nel moto circolare.

3. Ora, essendo falsi questi soppesiti, seguita che sia falsissimo quel che da essi inferite, cioè che «stante tal contrarietà di moti nelle parti della superficie terrestre, mentre che ella si aggira intorno al proprio centro, è forza che, nell’accoppiar questo moto diurno coll’altro annuo, risulti un moto assoluto per le parti di essa superficie terrestre ora accelerato assai ora altre tanto ritardato»; già che (come ho detto) questi moti delle parti non son contrarii, nè si può dar discontinuazione nel corpo solido, onde cade tutto il rimanente del vostro discorso, come che il moto signato nella parte D sia velocissimo, nel EG eguale, etc.

Così dunque, sia equabile o difforme, regolare o non, impeditivo o contrario, il moto dell’orbe magno, sopra il quale si aggira la Terra, o per sè stessa o portata, come vi piace (chè nè anco in questo vi esplicate; e pur in posizioni nove, inintelligibili, ci vorrebbe altra distinzione, altro metodo), niuna irregolarità cagionerà nelle parti della Terra, come nè anco in tutta, per le cagioni sudette, vere ed esperimentali. Ma preveggo una risposta ingegnosissima, adeguata, irrefragabile: cioè, che essendo le parti che son toccate dall’orbe magno, flussibili., tenui e cedenti, possono aver moto irregolare e difforme dal tutto, come io stesso ho concesso. E che siano così tenue e rare, è noto per i vostri precedenti suppositi, cioè che tale sia il cielo; e quell’orbe magno non tocca immediate la Terra, ma l’orbe della Luna, come si vede dalla figura maggiore della struttura e situazione de i corpi celesti e dalla verità dedotta da i vostri principii; non già che sia tale assoluta, perchè non direte mai che questa aria ed acqua che tocca la nostra Terra sia orbe magno, ma volete che questi nostri elementi siano circondati dall’orbe della Luna. Avete ragione, io non avevo ponderato tant’oltre; dovrò dunque disdirmi, sì: ma perchè quell’orbe lunare nominate sempre Terra? forse lo fate per carestia di voci? sì, se non avessero il proprio nome, se toccasse a voi dargli la prima imposizione. So però quel che direte di meglio: che l’orbe magno tocchi immediate quel della Luna. e per conseguente la Terra, [p. 711 modifica] ondo venga poi a sortir gli effetti dei moto predotto, od indi provenga anco il flusso e riflusso. Ma qui vi voglio: o cominciamo pur a filosofar intorno a ciò saldamente. L’orbe magno è cielo, l’orbe della Luna è cielo: son dunque rari e cedenti, ondo nell’urto si mischiano e si confondono, più tosto che rogolatamente si aggirino. Di più, se l’orbe della Luna è quello che riceve immediatamente le ritardazioni (come avete necessariamente da dire, e come è ritratto nella figura ed espressamente si tira per conseguenza), dall’orbe della Luna ha da venir in Terra, questa ritardazione per mezo de gli elementi, che gli son più vicini, onde l’ultima a parteciparne sarà la Terra: e così prima da questi urti, intoppi o ritardamenti, sarà agitata l’acqua che la Terra, e l’acqua più tosto moverà la Terra, se sia possibile, che all’opposito: oltra l’impossibilità toccata poco di sopra, di communicarsi dal sommo all’imo questa fluttuazione ne i corpi fluidi e rari, che è considerazione non di poco momento. Nè similmente l’effetto che pretendete succederebbe; conciosia che la Terra scossa, solida e continuata, non si agiterebbe difformemente nelle parti, come e stato detto, se fusse toccata immediate dall’orbe magno, perchè in ciò nulla sarebbe la differenza. Tralascio di dire perchè in sei ore sia il flusso ordinario, almeno in questo nostro Mare Adriatico, e sei il reflusso, essendo la ragion dell’impedimento o la distanza dell’ orbe magno impeditivo eguale in duo metà, onde dovrebbe esser di dodeci ore l’uno e di dodeci l’altro. E se con tanta piacevolezza nel flusso scorre l’acqua verso il continente, ed ivi è nel luogo suo naturale come piuma, e l’altro intoppo non è successo, perchè qui non si ferma? Quella della barca agitata, non avendo deposto l’impeto impresso, torna in dietro por il termine o legno che l’impedisce: ma qual impedimento troverà l’acqua marina nella vastità dell’oceano? Non direi che quelle imaginarie scosse della Terra, che sono atto a commover così impetuosamente l’acque del mare, fussero bastanti a scuoter gli edificii, o fussero stato già impeditive per fargli (già è moto di agitazione, anzi violento che no): pur a qualch’uno forse ciò parrebbe anco verisimile. Così gli accidenti varii che in questi flussi o riflussi si scorgono, come di alzarsi più o meno, esser più o manco veloci o frequenti in un luogo che nell’altro etc., non si possono ridurre alle cagione universali poste da voi; onde restano privi, per le vostro posizioni, di ogni ragionevole determinazione. Avreste pur fatto meglio (nel modo che può esser il meglio nel male) spedirvi con quattro parole, cioè che un’intelligenza o anima, o la propria virtù naturalo della Terra, l’agita di moto di trepidazione n di tale qual si raccoglie dal flusso, onde adeguatamente gli si adatti, che, salendo nel cielo con Fetonte per regger questo corso, più disgraziatamente che esso non fece il carro del Sole, l’abbiate precipitato nel profondo della nullità.: o pur potevi facetamente favoleggiar con le donne, che gli quattro Vangelisti, portando la Terra sopra, le spalle, a vicenna si mutino, e ne seguano tali mutazioni: e quattro scosse o agitazioni farebbono appunto per lo flusso o reflusso [p. 712 modifica] di sei in sei ore: o con quell’altro filosofo che, stimando animato il mondo di anima estoensa e corporea, sì che fusse anco organica, ponendo il sito delle nari nel mare, dall’espiro volea che procedesse il flusso, e dal respiro il reflusso: opinioni tutte ridicole, ed in questo poco inferiori alla vostra.

Ecco la somma delle vostre dottrine, con quelle osservazioni che più sinceramente, per intelligenza del vero, non per detrarre al vostro sapere, da me si sono potuto addurre: per ultima chiusa delle quali voglio memorar di novo un punto, che ad altre occasioni ho altre volte toccato, ed è questo. Nel principio vantaste sposso di voler proceder talmente per vie sensibili, che Aristotile (il quale in questa maniera promise ed insegnò che si procedesse) avrebbe mutato opinione, ì avendo visto che così avete osservato voi e non egli; e nondimeno nel progresso sete sempre così stato lontano ed estraneo da questo stil di procedere, che (tolta via una posizione sola, solo credibile, non scienziale, cioè delle cose che affirmate veder in cielo col telescopio) tutte le controversali direttamente ripugnano alla cognizion sensitiva, come può ciascun veder da sè stesso e come espressamente dite voi medesimo a car. 325 [pag. 355, lin 8-33] parlando della dottrina del Copernico (che è questa istessa che voi suscitate o commentate), che si sia resa credibile o maravigliosa a molti centra ogni sensata esperienza, ma con le pure raggioni. Alcune vostre dimostrazioni, che non mancano di speculazioni bellissime, perchè non vanno contro l’assunto Aristotelico (il quale solamente, per esercizio alla mia professione convenevole, mi ho preso ad esaminare e difendere), non ho voluto toccare: già non intendo pregiudicare al giusto, a quanto dite di buono e fuor dell’intrapresa controversia; nè ho alcun fine di offendervi, anzi di onorarvi per quanto so e posso, con ogni candidezza di cuore e di opere.

Il Fine.


Voi, Sig. Rocco, mi forzate a darvi ogni satisfazione in molti luoghi del vostro libro, ma in particolare alla fac. 195 [pag. 694, lin. 27-29], dove, con certa quasi comminazione, mi dite così  1: Di grazia, venite alle cagioni particolari, se non volete che i vostri dogmi siano fregiati col titolo più tosto di vana loquacità che di ponderata filosofia; e nella seguente faccia [pag. 695, lin. 15-18] con termine più modesto più mi provocate a rispondervi, dicendo: Mostratemi, vi prego, caro Sig. Galileo (che non ho in verità, non ho, per Dio, altro fine che d’imparare), mostratemi i grandi assurdi di questa posizione (che abbozzo, che accenno solamente, e ne lascio [p. 713 modifica] il compimento a chi più sa), e perchè tanti giri etc. Però, per vostra satisfazione, state attento ed imparate, perchè  2 veramente ne avete bisogno grande.

Avendo voi in questa ottava Esercitazione conceduto, le due apparenze del 72 e del 604 (dette comunemente stelle nuove) essere state veramente nella parte celeste e tra le stelle del firmamento, e volendo  3 pur mantenere che dall’esser loro improvisamente comparite  4, e poi dopo molti mesi sparite, non si possa ragionevolmente inferire, la sostanza celeste esser soggetta all’alterazioni, generazioni, corruzioni  5 etc., scrivete così a fac. 193 [pag. 693, lin. 18-21], verso il fine: E chi direbbe mai giudiziosamente: «La tal cosa si è da noi nuovamente vista, adunque si è nuovamente generata? si è tolta di vista, adunque si è corrotta?» è forse indistintamente l’istesso il comparire col generarsi, il disparire col dissolversi? Adunque, Sig. Rocco, voi spacciate per persona priva di giudizio quella che  6 dal solamente veder comparire e sparire simili novità nel cielo argumenta  7, quelle esser nuovamente prodotte e poi dissolute. Ora, perchè io so che voi (come io ancora) non avete Aristotile per privo di giudizio, e so ancora che voi sapete che egli produce per testimoni di tali accidenti gli occhi proprii, quelli de’ suoi contemporanei e quelli de gli antichi, però è forza che altro ricercasse Aristotile da’ suoi occhi, che il veder comparire e poi sparire simili novità, onde ei potesse poi giudiziosamente inferire  8 la generazione e la corruzione etc.: e però io, che non men desidero d‘ imparare da voi che non voi da me  9, vi prego a dirmi quali fossero quelli accidenti che Aristotile, secondo il vostro credere, andava ricercando con la vista, per i quali poi ei potesse giudiziosamente inferire l’alterabilità nel cielo, perchè io anche nelle  10 materie qui prossime a noi, nelle quali i sensi, o per la mutazione del sapore o dell’odore o della risonanza o di alcuna tangibil qualità, mi porgono argumento di alterabilità e di corruzione, dal senso della vista non mi vien somministrato testimonio più valido, che il presentarmisi di nuovo all’occhio e da quello dopo qualche tempo sparire. Vedete, Sig. Rocco, a quali sconvenevolezze vi traporta l’odio immeritamente contro di me concepito, che già mai non vi offesi; che per gravar me non la perdonate nè [p. 714 modifica] anco al vostro Maestro, e lo spacciate per poco giudizioso  11, mentre ricorreva al testimonio della vista per venire in cognizione se nel cielo si facessero generazioni e corruzioni: e qui calzerebbe assai meglio l’esclamazioncella che voi ponete, commiserando le stelle, alla fac. 196 [pag. 696, lin. 4], e con miglior proposito potrei dire: Poveretto Aristotile, quanto vi compatisco! Ed avvertite a non voler ricoprire la nota, che già gli avete imposta, con qualche distinzione o con altro  12 mendicato refugio, chè v’assicuro che lo precipiterete  13 senza sua colpa in baratri sempre maggiori; ma da vero filosofo, e filosofo peripatetico, confessate, che se Aristotile vedesse queste e le altre  14 mutazioni che si fanno in cielo, le quali ad esso furono  15 ignote ed inimmaginabili, riceverebbe assai più volentieri me per suo scolare e seguace che voi, poichè io antepongo i suoi dogmi certissimi alle sue proposizioni opinabili, e voi per mantener queste refiutate quelli, cioè posponete le sensate esperienze alle opinabili conietture. Ma seguitiamo avanti.

Voi, parendovi di aver trovato la inchiodatura di sostenere quello che Aristotile assolutamente deporrebbe, dite che non mancano maniere di salvare la comparsa e l’occultazione di esse stelle nuove, e per mia maggior mortificazione dite che io medesimo l’avevo alle mani, e scrivete così: Non date voi queste medesime apparizioni e nascondimenti alle  16 stelle Medicee, senza che si generino e si corrompano  17, ma solamente col volgersi nell’epiciclo inforno a Giove, e col restare ora luminose dal Sole; ora dall’assenza di esso tenebrose ed invisibili? È vero, Sig. Rocco, che io do l’apparizione e l’occultazione  18 alle stelle Medicee  19; e per questo, sapendo voi che tal cosa non mi era ignota, dovevi con termine più cortese dedurne in conseguenza, che io conoscevo, simile apparizione ed occultazione non si poter adattare alle due stelle nuove, e non più presto che, come poco avveduto, io non avessi penetrato colà dove arriva la vostra perspicacità: la quale in questo caso (e siami lecito parlare con libertà, mentre voi da me, come da maestro, cercate  20 di imparare) ha gran bisogno d’esser assottigliata, perchè, per quanto mostra il vostro modo di parlare, voi sin qui non bene avete penetrato  21 come vada il negozio delle Medicee [p. 715 modifica] circa lo scoprirsi ed ascondersi; il quale, quando l’averete compreso, vedrete quanto sia lontano al potersi adattarci al fatto delle stello nuove.

E prima, conietturo il bisogno vostro circa l’intelligenza delli accidenti delle Medicee dal vostro modo di parlare, mentre dite: Le Medicee col volgersi solamente nell’epiciclo intorno a Giove, e con restare ora luminose dal Sole (credo che vogliate dire illuminate), ora dall’assenza di esso tenebrose ed invisibili. Qui, primieramente, mostrate di credere che del comparire  22 ora luminose ed ora restar tenebrose ed invisibili ne sia causa l’avvicinarsi ed assentarsi dal Sole, che tal senso, e non altro, si cava dal vostro discorso: il qual  23 detto è vanissimo, attesochè un oggetto per sè stesso tenebroso, e che da uno splendentissimo venga, in distanza, v. g.; di cento miglia, reso lucido e visibilissimo, cosa molto semplice sarebbe il dire che l’allontanarsi  24 da quello che l'illumina un braccio o due di più, lo privasse dell'illuminazione e lo rendesse invisibile; nè più che in tal proporzione appressano ed assentano le Medicee al Sole i diametri de’  25 lor  26 cerchietti. E non v’aspettate  27, Sig, Rocco, di potere glosare il vostro detto e ridurlo a buon senso dopo che averovvi dichiarato come cammina l'occultazione di tali stelle, perchè voi nè pur nominate i termini principali, anzi unichi e singolari, che in tale operazione intervengono. Voi non accennate, non che specifichiate, nè interposizione di Giove tra le sue stelle ed il Sole: voi non dite, Giove esser per sè stesso opaco e privo di luce, e però spargere il cono della sua ombra all' opposto del Sole; nè parimente dite che questo medesimo fanno le medesime stelle sue seguaci, nè mai in somma nominate eclisse: e pur questa è la sola cagione della occultazione di quelle. Per tanto sappiate, Signor mio, che, essendo il corpo di Giove non meno tenebroso della Luna e della Terra, e splendido solamente in quella parte che i raggi solari percuotono  28, dalla parte opposta, non meno della Terra e della Luna, distende in forma di cono la sua ombra; per il qual cono tenebroso dovendo passare le quattro stellette  29, mentre sono nella [p. 716 modifica] parto sublime de’ loro cerchi, entrando nell’ombra di Giove, restano prive  30 della vista, e perciò dell’illuminazione, del Sole, cioè restano eclissate; e simili eclissi si fanno elleno anco tal volta fra di loro, come io altrove ho a bastanza dichiarato.

Ora che averete  31 imparato come procede questo negozio, essendo vostra opinione, come in più luoghi scrivete, che quello che confuta una dottrina d’altri sia in obligo  32 di dichiarare puntualissimamente come stia il fatto realmente della conclusione che ci dice  33, male essere stata intesa dall’altro, sete in obligo (già che dite, le apparizioni o nascondimenti delle stelle nuove poter esser come quelle delle Medicee  34, come quelle  35 de gli epicicli, etc.) di specificarci puntualmente come stiano  36 tali epicicli, per salvare tale apparizione ed occultazione insieme con l’ingenerabilità ed incorruttibilità del cielo. Ma forse sarà bene, ed anco opera di carità, che io vi schivi qualche dispendio di tempo ed affaticamento di mente, con dichiararvi  37 e parteciparvi quelli avvertimenti che persuasero me a rimuovere il pensiero dal cercare di salvare dette  38 apparizioni ed occultazioni per via di epicicli, e, quel che è più, per via di qualsivoglino movimenti  39 circolari, che soli (come voi con Aristotile affermate  40) possono trovarsi tra i corpi celesti.

Sappiate per tanto che la comparsa di questa novella luce dell’anno fu del tutto improvisa ed inaspettata, e si mostrò la bella prima sera della maggior grandezza che ella ritenesse  41 in tutto il tempo che fu veduta  42; cominciò poi a mostrarsi minore e minore, sin che in 18 mesi  43 incirca restò affatto invisibile: nè in tutto questo tempo cangiò ella sito, ma sempre ritenne il medesimo aspetto con le stelle del firmamento, e, come una di loro, solo participava del moto diurno, restando esente da ogn’altra mutazione o per lunghezza o per  44 larghezza del cielo; talchè, se di moto nessuno fu mobile, quello non fu nè potè  45 esser altro che retto dal centro della Terra verso la sfera stellata, ma in parti altissime, alla lontananza delle quali il semidiametro del globo terrestre fusse di insensibile considerazione, poichè in lei [p. 717 modifica] non si scorse mai veruna mutazione di aspetto. Stante queste sensazioni, è cosa impossibile, Sig. Rocco, il mantenere che ella fusse una delle stelle eterne, che per movimento di un suo epiciclo o altro cerchio avvicinandosi comparisse, e poi allontanandosi si perdesse di vista; imperò che impossibil cosa è il far muovere in un particolar cerchio una stella, senza che ella muti aspetto con le fisse. Inoltre, bisogna che sappiate, che quando per un moto circolare la stella avvicinandosi si fa visibile e poi allontanandosi si asconde, il modo del  46 comparire bisogna che sia simile a quello dell’occultarsi. Or come averebbe potuto tal stella presentarsi, in un subito ed alla prima vista, grandissima, se poi così lentamente si andò diminuendo, che non prima che in molti mesi si estenuò all’ultima esinanizione?  47 e tanto più che la sua diminuzione fu tale, e tale la differenza della sua massima e minima  48 osservabile grandezza, che così differente non si mostra Marte vicinissimo da sè medesimo lontanissimo, benchè allora sia ben 60 volte maggiore il suo apparente disco.

Voglio dirvi un altro punto più sottile, e scoprirvi un grande inconveniente al quale dareste luogo in questo vostro modo di salvare la venuta e la partita di questa nuova stella. Voi liberamente ammettete che potrebbe esser un epiciclo che, portandola, per alcun tempo ce la rendesse visibile, e per altro ce la allontanasse in modo che restasse occulta; e perchè il tempo del ritorno è lunghissimo, voi largamente ammettete che il periodo di una sua conversione possa essere, anzi necessariamente debba essere, di molte migliaia di anni: or sia de i settemila che voi concedete; ed essendo che il tempo della sua veduta fu di un anno e mezzo  49, facciamo il calcolo qual parte del suo cerchio ella in tanto tempo veniva a passare; che la troveremo esser manco di cinque minuti di un grado, cioè manco di una delle quattromila trecento parti di tutto il cerchio. E perchè io credo che voi pur concederete  50 che visibile so ci fusse ella mentre si trovava nella parte del suo cerchio più a noi vicina, dunque apparve solamente mentre passò la 4300a parte  51 più bassa del suo cerchio: ma in una sì piccola parte di circonferenza non è punto alcuno che sia nè anco venti braccia più vicino a noi di un altro: come dunque potette variar tanto la sua visibile grandezza con l’avvicinarsi [p. 718 modifica] od allontanarsi solo poche braccia, mentre nè anco centomila miglia basterebbono? Vedete, Sig. Rocco, quanto vi manca per potere fondatamente discorrere  52 di simile materia. Fate, Sig. Rocco, a modo di un vostro servitore: studiate un poco poco i primi principii di sfera, ed anco qualche cosetta di geometria, cioè tanto che vi basti per conoscere che voi di quoste materie sete lontanissimo da intenderne nulla, perchè tal cognizione vi schiverà per l’avvenire l’aprir mai più bocca di cieli e di elementi  53 e di lor moti circolari o retti; cognizioni, che l’istesso Aristotile confessa di torle  54 in presto da’ matematici. Io vorrei aiutarvi con qualche risposta ingegnosa, mostrando che pure senza servirsi d’altri moti che circolari, si potrebbe far calare per linea retta la stella, ed alzarsi ed abbassarsi per qualsivoglia intervallo  55, e più restare occulta per lunghissimo tempo e palese per breve; ma non voglio attaccarvi tanto la mente, perchè è cosa di matematica alquanto sottile, e, quel che più importa, non sodisfa a quel comparire ex abrupto grandissima, consumando poi tanti mesi in diminuirsi e tornare ad occultarsi.

Or ecco, Sig. Rocco, mostrati gl’inconvenienti (se però per voi mi sono a bastanza dichiarato), anzi l’impossibilità di potere per via di epiciclo o altro moto circolare render ragione de i particolari accidenti che furono osservati nell’apparizione ed occultazione  56 della nuova stella del 604, similissimi in tutto a quelli dell’altra del 72: e così penso di potere aver sodisfatto a quanto con instanza mi domandate in questo proposito alla fac.  57 196 [pag. 695, lin. 11 e seg.], Dove poi seguendo dite, come concetto creduto o trovato da me: Perchè tanti cerchi, a guisa di scorze di cipolle, intorno al Sole, come pur dite voi?, qui o voi non avete inteso quello che io scrivo, o, se l’avete inteso, a torto m’imponete quel che non solamente non è mio pensiero, ma nell’istesso luogo come vanissima opinione la confuto. In quello che scrivete appresso, ponete una mia contradizione, e dopo quella una fraterna correzione, dicendo: Ricordatevi un poco, Sig. Galileo, e considerate le vostre ordinarie contradizioni ad gni passo, nè crediate abbino ad essere interpretate come i responsi delli oracoli: la contradizione poi [p. 719 modifica] che mi imponete è, che io voglio che queste stelle di nuovo generate si corrompino, mentre all’opposito altre volte (come voi dite) mi son burlato di chi dicesse che una delle vecchie e delle già numerate dalli antichi si possa corrompere. È vero che io ho proferito e l’una e l’altra proposizione; ma di dove cavate voi che io abbia mai stimato o detto che una di queste nuove impressioni abbia che fare o convenga con le antiche e vere stelle altro che nel nome? Il nome, dunque, appresso di voi si tira in conseguenza l’identità della sostanza? Oh, Signor mio, non chiamate voi ancora stella quella piccola  58 macchietta bianca per la quale un cavallo si dice stellato in fronte? non si nomina stella  59 la girella dello sperone? niuna di queste è che differisca più da una reale stella del cielo, di quel che differiscono le due dette stelle nuove. Se io dico dunque, ed ho detto, che apparisce farsi  60 delle generazioni e delle corruzioni, non ho però detto generarsi reali stelle, e molto meno corrompersi; anzi ho detto, e replico ancora, che qualsivoglia materia niente o poco trasparente, cioè in somma che sia visibile, esposta in cielo a i raggi del Sole, ci apparirà  61 splendente come una stella. Levate dunque a me l’attributo di contradittore a me stesso, ed a voi applicate quello che più convenga, che io non intendo disgustarvi.

Seguite poi, e con piacevolezza portate la diversità che io potrei addurre tra le antiche e le moderne stelle, come cosa delle più belle che io potessi mai dire: il qual pensiero, benchè veramente non mi sia mai caduto in mente, tuttavia è tanto saporito che non lo voglio recusare; e benchè il sale col quale voi lo condite sia alquanto austeretto  62, ad ogni modo sento che fa in me quell’effetto che fa il solletico, che, se bene con qualche repugnanza si sopporta  63, tuttavia più con piacere  64 provoca il riso. Nè con minor gusto ricevo la seguente correzzione fraterna, dopo la quale liberamente dite che non intendete che nè io nè Aristotile nè altro uomo del mondo penetri gli arcani del cielo  65, ma a gli animi docili e moderati basta di ridurre al più congruo, al non implicante, al verisimile. Ma se questo è, che cosa vi muove a volere per sì grande intervallo anteporre i placiti di Aristotile a quelli di un altro? Se poi nel presente caso voi sete ridotto [p. 720 modifica] ul non implicante ed al più congruo, potrete ora conoscer meglio che prima. Quello parimente che inserite contro  66 quel temerario che si desse a credere d’intendere come sia fatto il cielo, perchè da lontano lo vede e lo contempla, casca prima sopra Aristotile che sopra di me, perchè esso assai prima di me va cercando di penetrare i cieli, nè io cerco se non di assicurarmi delle cose da esso cercate e stabilite; le quali se sono così incerte come voi confessate, perchè con tanto livore vi inacerbite contro chi  67 non l’ammette, o come false le refuta  68? Deh non avessi io mai scoperte queste novità in cielo, di tanteinnumerabili non prima vedute stelle fisse, di quel che siano le nebulose, la Via Lattea, de’ collaterali di Saturno, della corte di Giove, la immensa mutazione di grandezza in Marte, le importune macchie nel Sole, le gran mutazioni di figura e grandezza in Venere, le scabrosità grandissime nella Luna; deh mai io non l’avessi palesate  69 al mondo, poi che dovevano concitarmi l’odio del Sig. Antonio Rocco e di tanti altri Signori filosofi! Consolatevi, Signore; chè il tempo, scopritore della verità, in breve è per estirpare queste fallacie  70, e più le vane conseguenze che io stoltamente ne deducevo, e i vostri scritti, pieni di dottrina ferma e soda, viveranno immortali, ad onta delle mie esorbitantissime chimere.

Dove voi dite che non senza mistero ho scritto in lingua nostrana  71 per farmi capo popolare appresso i poco intendenti e che non pescano ne i profondi reconditi del Liceo, e soggiugnete che questo mio pensiero non è forse fallace in pratica, errate in tutto e per tutto, e voi stesso potete a voi medesimo essere ottimo testimonio  72, il quale, essendo così poco intendente delle cose scritte da me che ben si può dire che poco più che niente ne capite, pure  73 non solamente non vi sete fatto mio seguace, ma mi avete posto un odio capitale. E soggiugnendo appresso, che il numero de’ balordi e corrivi, che inconsideratamente conferiscono gli onori, è infinito, dovevi, per mio parere, eccettuarne quelli che a voi hanno offerto gli onori delle cattedre principali, perchè se voi gli lasciate tra quella infinita moltitudine, [p. 721 modifica] voi spaccerete loro per balordi e corrivi, e sentenzierete voi stesso per immeritevole de gli onori offertivi.


Per la fac.  74 173 o 1837 [pag. 686, lin. 30 — pag. 688, lin. 6].

Voi. Sig. Rocco, mi schernite, anzi strapazzate e predicate per ignorante in tanti luoghi di questo vostro libro, che forse sareste andato con più riservo se vi foste immaginato che potesse accadere che io vi avesse a palesare per assai meno intelligente di me; perdio P esser vinto in materia di dottrina  75 da uno che sappia più di voi, è assai men vergogna elio il ridursi a dover cedere ad uno da voi medesimo io reputato e sentenziato per debolissimo. Nò in questo caso conosco che possa schivarvi il cordoglio altro che quella medesima cosa che vi mosse a scrivermi contro, cioè il non mi essere io saputo ne’ miei discorsi così bene dichiarare, che voi poteste intendere qualcuna delle mie più essenziali proposizioni; e perchè P istesso indubitabilmente vi è per accadere se mai vedrete queste mie postille, resta per vostro scampo l’incapacità e P impersuasibilità, le quali non vi lasciano  76 sentire il dolore. Dell’esser poi voi veramente impersuasibile, evidente esempio ne porgete nel pretender di mantenere vera la presente proposizione di Aristotile: e Dio vi guardi che di tal vostra pretensione  77 altro che una fissa ostinazione ne fusse cagione, perchè questa finalmente non è infirmiti incurabile, come è la stupidità di mente e naturai torbidezza di cervello. Voi dite, verissima esser la proposizione di Aristotile, che le velocità  78 de’ gravi descendenti ritengono tra di loro la proporzione medesima che la gravità di essi; sì che una palla di artiglieria di 100 libbre, venendo dall’altezza di cento braccia, arriverà in Terra quando che una di moschetto di una libbra, partendosi dalla medesima altezza, nell’istesso tempo sia scesa un solo braccio: e la verità di tale effetto soggingnete doversi trarre dalla ragione, e non dalla esperienza  79, so la quale dite non esser di momento alcuno, ma ben manchevole per difetto del senso, conciosiaehè il tempo nel quale si passa lo spazio [p. 722 modifica] da i due gravi  80 predetti è sì breve, che non può dalla vista esser con sì fatte proporzioni diviso, etc, Sin qui, ed in quel che segue appresso, commettete voi tanti errori, che, per trarvene, non so quasi da qual incominciare.

Or sia il primo considerato quello dove voi con certa esclamazioncella mostrate di maravigliarvi che io non capisca la forza della ragione che a voi pare che chiaramente concluda la proposizione di Aristotile; ed è che se l’effetto reale inseparabile della gravità è tendere all’ingiù, perche ove più gravità si ritrova, ivi non ha  81 da accelerarsi più il moto del corpo cadente, e così sempre a parzione (a proporzione, Sig. Rocco, si dice), eccetto se occorresse estraneo impedimento?

Qui, la prima cosa, equivocate, nel dedurre dalle premesse non quel che direttamente ne viene, ma una conseguenza falsa, che con quelle non ha connessione veruna; perchè, posto che effetto della gravita sia il tendere all’in giù, dove è più gravità, ivi si deve tendere più in giù, e non con maggior velocità, poichè nell’assunto non si parla della velocità, ma solo dell’in giù: e questa conseguenza è verissima; e per questo un sasso va tanto in giù, che un legno non vi va, cioè quello, come più grave, scende nel fondo del mare, dove un legno, come men grave, non si profonda  82. Ed avvertite, secondariamente, che il più e men grave si deve intendere non assolutamente, ma in specie, perchè una trave che pesi mille libbre non anderà così in giù come un sasso di una libbra e anco di un’oncia; sì come nell’aria. dove ambedue discendono, più velocemente si moverà la pietra che l’immensa trave, per esser la pietra in specie più grave del legno.

2. E qui devo, nel secondo luogo, avvertirvi acciò inutilmente non vi attaccassi, per difesa di Aristotile, a dire che egli intese nella sua proposizione de’ mobili di gravità in specie diverse  83, perchè, prima, ei non lo dice, come sarebbe stato necessario; anzi manifestamente parla egli de gravi differenti in peso non per diversità di materia, ma solamente per la differente grandezza, come è manifesto nel testo 74 del 4° della Fisica, così scrivendo: Videmus enim, ea quae [p. 723 modifica] maiorem impetum habent  84 aut gravitatis aut levitatis, si quo ad alla similiter se habeant figuris, citius ferri per aequale spatium, et secundum rationem quarti habent magnitudines ad invicem: ed avendo, in altro luogo di sopra, detto quam habent gravitates, si vede apertamente che egli parla delle materie egualmente gravi in specie; perche aver la medesima proporzione in gravità che in grandezza, non accade se non a i corpi  85 di egual gravità in specie.

3. Oltre che (e sia per  86 il vostro terzo avvertimento) neanche le materie di diverse gravità in specie ritengono nelle velocità loro la proporzione de’ pesi, sì che una palla. v. g., d’oro, che pesasse 40 volte più di una di abete di mole eguale, deva muoversi quaranta volte più veloce di quella, passando un’altezza di 200 braccia nel tempo che l’altra a pena ne avesse scese cinque, onde l’oro avesse anticipato il legno di 195 braccia; perchè, Sig. Rocco mio, non solo non l’anteciperà di 195 nella scesa di 200 braccia, ma sicuramente nè anche di due  87, nè forse d’uno; e questo sì che vi giugnerà molto nuovo: ma se saranno della medesima materia, o di materie di egual gravità in specie, delle quali parla Aristotile, pesi pur l’una 40 libbre  88 e l’altra una sola, che nelle velocità saranno pari, se altra cagione che gravità non s’interpone.

4. E qui, per il quarto scandaglio, conviene esaminar la ritirata che voi fate in difesa d’Aristotile. E prima voi dite, che il ridursi, per assicurarsi del fatto, al farne  89  90 l’esperienza non è di momento alcuno, ma assai manchevole per il difetto del senso, perchè il tempo nel quale si passa lo spazio da i due gravi è così breve, che non può dalla vista, esser con sì fatte proporzioni diviso, etc. Ma, Sig. Rocco mio dolce, dato e non concesso che il tempo per la sua brevità non ammettesse una divisione nelle proporzioni delle velocità, conforme all’asserto d’Aristotile, questo che voi dite averebbe loco quando tal divisione si avesse a fare; ma io dico che non si ha a dividere  91 nè tempo nè spazio nò altro, perchè i due mobili cadenti percoteranno in Terra nell’istesso momento, nè il maggiore anticiperà il minore di due dita, cadendo anco dalla altezza di 200 braccia. Ed acciò che voi [p. 724 modifica] stiate non dirò persuaso  92, ma libero dal più affaticar la mente per sostenere il vostro detto invano, pigliate due pietre, una per mano, o tenendo una  93 alta dal pavimento un sol braccio e l’altra un braccio e mezzo, lasciatele  94 cadere, aprendo le mani nell’istesso momento, e notate con l’udito le percosse loro, che assolutamente e sensatamente lo sentirete distinte l’una dall’altra: e veduta questa esperienza, se poi vorrete persistere in asserire che i tempi  95 delle cadute da 100 braccia di altezza di due mobili, de’ quali, quando l’uno percuote in Terra, l’altro, secondo voi ed Aristotile, si trova alto braccia 99, siano tanto brevi che non si possa notare se siano eguali o sommamente disuguali, tal sia di voi.

5. Ma che diremo, per il quinto notando, dell’impeto che vi trae a smaccar me tanto precipitoso, che vi fa prima dar di urto ad Aristotile? Voi scrivete che il volere osservare e distinguere le proporzioni di queste diverse velocità è cosa manchevole e di nessun momento, perchè la vista non basta a dividerle per la brevità del tempo. Ma Aristotile, Signor mio bello, è stato quello che, prima di me, con la vista, e non con altro mezzo, ha fatto tal compartimento; eccovi le sue parole: Videmus enim, idem pondus atque corpus velocius ferri propter duas causas  96: aut quia id differt per quod, ut per aquam aut terram aut aërem, aut quia id differt quod, fertur, si alla sint cadem, propter excessum gravitatis aut levitatis. E più a basso comincia pur dal  97 senso della vista: Videmus  98 enim, ea quae maiorem impetum habent aut gravitatis aut levitatis, si quo ad alla similiter se haheant figuris, citius ferri per aequale spatium, et secundnm ratìionem quam habent magnitudines ad invicem. Non son dunque  99, in questo, più manchevole d’Aristotile: anzi pur ad esso solo riguarda la vostra saetta, che dice aver con la vista osservato, il compartimento della disugualità delle velocità seguire la proporzione delle gravità: che io non ho avuto mai bisogno di fare, nè di dire che si faccia, cotali  100 compartimenti, e solo ho detto che tali mobili passano il medesimo spazio nell’istesso tempo; esperienza, che non solo la vista, ma l’udito e il tatto ancora possono perfettamente conoscerla. [p. 725 modifica]

Io sin qui vi ho prodotti duo luoghi dove Aristotile afferma, il senso della vista avergli mostrato, la proporzione delle velocità de’ mobili ineguali esser l’istessa che quella delle gravità loro; tocca ora a voi a insegnarmi i luoghi dove non dalla esperienza, ma dalla ragione, ha appreso tal dottrina, la qual ragione dite che io doveva prima solvere, e poi argomentarli contro  101: perchè se voi non mi palesate  102 il luogo nel quale tal ragione si contiene, io vi stimerò men pratico sopra i testi di Aristotile di quello che voi vorreste esser tenuto, o vero che mi abbiate voluto ingannucciare  103, col dissimulare quelle esperienze che vi sono, adducendo quelle ragioni che non vi si trovano; o vero stimerò (e questo senza fallo è il più vero concetto) voi pieno di mal talento contro di me, che trascorriate senza molta considerazione a far, come si dice, d’ogni erba fascio, e, perchè  104 speriate di oscurare quella gloria, quale ella si sia, che le mie molte nuove osservazioni mi hanno acquistato appresso quelle nazioni dove, per la lontananza, non arriva il dente dell’invidia a destare la malignita, fatto cieco dall’ira meniate  105 a traverso non puro ad Aristotile, ma bene spesso a voi medesimo. Quanto poi a quel che voi dite, che io dovevo addur le ragioni che, oltre all’esperienza (per vostro detto, fallace), mi persuadono l’egual velocità de’ mobili, quanto si voglia diseguali, non mancherò di farvele sentire più a basso. 6. In tanto, per il vostro sesto mancamento, faremo un poco di reflessione sopra quelle cose che voi medesimo producete come ragioni di questa reciproca corrispondenza di gravità e di velocità. Già di sopra vi ho scoperto la indiretta conseguenza che voi cavate dalle premesse, mentre dite: «L’effetto della gravità è tendere all’ingiù; dunque, ove più gravità si trova, ivi deve accelerarsi più il moto del corpo cadente»; la qual conseguenza non si può cavare dalle premesse, nelle quali non si è fatto menzione di veao locita, ma sì bene dell’ingiù  106, perlochè  107 l’argomento dovea camminare così: «L’effetto della gravità è tendere all’ingiù; dunque, ove è maggiore gravità, ivi maggiormente si deve tendere all’ingiù»; e così era vero e camminava bene. E se, per sorte, col mutar l’assunto voi stimaste di poter direttamente concludere, dicendo: «Effetto della [p. 726 modifica] gravità ò indurrò velocità; adunque, dove è maggior gravità, ivi sarà maggior velocità, dubito che non incorriate in una altra sorte di equivoco, cioè in quella che  108 prova idem per idem, perchè a voler poter con Aristotile inferirò che la velocità cresca secondo la proporzione delle gravità  109, non basta supporre indeterminatamente che la gravità induca la velocità, ma, convien supporre che la velocità cresca secondo l’accrescimento della gravità; ma questa è poi la medesima conclusione che s’intende di dimostrare: et sic novissimus error esset peior priore.

7. Voi, seguendo di voler pur corroborare la medesima proposizione, incorrete nel settimo orrore, con dire che tutte le verità delle misure infallibili de’ pesi son fondate sopra questa irrefragabile. Qui la prima e la più congrua risposta sarebbe il domandarvi che mi andaste dichiarando ad una ad una quali siano queste che voi chiamate verità di misure de’ posi, mostrandomi di più come siano fondate sopra la irrefragabile etc.; ma la mia clemenza non vuole che io vi induca a martirizzarvi in cercare quello che già mai non trovereste, perchè non è al mondo. Vi scuserò bene in parte di proferire simil concetto non falso nè vero, perchè è senza senso, essendo voi, per quello che si scorge dalla vostra dicitura, ed anco per vostra propria confessione, assai ignudo delle scienze matematiche, delle quali quella parte che considera i momenti della gravità e della velocità de’ corpi, che si chiama meccanica, è membro assai nobile e principale. Userò bene, a vostro benefizio, questo atto di carità, di trarvi d’errore, se saprò esplicarmi a bastanza, con dichiararvi quello che è vero e che voi avereste dovuto e forse volsuto dire, ma vi sete confuso. Però sappiate che le gravità, le velocità e loro momenti entrano  110 nelle contemplazioni mecaniche, ma però senza mai apprender per vero che le velocità de’ gravi liberamente cadenti seguano la proporzione delle gravità di quelli, perchè questo è falsissimo. Voi, per quel che io vo conietturando, avete trovato scritto (e forse nell’introduzione di Aristotile alle Questioni Mecaniche) di gravità, di velocità maggiore e minore  111, e di certo rispondere proporzionatamente questa a quella; e venutovi il bisogno, per mantenimento dell’opinione di Aristotile e vostra, avete accozzato insieme cotali parole con ordine tale, che formino la proposizione che dice  112, le maggiori e minori velocità de i [p. 727 modifica] mobili rispondere proporzionatamente  113 allo loro maggiori e minori gravità, in guisa tale che la velocità del mobile più grave alla velocità del men grave abbia la medesima proporzione che la gravità di quello alla gravità di questo: e qui vi sete ingannato in digrosso. Onde, per disingannarvi, sappiate, Sig. Rocco, che quella ragione certa sopra la quale sono fondate tutte le verità delle  114 misure infallibili de’ pesi (uso la vostra frase, benchè di parole mal congruenti), cioè, volete dir voi, che è il primario fondamento della scienza  115 meccanica, resulta da quelle sopradette parole nel seguente modo ordinato, cioè: Quando di due corpi differenti in gravità la velocità dell’uno alla velocità dell’altro averà la medesima proporzióne che la gravità dell’uno alla gravita dell’altro, i momenti loro saranno compensati e pareggiati: e però (per darvene uno esempio) vediamo noi nella stadera il piccolo romano, non più grave di 10 libbre, sostenere una balla di mille libbre, cioè cento volte più grave di lui, tutta volta che dovendosi questa e quello muovere, la velocità del romano riuscisse 100 volte  116 maggiore di quella della balla; il che accaderà quando il romano si allontanerà nell’ago della stadera cento volte più dal sostegno  117 di quella, che  118 non è la piccola lontananza dove è appesa la balla: e questo si dimostra concludentemente negli elementi meccanici. E più potete  119 notare, per vostro ammaestramento, quanto sia falso che nella da voi circonscritta ragione, sopra la quale dite fondarsi le misure de i pesi, si assuma per fondamento che le velocità seguitino la proporzione delle gravità; che, per l’opposito, conviene che quelle abbino contraria proporzione, e che quanto un mobile è più grave dell’altro, tanto la sua velocità sia più tarda. Vedete, Sig. Rocco, se è possibile allontanarsi dal vero più di quello che fanno i vostri discorsi. Ma seguitiamo pure di ventilare la vostra ottava vanità, con due compagne appresso.

8. Voi dite che lo spazio delle cento braccia vien passato da i due mobili, l’uno cento volte più veloce dell’altro, in così breve tempo, che non può dalla vista esser con sì fatte proporzioni diviso; anzi che, per esser ella debole, ne i moti velocissimi, qual sarebbe quello di una palla di una bombarda, non scorge diversità alcuna di tempo tra l’uscita del pezzo e l’arrivo allo scopo, ancorchè per grande [p. 728 modifica] spazio lontano, Concedavisi questo, e più che la velocità è tanta, che la palla nel suo corso fugge totalmente la vista: ma sentite, in grazia, ciò che ha da fare questa vostra considerazione col proposito del quale si tratta; e ditemi se quella palla che, spinta dal fuoco, resta, per la sua velocità, inosservabile  120 e del tutto invisibile, sarebbe ancor tale nel cadere dall’altezza di cento braccia, partendosi dalla quiete e scendendo col moto semplice, suo naturale. Bisogna che diciate di no, se non volete avere in contrario gli occhi di tutti gli altri uomini, che senza dubbio la veggono  121, e conviene anco che confessiate, il tempo della sua caduta esser molto ben considerabile e partibile: e però voi ancora nel camminare di buon passo, ed anco nel correre, potete, come qualunque altr’uomo  122, distinguere, ed anco numerare, i passi che fate. Ora sappiate che una palla di artiglieria di 100 libbre di peso, nel venir dall’altezza di cento braccia, non consuma minor tempo di quello che facciate voi nel camminare cinque o sei passi o nel correre otto o nove: e se il tempo della caduta di una palla di cento libbre è tanto, quello di una che pesi una sola libbra, che per la dottrina di Aristotile e vostra deve esser cento più, sarà eguale a quello del cammino di 500 o 600 passi; e voi con franchezza lo chiamerete, per la brevità, incompartibile? Soggiugnete poi, per maggiore dichiarazione della debolezza ed inabilità della vista, due altri esempi: l’uno, preso dal moto tardissimo dell’orivuolo; e l’altro, dal moto della nave lontanissima, benchè assai velocemente mossa: i quali esempi io veramente non intendo come abbino da fare col nostro proposito; perchè nè il moto delle nostre palle ha nè anco la centomilesima parte della tardità del raggio dell’orologio; nè si domanda che vi constituiate, nel fare la osservazione, lontano dalla torre nè anco la centesima parte di quello che è la nave allora che il suo moto, benchè veloce, apparisce inosservabile. E qui noto che voi, per sostenere in piedi la vostra mal 30 fondata proposizione, avete bisogno che nessuno de’ moti del mondo sia nè osservabile nè partibile; onde, fattovi adito da i moti delle artiglierie e delli orologi, quelli incompronsibili per la somma velocità, e questi per la soverchia tardità, prendete animo di metter tra questi quei de’ gravi cadenti, ancorchè il movimento loro sia egualmente lontanissimo dalle inosservabili velocità e tardità. Di più, se il tempo del [p. 729 modifica] moto della palla doli’artiglieria è inosservabile ed impartiile, e questo per la sua estrema velocità, par bene che ragionevolmente si possa concludere che, all’incontro, la molta tardità renda il tempo del mobile ed osservabile e comparatiile; e ciò bene si vede accadere, mentre lo spazio, che dal raggio si passa, si divide in 24 parti ed anco tal volta in 96 e in 1440, ed in conseguenza il tempo medesimo in ore, in quarti ed anco in minuti  123. Ma che dico io della facilità del misurare i moti  124 tardi e i spazi loro? voi stesso lo avete prima di me avvertito e scritto, mentre dite che io da semplice vorrei misurare le predette velocità così agiatamente, come se quei mobili cadenti si movessero con i passi  125 della testuggine.

9. Consideriamo adesso il vostro 9° errore, nato per non aver avvertito, o forse non inteso, il computo che io io nel ritrovare il tempo della caduta di una palla di artiglieria dal concavo della Luna sino al centro della Terra: e perchè io pongo che tal distanza sia 196000 miglia, ed il tempo della scesa ore 3. 22’. 4", sopra tale ipotesi concludete, il tempo nel quale la medesima palla passerebbe 100 braccia solamente, che sono (dite voi) meno della decima parte di un miglio (ma io vi concedo, esser anco a pena la trentesima), dover veramente esser momentaneo ed impercettibile: il che io liberamente vi concedo delle ultime cento braccia, prossime al centro, ed anco delle cento terminate su la superficie della Terra, ma non già delle prime, contigue all’orbe lunare, di dove, partendosi dalla quiete, comincia la caduta della palla. Voi avete preso il moto come se fusse equabile ed in tutto lo spazio uniforme, nè vi è sovvenuto che ei va continuamente accelerandosi. Concedovi  126 per tanto (ma senza veruna vostra utilità) che le cento braccia della Terra sarebbero passate in un brevissimo momento dalla palla che si fusse mossa dal concavo della Luna; ma quando ella avesse a cominciare il moto nella sommità di essa torre, il tempo della sua caduta sarebbe di quei 5 minuti secondi  127 che io scrissi e che dovevano esser da voi considerati: e se non che veramente io credo che l’error vostro sia nato per non aver inteso quanto io scrivo, bisognerebbe con più grave nota affermare che voi avete  128 voluto ingannare il lettore, ed a me appostatamente imporre una troppo puerile inconsideratezza. [p. 730 modifica]

10. Dalle cose dette sin qui vedete, per il vostro 10° orrore, quanto sia fuori del caso quello che soggiugnete per confermazione che noi giudicare delle pretese proporzioni di tempi e di velocità non si debba ricorrere al senso, ma alla ragione, debole e fallace, confermando ciò con l’esempio della composizione del continuo, creduta, per vostro detto, da’ matematici e dalla miglior parte de’ filosofi esser di parti infinite, le quali in verun modo possono  129 esser comprese dal senso, ma a pena dall’intelletto, e non senza qualche repugnanza. Lascio stare che al vostro intento meglio e più sicuramente quadrava la incommensurabilità delle linee che la loro composizione di parti infinite, per esser quella totalmente incomprensibile dal senso, non meno che l’infinità delle parti, ma bene all’intelletto comprensibilissima, e per chiare e necessarie dimostrazioni resa certa; dove che l’infinità delle parti anco all’intelletto è grandemente ambigua. Imperò che se vogliamo che le parti componenti siano quante, è impossibile che siano infinite, perchè infinite parti quante fanno estensione infinita, e non una linea terminata; e se la vorrete  130 compor di punti, cioè di parti non quante, che così potrebbono esser infinite, vi leverete su voi con Aristotele con esclamazioni sino alle stelle. Ma siano quante o non quante, finite o infinite, comprese o non comprese dal senso o dall’intelletto, non capisco come tal cosa possa accomodarsi a rendere il vostro senso inabile a conoscere se due mobili cadenti dall’altezza di 100 braccia percuotano in Terra nell’istesso punto, o pur l’uno resti in dietro 99 braccia quando l’altro arriva in Terra, come ha scritto Aristotile e voi volete  131 veramente sostenere; e dite aver fatto vedere, se non a pieno almeno a porzione (a proporzione si dice), con materie men terree o men pesanti, come sono tavole, a un certo mio parziale  132 l’effetto, e corroborata la dottrina di Aristotile. Ma poco avete voi corroborata questa dottrina, mentre che Aristotile parla in generale, senza restringersi più ad una che ad un’altra materia, purchè nel resto de’ mobili l’altre cose sien pari  133, cioè le figure siano simili; nè distingue le palle dai dadi nè dalle tavole, e sopra tutto dice l’effetto comprendersi con la vista, nè, che io sappia, già mai ne adduce ragione, alla quale crederei pienamente poter rispondere, non potendo ella, come di conclusione falsa, essere concludente. [p. 731 modifica]

Resta finalmente, por sodisfare all’altra parte dell’obbligo che m’imponete, che io produca le ragioni ancora che, oltre alla esperienza, confermano la mia proposizione, se bene, per assicurare l’intelletto, dove arriva l’esperienza non è necessaria la ragione: la quale io pure produrrò, sì per vostro benefizio, sì ancora perche prima fui persuaso dalla ragione che assicurato dal senso. Incontratomi nel testo di Aristotile, nel quale egli  134 por manifesta suppone la sua proposizione, subito sentii gran repugnanza nell’intelletto, come potesse essere che un corpo 10 o 20 volte più grave dell’altro dovesse cadere a basso con decupla o vigecupla velocità; e mi sovvenne aver veduto nelle tempeste mescolatamente cadere piccioli grani di grandine con mezzani e con grandi dieci e più volte, e non questi anticipare il loro arrivo in Terra, ne meno esser credibile che i piccioli si fussero mossi un pezzo avanti de’ grandissimi. Di qui passando col discorso più oltre, mi formai un assioma da non esser revocato in dubio da nessuno, e supposi, qualsivoglia corpo grave descendente aver nel suo moto gradi di velocità, dalla natura limitati ed in maniera prefissi, che il volergli alterare, col crescergli la velocità o diminuirgliela, non si potesse fare senza usargli violenza per ritardargli o concitargli il detto suo limitato corso naturale. Fermato questo supposto, mi  135 figurai con la mente due corpi eguali in mole e in peso, quali fussero, per esempio, due mattoni, li quali da una medesima altezza in un medesim  136o instante si partissero: questi non si può dubitare che scenderanno con pari velocità, cioè con l’assegnata loro dalla natura; la quale se da qualche altro mobile deve loro esser accresciuta, ò necessario che esso con velocità maggiore si muova: ma se si figureranno  137 i mattoni, nello scendere, unirsi ed attaccarsi insieme, quale di loro sarà quello che, aggiugnendo impeto all’altro, gli raddoppi la velocità, stante che ella non può esser accresciuta da un sopravenente mobile se con maggior velocità non si muove? Convien dunque concedere che il composto de’ due mattoni non alteri la lor prima velocità. Da questo primo discorso passai ad un’altra più  138 serrata dimostrazione, provando che quando si supponesse che il mobile più grave si movesse più velocemente, si concluderebbe che il mobile men grave  139 si movesse più velocemente, nella seguente forma. [p. 732 modifica] Ritenendo, Sig. Rocco, per vere le supposte dignità, le quali non credo che voi siate per negare, cioè che ogni grave descendente abbia da natura  140 determinati gradi di velocità, e che non possino essergli accresciuti se non con violentare la detta sua naturale constituzione, intendansi i due mobili A maggioro e B minore  141, de’ quali, se è possibile, A sia naturalmente più veloce e B meno: e perchè, per il supposto, la naturale velocità di B non può esser accresciuta se non per violenza, se noi vorremo crescerla con unirgli PA più veloce, converrà che la velocità di esso A, nel violentare B, in parte si diminuisca, non essendo maggior ragione che io la maggiore velocità di A operi nella minore di B, che la tardità di B rioperi nella velocità di A. Risulterà, dunque, dall’unione de i due A, B un composto di velocità maggior di quella del B solo, ma minore di quella dell’A solo; ed essendo che il composto de i due A, B è maggiore di A solo, adunque il mobile AB maggiore si moverá men veloce che il solo A minore: che è contro il supposto. Questi, Sig. Rocco, son progressi matematici, son conseguenze  142, per quanto stimo, non aspettate da voi - e perchè io son certo che persistendo voi nel credere che, cresciuta in A la gravità per l’aggiunta di B, si debba pur crescere la velocita, se non secondo la proporzione del peso, come sin qui avete voluto con Aristotile, almeno in qualche parte, quanto vi ghignerà nuovo se io vi mostrerò che la giunta di B non accresce un capello la gravità di A, nè la crescerebbono le giunte di mille B, e che in conseguenza, non gli crescendo peso, non gli deve crescer velocità, facendovi toccar con mano come in cotal discorso altamente equivocate! So che voi direte  143: Come sarà mai vero che, essendo A e B due pezzi di piombo, questo sopraposto a quello non gli accresca gravità? Ed io vi aggiungo che, quando B fusse anco di sughero, crescerà il peso, e concorro con esso voi in ammettere die A, posto su la bilancia, peserà più con la giunta di B, che fusse non solamente di sughero  144, ma un fiocco di bambagia o un pennecchio  145 di stoppa; e se A pesasse cento libbre, e B un’oncia di piuma, in bilancia il lor composto peserà cento libbre ed un’oncia: ma il servirsi di tale esperienza nel proposito che trattiamo, è discorso vanissimo e fuori del caso. Però notate, e ditemi, Sig. Rocco: [p. 733 modifica] se ad una palla di artiglieria di 100 libbre di peso, sospesa e sostenuta da una corda, voi poneste sotto una palma della mano e solamente  146 la toccaste, ditemi, dico, se voi sentireste aggravarvi. So che risponderete di no, per esser il peso di quella retto dalla corda, ed impeditoli interamente lo scendere: il quale effetto se, tagliata la corda, voi volete con la forza del vostro braccio vietargli, allora sì che sentireste gravarvi sopra la mano, che doverebbe far  147 l’offizio della corda, proibendo alla palla la naturale scesa. Ma quando alla palla posta in libertà voi non contrastaste, ma andaste cedendo all’impeto di quella  148, con abbassar la mano con la medesima velocità con la quale la palla scenderebbe, ditemi di nuovo se voi, oltre al toccarla, sentireste dal suo peso gravarvi. Bisogna assolutamente rispondere che no, perchè niuna  149 resistenza fate alla premura di quel peso. Cavate ora da questo chiaro e breve discorso, che non potendo dirsi esser aggravato se non quello che al grave descendente contrasta, l’unire e soprapporre  150 l’uno all’altro de’ sopranominati mattoni, che, per esser eguali, anco voi  151 concedete che con pari velocità scendino, non accresce l’uno gravità all’altro, e però nè anco velocità.

Ma sendo voi di già convinto, e necessitato a confessare la falsità del pronunziato  152 generale di Aristotele, che afferma, le velocità de’ mobili di diverse gravità seguire la proporzione di esse gravità, parmi sentirvi  153 insurgere contro il mio detto, che  154 dico muoversi tutti con l’istessa velocità, ed oppormi l’esperienza di due palle di  155 piombo, l’una di 100 libbre, l’altra non maggiore d’un granel di panico  156; delle quali, scendendo dall’altezza di cento braccia, se bene la minima, quando la grande arriverà in Terra, arà calato  157 più della ventimilesima parte di tutta la torre, tutta via  158 non giungerà a basso nell’istesso momento che la grande  159, ma gli resterà per avventura due o tre braccia in dietro: e così nè la mia nè la sua proposizione è vera.  160

Prima che rispondere alla vostra istanza, la voglio ingrandire a mille doppi, ed oppormi le particole di un sasso ridotto in minutissima [p. 734 modifica] polvere, lo quali scenderanno bene nell’acqua, ma quello spazio che una pietra di due o tre libbre passerà in una battuta di polso, quelle non passeranno  161 in molte ore e tal volta in molti giorni, come le acque, torbide per la mistione di simili  162 atomi impalpabili tutto il giorno ci dimostrano, nel non deporgli  163 e chiarirsi se non doppo assai lungo tempo; o di più, contradicendo più apertamente a me medesimo, vi dico che realmente un sasso di 100 libbre si muove più velocemente che uno di 50 o vero 60, ancor che dell’istessa materia o di simile figura  164, e soggiungo che così è necessario che segua. E se il Sig. Hocco avessi un poco di matematica, mi rincorerei di poter dichiararmi  165 in modo, che restasse capace della mia demostrazione, che sarà pura geometrica e necessaria; nella quale io entro con quella medesima limitazione della quale si serve Aristotile, mentre dice che per quello che depende dalla gravità, le velocità seguono la proporzione  166 de’ pesi, e soggiunge si cetera sint paria: ed io, pigliando parimente  167 la limitazione dell’esser le altre cose del pari, dico che, per quello che depende dalla gravità, tutti i mobili, quanto si vogliano disuguali  168 in grandezza, si moveranno con la medesima velocità; ma se ab extra si interporrà qualche ostacolo, sì come sempre di necessità s’interpone, allora la regola, per altro sicura, della gravità vien perturbata tal volta o più che sommamente alterata.

Ora, per intelligenza di questo negozio, bisogna, Sig. Rocco, che voi sappiate, che tutti gli impedimenti che alterano e perturbano la semplicissima regola de’ movimenti naturali, la quale sarebbe che tutti i mobili di qualsivoglia gravità grandezza e figura si movessero con gli istessi gradi di velocità, dependono  169 dal mezzo, il quale, per esser materiale e corporeo, nel dovere essere penetrato dal mobile se gli oppone con qualche resistenza, e la velocità di quello in più maniere ritarda  170; delle quali, una è la maggiore o minore coerenza delle parti di esso mozzo, le quali, nel dover distrarsi  171 o separarsi per dare d transito al mobile, resistono, e più le più viscose  172: e così maggior impedimento arrecherà alla scesa di una pietra la viscosità della pania, che quella del miele. Resiste il mezzo, ancor che in tutto privo [p. 735 modifica] di viscosità, con la sua gravità, la quale toglie  173 totalmente il calare a basso alle materie che non siano in specie più gravi di esso mezzo, ed allo più gravi lo concedo più e men veloce, secondo l’eccesso maggiore e minore della lor gravità sopra la sua propria; onde veggiamo la maggior parte de’ legni scender nell’aria, men grave di quelli, ma non già nell’acqua, e non perchè in essa sia viscosità, ma per essere il legno men grave di quella, come diffusamente dimostro nel trattato delle cose che galleggiano. E qui, per intelligenza di quello che ho da soggiungere, si deve notare, che quelle materie che o da natura  174 hanno una determinata velocità di moto, o pure son costituite in stato di quiete, fanno resistenza alla forza che altro moto gli vuol sopragiungere, e maggiore la fanno secondo che maggiore e maggiore deve esser la velocità del sopravenente moto; e perchè il corpo mobile deve, nell’aprirsi il transito per il mezzo, spingere le parti di esso lateralmente, queste, rimosse dalla lor quiete, resisteranno al novo moto che devono fare; ma ben minima e quasi tal volta insensibile sarà la resistenza se minima sarà la velocità, e grandissima e massima se con grandissima velocità doveranno muoversi: e però nel muovere lentamente la mano per l’acqua o il ventaglio per aria, quasi niuna resistenza  175 sentiamo, che bene assai notabile si trova nel voler movergli con velocità; ed una fusta nel mar quieto cederà  176, ma con moto tardissimo, ad un picciolo fanciullo che con un sottil refe la tiri a sè, che poi la forza di 100 schiavi non basterà per superare il contrasto dell’acqua  177, se con troppa velocità dovrà aprirsi per dar luogo alla barca. Con questa sorte di resistenza ha connessione quella che s’attribuisce alla figura del mobile, perchè mobili  178 della istessa materia o gravità si muoveranno più o meno velocemente secondo che gli spazii da aprirsi per il lor passaggio saranno meno o più larghi; anzi anco un istesso mobile, di figura larga per un verso e stretta per l’altro, scenderà per taglio più velocemente che per piatto, essendo che in quel modo le parti del mezzo poco si hanno a movere per fargli strada, e molto in quell’altro. Èvvi una nuova resistenza, da tutte lo dichiarate differente, e, che io sappia, fin qui non osservata, e principalissima pei risolvere le difficultà del problema che trattiamo: questa consiste [p. 736 modifica] nel toccamente del mezzo fluido e della superficie  179 del corpo mobile, la quale pare che non possa esser mai così densa e liscia  180, che le sue porosità e scabrosità non trovino qualche intoppo nel soffregarsi col mezzo, come sensatamente si vede in un solido, il quale, ridotto sul torno a rotondità quanto più perfetta si possa, nel girar velocemente sopra i medesimi poli del torno mena  181 qualche poco di vento, e non per altro che per gli urti della scabrosità e porosità sua che  182 si fanno nel mezzo ambiente; e questa tal resistenza è tal volta tanta, che nell’ acqua ritarderebbe il moto delle barche assai notabilmente, e però usano con materie bituminose spalmare  183. Tale impedimento è ben necessario che sia piccolissimo, poi che ei non è potente a proibire interamente il moto di verun mobile, benchè, per il suo minimo eccesso di gravità sopra il mezzo, non abbia se non languidissima propensione  184 allo scendere: e dico piccolissimo e quasi nullo, mentre il movimento sia tardissimo; ma quando ei debba esser veloce, la resistenza di quello si accresce.

Da questi nominati impedimenti del mezzo derivano tutte le alterazioni e deviazioni do? movimenti de’ nostri mobili materiali dall’ unica e semplice natural regola, a tutti comunissima, la quale sarebbe che tutti, partendosi dalla quiete, scendessero verso il centro della Terra con moto continuamente accelerato in duplicata proporzione de? tempi, come io dimostro nella mia nuova scienza del moto.

Ma cotal regola vien, primieramente, in modo tale alterata dal mezzo, che a moltissimi mobili vien totalmente levato il moversi verso il centro, cioè a tutti quelli la gravità in specie de’ quali non sia maggiore della gravità del mezzo; e tutti i men gravi vengono dalla gravità del mezzo (intendendo sempre de’ moti ne i fluidi) estrusi  185 e scacciati insù. A quelli poi che, superando la gravità del mezzo, discendono in virtù dell’eccesso del lor peso, vien perturbata la regola della loro accelerazione, la quale non può perpetuarsi secondo la proporzione de’ numeri impari; e ciò proviene  186 dal crescere sempre l’ostacolo e resistenza  187 del mezzo all’essere aperto, secondo che cresce la velocità del mobile: però ne’ mobili di materie molto gravi, in movimenti non molto lunghi, la detta proporzione quasi [p. 737 modifica] inosservabilmente si perturba; la quale, continuando  188 di crescere la velocità e però anco la resistenza del mezzo, si riduce finalmente a egualità  189, che poi perpetuamente si mantiene. Il medesimo accade ancora ai mobili men gravi; ma questi, come superanti con minore eccesso la gravità  190 del mezzo, maggiormente vengono impediti, ed in più breve tempo ridotto il lor moto accelerato ad equalità  189: onde l’altro mobile più grave, che più tardi finisce la sua accelerazione, si trova avere anticipato il men grave, ed avere acquistato grado maggiore di velocità; perlochè, continuando  191 amendue di moversi di movimenti ciascuno per sè stesso uniforme, ma questo più  192 veloce di quello, crescendo il tempo e gli spazii che conseguentemente vengono passati, cresce  193 ancora la distanza tra mobile e mobile, e sempre con l’istessa proporzione  194. Ma perchè il parlare così in universale è alquanto oscuro per esser ben capito dal Sig. Rocco, ed io desidero di essere inteso, acciò che ei 1non si abbia a dibattere in vano per contradirmi, come ben cento e più volte ha già fatto in questa sua operetta, solo per non avere inteso le cose scritte da me, voglio esemplificarli e dilucidargli con un raccolto parlare il mio concetto.

Son dunque, Sig. Rocco, d’oppinione, che pigliando qualsivoglia mobile grave, come, per esempio, tre palle, una di legno, una di pietra e l’altra di piombo, che pesassero, di gravità assoluta, la pietra 4 volte più del legno, ed il piombo 3 volte più della pietra, sono, dico, d’oppinione, che, venendo da qualsivoglia altezza, si moverebbono con i medesimi gradi di velocità per appunto; talchè, partite dalla quiete nell’istesso tempo, si troverebbono sempre di conserva negli stessi momenti  195, tanto nella distanza di 10 braccia dal primo termino, quanto nella distanza delle 100 e delle 1000, e così in tutte le altre; e ciò seguirebbe quando se gli potesser levare gl’impedimenti del mezzo: ma se il mezzo, quale nel nostro caso sia, v. g., l’acqua, so sara più grave del legno, la palla di tal materia non solamente verrà ritardata nello scendere, ma del tutto impedita, e dal peso dell’ambiente estrusa insù, nel modo che tutte le materie comunemente credute leggiere si muovono in su per estrusione, e non in altra maniera, Sig. Rocco. Ecco dunque l’impedimento massimo. Alla pietra poi ed al piombo ritarda l’acqua la loro assoluta velocità, la quale [p. 738 modifica] figuriamoci che fusse tale che passassero la profondità di 1000 braccia in 24 battute di polso; o posto che la pietra fusso 4 volte più grave dell’acqua  196, ed il piombo tre volte più grave della pietra, e 12 dell’ acqua, posti ambi duo nell’acqua, la quale alla pietra detrae la quarta parte del peso ed al piombo la duodecima, detrarrà alla pietra la quarta parte della velocità ed al piombo la duodecima  197: onde le 1000 braccia di profondità verrebbono passate dalla pietra in 30 battute, e dal piombo in 26. Ma perchè, crescendo la velocità del mobile, cresce sempre la resistenza del mezzo, questa finalmente divien tale, che proibisce a’ mobili il continuar  198 più l’accrescimento di nuova velocità, e prima lo proibisce  199 a’ meno validi; onde prima sarà ridotta la pietra alla privazione del nuovo acquisto, che il piombo, il quale, continuando  200 ancora per qualche tempo di augumentare la sua velocità, si ritroverà per qualche intervallo anteriore alla pietra e con qualche grado maggiore di velocità: ed essendo in tal tempo la profondità passata dal piombo, v. g., braccia 100, e la passata dalla pietra braccia 90, continuando ambi dua di moversi, ciascuno per sè stesso uniformemente, sarà sempre il piombo anteriore alla pietra  201, cioè sarà sempre lo spazio passato dal piombo al passato dalla pietra come 100 a 90; sì che in ultimo, quando il piombo sarà sceso le 1000 braccia, la pietra ne averà passate 900.

Ma facciamo, Sig. Rocco, per vostra maggior maraviglia, l’esame di quello che accaderà tra questi medesimi mobili in un mezzo men grave, qual sia, per esempio, l’aria, della quale ponghiamo, v. g., la pietra esser 1000 volte più grave e il piombo  202 3000, del quale, secondo la regola d’Aristotile, il moto doverebbe essere tre volte più veloce, e veggiamo quel che ne darà la regola mia, col supporre che, quando si togliesse l’impedimento del mezzo corporeo  203 (il che forse accadrebbe nel vacuo), le velocità del piombo e della pietra fussero egualissime; acciò che voi  204 possiate conoscere con qual delle due oppinioni meglio s’accordi l’esperienza. E perchè l’aria detrae dal vero peso della pietra delle 1000 parti una, ma al peso del piombo delle 3000 una, però, diminuite le velocità con simil proporzione, voi troverete che, cadendo tali mobili dall’altezza di 100 braccia, nella [p. 739 modifica] quale l’impedimento dell’aria cedente assai poco può avere alterata la regola assoluta del peso, il piombo nel tempo che senza l’impedimento dell’aria arebbe passato le 100 braccia, ne arà passati  205 un 3000 manco, ma la pietra un millesimo  206, cioè tre tremilesimi; ma un tremilesimo di cento braccia  207 è circa a un  208 dito; per lo che dovrà in tale altezza il piombo aver preceduto la pietra, la quale avrà fatto un millesimo manco  209, di circa due dita. Fate, Sig. Rocco, tale esperienza con due palle di notabil grandezza, quali sarebbono di un falconetto, e resterete chiaro: e se piglierete la palla di piombo ed una di sughero  210, del piombo 100 volte men grave, quando il piombo, secondo la mia regola, ara passato le 100 braccia, il sughero ne arà scese circa 97  211, e non un solo, che sarebbe secondo la regola d’Aristotile. Ma qui la resistenza dell’aria, che al gran peso del piombo leggier contrasto fa nel principio del moto, ma doppo  212 breve spazio molto pregiudica all’accelerazione del sughero leggiero, è causa che il sughero doppo  213 non molto spazio si riduce all’equabilità del moto, ma non già il piombo, se non molto doppo; e però accaderà che negli spazii grandissimi si potrebbe vedere il piombo aver di molto anticipato il sughero  210.

Cotali sono gli accidenti della gravità del mezzo e della sua resistenza all’essere aperto e lateralmente mosso, con i quali possiamo congiungere quello che depende dalla figura, più o men dilatata ed in questo o in quel modo posta in uso; perchè una falda che per piatto debba scendere, più lenta sarà che scendendo per taglio, dovendo in quel modo far maggiore apertura nel mezzo che in questo. Resta ora che consideriamo ciò che operi la aderenza del mezzo alle porosità e scabrosità delle superficie de’ mobili, il quale impedimento, ancor che debolissimo, è pur potente a cagionare grandissime differenze nelle velocità e tardità. Tale impedimento non par che si possa dubitare che sia maggiore in quei corpi che, ceteris paribus, so hanno maggior superficie, e che però in un cubo o dado di pietra, che pesi una libbra, tal resistenza sarà maggiore che in una  214 palla della medesima materia e peso, quanto la superficie del cubo è maggiore della superficie della palla. A questo aggiungo, che ne’ corpi della medesima materia e simili di figura, cotale impedimento non [p. 740 modifica] riceverebbe augumento nè diminuzione per crescimento o diminuzione di grandezza, tutta volta che le loro superficie crescessero e calassero con la medesima proporzione; ma perchè le superficie de’ solidi simili non nella medesima  215 proporzione, ma in minore, cioè in subsesquialtera, di quella di essi solidi crescono e calano, però, diminuendo assai più la grandezza e peso del solido che non diminuisce la superficie, l’impedimento vien tutta via crescendo a proporzione della virtù, cioè della gravità, del solido, dalla quale l’impedimento dell’aderenza della superficie deve essere superato. Eccomi, Sig. Rocco, a voi con un esempio  216 più intelligibile di queste mie matematiche (uso la vostra frase). Figuratevi un dado, che ciascheduno de’ sua lati sia lungo due dita; sarà ciascheduna delle sue faccie  217 dita 4 quadre, e tutta la sua superficie  218, 24 dita quadre: segate poi quel dado  219 con tre tagli in 8 dadi, i quali saranno lunghi un dito per ogni verso, e, quanto alla grandezza solida ed il peso  220, ciascheduno sarà l’ottava parte del primo; ma la sua superficie sara molto più che l’ott, ciascheduno sarà l’ottava parte del primo; ma la sua superficie sara molto più che l’ottava parte della superficie del primo, perchè sarà di sei quadrati  221, dei quali la superficie del primo era 24: il peso dunque è l’ottava parte, ma la superficie è la quarta; cioè l’impedimento, dependente dall’aderenza della superficie con il mezzo, è il doppio più di quello che doverebbe per esser superato dal peso del dado minore con quella proporzione con la quale il primo e maggior dado superava l’impedimento simile con la sua propria gravita. Che se voi di nuovo subdividerete  222 uno di questi minori dadi in 8, sarà  223 il solido ed il peso di uno di questi la 64ma parte del primo; ma la sua superficie sara la 16ma, e non la sessantaquattresima, cioè quattro volte più del bisogno per mantenere la proporzione della resistenza. E così se noi anderemo subdividendo  224 e scemando sempre con proporzione maggiore la mole corporea che la superficie  225, cioè diminuendo quella in sesquialtera proporzione di questa ci ridurremo a una polverizzazione di particole così minime, che la mole e gravità loro diverrà piccolissima in comparazione delle loro superficie, le quali potranno essere mille volte maggiori di quello che converrebbe acciò fusse l’impedimento della aderenza con la medesima proporzione superato dalla gravità de’ loro corpuscoli: e questi saranno [p. 741 modifica] quei minimi atomi della sottilissima arena che intorbida l’acqua, e che non calano  226 se non in molte ore quello spazio che un sassetto quanto una noce passa in una battuta di polso.

Qui mi par, Sig. Rocco, vedervi insurgere contro a tutto il mio passato discorso, e sogghignando far  227 gran meraviglia come io mi sia preso ardire di fare un supposto tanto repugnante al senso ed alla ragione e non meno alla dottrina d’Aristotile, mentre pare che io supponga come proposizione assolutamente vera che tutti i mobili, di qualsivoglia materia grandezza e figura, rimossi gl’impedimenti del mezzo materiale, dovessero moversi con gli stessi gradi di velocità, accennando io in certo  228 modo che tale effetto seguirebbe nel vacuo, dove pare che il medesimo Aristotile, fondato parimente sulla resistenza del mezzo, demostri che il moto doverebbe essere  229 o istantaneo o più tosto nullo. Io vi confesso che inclino al primo supposto, e vi produrrò i miei motivi doppo che vi arò mostrato la fallacia d’Aristotile nel voler distruggere il moto nel vacuo. Consiste  230 l’inganno suo nell’assunto che ei fa, supponendo che il medesimo corpo mobile discenda per diversi mezzi con velocità proporzionali  231 alle sottilità e cedenze  232 di essi mezzi; sì che sendo, v. g., la sottilità dell’aria 10 volte  233 più cedente, o men resistente, della corpulenza e crassizie dell’acqua, quel mobile che scendesse con 20 gradi di velocità per l’aria, nell’acqua scenderebbe con due solamente: e perchè la sottilità del vacuo, come infinita e nulla resistente, supera d’infinito intervallo quella dell’aria o di qualsivoglia spazio pieno, però la velocità nel vacuo sarebbe infinita, cioè il moto istantaneo  234, cioè finalmente nullo, repugnando il darsi il moto  235 in instanti  236. Tale è il progresso d’Aristotile, fabricato sopra falso fondamento, perchè falso è che un medesimo mobile ritenga in diversi mezzi le sue velocità proporzionali alle crassizie e sottilità di essi mezzi; perchè, se ciò fusse vero, tutte le materie che scendessero in un mezzo, doverebbono scendere in tutti, atteso che non ci è proporzione alcuna tra le corpulenze di due mezzi, che qualsivoglia grado di velocità non l’abbia a qualche altro; e però quello che scende in un mezzo, scenderebbe in tutti. Mi dichiaro per il Sig. Rocco. Sia l’acqua 10 volte più crassa e resistente dell’aria, e scenda una palla d’abete [p. 742 modifica] con venti gradi di velocità per l’aria; e perchè tal velocità è decupla della velocità di due gradi, sì come decupla è la corpulenza dell’acqua di quella dell’aria, adunque la palla d’abeto scenderà per l’acqua  237 con dua gradi di velocità: ma non scende con alcuno: adunque l’assunto d’Aristotile è falso. Sento la ritirata del Peripatetico, che dice che Aristotile parla di quei mobili che scendono nell’un mezzo e nell’altro, e non di quelli  238 che scendono in un mezzo sì e nell’altro  239 no: ritirata che par qualche cosa in vista, ma in effetto è nulla. E lascio star di dichiarare come Aristotile non potrebbe concludere il moto istantaneo nel vacuo, di quei mobili che scendessero nell’aria e nell’acqua galleggiassero, e domando se  240 si potrebbe trovare un mobile che nell’acqua scendesse con due gradi di velocità. Credo pure che converrà dire di sì, e confessare appresso che tal mobile sarebbe più grave dell’abeteo: sia, per esempio, una palla d’ebano. Ora, se la velocità di questa palla nell’acqua, che  241 ha 10 di corpulenza, è di due gradi, qual sarà la velocità sua nell’aria, 10 volte men grossa dell’acqua?  242 Convien rispondere, dover essere, per la regola d’Aristotile, 20 gradi: ma 20 gradi si suppone esser per aria anco la velocità dell’abeto: adunque le due palle d’ebano e d’abeto, tanto differenti in gravità, si moveranno nell’istesso mezzo, cioè nell’aria, con pari velocità. Vedete, Sig. Rocco, a che passi conducono  243 lo zoppicanti supposizioni: e però concludete che le velocità del medesimo mobile in diversi mezzi si regolano non con le corpulenze  244 de’ mezzi, ma con gli eccessi della gravità assoluta del mobile sopra la gravità de’ mezzi, li quali detraggono sempre dalla gravità del mobile, e però dalla sua velocità; la qual velocità nel mezzo che nulla gli sottraesse di gravità resterebbe non infinita, ma bene intera e non diminuita; e però tutti i mobili eserciterebbono la loro naturale  245 velocità solo nel vacuo, e non in alcuno degli spazii pieni, li quali, detraendo sempre della gravità de’ mobili, scemano la lor velocità, e con gli altri sopranominati impedimenti la conturbano.

Restaci finalmente da spuntar lo scoglio più duro, e mostrare da quali sorte di conietture (già che l’esperienza è forse impossibile a farsi) io mi sia lasciato indurre a poter credere, le innate velocità di [p. 743 modifica] tutti i mobili dovere essere nel vacuo tra di loro tutto simili  246 ed eguali, crescenti però continuamente in duplicata proporziono de’ tempi. Ha la mia coniettura auto fondamento sopra certo effetto che si osserva tra le velocità  247 de’ mobili di diversa gravità ne’ mezzi pieni: il quale è, che le velocità dette si fanno più e più differenti, secondo che i mezzi si fanno più gravi. L’oro, gravissimo sopra tutte le materie da noi conosciute, esso solo descende nell’argento vivo  248, dove tutti gli altri metalli galleggiano; però è manifesto potersi fare un misto d’oro o d’argento tale, che lentissimamente scenda  249 nel mercurio, sì che la profondità, per esempio, d’un braccio, che l’oro puro passa in una battuta di polso, il misto non la passasse in manco di 50 o di 100: ma poi se noi faremo scendere li medesimi  250 mobili nell’acqua, l’oro schietto  251 non arriverà al fondo di 4 braccia la decima parte del tempo prima del misto; nell’aria poi, in 100 braccia d’altezza, non si potrà distinguere anticipazione alcuna di tempo o d’intervallo. Nel  252 mezzo dell’acqua, dove la cera schietta non va al fondo, possiamo farne  253 una palla, quale con aggiunta di pochi grani di piombo o altra materia grave descenda la profondità di 4 braccia in 20 battute di polso, la quale una palla di marmo scenderà in 2 battute di polso solamente: ma queste medesime passeranno altrettanta profondità d’aria in tempi inosservabilmente diseguali. Piglio due palle eguali in mole, una d’oro e l’altra di sughero, quella oltre a 100 volte più grave di questa: le quali se io lascierò cadere dall’altezza di 100 braccia d’aria, è vero che l’oro anticiperà il sughero di due o tre braccia e forse  254 di più; ma nell’altezza  255 di un braccio o di dua la differenza  256 di velocità sarà quasi insensibile: e quelle differenze che ne’ lunghi intervalli si fanno, tra l’oro ed il sughero, grandemente notabili, non dependono dallo diverse gravità, ma dalli impedimenti  257 de’ mezzi, come di sopra ho dichiarato; chè se l’oro traesse la superiorità di velocità sopra al  258 sughero  259 dalla gravità, pare molto ragionevole che, rimosse tutte le alterazioni che dal mezzo o da altro potessero provenire, dovesse l’oro superare il sughero in velocità con la proporzione con la quale lo supera nella gravità, e che però anco nell’altezza di 4 braccia [p. 744 modifica] l’oro si movesse  260 100 volte più veloce del sughero. Quando dunque si facciano simili esperienze in piccole altezze, per fuggir  261 più che si può gli accidentali  262 impedimenti dei mezzi, tuttavolta che noi veggiamo che, con l’attenuare e alleggerire il mezzo, anco nel mezzo dell’aria, che pure è corporeo  263 e però resistente, arriviamo a vedere due mobili sommamente differenti di peso, per un breve  264 spazio, muoversi di velocità niente o pochissimo differenti, le quali poi siamo certi farsi diverse non per le gravità, che sempre sono l’istesse, ma per gl’impedimenti e ostacoli  265 del mezzo, che sempre si agumentano; perchè non deviamo tener per formo, che rimosso del tutto la gravità la crassizie e tutti gli altri impedimenti del mezzo pieno, nel vacuo i metalli tutti, le  266 pietre, i legni ed in somma tutti i gravi, si movesser con Pistessa velocità?

E tanto basti per ora aver notato sopra a queste poche conclusioni d’Aristotile e vostre, tra le moltissime attenenti al moto locale; e doppo che avrete, Sig. Rocco, bene bene esaminati ponderati e paragonati insieme i vostri discorsi con i miei, e ridottovi a memoria il detto del Filosofo, che ignorato motu ignoratur natura, giudicate con giusta lance qual de’ dua modi di filosofare cammini più a segno, o il vostro, fisico puro e semplice bene, o il mio, condito con qualche spruzzo di matematica; e nell’istesso tempo considerate chi più giustamente  267 discorreva, o Platone, nel dire che senza la matematica non si poteva apprender la filosofia, o Aristotile, nel tassare il  268 medesimo Platone per troppo studio  269 nella geometria.


Per la fac. 170 e 177  270 [pag. 682, lin. 19 — pag 683, lin. 29].

Ma passiamo pure a considerare quello che scrivete, Sig. Rocco mio, nelle 2 seguenti facciate  271: concetti composti di parole matematiche, ma tali che io, che ne fo professione e che ho inteso quello che scrivono Euclide, Apollonio  272, Archimede, Tolomeo ed altri molti celebri autori, non ne so trar costrutto alcuno. E perchè io credo [p. 745 modifica] che voi concorriate meco in ammettere che uno che voglia  273 parlare di un’arte difficile in se stessa e da sè mai non istudiata non possa fuggire  274 il dir cose fuor del caso ed inintelligibili da chi le ascolta, però, se voi vi metterete le mani  275 al petto e, facendo un soliloquio, v’anderete rammemorando ed esaminando io studio che averete fatto  276 intorno a queste matematiche scienze, certo non mi attribuirete ad  277 ottusità di cervello il non trar costrutto dalle cose da voi in cotal materia proferite. Con tutto ciò mi anderò ingegnando di penetrar qualche cosetta con vostro guadagno  278, poi che nel fine di questa parte dite che avresti ben caro d’avere l’evidenze infallibili che vantano i matematici di simil  279 difficultà.

Però, dove voi dite d’aver sempre stimato difficile, inintelligibile e per avventura falso, un nostro  280 comunissimo detto, Sphaera tangit planum in  281 puncto; e che a così  282 credere vi muove il manifesto assurdo e conseguenza  283 falsissima, per tale stimata da’filosofi e matematici, che ne  284 seguirebbe, che la linea verrebbe ad esser composta di punti, dove, all’incontro, e questi e quelli vogliono tutti che ogni quantità continua costi di parti sempre divisibili; vi rispondo concedendo  285 esser difficile e sin qui stata quasi inintelligibile, ma non già mai falsa, la composizion della linea di punti  286 e del continuo d’indivisibili. Ed avvertite che voi mostrate poco studio degli autori matematici, mentre gli mettete in schiera con i filosofi, non avendo quelli trattata mai tal questione  287, se non forse qualche matematico della seconda o d’altra inferior  288 classe.

Io, Sig. Rocco, di parere diverso da gli altri, stimo vera l’una e l’altra proposizione: essendo  289 certo che il continuo costa di parti sempre divisibili, dico che è verissimo e necessario che la linea sia composta di punti, ed il continuo d’indivisibili; e cosa forse più inopinata vi aggiungo, cioè che, essendo il vero un solo  290, conviene che il dire che il continuo costa di parti sempre divisibili, col dire che il continuo costa d’indivisibili, siano una medesima cosa. Aprite, di grazia, gli occhi a quella luce stata forse celata fin qui, e scorgete  291 [p. 746 modifica] chiaramente che il continuo è divisibile in parti sempre divisibili, sol perchè costa d’indivisibili: imperò che se la divisione e suddivisione si ha da poter continuar sempre, bisogna necessariamente che la moltitudine delle parti sia tale che già mai non si possa superare; e sono  292 dunque le parti infinite, altrimenti la divisione si finirebbe; e se sono infinite, bisogna che non siano quante, perchè infiniti quanti compongono un quanto infinito, e noi parliamo  293 di quanti terminati: e però gli altissimi ed ultimi, anzi primi  294, componenti del continuo sono indivisibili infiniti. Non vedete voi che il dire che il continuo costa di parti sempre divisibili  295, importa che, dividendo e suddividendo, non si arrivi mai a’ primi componenti? I primi componenti, dunque, sono quelli che non sono più divisibili, ed i non più divisibili sono gl’indivisibili.

Qui sogliono farsi innanzi i filosofanti, con atti e con potenze, dicendo, le parti divisibili nel continuo essere infinite in potenza, ma sempre finite in atto: fuga che può essere che essi l’intendino e vi si quietino, ma io veramente non ne so cavar costrutto veruno; ma Forse il Sig. Rocco me ne farà capace. Onde io domando, in qual maniera in una linea lunga quattro palmi siano contenute quattro parti, cioè quattro linee di un palmo l’una; dico se vi sono contenute in atto, o in potenza solamente. Se mi dirà, contenersi in  296 potenza solamente, mentre non sono divise o segnate, ed in atto poi quando si tagliano, io pur gli proverrò che parti quante nè in atto nè in potenza possono essere infinite nella linea. Imperò che io domando di bel nuovo, se nell’attuar  297, col dividerle, le quattro parti, la linea di 4 palmi cresce o scema, o pur non muta grandezza. Credo che mi sarà risposto che ella resta della medesima  298 quantità per appunto; adunque, concluderò io, se una linea resta sempre della medesima grandezza, contenga ella le sue parti quante in atto o abbiale in potenza  299, non potendo ella contenerne infinite in atto, nè meno le potrà ella contenere in potenza: e così parti quante infinite nè in atto nè in potenza possono essere nella linea terminata.

Vengo ora ad un altro punto: ed ammettendo questa fuga o trovato d’atto o di potenza  300, dico che nel medesimo modo appunto appunto che  301 voi fate contenere 4 linee di un palmo l’una alla linea di [p. 747 modifica] 4 palmi, e 8 di mezzo palmo, e 400 di un centesimo di palmo  302, e 4 milioni d’un milionesimo, ella contiene infiniti punti; e se voi dite che col segnarle e dividerle potete dalla potenza ridurle all’atto, ed io vi dico che con simile artificio, anzi che con  303 più spedito, attuerò i miei infiniti punti. E qui non credo già che ricerchiate che io cominci a segare la linea in due parti, e poi in 4, e poi in 8, e in 16 etc., sin  304 che io arrivi all’infiniti punti, perchè nè anco voi  305 con simil progresso arriverete mai alla risoluzione delle parti divisibili sempre, non potendo voi varcare oltre  306 al sempre: nè meno credo che voleste vedere in tavola i punti, distinti e separati l’uno dall’altro, perchè ci bisognerebbe una tavola lunga in infinito, per capire non tanto i punti che dico essere infiniti, quanto gl’intervalli infiniti tra l’uno e l’altro; nè forse voi ancora, potreste mostrarmi le parti divisibili, separate tutte: però conviene trovare qualche altra maniera di attuazione  307. Ditemi per tanto se voi chiamereste, attuare  308 a vostra satisfazione le sopradette 4 linee, quando, senza staccarne l’una dall’altra, si piegassero ad angoli e se ne formasse un quadrato  309. Confido che tale attuazione vi basterebbe: e quando ciò sia, il piegarla in 8 angoli, formandone un ottagono  310, pur doverà bastare per attuare le sua otto parti, di mezzo palmo l’una; ed in somma, inflettendola  311 in poligoni di 100, mille e cento milioni  312 di lati e di angoli, si verranno ad attuare le centesime, millesime, le centomillionesime  313 parti quante: ed io  314 col piegarla od incurvarla in un cerchio ne formerò, assai più speditamente d’altri poligoni rettilinei, il poligono di lati infiniti, e così arò attuato i punti  315 infiniti della medesima linea; il qual cerchio arà tutti i requisiti di tutti gli altri poligoni, ed altri appresso assai più  316 maravigliosi. Il poligono di 100 lati, eretto sopra un piano, lo tocca con uno de’ sua lati, cioè con la centesima parte del suo perimetro: il cerchio, postovi nel medesimo modo, lo tocca parimente con uno de’ suoi infiniti lati, cioè in un  317 punto. Quel poligono, nel voltarsi, imprime nel piano, in una sua conversione, una linea retta continuata  318, composta delle 100 parti del suo ambito; il cerchio in una sua conversione disegna una linea retta composta  319 degl’infiniti suoi punti ed [p. 748 modifica] eguale alla sua circonferenza.. Altre conseguenze poi ed ammirande  320 lo sentirete altra volta, dove spero dimostrarvi che la strada che si tiene comunemente nel voler comprendere i progressi della natura, incammina  321 così bene i filosofi suoi verso il termine desiderato, col bandire dalla lor mente gl’infiniti, gl’indivisibili, i vacui, come concetti vani e perniziosi ed esosi ad essa natura, come bene incamminerebbe  322 il suo scolare quel pittore  323 o quel fabro il quale gii desse per i primi principii  324 il dar bando ai colori, ai pennelli  325, alle incudini, a i martelli, alle lime, come materie e strumenti inutili, anzi dannosi, a simili esercizii.

Ma facciamo qualche altra considerazioncella  326 sopra il vostro testo: e dove voi ponete por il primo e massimo inconveniente che seguirebbe, se la sfera toccasse in  327 un punto, l’esser la linea composta di punti, già potete  328 vedere da quanto ho detto, che l’assurdo non è così sicuro come voi lo fate; nè meno è vero quello che soggiungete, che tal composizione sia stimata falsissima in filosofia e matematica, perchè da i matematici celebri tal proposizione non ò trattata, non che conclusa o negata. Soggiungete poi (e sia detto con vostra pace) un masticaticcio di cose inconseguenti  329 ed, al mio cervello, senza senso, con dire che la sfera saria di  330 punti e di niuna quantità, perchè voltandola in giro, senza variar sito o distanza (distanza da chi, Sig. Rocco?), sempre toccherebbe in un punto. Credo che abbiate voluto dire, che rivolgendo  331 la sfera in sè stessa, ma sempre sopra l’istesso punto  332 del piano, si segnerebbono sulla superficie di essa sfera cerchi o altre linee curve infinite, delle quali essa superficie sferica sarebbe composta; ed essendo esse linee composte di punti, verrebbe in conseguenza anco ad esser di punti composta la sferica superficie: il che voi reputate impossibile, ma io no; e stimo, che sì come la linea è composta  333 di punti, così la superficie sia composta di linee  334; ma è quella e questa, di punti infiniti e di linee infinite  335  336.

Le conseguenze che soggiungete poi, son ben verissime, ma non [p. 749 modifica] pregiudicano a nessuno. Vero è che  337 il punto, per essere indivisibile, non può conferire esser  338 divisibile nè quanto nè circolare, nè far che la sfera sia divisibile nè quanta nè sfera nè sferica; e tutte queste faccende chi volessi dire che nascono da un punto, stimo che non avesse punto di giudizio: ma chi con giudizio compone  339 la linea di punti, non ne piglia un solo nè due nè mille nè millioni  340, ma infiniti; sì che il conferire divisibilità e quantità è virtù della infinità, la quale è una materia lontanissima dall’esser capace di quelli attributi e condizioni allo quali soggiaciono i nostri numeri o grandezze  341 comprese dal nostro intelletto: là non entra maggioranza, minoranza  342, nè equalità, non vi ha luogo nè il pari nè il dispari; ogni parte (se parte si può chiamare) dell’infinito è infinita  343; sì che, se bene una linea di cento palmi è maggiore d’una d’un palmo solo, non però i punti di quella sono più de’ punti di questa, ma e questi e quelli sono infiniti. Il resto che aggiungete, che il punto non può conferire l’esser circolare, e però  344 la sfera sarebbe indivisibile, non quanta, non sfera, non sferica, veramente son con voi; anzi tengo che nè il punto nè altra cosa del mondo faccia che la sfera sia sfera e sferica, e più  345 tengo per cosa certa che nè meno sia potente  346 a fare, per l’opposito, che la sfera non sia sfera nè sferica. Dottrina bella e sicura: ma sappia il Sig. Rocco che i matematici, quando vogliono costituire una sfera, non ricorrono agl’indivisibili, ma vanno al torniaio, se la vogliono di legno, al fonditore, se la vogliono di metallo. Dove poi, seguendo, mettete  347 in dubbio, anzi pur dannate, la demostrazione mia, e che, per evitar quelli evidentissimi assurdi, dite che minore inconveniente sarebbe (ma sappia V. S. che  348 appresso i geometri tutti gl’inconvenienti sono eguali, cioè massimi) il dire che delle linee tirate tra due  349 punti non la sola retta sia brevissima, ma che altre così brevi ve ne possano essere, ciò mi giunge inaspettatissimo; e quando sia vero, rallegratevi, perchè sovvertirete in  350 maniera non solo la presente questione, ma tutte le matematiche insieme, che mai più non moveranno assalti alle determinazioni filosofiche; ed io, quando vi piaccia di additarmene una [p. 750 modifica] sola che non sia maggior della retta, mi riuquoro di trovarne più di 1000 altro appresso: ma bisogna che troviate altra demostrazione che la mia medesima, con la quale dite che io concluderò in questo senso, perchè io veramente non ne so cavar tal conclusione. Che poi io  351 supponga una falsità manifesta per salvare una proposizione che ha diverse interpetrazioni, non so quello che voi vogliate dire: forse l’intenderò doppo che mi avrete insegnato, non esser sola brevissima la retta, proposizione che fin ora mi par falsissima, ed introdotta per levare il contatto puntuale, certissimo, della sfera.

Quello che soggiungete per rimovere quella ragione per la quale si dice, la sfera toccare in  352 un punto, e che vi pare che abbia buona apparenza, con dire che nella brevità, ove accade il contatto con la sfera, si trovi in quantità reale respettìva indifferenza all’esser piano e circolare, confesso la mia ignoranza, non intendo niente  353, non ne so cavar senso, e però non posso vedere come ciò schivi l’esser forzato  354 a dire che nel punto sia curvatura: ma ben senza l’aiuto dell’enigma detto mi  355 libero io dal por curvità in un punto, essendo quello che si curva, doppo il contatto, nel cerchio una parte di circonferenza, composta di punti infiniti, e  356 nella sfera una parte della sua superficie, contenente infinite circonferenze, o infiniti  357 archi dall’istesso contatto derivati. Finalmente, nel burlarvi del mio Simplicio circa le sfere materiali mostrate di ricordarvi poco d’Aristotile, chè è esso, e non Simplicio, che, concedendo  358 che la sfera in astratto tocchi in un punto, dice che Sphera aenea non tangit  359 planum in puncto; e voi ora lo negate anco dell’astratta  360, e, per crescere errore  361 sopra errore, soggiungete che avreste per minore assurdo che le superficie piane si toccassero in un punto.

FINE DEL VOLUME SETTIMO.


Postille di Galileo Galilei

  1. Sono, M. Rocco, fallaci alcuni; ma ve ne sono de i concludentissimi, come quello della immutabil lontananza da stelle vicinissimo, etc.
  2. Ma chi è stato quello che v’ha fatto accorto che le Mediceo s’occultano e si scuoprono, altri che io? ed essendo a me notissima questa maniera di comparire e sparire, perche volete credere, che quando ella si potesse accomodare alle aparizioni ed occultazioni delle stelle nuove, io non ce l’avesse adattata?
  3. Di fronte alle parole «di grazia ... filosofia» si vede, sul margine del citato esemplare postillato da Galileo, il segno , di mano dello stesso Galileo, col quale egli dàa vedere d’aver fermato in modo particolare la sua attenzione su questo passo. cfr. pag. 712, lin 26 e seg.
  4. io potrò molto meglio render ragione del subito apparir grandissime, che voi del comparir tali per l’approssimazione. Non potevi dir concetto che più vi progiudicasse.
  5. le nugole, moli immenso, talvolta in poche ore si generano, e molti giorni restano: simile a questo modo di comparire e dissolversi può esser quello delle stelle nuove.
  6. Voi non dichiarerete mai il modo della lor comparsa e sparizione, e massime sendosi vedute maggiori che mai nella lor prima comparizione.
  7. non occorre aggiugner altro, mentre Aristotile dice: «Il cielo è ingenerabile, perchè non si è visto comparir cosa nuova», perchè in consequenza viene che, comparendo cosa nuova, e’ sia generabile etc.
  8. e che volete che io intraprenda a mostrare a uno che è tanto cieco, dche non vede che una palla di ferro di cento libre non anticipa il moto d’una di 4 oncie un mezo braccio delle 200 d’altezza, ma ostinatamente credo e afferma che la grande va 600 volte più veloce della piccola?
  9. Alla fac. 50 [pag. 512, lin. 16-19] dite che chi scrive contro alcuna posizione, o pretende dar nuovo dottrine contra le antiche, non basta che dica «Quelle non son buone, io non l’intendo», ma con ragioni mostrare ove pecchino, e poi con fondamenti più saldi produr le nuovo; od ora voi stesso dite che abbozzate e accennato solamente, lasciando il compimento a chi più sa. E poco dopo [pag. 696 lin. 18] m’incolpate che io voglio publicar le conclusioni e che altri me le difenda.
  10. lo dico referendo il detto d’un altro,
  11. ricordatevi che pur ora vi sete contradetto.
  12. di nuovo contradite a voi stesso, che altra volta m’avete imposto ch’io dica, la natura e Dio non aver consumata la facoltà di produrr’ingegni eccellenti.
  13. ma se questo è, Sier bestia, perchè volete per sì grand’intervallo anteporre i placiti d’Aristotile a quelli di un altro?<bf>  M. Rocco, queste esaggerazioni vanno prima contro Aristotile che contio di me, perchè esso va cercando di penetrare i cieli assai prima di me. nè io cerco se non d’assicurarmi delle cose da esso cercate e stabilite.
  14. ma se voi non conoscete il cielo meglio di me, con quale audacia anteponete i vostri giudizii a i miei?
  15. E questa nota parimente va più sopra Aristotile che sopra di me, che mancò di tante osservazioni e strumenti che io ho.
  16. che io delle persone idiote e che poco a fondo peschino, faccia poco aqquisto, nissuno meglio che voi stesso ve ne può render certo.
  17. o chi vi assicura che gli onori offertivi delle cattedre non venissero da persone di questa sorte? Eccettuatene almanco quelli che volevano onorar voi di catedre etc.; altrimenti dirò che fossero del gregge che dite voi, de i balordi, e die voi foste un di quelli che non meritano d’essere onorati.
  18. Voi peccate per non intender quello che vi diciate. Sono in natura molti modi di scaldare, cioè col fuoco, col Sole, con la confricazione, col litame, con l’acqua e calcina, con la febre; e tutti questi sono in atto sempre: ma l’ordine del mondo è un solo, nè mai è stato altrimenti: però chi cerca altro che quel solo che è, cerca il falso e l’impossibile.
  19. o gran bue!5

Varianti

  1. mi dite: Di grazia. M
  2. chè veramente, M, L
  3. Le stelle fisse, e volendo, M
  4. comparse. M
  5. alterazione, generazione e corruzione, scrivete etc.
  6. giudizio quello che, M, L
  7. argomentasse, M
  8. potesse giustamente inferirne, M
  9. che voi da me, L. In V non è aggiunto tra lo linee; in M manca da che a me.
  10. in ancora nelle, M
  11. lo spacciate di poco giudizio, M
  12. o qualche altro, M; o altro, I.
  13. lo precipiteresti, I
  14. ed altre, M
  15. le quali allora furono, M
  16. apparizioni ed occultazioni alle, V
  17. Medicee, che non si generano o si corrompono, V
  18. ed occultazione, —
  19. alle Medicee, M. I
  20. ricercate, M
  21. avete inteso come, M
  22. dal comparire, V
  23. che tal senso si trae, e non altro, dal vostro motto di parlare: il qual, M; chè tal senso, e non altro, si trae dal vostro modo di parlare: il qual, L
  24. l’allontanarlo, M, L
  25. Sole il diametro de’, V
  26. s’appressano ed assentano le Medicee dal Sole di diametri de’ lor, M
  27. l’allontanarlo un braccio o due più da quel che l’illumina (che in tal proporzione appressano e allontanano le Medicee al Sole i diametri de’ loro cerchietti) dovesse renderlo al tutto invisibile e tenebroso. E non aspettate, L
  28. lo perquotono, M. In I, manca da e della Terra (lin. 20) a e della Luna (lin. 31).
  29. stelle, M
  30. privi, V, M
  31. avete, M, L
  32. sia obbligato, M
  33. che si dice, M
  34. come questi delle Medicee, M, L
  35. come quelli degli, M
  36. come siano, V
  37. col dichiararvi, M
  38. le dette, M, L
  39. di movimenti, M; di qual si siano movimenti, L
  40. che sol, V — affermate manca in V.
  41. Dopo ritenesse si legge in V mai, ma sembra sia cancellato
  42. vista, M, L
  43. sì che in 15 mesi, L
  44. e per lunghezza e per, M, L
  45. potette, M, L
  46. il moto del, M, L
  47. mesi s’estremò all’ultima svanizione, M
  48. della sua massima e la sua minima, V; della sua massima e della sua minima, L
  49. ed essendo il tempo della sua veduta di un anno [solo d’un anno, L] e mezzo, M. L
  50. concedereste, V
  51. 43OOa parte, V, L —
  52. per fondamento di poter discorrere, V; per fondamento, cioè per fondatamente discorrere, L
  53. o d’elementi, M, L — o di lor, L
  54. cognizione, che ... di torla, V
  55. per quanto si voglia intervallo, M; per qual si sia intervallo, L
  56. nell’apparizioni ed occultazioni, V, M. Nel cod. V era sgtato scritto apparizione, e poi l’e finale fu corretto in i.
  57. della fac., V
  58. chiamate voi stella quella ancora piccola, V; chiamate ancor voi stella quella picciola, L
  59. si chiama stella, M
  60. apparisce forsi delle, V — e corruzioni, M; e corrozioni, L
  61. Sole, apparirà, M
  62. alquanto austero, V; alquanto austretto, L
  63. si comporta, M, L
  64. tuttavia pur con piacere, M: tuttavia con qualche piacere, L
  65. de’ cieli, M
  66. Tra parimente che e contro in V è una lacuna, occupata da puntolini; il cod. M legge che inserite contro; il cod. L, che voi dite controcontro a quel, M, L
  67. le refiuta, V
  68. mai non l’avessi io palesate, M, L
  69. quelle fallacie, M
  70. lingua toscana, L
  71. esserne testimonio verissimo, L
  72. da me (che ... capite) pure, V
  73. capite, e pure, M, L — lin. 32-lin. 1 della pag. 721. gli lasciate tra ... voi spacciate loro per balordi e corrivi e voi stesso, M; li lasciassi tra ... voi spaccieresti ... e senzienteresti voi stesso, L
  74. Nella fac. V
  75. di dottrine, M, L
  76. non vi lascieranno, M, L
  77. pretensione ne fosse causa altro che un fisso stabilimento di voler far credere a i semplici quello che forse non credete voi stesso, perchè questa, L
  78. la velocità, V, L; la velocità corretto in le velocità (oppure le velocità corretto in la velocità?), M
  79. dalla mia esperienza, M, L
  80. de’ due gravi, V
  81. I cod. V ed M leggono ivi ha, ed a lin. 11 mettono punto fermo dopo impedimento.
  82. è verissima; perchè posto un sasso e un legno, ambidue cadenti nel mare da qualche altezza determinata, il sasso, come più gravte del legno, se ne scende al fondo, e il legno, come men grave, nella sua superficie s’acquieta e sopranuota. Ed avvertite, L
  83. di gravità diverse in specie, M; di gravità diversa in specie, L
  84. habent, V, L
  85. ne’ corpi, M; a corpi, L
  86. e serva per, L
  87. braccia nella scesa di 200, ma sicuramente nè anche di due, V; braccia nella scesa di 200, perchè, Sig. Rocco mio, l’oro in tale scesa non anticiperà l’abeto di 195 braccia, ma nè anche di 2, L
  88. l’una 400 libbre, L
  89. il ridursi ad assicurarsi del fatto con farne, L
  90. a farne, M
  91. ha da dividere, M, L
  92. non voglio dir persuaso, M 3.
  93. tenendo l’una, M
  94. e l’altra ½, lasciatele, M; e l’altra uno e mezzo, lasciatele, L
  95. persistere che i tempi, V
  96. propter secundas causas, V. M, L. Il testo citato di Aristotile ha duas causas (Aristotelis ... De physico auditu ... Venetiis, apud Plinium Petramsanctam, M.D.LIIII, lib. IV, tex. 71).
  97. comincia prima dal, V
  98. vista, t. 74: Videmus, M
  99. son dunque io, M; sono io dunque, L
  100. tali, M, L — e solamente, M, I.—
  101. contra, M, L
  102. non ci palesate, M, L
  103. che ci abbiate, M, L — voluto ingannare, M
  104. Nel cod. V la lezione originale e per che fa mutata in e par che; il cod. M fascio per che; il cod. L altera l’intero periodo.
  105. menate. M
  106. bene di ingiù M, L
  107. adunque, M, L
  108. in quello che, M, L
  109. della gravità, M, L
  110. sappiate che le velocità de’ gravi e loro movimenti entrano, M
  111. maggiori e minori, V; maggiore minore, M
  112. la proporzione che dice, V
  113. proporzionalmente, M, L
  114. tutte le virtù delle, V
  115. di tutta la scienza, M, L
  116. riuscisse dieci volte, V, M
  117. del sostegno, V
  118. di quello che, L
  119. E qui potete, M,L —
  120. inosservabile, V
  121. veggano, V
  122. come ciascheduno altr’, M; come ciascun altr’, L
  123. quarti, in minuti, M; quarti e in minuti, L
  124. della falsità del misurare e compartire ì moti, M; della facilità di compartire i moti, L
  125. col [con il, L] passo, M, L
  126. Concedavisi, M, L
  127. minuti, secondo che, M, L
  128. voi aveste, M, L -
  129. modo non possono, M
  130. la vorremo, M
  131. e voi volete vanamente, M, L
  132. a certi mia parziali, V; a certo mio parziale, L. Cfr. pag. 688, lin. 4-5.
  133. nel resto delle altre cose i mobili siano pari, M. L
  134. Aristotile, dove egli, M, L
  135. questo discorso, mi, V
  136. nel medesimo, M, L —
  137. se ci figureremo, M, L
  138. ad una più, M, L
  139. che il men grave, M, L —
  140. della natura, M, L
  141. maggiore, B minore, V
  142. matematici, con conseguenze, M; mattematici, conseguenze, L
  143. voi dite, M, L
  144. solamente un sughero, M
  145. o pennecchio, V
  146. voi ponendogli sotto la palma della mano solamente, M; voi ponendoli sotto la palma di una mano, solamente, L
  147. mano, che doveresti fare, M; mano, dovendo ella fare, L
  148. quale essa palla, M, L
  149. poi che niuna, M, L
  150. l’unire o sopraporre, M, L
  151. eguali, anco voi stesso, M; eguali, voi stesso, L
  152. falsità pronunziato, V
  153. mi par sentirvi, M, L
  154. sentirmi, V — contro di me, che, M; verso di me, che, L
  155. d’una palla di, V
  156. Con panico termina in tronco il cod. V
  157. la grave arriverà, in terra avendo calato, F
  158. torre, e tutta via, M
  159. con l’istesso momento che il grande, M
  160. e così la mia proposizione non sarà vera, L; e così nè anco la proposizion mia è vera, F
  161. non lo passeranno, L
  162. per la constituzione di simili, F
  163. nel deporgli, M; nel deporli, L, V — e rischiararsi solamente doppo, L
  164. e dell’ stessa figura, F
  165. di potermi dichiarar, F
  166. le proporzioni, F
  167. pigliando similmente la, F
  168. per quanto si voglia disuguali, L; quanto si voglia disuguali, F
  169. dipendendo, F
  170. ritardata, M
  171. nel voler distrarsi, M
  172. resistono più le viscose, M, L - -
  173. colla quale toglie, F
  174. dalla natura, F
  175. che debbesi fare, F
  176. quasi minima resistenza, M, L
  177. superar l’acqua, F
  178. perchè i mobili
  179. dalla superficie, M
  180. così tersa e liscia, L
  181. medesimi posti mena, M
  182. della sua scabrosità o porosità che, F; della sua scabrosità che, L
  183. spalmarle, L
  184. se non mimina propensione, L; se non languidezza, ma propensione, F
  185. sempre de’ moti fluidi) estrusi, M; sempre di corpo fluido) estrusi, L
  186. ciò previene, M
  187. o resistenza, F
  188. continovando, M
  189. 189,0 189,1 equabilità, L
  190. superati con minore eccesso dalla gravità, M, L, F
  191. velocità; parlo che continovando, M
  192. ma quanto più, M
  193. accrescie, M
  194. mobile con l’ stessa proporzione e sempre, L, F
  195. istessi movimenti, F
  196. più grave dell’acqua, L, F
  197. ed al piombo la dodici, F
  198. continovar, M
  199. prima lor proibisce, M; prima la proibisce, L — onde sarà, F
  200. continovando, M
  201. della pietra, M
  202. grave, il piombo, M
  203. si toglie l’impedimento del moto corporeo, M
  204. acciò voi, L, F
  205. ne averà passato, L; ne avrà passato, F
  206. ma ... millesimo manca in M
  207. cioè tremillesimi; via tre di cento braccia, M
  208. circa un, L, F
  209. la quale avrà fatto un millesimo manco manca in L, F
  210. 210,0 210,1 sugaro, M
  211. sceso sino 97, F
  212. ma ben doppo, L, F
  213. il sugaro doppo, M
  214. maggiore che una, M
  215. non nell’istessa, L, F
  216. con esempio, M
  217. sue sei faccie, F
  218. la superficie, F
  219. questo dado, L, F
  220. ed al peso, F
  221. di sedici quadrati, M
  222. suddividerete, L, F
  223. in 26, sarà, M, F
  224. suddividendo, L, F
  225. che la superficiale, F; della superficiale, L
  226. l’acque, e tutti calano, F
  227. e soghiozzando far, M — farvi, L, F
  228. in un certo, F
  229. dovrebbe esservi, L, F
  230. vacuo, e in conseguenza l’istesso vacuo. Consiste F
  231. proporzionale, L, F
  232. cedenzie, M
  233. aria venti volte, F
  234. cioè in moto istantaneo, M
  235. il darsi moto, L, F
  236. in istante, F
  237. descenderà nell’acqua, F
  238. e non in quelli, M
  239. e in un altro, F — par qual cosa, F
  240. E lasciando stare .... galleggiassero, domando solamente se. L
  241. palla che, M
  242. grave dell’, M
  243. conducano, F
  244. colla corpulenza, F
  245. le loro naturali, F
  246. tutti simili, M, F
  247. la velocità, F — di mobili. diversi di gravità, L, F
  248. descende nel mezzo dell’argento vivo, F —
  249. descende nel, M; scenda dentro il, F
  250. i due medesimi, L, F
  251. Voto puro, F
  252. alcuna. Nel, L
  253. possiamo fare, M
  254. braccia forse, M
  255. braccia; ma nell'
  256. dua di differenza, M — delle velocità, L
  257. dall’impedimento, F, L
  258. sopra il L, F
  259. sugaro, M
  260. l’oro si mostrasse 100, L, F
  261. sfuggire, L; sfuggir, F
  262. accidentarii, L, F
  263. e corpulento e, M — e perciò resistente, L, F
  264. per non breve, L
  265. per l’impedimento ostacoli', M
  266. i metalli tutte le, M
  267. più giudiziosamente, L, F
  268. nel toccare il, F
  269. troppo studioso nella, L, F
  270. Nel cod. M manca e 177.
  271. nelle seconde seguenti [seguente. M]. M, L, F — facciate, dover ponete concetti, F
  272. Appollonin. M
  273. ammettere che voglia, M
  274. sfuggire, L, F
  275. la mano, F
  276. che avete fatto, L, F
  277. m’ascriverete ad, L, F
  278. in vostro guadagno, L
  279. in simil, M
  280. un vostro, F
  281. tangit in, M
  282. e perche a così, F
  283. e la conseguenza, F
  284. mattematici, perchè ne, F
  285. concedendovi, L, F
  286. linea de punti, M
  287. cotal questione, L, F
  288. seconda d’altra, M; seconda o inferior, L
  289. proposizione: ed essendo, L — essendo vero che, F
  290. essendo un solo il vero, L, F
  291. e scorgerete, F
  292. superare; sono, L
  293. e non parliamo, M
  294. anzi i primi, F
  295. di sempre parti divisibili, M
  296. dirci, contenute in, F
  297. nuovo, che nell’, M
  298. resta nella medesima, M
  299. quante in atto abbiale o in potenza, M; quante, abbiale in atto o in polenza, L
  300. d’atto e di, F
  301. modo appunto che, L, F
  302. e 4000 di an centesimo di un palmo, M
  303. anzi con, L, F
  304. e in 16, sin, M
  305. nè manco voi, L, F
  306. voi valicare oltre, L, F
  307. altra maniera di attuarle, M; altra sorte d’attuazione, L
  308. chiamereste attuate, L, F
  309. ad angoli retti e se ne formasse un quadrangolo, L
  310. ottangolo, L, F
  311. in somma infletterla, M, L
  312. mille centomila e cento millioni, L
  313. millesime, centomillesime e centomilionesime, L; millesime e centomillesime e centomilionesime, F
  314. quante di lei: ed io, F
  315. attuato punti, M
  316. appresso più, L, F
  317. cioè con un, L
  318. continovata, M
  319. Da delle 100 a composta manca in F.
  320. conseguenze del cerchio e ammirande, L; conseguenze poi del cerchio ed ammirande, F
  321. natura non incammina, F
  322. bene non incamminerebbe, F
  323. pittore il quale, M
  324. primi precetti, F
  325. pennelli, come, M
  326. considerazione, M
  327. toccasse un piano in, L
  328. potrete, F
  329. cose incongruenti e, L, F
  330. sfera sarà di, F
  331. voltando, M
  332. sempre in un punto, M, L, F. Cfr. pag. 683, lin. 2. — E qui credo, F
  333. linea sia composta, M
  334. così la superficie o le superficie siano composte di linee, L; così le superficie sien composte di linee, F — linee infinite; ma, M
  335. ma questa e quella di linee infiniti (sic) e di punti infiniti, L; ma è quella e queste di punti infiniti e di linee infinite, F
  336. In M manca e di linee infinite
  337. Vero che, M
  338. conferire l’esser, L
  339. giudizio pone la, M
  340. due nè cento nè mille mdiioni, L — mille o milioni, F
  341. soggiacciono i non numeri e grandezze, F
  342. maggioranza nè minoranza, L
  343. infinito è infinità, M
  344. e che però, L, F
  345. sia sfera e sferica insieme, e più, M; sia sferica, e più, L; sia sfera insieme, e più, F
  346. sia cosa potente, L, F
  347. poi, segregando, mettete, M
  348. sarebbe (sappia, Sig. Rocco, che, F
  349. tirate da due, M
  350. perchè convertirete in, F
  351. Che, poi come io. M, L
  352. toccare il piano in, L
  353. non intendendo niente, F; non ne intendo nulla, L
  354. sforzato, F
  355. enigma mi, F
  356. punti, e, M
  357. circonferenze, infiniti, F — derivanti, L, F
  358. chè esso è, non Simplicio, che concedendo, L; che esso, e non Simplicio, concedendo, F
  359. concedendo, la sfera, M
  360. aenea tangit', M
  361. anco all’astratta, M — 25. e, per essere errore, M

Note del curatore

  1. Nel citato esemplare postillato da Galileo, di fronte alle parole «Al che io rispondo... illazione» (ln. 17-18) si vede, in margine, un segno in figura di una mano, dovuto allo stesso Galileo,. Anche sui due tratti «E chi direbbe mai giudiziosamente ... il disparire col dissolversi?» e «mancano forsei modi ecc.» Galileo fermò in modo particolare la sua attenzione, e, proponendosi di farli partitamente argomento di particolari considerazioni, indicò, per sua memoria, il primo con una lettera, a, il secondo con la lettera b, segnata avanti le parole «mancano forse». Cfr. pag. 713, lin 4 e seg., e pag. 714, lin. 17 e seg.
  2. qui va l’osservazione della prima comparita in forma di nuvoletta di color verdegiallo.
  3. e perchè volesti altra volta che gl’ingegni nuovi fusser tanto men vigorosi de i vecchi?
  4. Su quest’ultimo parola Galileo ha richiamato l’attenzione non soltanto col sottolinearlo, ma anche con un segno in margine. Cfr. in questa stessa pagina, lin. 28-29.
  5. La postilla è riferita, con una grappa in margine, alle parole Se vi ricordaste ... e meno impossibile (lin. 30 della presente pagina — lin. 1 della pag. 702).
  6. Nell’esempiare postillato da Galileo, di fronte alle parole «nè vi gloriate ... verace» si vede in margine un segno in forma d’una mano, dovuto a Galileo stesso.
  7. La pag. 183 nell’ediz. orig. delle Esercitazioni filosofiche ha, per errore, il numero 173.