Esercitazione IV

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III V
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Della corruttibilità de’ cieli, di alcune comete, stelle nove e macchie, che in essi sono state osservate.


Esercitazione Quarta.


Che i corpi celesti siano differenti da gli elementari, e specialmente per esser quei incorruttibili ed impassibili, e questi passibili e caduchi, oltre molti modi con i quali Aristotile lo prova, uno ne trae dall’esperienza, dicendo egli che per sensata cognizione, nè da noi nè per memoria de’ nostri antichi, si è veduto mai in cielo alcuna generazione nè corruzzione, nè altra mutabilità, come del continuo si veggono in Terra. E questa posizione viene spiritosamente impugnata da voi, Sig. Galileo, la somma delle cui ragioni è fidelmente questa: Per la distanza grande (dite) che è fra noi ed il cielo, non sarebbe possibile veder colà generazione nè corruzzione alcuna, come di qui non vedressimo queste cose se si facessero in America, ancorchè ci fusse posta dirimpetto e che ci sia tanto più vicina del cielopostille 11. Nè ci basterebbe dire, per salvar questa celeste incorruttibilità, che non si sia corrotta alcuna stella giamai; poichè, essendo così grandi che pochissime sono minori della Terra, non è ragionevole (se bene nel cielo sieno delle corruzzioni) che una di esse si corrompa, come mai si corrompe il globo della Terra intero: talchè questo non è argomento di vigore, perchè ci possono esser dell’altre corruzzioni a noi insensibili; e così per via di esperienze memorie antiche nulla conclude Aristotile: e che voi non credete esser stati in terra selinografi così curiosi, che per lunghissima serie d’anni ci abbiano tenuti provisti di selinografie così esatte, che ci possano render sicuri, niuna tal [p. 617 modifica]mutazione esser seguita giamai nella faccia della Luna: ecco per tanto invalidissimo il fondamento d’Aristotile.

2. Di più dite, che abbiamo nel nostro secolo accidenti ed osservazioni nove e tali, circa il cielo, che se Aristotile fusse all’età nostra, mutarebbe opinione: sia che il suo filosofare ha per base la cognizione sensitiva o esperimentale, la quale se ora gli mostrasse l'opposito di quel che egli stimava, senza dubbio anch’ei l’opposito concluderla, cioè che i cieli fussero corruttibili etc.

3. E soggiungendo dite, che «le cose scoperte ne i cieli a’ tempi nostri sono e sono state tali, che possono dare intera sodisfazione a tutti i filosofi: imperò che e nei corpi particolari e nell’universale espansione del cielo si son visti e si veggono tuttavia accidenti simili a quelli che tra noi chiamiamo generazioni e corruzzioni, essendo che da astronomi eccellenti sono state osservate molte comete generate e disfatte in parti più alte dell’orbe lunare,

4. oltre alle due nuove stelle dell’anno 1572 e del 1604, senza veruna contradizzione altissime sopra tutti i pianeti;

5. ed in faccia dell’istesso Sole si veggono (mercè del telescopio) produrre e dissolvere materie dense ed oscure, in sembianza molto simili alle nugole intorno alla Terra; e molte di queste sono così vaste, che superano di gran lunga non solo il sino Mediterraneo, ma tutta l’Africa e l’Asia ancora. Or quando Aristotile vedesse queste cose, che credete voi (dite), Sig. Simplicio, ch’e’ dicesse e facesse?» Così discorrete. A cui risponde il vostro Simplicio, che dall’Antiticone sono stati convinti tutti gli astronomi che ponevano quelle stelle celesti, col provar egli che fussero elementari. A cui rispondendo dite, che desiderate sapere che cosa dica questo moderno auttore delle stelle nuove del 72 e del 604, e delle macchie solari; «perchè quanto alle comete (dite) poca difficoltà farei nel ponerle generate sopra o sotto la Luna; nè ho fatto mai fondamento sopra la loquacità di Ticone, nè sento repugnanza nel poter credere che la materia loro sia elementare, e che le possano sublimarsi quanto piace loro, senza trovar ostacoli nell’impenetrabilità del cielo peripatetico, il quale io stimo più tenue più cedente e più sottile assai della nostra aria.

6. E quanto a i calcoli delle parallassi, prima il dubio se le comete siano soggette a tali accidenti, e poi l’inconstanza dell’osservazioni.sopra le quali sono fatti i computi, mi rendono egualmente sospette queste opinioni e quelle, etc.». Adducete poi, per soluzioni di queste apparenze, diverse opinioni; le quali io, per servar l’ordine e per curiosità di chi leggerà, voglio brevemente recitare.

7. Prima, circa le stelle nove, l’Antiticone dice che non sono parti certe di corpi celesti, e che se gli avversarii d’Aristotile vogliono provar, là su esser alterazione e generazione, devono dimostrar mutazioni fatte nelle stelle descritte già tanto tempo, delle quali niuno dubita che siano cose celesti; il che non possono far mai in veruna maniera. Circa poi le materie che alcuni dicono generarsi in [p. 618 modifica]faccia del Sole e dissolversi, non dice altro costui; ma forse l’avea per favola o per illusione del cannocchiale, o al più per affezzioncelle fatte per aria, ed in somma per ogni altra cosa che per materie celesti.

8. «Altri dice che queste macchie siano stelle, che ne i lor proprii orbi, a guisa di Venere e di Mercurio, si volgano intorno al Sole, e nel passargli sotto si mostrano a noi oscure; e per esser moltissime, spesso accade che parte di loro si aggreghino insieme e poi si separino; altri le crede impressioni per aria, altri illusioni di cristalli.»

9. Ed esso Simplicio inclina a credere «che sia un aggregato di molti e varii corpi opachi, quasi casualmente concorrenti tra di loro: e perciò veggiamo spesso che in una macchia si possono numerar diece o più di tali corpi minuti, che sono di figura irregolari e ci si rappresentano come fiocchi di neve o di lana o di mosche volanti; variano sito tra di loro, ed or si congregano, or si disgregano, e massimamente sotto al Sole, intorno al quale, come intorno al suo centro, si vanno movendo. Ma non è però necessità dire che le si generino o corrompano, ma che alcune volte si occultino doppo il corpo del Sole; ed altre volte, benchè allontanate da quello, non si veggono per la vicinanza della smisurata luce pur del Sole. Imperò che nell’orbe eccentrico del Sole vi è constituita una quasi cipolla, composta di molte grossezze, una dentro dell’altra, ciascuna delle quali, essendo tempestata di alcune piccole macchie, si move; e benchè il movimento loro da principio sia parso incostante ed irregolare, nulladimeno si dice essersi novellamente osservato che dentro a tempi determinati ritornano le medesime macchie per l’appunto.» E questo pare al Sig. Simplicio il più accommodato ripiego per salvar le macchie e l’incorruttibilità de’ cieli.

10. Impugnate questa posizione: ma pria che venghiate a questo, dite che se questa disputa fusse di qualche punto di legge di altri studi umani, ne i quali non è nè verità nè falsità, si potrebbe confidare assai nella sottigliezza dell’ingegno, nella prontezza del dire e nella prattica di scrittori, etc.; ma nelle scienze naturali, le conclusioni delle quali son vere e necessarie, non ha che far nulla l’arbitrio umano, sì che mille Demosteni, mille Aristotili, se si apponessero al falso, restarebbono a’ piedi contra ogni mediocre ingegno. Venite poi all’impugnazione in questa maniera, recando (come dite) due sperienze sole in contrario.

11. «L’una è, che molte di tali macchie si vedono nascere nel mezo del disco solare, e molte parimente dissolversi e svanire pur lontane dalla circonferenza del Sole; argomento necessario che le si generano e si dissolvono: che se senza generarsi e corrompersi comparissero quivi per solo movimento locale, tutte si vedrebbono entrare ed uscire per l’estrema circonferenza.»

12. «L’altra osservazione a quelli che non sono costituiti nell’infimo grado d’ignoranza di prospettiva, dalla mutazion delle apparenti figure, e dall’apparente mutazion di velocità di moto, si conclude necessariamente che le macchie [p. 619 modifica]sono contigue al corpo solare, e che, toccando la sua superficie, con essa o sopra di essa si movano, e che in cerchi da quello rimoti in niun modo si raggirino. Concludelo il moto, che verso la circonferenza del disco solare apparisce tardissimo, e verso il mezo più veloce; concludelo le figure delle macchie, le quali verso la circonferenza appariscono strettissime in comparazione di quello che si mostrano nelle parti di mezo, e questo perchè nelle parti di mezo si veggono in maestà e quali elle veramente sono, e verso la circonferenza, mediante lo sfuggimento della superficie globbosa, si mostrano in iscorcio: e l’una e l’altra diminuzione, di figura e di moto, a chi diligentemente l’ha saputa osservare e calculare, risponde precisamente a quello che apparir deve quando le macchie sian contigue al Sole, e discorda inescusabilmente dal moversi in cerchi remoti, benchè per piccolo intervallo, dal corpo solare, come diffusamente è stato dimostrato dall’amico nostro nelle Lettere delle Macchie Solari al Sig. Marco Velseri. Raccogliesi dalla medesima mutazion di figura che nessuna di esse è stella o altro corpo di figura sferica: imperò che tra tutte le figure solo la sfera non si vede mai in iscorcio, nè può rappresentarsi mai se non perfettamente rotonda; e così quando alcuna delle macchie particolari fusse un corpo rotondo, quali si stimano esser tutte le stelle, della medesima rotondità si mostrarebbe tanto nel mezo del disco solare quanto verso l’estremità; dove che lo scorciare tanto e mostrarsi sottili verso di tale estremità, ed all’incontro spaziose e larghe verso il mezo, ci rende sicuri, quelle esser falde di poca profondità o grossezza rispetto alla lunghezza e larghezza loro. Che le macchie dopo i determinati periodi ritornino le medesime per l’appunto, non lo crediate, Sig. Simplicio, e chi ve l’ha detto vi vuole ingannare: e che ciò sia, guardate ch’ei vi ha taciuto quelle che si generano e quelle che si dissolvono nella faccia del Sole, lontano dalla circonferenza; nè vi ha anco detto parola di quello scorciare, che è argomento necessario dell’esser contigue al Sole. Quello che ci è del ritorno delle medesime macchie, non è altro che pur quel che si legge nelle sopradette Lettere, cioè che alcune di esse siano tal volta di così lunga durata, che non si disfacciano per una sola conversione intorno al Sole, la quale si spedisce in meno di un mese.» Poi, rivoltato al Sig. Simplicio, gli dite che secondo Aristotile bisogna anteporre il senso al discorso; e però, essendo questa cognizion sensitiva, deve, con Aristotile, stimarla più ferma che la proposizione la quale asserisce, il cielo esser incorruttibile, già che è incertissima e falsa.

13. Aggiungete, che per virtù del telescopio il cielo si è fatto trenta e quaranta volte più vicino a noi che non era ad Aristotile, onde, per questa maggior vicinanza, gli è più facile conoscerlo sensibilmente e con certezza, e che esso Aristotile non vedeva le macchie predette. Rivolto in nome del Sig. Sagredo a Simplicio, lo compatite, che, mosso dalla forza di questo vero, sia sforzato lasciar Aristotile, e dall’altro canto vaccilli etc. Consolandolo poi, dite che non tema la [p. 620 modifica]caduta della filosofia Aristotelica, perchè bisogna riformar i cervelli, non basta apportar nova dottrina; e che i seguaci di Aristotile metteranno in dispreggio questa vostra col silenzio, non coll’aguzzargli le penne contro, etc.

14. Per confirmazion della corruttibilità de’ cieli, aggiungete che questa sarebbe in essi perfezzione, come nella Terra, la quale perciò è nobile, perchè coll’esser generabile e corruttibile ne produce tante sì belle e varie cose; che se incorruttibile fusse, sarebbe inutile ed oziosa, a guisa d’una gran massa di ghiaccio, di diaspro o di altro: anzi che ella è più degna per questo effetto dell’oro e delle gioie, perchè queste si stiman solo per esser rare, ed ella per sè stessa; dimodochè se vi fusse così carestia di terra come di oro e gemme, niun io prencipe saria che non spendesse volentieri una somma di diamanti e di rabbini e quattro carrate d’oro per aver solamente tanta terra quanta bastasse per piantare in un picciol vaso un gelsomino o seminarvi un arancino della Cina, per vederlo nascere, crescere, e produr sì belle frondi, e fiori così odorati, e sì gentil frutti. Ecco dunque la sua perfezzione dalla sua corruttibilità, come per l’opposito sarebbe imperfettissima ed inutile. E così sarebbono da niente i corpi celesti, se impassibili fussero.

15. E questi che esaltano tanto l’incorruttibilità ed impassibilità, credo (dite) «si riduchino a dir queste cose per il desiderio grande di campar assai e per il terrore che hanno della morte» etc. Risponde Simplicio, che ancor che la Terra sia più perfetta per esser corruttibile etc, ciò non converrebbe a i cieli, i quali, non essendo ordinati ad altro uso che al servizio della Terra, non hanno bisogno di altro, per conseguir il suo fine, che del moto e del lume.

16. Impugnate questa risposta, dicendo non esser ragionevole che corpi sì vasti e sì nobili non siano ordinati ad altro uso che d’un caduco, mortale, feccia del mondo, sentina di immondizie, quale è la Terra, di modo che, tolta ella via, essi cieli restassero inutili, etc.; già che, essendo essi impassibili, niuno operarebbe nell’altro, ed eccoli oziosi, in vano, etc.

17. «Anzi a me pare (dite) che, mentre i corpi celesti concorrono alle generazioni ed alterazioni della Terra, sia forza che anco essi siano alterabili; altrimenti l’applicazione del Sole e della Luna alla Terra per far le generazioni non sarebbe altro che metter a canto alla sposa una statua di marmo, e da tal congiungimento star attendendo prole.» E poi soggiungete, che se all’eternità del globbo terrestre non apporta pregiudizio la corruttibilità delle parti, anzi perfezzione ed ornamento, perchè non possiamo dir così de’ corpi celesti? aggiungendo lor ornamento senza diminuirgli perfezzione levargli l’azzioni, anzi accrescendoglile, col far che non solo sopra la Terra, ma che scambievolmente fra di loro tutti operino, e la Terra ancora verso di loro. Risponde Simplicio, che queste mutazioni nel cielo e nella Luna sarebbono inutili e vane, già che tutte le generazioni e mutazioni che si fanno in Terra, mediata o immediatamente, sono [p. 621 modifica]drizzate all’uso, al commodo, al beneficio dell'uomo; dunque in cielo, nella Luna o in altri pianeti sarebbono inutili, chi non volesse dire che ancora in quei luoghi siano uomini che godano di quei frutti. Al che rispondete che non sapete che nella Luna si faccino pioggie, venti, nuvole, e molto meno uomini etc.; ma però non si deve concludere che non vi siano e vi si generino altre cose diverse dalle nostre, e lontanissime dalla nostra imaginazione e del tutto da noi inescogitabili. E come un che sia nato in una selva immensa tra fiere ed uccelli, che non avesse cognizion alcuna dell’elemento dell’acqua, non gli potrebbe cadere nell’imaginazione che si trovasse in natura un altro mondo diverso dalla io terra, pieno di animali li quali senza gambe e senz’ali velocemente camminino non solamente sopra la superficie, come le fiere sopra la terra, ma per entro tutta la profondità, e si fermino ove lor piace, il che non possono fare gli uccelli in aria, e che quivi, di più, abitano ancor uomini, vi fabricano palazzi e città, hanno commodità nel viaggiare, che senza niuna fatica vanno con tutta la famiglia, e con la casa e con le città intere, in lontanissimo paese, nè questo tale si potrebbe mai imaginare i pesci, l'oceano, le navi, le flotte, l’armate, etc.; così molto più nella Luna possono esser sostanze diverse, etc. Fin qui voi: è ormai tempo di rispondere con ordine.

1. Per risposta, dunque, della prima posizione vostra, io pongo questo fondamento: che se il cielo fusse corruttibile, sarebbe di più facile corruzzione, quasi in infinito, di quel che sia la Terra; perchè, essendo egli sopra la sfera del fuoco, sarebbe senza dubbio più tenue più cedente e più sottile assai della nostra aria (argomento preso da voi, Sig. Galileo, e son vostre istesse tutte le parole), onde in esso si farebbono corrtizzioni amplissime, come quelle (che pur dite di veder voi) maggiori del sino Mediterraneo, dell’Asia e dell’Africa ancora, tal che sarebbono senza fallo visibilipostille 2: il che non accade della Terra, che, per esser densissima, tenacissima e durissima, difficilmente soggiace alla corruzzione, ed appena in qualche sua picciolissima parte si corrompe a fatto: e così la vostra comparazione non corre. In oltre, se fusse corruttibile il cielo, sarebbe anco dissipabile come l' aria, e tanto più quanto fusse più tenue, e gli accaderebbe dissiparsi di fatto continuamente per le generazioni continue che ivi si facessero, le quali non possono esser eccetto che per contrarli eccitanti e violenti: ed in questa maniera sarebbono le stelle agitate qua e là, mutarebbono sito, nè serverebbono egual distanza fra loro nè alcun moto regolare, appunto come accade delle comete overo di altre impressioni ignite che si fanno nell’aria. Nè mi opponiate la vastità della lor mole, perchè all’ampiezza de’ cieli agitati ed agitanti son piccolissime e tenui ancor esse. Nè dentro a corpo sì raro e sì cedente (quale sarebbe [p. 622 modifica]il cielo) potrebbono elle esser ordinatamente portate, come si vede da noi: per tanto bisognerebbe dire, che o tutte fossero immobili (se pur non cedessero all’agitazioni violente), o che di moto egualmente veloce si corressero appresso l’una all’altra, rotandosi non intorno al suo centro (come dovrebbe un corpo circolare che per sè stesso si move), ma a guisa di palle da giuocare. Dire che stessero tutte immobili, è posizione ripresa da voi contra Aristotile, per non dir repugnante alla natura ed al senso. Vederle corrersi appresso nel modo predetto, sarebbe un bel spasso: non voglio dirvi stravaganze ripugnantissime a voi medesimo, al vero, al verisimile, e quasi all’imaginario ancora. Oltre di ciò, in materia sì tenue e cedente, non sarebbe alcun inconveniente che una stella intera si corrompesse: perchè, essendo ella della natura del suo orbe (come voi stesso dite contra l’Antiticone), sarebbe sottoposta alle istesse mutazioni; e se ben sia più densa, la sua densità però non potrebbe esser tale che si facesse diversa dal cielo (nel modo che l’aria densa non è del tutto diversa dalla pura); per conseguente si potria corrompere come l’istesso cielo. Anzi sarebbono le stelle più facilmente dissolubili che le comete, quanto il cielo fusse più tenue dell’aria, e quanto che nelle comete si racchiude materia terrea e tenace che le rende durevoli, la quale nelle stelle, a porzione del loro orbe, non potrebbe contenersi. Nè la similitudine che voi apportate della Terra (cioè che mai si veda corrotto l’intero suo globo) è di momento alcuno: perchè si corromperanno più facilmente cento mila parti di un corpo tenue e dissipabile, che una minima di un denso e tenace. Eccovene l’essempio a pennello: sarà un stagno grandissimo di acqua: questo nel mese solo di agosto facilmente del tutto si secca; ed in diece anni, ed in cento, non si sarà corrotta una piccola zolla di dura terra. E se questo è vero dell’acqua, sarà senza comparazione più vero dell’aria, che è più tenue della terra, se ben non così agevolmente si conosce da noi; e molto più saria del cielo, che (per voi) è tenuissimo più dell’aria: talchè non sarebbe inconveniente, anzi forse necessario, che alcuna stella si corrompesse e l’altre si generassino, e forse anco tutte, militando con l’istessa ragione che ciascuna di esse. Sarebbe anco impossibile che questo non si vedesse da noi, essendone il cielo so posto in prospettiva, e le stelle visibili e luminose. Di più, secondo la vostra posizione sarebbe necessario, che in verità se ne russerò generate e corrotte di novo; perchè se a’ tempi nostri si generano e si corrompono (come dite), ed è l’istessa natura celeste ora che fu sempre, avranno per il passato fatto l’istesse continue mutazioni; nel modo che l’altre cose generabili e corruttibili sono sempre sottoposte a queste vicissitudini, e la natura (come è noto a ciascun intendente) opera sempre nell’istessa maniera: e pur niuna di queste mutazioni si è osservata giamai, e tutte le stelle numerate da gli antichi si numerano anco da noi senza diversità di sito fra loro, come ancor voi confessate: qual varietà dunque

si sarà fatta nel cielo? qual non potrà esser stata osservata? Il dire che in [p. 623 modifica]

Terra non siano stati selinografi, è un detto voluntario. Credete voi, Sig. Galileo,

esser il primo inventore ed unico de gli stromenti con i quali si veggono gli affetti celesti?postille 3 credete che2 quei famosi astronomi, che così minutamente hanno numerato le quasi innumerabili stelle del cielo, formatele così acconciamente in figure distinte, divisa la celeste machina così ordinatamente nelle sue parti e gradi, che per tanti secoli ne hanno data cognizione così esatta a gli uomini, non siano giunti alla pienezza della cognizione alla quale sete giunto voi? Io, quanto a me (perdonatemi), non lo credo, nè uomo alcuno sensato se lo potrà persuadere. Anzi è più tosto credibile, che avendo essi sì acutamente penetrato la celeste struttura (per quanto è concesso all’intelletto umano), abbiano avuto ed instromenti ed ingegno da veder l’impressioni che voi dite, ma di vederle ancor tanto meglio di voi, che ne abbino chiaramente conosciuta la loro posizione fuora del cielo; e però ragionevolmente dica Aristotile che niuna mutazione si è mai vista in esso: il che si ha da intendere conforme alla maniera scienziale del suo dire, non già volgarmente; cioè che, usate le diligenze ed artificii che a tal cognizione celeste e filosofica si richiede, e da lui e da innumerabili egregi professori non si sia vista cosa alcuna variata. Aggiungo che, come le scienze matematiche (qual se ne sia la cagione) non sono ora in Europa di gran lunga in quella eccellenza che furono ne i tempi antichipostille 4, anzi che appena se ne serbano i vestigi (per quanto dicono e scrivono omini degni di fede, e per quel che ne mostra l’esperienza, i pochi professori e le catedre quasi derelitte), così i matematici de’ tempi nostri (siano pur singolari quanto possono, fra’ quali singolarissimo stimo voi) non hanno egualità con quei famosissimi antichi. E come sarebbono stati tali senza i dovuti instrumenti? come si dirà veloce al volare un ucello senz’ali? Sia dunque da voi ed a vostra gloria rinovato l’uso, risuscitata la forma, di essi (il che nè anco è concesso da ogn’uno; io però mi contento), ma non ritrovata cognizione diversa nel cielo, da quella che ne ebbero quei tanto diligenti scrutatori de’ misteri della naturapostille 5. E quando dal fato vi fusse stato concesso di aver voi ritrovato prima il telescopio, e veduto cose non viste da [p. 624 modifica]altri nel cielo, avreste il pregio di operare e vedere, ma non di più egregiamente filosofare: anzi avendo per vantaggio e per scorta la vista, niun vostro errore sarebbe, intorno a questo, escusabile, e grande la lode de gli altri, che in cose non viste discorrano egregiamente e meglio anco di voi, come si può vedere dal paragone.

2. La comparazione è fra le posizioni Aristoteliche e le vostre, che io intendo esser per nulla. Quanto a gli accidenti ed osservazioni che avemo nel nostro secolo circa il cielo, se voi realmente con dimostrazione infallibile proverete che siano successi nell'interno de’ corpi celesti, non ha dubbio alcuno che Aristotile mutarebbe opinione: già esso non intende ricercar altro che il vero, e quello io specialmente che ha per fondamento la cognizione del senso; egli stesso in molti luoghi lo dice, come sapete benissimo. Anzi non solo bisognerebbe mutar opinione circa l’incorruttibilità de’ corpi celesti, ma rivolger sossopra i primi principii delle cose naturali, e dire (all’opposito di quel che a piena bocca diciamo, cioè che operi la natura ordinatamente sempre nell'istessa maniera) che sia essa natura più variabile, più incostante, più cieca, più capricciosa, della fortuna medesima: già fa corpi vastissimi celesti (dico delle nuove stelle), e poi di lì a poco tempo gli distrugge; il che non ha fatto mai per il passato. Voi però durarete fatica a dimostrarlo; dalle instanze lo conoscerete: già le dimostrazioni sono insolubili, né patiscono instanze. Veniamo pur alla prattica.

3. Dite che nel cielo si sian visti, e si veggan tuttavia, accidenti simili a quelli che noi chiamiamo generazioni, e da gli astrologi siano state osservate molte comete generate e disfatte in parti più alte dell’orbe lunare. Al che rispondo (salvo ogni miglior giudizio, a cui sempre mi rimetto; già queste mie fatiche sono puri eserciziipostille 6), che queste tali osservazioni siano state alluccinazioni, cagionate dalla distanza, dalla debolezza della potenza visiva, dalla deformità ed indisposizione del mezo, dall’insufficienza dell’instrumento di altropostille 7. Ma veniamo a’ particolari. Quanto alle comete, elle si producono in molti modi e si posano in diversi siti, come a pieno discorre Aristotile nelle Meteore; ma al nostro proposito se ne deve addurre un solo, degno di esser osservato per la pre- sente difficultà, ed è questo. L’esalazione, di cui si producono le comete, può esser attratta all’insù da alcuna stella del cielo, fissa errante (aggiongo io), sino [p. 625 modifica]all’ultima superficie concava dell’orbe lunare, ed indi per virtù dell’istessa stella può seguire il moto di leipostille 8, talchè apparirà quasi una coda senza far parallasse, tal ora situata sopra gli altri orbi o stelle, come la medesima stella conduttiera; e ciò dà occasione di errare circa l’altezza, sito, etc. E se si sian viste queste tali comete3 per sorte sopra le stelle vere, di modo che da queste stelle siano esse comete state offuscate o ricoperte, e perciò sia argomento che la lor situazione sia stata realmente nel cielo e sopra i pianeti, onde la mia risposta non vaglia nulla, io dico che anco in questa apparizione può esser errore: perchè un lume più debile, unito col più potente, perde ogni vigore, quasi che fusse estinto; così di giorno io lo perdono le stelle nel cielo, etc; or la cometa ha picciolo e fosco lume in comparazione delle stelle; perciò se nel suo moto passerà sotto alcuna di esse direttamente, restarà offuscata ed invisibile: e chi rimirasse questo passaggio senza specularne la cagione, direbbe che la cometa fusse passata sopra la stella, e per conseguente avesse anco la sua situazione più alta di lei; e pur non gli passò di sopra, ma restò offuscata, come ho detto. Mi si potrebbe però opporre, che se le comete fussero contigue all’orbe lunare, si consumerebbono in breve dalla voracità del fuoco. Al che rispondo, che la tenacità della materia con la crassizie restaurata può per alcun tempo conservarle, come le legna accese nel nostro fuoco; e massime per non esser il fuoco elementare, per la sua gran rarità, di attività eccessiva, in comparazione a materie di resistenza notabile, come sono quelle di cotali comete. Del resto attinente alle comete ho discorso a bastanza nella mia Filosofia.

4. Delle due stelle nuove, con l’istesso fondamento potrei rispondere che in effetto non fussero vere stelle, ma comete ancor esse, le quali seguivano le sue stelle veraci con più congiunzione e vicinità, però senza parallasse, che non fa l’alone o corona intorno al Sole ed alla Luna; le quali comete, consumata la lor materia, si corruppero poi, come dicono gli osservatori: perchè se fussero state vere, situate nel ciel stellato, l'una nell’ imagine di Cassiopea, l’altra nell' Esculapio, ed oltre di queste un’altra (dicono) del 1600 nel Cigno, e poi si fussero corrotte, io argomentarci una facilissima corruttibilità nelle stelle, e nelle più grandi, quali affermano fussero le predette, sì che anco l’altre stelle durerebbono pochissimo, essendo della medesima sostanza; onde non solo alcuna delle antiche, ma le imagini intiere ed i pianeti parimente, massime i più piccioli, si sarebbono, già tempo, disfatti. E pur voi ammettete invariabilità in queste antiche [p. 626 modifica]stelle, ed avete per assurdo che un intiero lor globo si corrompa; ed ora cascherete a dire, che stelle sì grandi e sì belle si siano in breve tempo consumate e disfatte del tuttopostille 9. Di grazia, tornate a dar una ricercatina all’armonia dissonante di questa vostra dottrina, ed accordate bene le corde, che una non guasti il suon dell’altra. Potrei ancora dirvi (ma parlo con timore di non errare, e volontieri sentirei più tosto gli altri, ma che dicessero a proposito; pur se commetterò errore, son apparecchiato all’emenda, mi sottopongo alla correzzionepostille 10 ), che essendo i cieli in alcune parti più densi, in altre più rari (come senza controversia ammette ciascuno), ed essendo grande la diversità de’ moti con velocità differentissima tra loro, non sarebbe inconveniente che qualche stella vera e reale per alcun tempo, mossa però nel suo orbe ove si trova fissa, scorresse sopra falde o striscie dense dell’orbe inferiore, talchè alla nostra vista la occultassero, e poi, capitando nelle parti più rare, ci si rendesse visibile, tornando di novo ad immergersi in altre densità e farsi invisibile, nella maniera giusto che fa il Sole nell’entrar ed uscir dalle nubi; e questi accidenti non accadano così regolati nè osservabili in determinati periodi di tempi per la multiplicità deforme di moti celesti e per l’irregolarità del raro e del denso ch’ivi potrebbe essere: ed in questo modo (che da più accurato esame potria ridursi a perfezzione più puntuale), senza dar dissoluzioni ne i cieli, senza negar il senso, nè ponere altre posizioni inintelligibili e ripugnanti, si troverebbe concordia stabile nella peripatetica filosofia4. Delle stelle Medicee direi che siano vere stelle celesti, ingenerabili, impassibili (presagio di felicità impermutabile all’augustissima Casa di Medici), e se mai non si occultano, ciò avvenga per non aver gli intoppi predetti di densità diverse: e se da gli antichi non siano annoverate fra l’altre stelle, questo è perchè non sono visibili a tutti, ma ci bisogna l’instromento atto per vederle5; ed essi solo delle conosciute communemente han parlato, accennando dell’altre col nome di nubilose e di oscure. [p. 627 modifica]Ricorrerei anco più volentieri a quei tanti epicicli, come fate voi per le stelle Medicee, anzi che poner corruttibile il cielo: e son sicuro che, diversamente considerate, salverebbono tali apparenze; e voi, se voleste, so che sapreste farlo, se ben, per altre cagioni, altrove non mi sono piaciuti; e con queste posizioni, i tanti calcoli, con tutto che dimostrassero quelle stelle esser state nel cielo, non però concludino che si siano generate di novo, nè poi corrotte, ma novamente apparse ed indi occultate. Le materie che dite prodursi in faccia del Sole, dense, oscure età, io stimo parimente che siano solo nella regione elementare, contigue al concavo dell’orbe lunare, attratte dal Sole, e per virtù di esso aguagliate al suo moto, a proporzione però della distanza che è fra lui e quelle; e per esser direttamente in faccia di esso nell’altezza predetta eccessiva, e forse non misurabile dal nostro intendimento, paiano vicine, anzi congiunte a lui: così due monti, per lungo spazio distanti l’uno dall’altro, superando l’uno di altezza, rimirati per linea retta, appariscono totalmente congiunti. E quanti errori commetta la nostra vista nel risguardar gli oggetti lontani, ne siano testimoni mille continue esperienzepostille 11. I monti paiono svelti dalla Terra, e sospesi in aria; i corpi angolari si mostrano sferici, gli diafani opachi, gli verdi neri, etc. Non s’inganna nel proprio oggetto, quando è convenevolmente vicino, ben disposto e, nel spazio, non impedito. Gli instromenti voglio che gli porgano qualche aiuto, come in effetto si vede de gli occhiali, non già totale indeficienza; sono ancor essi manchevoli, e tanto più quanto l’arte è più imperfetta della natura: pure, congiunte insieme, non ha dubbio che meglio operino, non però impeccabilmentepostille 12. E per venir al nostro punto, il vostro telescopio è quello che vi mostra queste novelle cose in cielo, queste macchie nel Sole; però voi per stabilir saldamente la vostra dottrina avrete da far tre cose: la prima, mandar per il mondo il vostro libro insieme col telescopio, acciò si abbi la medicina e la ricetta, perchè molti non credono queste vostre visioni, il che vi apporta pregiudizio e discapito non mediocre; ne si potrà dire che sia fondata nella cognizione sensitiva quella scienza il cui oggetto dal senso universalmente non è compreso e che solo dipende dalla relazione di pochi; la credulità non è scienza, se bene ha qualche supposito ragionevole; io nondimeno, quanto a me, vi credo: la seconda, dovete provare che questo instromento non possa errare, e sudarete a farlo: la terza, che l’arte di misurar distanze in spazii immensi sia certa ed infallibile; e qui trovarete non il difficile solo, ma l’impossibile istesso. Già in brevissimi intervalli, in espedizioni importantissime, per affari grandi di stato ordinate da prencipi supremi, potentissimi, ed eseguite da’ più periti dell’arte di prospettiva, si sono commessi [p. 628 modifica]errori notabili e perniciosissimi; ed ardisco di dire che un matematico di primi dell’universo non sia buono di misurar con l’occhio, aiutato da gli stromenti ancora, trenta miglia di spazio, con le distanze di corpi che ivi sono, senza errore: or che diremo del misurar il cielo?postille 13. Quanto a quel che dite, di stimare il cielo peripatetico più tenue più sottile e più cedente della nostra aria, non occorre dire altro particolare. Già vi ho mostrato di sopra quel che ne seguirebbe, e come sarebbono sensate le corruzzioni che ivi accadessero, che si corromperebbono le stelle intere; ed ora aggiungo solo che si ha da aggregar questa parte con la difficultà universale della corruttibilità o incorruttibilità del cielo, circa la qual controversia si aggira quasi tutto il stame di quest’opera; nè voi apportate altra ragione a prò vostro, a cui io ora debba rispondere.

6. Circa l’opinioni addutte, erra l’Antiticone, e voi assai bene lo confutate, perchè in effetto, o che le antiche o che le moderne stelle si siano variate, generate o corrotte, essendo tutte celesti, il cielo si potrà dire, nelle sue parti più degne, variabile.

8. Quei che stimano queste macchie esser stelle, e che si aggreghino e disgreghino sotto il Sole, pongono moti disordinati ed incerti nei corpi naturali celesti; anzi par che gli attribuiscano un movimento capriccioso, a salti e senza conveniente regolarità, il quale non si deve ammettere in niun modo per naturale, ma più tosto sarebbe misto col violento.

9. Erra finalmente il vostro Simplicio, massime intendendo di parlar con fondamenti di Aristotile, il quale ha bandito dal cielo ogni effetto casuale e fortuito, ne ha levato via ogni passibilità e penetrabilità, ogni irregolarità e disconcio; e nondimeno esso Simplicio casualmente vuol che concorrino, variino sito, penetrino il cielo. La constituzione nell’eccentrico del Sole quasi di una cipolla, credo che si abbia da riferir all’opinion di Simplicio, la quale, non essendo accettata da voi, si potrebbe intender reietta: pur se anco questo è pensier vostro, è bello e capriccioso come gli altri; ma altro è dirlo o imaginarlo, altro è farlo credibile o scibile. 10. Dite, per stabilimento delle vostre posizioni, che essendo questa disputa [p. 629 modifica]non di qualche punto di legge o di altri studi umani, ma di conclusioni naturali e necessarie, non gli vai l’arbitrio umano, non sottigliezza d’ingegno etc. Ed io dico che in ogni controversia una sola è la verità; ed in questa presente, per esser di cose naturali, ma remotissime in mille maniere da noi e dalla nostra conoscenza, la sua risoluzione è più incerta e più intrigata che gli enimmi della sfinge Tebana: in modo che l’asserirne per indubitato (eccetto alcune cose communissime, come che i cieli sien quanti, visibili, le stelle lucide, lucidissimo il Sole etc.) è più tosto specie d’indovinare che di filosofare; salvo se non staremo ne gli universali, che all’ora se ne potrà aver cognizione probabile, nel modo io appunto che ce la dà Aristotile. Anzi, nelle materie più difficili, chi ha più bell’ingegno fa apparir i cieli a suo modo, non potendo alcuno mostrargli con evidenza l’opposito: ed io ho sentito un galant’uomo, che in nobil congresso di litterati si prese a difender per scherzo, il cielo esser composto di latte, e lo fece (mercè del suo nobil ingegno) egregiamente, e rispose anco a fortissimi argomenti, senza assurdi notabili e senza veruna contradizzione. Ben sì che delle leggi e delle azzioni umane (come che da cagioni finite, a noi congiunte e da noi dipendenti, provengano), al dispetto d’ogni fecondissimo oratore, sedato però il moto delle passioni, non solamente se ne conosce il vero, ma ne sa dar sentenza risoluta quasi ciascuno. E chi è, per vita vostra, che sentita distintamente una controversia civile, con le ragioni d’ambe le parti, non sappia, presso a poco, scorgere il vero dal falso? e chi, dall’altro canto, fra le innumerabili schiere de gli uomini intelligenti, ha saputo determinar cosa alcuna di certo delle condizioni recondite del cielo? e se ciò fusse, onde nascerebbono tante dispute? tante controversie? E anco in quelli (nol nego) una verità necessaria, ma non vi è chi de gli uomini la conosca: nè basta che sia cognoscibile ed infallibile; che anco Iddio supremo è sommamente cognoscibile, e quasi niente conosciuto da noi. E la nostra povera mente più losca nell’intelligenza delle nature più degne, di quel che siano gli occhi d’una nottola nel veder i raggi del Sole. Ma orsù, se è una verità e conclusion necessaria, talchè sia anco evidente, come voi dite, mostrate l’evidenza, apportate le ragioni e le cause, lasciate il persuader al modo di rettori, e niuno vi contradirà.

11. Ma è tempo che discorriamo di altro. Mentre dunque dite, che molte di tali macchie si vedono nascere in mezo del Sole etc, vi ho risposto che sia allucinazione, e per qual cagione: già la lontananza non lascia distinguer de’ siti, la direzzione ed il moto ci apportano errori, etc. Possono per tanto essere vere nell’esistere, sì che il Sole con la sua virtù ne attragga del continuo sino all’ultima superficie concava dell’orbe lunare, e ne dissolva ancora, come che siano dissolubili; ma l’errore stia nel conoscere i siti, e per l’attrazzione uniforme non possino far parallasse: il che affermo solo probabilmente, non con alcuna temerità nè pertinacia, e confesso giuocar con voi al giuoco della cieca; [p. 630 modifica]ma a me tocca aver bendati gli occhi; voi dite di vedere, ed a me tocca indovinare che cosa sia quel che vedete voi. Non è però la mia, colpa di negligenza: pur troppo mi sono affaticato per giungere a conoscenza prattica, per usar (dico) di simili stromenti visivi; e per questo effetto, con persona di sapere conspicuo, di opinioni simili alle vostre, ebbi per alcun tempo, spesso, discordi sì ma placidi e gravi congressi: però le sensate esperienze che prometteva, o dall’impotenza o da altro, non si ridussero mai all’essecuzione; ed egli, forse più incerto nelle sue che io nelle mie posizioni, è andato a ricercarne la verità esatta nel cielo.

12. All’altra osservazione, oppongo parimente l’incertezza della prospettiva nella distanza grandissima, come ho ancor detto; talchè voglio e concedo che voi vediate le macchie predette, ma io non le stimo nel cielo. E quando senza illusioni le vedeste, preporrei la cognizion sensata ad ogni altra; anzi giudicherei il discorso non opra di ingegno ragionevole, ma chimere di confusa ed irregolata imaginativa.

13. Che poi per virtù del telescopio il cielo vi si sia fatto trenta o quaranta volte più vicino di quello che fusse ad Aristotile, io già ho detto che, se bene per sorte a i tempi di Aristotile non si trovava questo instromento di tal forma, ve ne potevano esser de gli equivalenti, e forse anco migliori. Ma supponiamo con voi che non vi fussero: io vi domando: Il cielo, che per conoscenza si è avvicinato trenta quaranta volte più a voi che non era ad Aristotile, in qual distanza determinata volete figurarvelo? voglio dire che, se ad Aristotile appariva lontano, per essempio, quarantamila miglia, a voi sia mille solamente, anzi pur cinquecento e meno. Or ditemi, qual certa e distinta cognizione visiva nella distanza di cento miglia potete aver voi delle cose che ivi si trovano? ditelo pur sinceramente. Io, quanto a me, e gli uomini anco di acutissima vista, non discernono appena le gran montagne. E se in verità, secondo le vostre asserzioni, i cieli, e massimamente il Sole, anco col vantaggio del telescopio, è lontano migliaia di miglia, che giudizio ne potrete dar voi?postille 14 Se con reale evidenza mostrarete quel che pretendete di fare, ruinerà in questa parte la dottrina pe ripatetica, riformarete anco i cervelli de gli uomini, la cui genial forma è l’evidenza del vero; sì che non aguzzeranno le penne contra di voi, nè metteranno in dispreggio i vostri scritti, ma più tosto, convinti dalla forza invincibile della verità, ergeranno a voi altari di gloria entro i lor cuori, le loro lingue saranno trombe sonore della vostra fama, e quasi novello Atlante sarete tenuto unico e singolar sostegno della cadente filosofia celeste.

14. Che i cieli fussero più perfetti se fussero corruttibili, con l’essempio [p. 631 modifica]della Terra, che per questa cagione è utile, producitrice di frutti etc. (lasciando d’improverarvi di novo, che poco fa non volevi alcuna vera corruzzione sustanziale nel mondo, ed adesso ponete non solo corruttibili gli elementi, ma anco i cieli), vi rispondo che le perfezzioni delle cose hanno proporzione con la natura di esse, a cui devono conformarsi; di modo che tal attributo è convenevole e perfettivo di tal supposto, che ad un altro disconverrebbe, come all’uomo l’esser ragionevole, che al cavallo ripugna per l’incompossibilità delle forme diverse. La Terra è materia onde le cose generabili devono prodursi; perciò è necessario che ella sia soggetta a variabilità e corruzzioni, quasi a guisa del seme nella generazione de’ viventi, o il cibo nel ristorar le sostanze animate. L’altre cose naturali, essendo differenti dalla Terra, non è mestieri che abbino la corruttibilità a questo fine; anzi la corruttibilità, secondo la propria formalità, è anco ella imperfezzione alla Terra, ed ovunque si sia, essendo formalmente o essenzialmente imperfezzione overo mancamento. Di più, chi può operare senza suo danno o ruina, è senza dubio più nobile e più vigoroso di quello che con suo eccidio concorre all’opre; la Terra col corrompersi concorre alla generazione; dunque in questa parte è impotente, imperfetta e manchevole: se dunque per altra via altro agente naturale senza alcun patimento concorra a gli stessi effetti, non sarà egli più nobile? e se il cielo, senza patir nulla in genere di causa principale effettiva (degnissima incomparabilmente sopra la materiale), produca tutti gli effetti della Terra, che avrà bisogno per tal fine di esser corruttibile, acciò sia più perfetto? Non vedete che nel vostro discorso variate le cagioni, che applicate le condizioni delle cause materiali vili alle efficienti supreme? può forse la materia operar da sè sola? una femina concepirà senza il maschio? Nell’effetto dunque di produr fiori e frutti, più operarà il cielo che la Terra, e senza alcun suo detrimento: dunque è meglio e ragionevolissimo che non sia corruttibile. Ma sento qual sia il vostro pensiero: è intenzion vostra che i cieli non solamente nella Terra produchino frutti, ma, acciò in comparazion di lor stessi non siano oziosi ed inutili, anco fra essi ciò facciano, di modo che, sì come nella Terra, così in un orbe nascano varie cose, e parimente in un altro, ed in tutti; il che non può farsi senza lor corruzzione, giachè altra Terra corruttibile non è fra essi, e senza la corruzzione niuna cosa si genera. Qui volete battere, l’ho già visto da principio; ma pria di venir a questo, per levar ogni perplessità, giudicai bene esprimer anco la maniera dell’operar de i cieli qui in Terra. E secondo questa posizione, vi rispondo che l’argomento vostro non è di similitudine o comparazione, ma di dissimili ed all’opposito, ed ha un vigore simile a questo: «Come nella Terra si generano erbe, piante, omini, cavalli etc, così si devono generar nell’acqua»; overo «Come le mosche, i vermi, i moscioni e simili nascono di putredine, così deve nascer l’uomo, il leone, l’elefante». Non vaglion (dico) questi argomenti a simili, essendo fra i suppositi dissimiglianza e [p. 632 modifica]diversità; onde si dovrebbe argomentare alla riversa, e riuscirebbe bene così: «Nella Terra si generano uomini e cavalli, dunque non si potranno generar nelF acqua, essendo luoghi e corpi diversi; gli vermi si generano di putrefazzione, dunque gli uomini (per la diversità grande della loro natura da quella di vermi) si generano altrimenti»; ed al proposito: «Nella Terra si producono fiori, frondi, frutti etc. per via di corruzzione; dunque nel cielo non si produranno cose in questa maniera, e per conseguente non sarà necessario che ei sia corruttibile, ma più tosto l’opposito». E quando dite, il cielo non esser diverso da gli elementi (oltre che avria bisogno di prova), potreste ancor dire, e più probabilmente, che nè meno gli elementi siano differenti fra di loro; e così sia l’istesso acqua e fuoco, ed io una cosa medesima il scottarsi ed il bagnarsi: ed essendo questo falsissimo, anzi che gli elementi, quanto più sono lontani, tanto più sono differenti (come è manifesto della Terra e del fuoco), il cielo, ch’è lontanissimo pur dalla Terra, avrà da lei diversissimi inescogitabilmente i suoi effetti (come voi stesso dite), e parimente la maniera di produrgli, conciò sia che tale è la proporzione fra le cose fatte e la produzzione di esse. Quando dite che sarebbe inutile, come una massa di ghiaccio, di diaspro etc, mi meraviglio di questa illazione, nè so come possiate darvi a credere che non abbia altro modo di operare che col corrompersi. Ve l’imaginate pur massa o materia, di cui abbino da formarsi varie cose, come i vasi di creta o d’altro: e pur ciò è più tosto repugnante che verisimile, e dovrebbe dirsi che come, nobilissimo agente, qui fra noi alle generazioni concorre, così là in altre maniere, forse divine ed a noi inescogitabili, come era inescogitabile il mare a quel vostro abitator di boschi. Nè, per esser efficiente di generazioni e corruzzioni, deve esser generabile e corruttibile: già il lume, il caldo, il Sole, non corrompendosi, producono molte cose.

15. Per queste, dunque, e per altre simili cagioni esaltano i Peripatetici l’incorruttibilità de’ cieli, non per il desiderio grande di esser anco essi incorruttibili; anzi per questa ragione (se non fussero pazzi) dovrebbono più tosto biasmarla e spregiarla, essendo cosa da uomini savii fuggir e tener anco a vile quel che, desiderato, non è possibile da conseguirsi, quel che al desio irragionevole apporterebbe pena, non gioia: ce l’insegna la volpe di Esopo, che biasma l’uva che non può cogliere.

16. Mentre rispondete a Simplicio, non esser ragionevole che i corpi celesti non siano ordinati ad altro uso che della Terra, io son con voi: dite benissimo. Ma però da questa posizione voi attribuite a’ cieli altre operazioni di quelle che esercitano circa la Terra, e, per conseguente, non di generazione e corruzzione, quali sono le terrestri, ma diverse; e così se ben non siano i cieli generabili, non sarebbono però oziosi ed inutili, come di sopra intendevate concludere.

17. Mentre pur dite, che quando i cieli concorrono alla generazione ed alterazione della Terra, siano ancor essi alterabili etc, già vi ho risposto che, [p. 633 modifica]concorrendo effettivamente, e non come cause materiali, non è necessario che siano soggetti alle passioni che producono in altri; a guisa del lume che illumina, il calor che scalda e liquefa il ghiaccio, senza che tal ora ripatiscano in conto alcuno: e così non è statua di marmo, ma operantissimo, il cielo, senza repatimento. E mentre di novo tornate a dire, che sì come non porta pregiudizio alla Terra l’esser corruttibile, così nè anco al cielo, torno a rispondervi che l’argomento corre all’opposito. Quando ancora dite che l’un corpo celeste operi nell’altro, io non sono renitente a concedervelo; ma che queste siano azzioni corruttive, non lo ammetterei, se la dimostrazione non mi sforzasse: dimostratelo, dunque, e sarò con voi. Ed in vero, Sig. Galileo, che volendo voi ponere queste cose nel cielo perchè si ritrovano in Terra, non è un constituire la machina dell’universo vaga e perfetta per la varietà delle sue parti, ma è un farla informe, indistinta, come una casa tutta di paglia o di terra: corruttibile la Terra, corruttibile il cielo; nel modo che produce frutti l’una, nell’istesso gli produce quell’altro: e se le cause e le azzioni sono l’istesse, perchè non sono gli medesimi effetti? e così animali e piante in Terra, ed animali e piante nel cielo. Che tutte l’operazioni celesti siano ordinate all’uso dell’uomo, non è naturalmente credibile, anzi, più tosto, che sia per ogni parte abitato l’immenso palagio del cielo, nè che sia fatto e sì pomposamente ornato per esser inutile, ozioso, o per servire solo alla più infima, più immonda e quasi insensibil parte di lui, quale è la Terra con i suoi abitatori: ma che ricevano l’essere, e si conservino nel modo nostro con le opposizioni predette, mi oppongo, perchè possono esser sostanze e nature più spiritali, incorruttibili e di altra forma, che ecceda ogni umano pensiero, come voi stesso dite. E la vostra propria posizione vi impugna: poi che, se sono sostanze totalmente diverse ed a noi inescogitabili, perchè affermate (non che escogitate) che si generino come le nostre? in oltre, voi ponete il mondo perfetto, mirabilmente disposto, e dall’altro canto l’avvilite, e lo fate tutto feccia, tutto sentina d’immondizie. Sentite: per qual cagione chiamate voi, o perchè è in effetto, la Terra feccia del mondo e sentina d’immondizie? non per altro in vero, che per le putredini e per le corruzzioni che in lei si fanno: discorrete pur di quante cose si ritrovano in essa, e vedrete che vi dico puntualmente il vero. L’uomo, per il suo essere, è creatura assai nobile e degna; così, nel suo genere, il cavallo, il leone, l’aquila etc.: i loro mali provengono dalle infermità, dalli infortunii, dalla vecchiaia, da i difetti della natura e dell’arte, dalle corruttele, dalla morte etc. Le guerre, le pestilenze, i cattivi odori, i sapori mortiferi e l’altre calamità (discorretene pur di quante ve ne vengono in mente), che altro sono realmente che corruzzioni o totali o parziali? e se niun di questi mali fussero in Terra, sarebbe ella feccia del mondo? non certo. Dunque, o dovrete dire, ponendo il cielo corruttibile, che anco esso sia feccia del mondo; ed ecco l’immensa unica botte di Dio, cioè l’universo, piena [p. 634 modifica]solo di feccia: overo che esso non sia corruttibile; e direte bene: o direte, almeno, che i mali non divengano dalle corruzzioni; e parlerete con termini ripugnanti, conciossiachè male e corruzzione sono poco men che sinonimi, e vi opporrete in oltre ad ogni sensata esperienza.


Postille di Galileo Galilei

  1. Questo non è mai da me stato detto, ma ben non intendete voi quel ch’io dico.
  2. quasi che le corruzzioni che si fanno nel? aria e nell’acqua siano molto visibili.
  3. non è stata registrata stella alcuna da gli antichi che non sia visibile col semplice occhio naturale.
  4. Voi le misurate col vostro compasso, secondo ’l quale poco, anzi niente, è quello che ora si sa delle matematiche.
  5. adunque Aristotile ebbe cognizione degli effetti di Venere, e la pose sopra ’l Sole? Oh come lo fate ignorante! E così taqque, con gli altri astronomi, le Medicee, le nebulose, etc.
  6. Voi qui ed in molti altri luoghi vi rimettete a i più intelligenti, e chiamate questa vostra maniera di scrivere esercitazioni per discorrere e imparare; e poi trattate meco tanto imperiosamente e con tanto vilipendio!
  7. ma queste distanza, debolezza di vista, deformità etc. non erano forse al tempo d’Aristotile? e se erano, perchè non potetter dare occasione di errare a quelli, come a noi?
  8. Delle comete osservate da astronomi e da loro descritte, nessuna ha seguito il moto di stella veruna, nè fissa ne errante.
  9. Nè io nè altri mai hanno detto (o elefantissimo) che le dette stelle nuove fussero vere stelle, di nuovo generate e poi dissolute; onde tu gracchi alla nebbia e getti le parole al vento.
  10. Pur torni, ignorantone, a confessar la tua ignoranza; e pur tutta via parli meco con tanta sprezzatura!
  11. le quali da noi altri balordi non sono osservate.
  12. Ma secondo i vostri detti, sareste in obbligo di confutar le dimostrazioni con le quali io provo, le macchie esser contigue al ☉.
  13. Se ’l vostro discorso deve esser concludente, bisogna che voi diciate che nel misurarsi una distanza di 30 miglia sia impossibile il non errare al meno di 29, se volete poter concludere contro al misurator della lontananza delle macchie, il qual le pone contigue al ☉, mentre elle fussero sotto la ☽.

    Io non misuro mai la distanza delle macchie, ma dico che son contigue al ☉, la distanza del quale lascio in arbitrio vostro di porla quanta vi piace.

  14. Pezzo di bue, non ho io detto, e tu stesso referito, taluna delle macchie esser maggior di tutta l’Asia?

Note

  1. La postilla è riferita (come indicano dei segni marginali nell’esemplare postillato) alle lin. 21-24.
  2. Di fronte alle parole «con i quali si veggono gli affetti celesti? credete che» si vede sul margine dell’esemplare postillato da Galileo un segno in figura d’una mano, che è dovuto allo stesso Galileo. Cfr. pag. 577, nota 1, pag. 602, nota 1, pag. 612, nota 1, ecc.
  3. Di fronte alle linee che comprendono le pa- role «medesima stella conduttiera... comete» sono segnate in margine, nell’esemplare dell’edizione ori- ginale postillato da Galileo, delle virgolette, con le quali Galileo richiama l’attenzione su quelle linee.
  4. Aristotile disse, il cielo essere ingenerabile, perchè non si era visto generarvisi cosa alcuna; sì che dal non si generare argomentava l’ingenerabilità etc.: ma tu, per l’opposito, tenendo salda l’ingenerabilità, vuoi che le generazioni che vi si veggono, non siano nel cielo non siano generazioni.
  5. poco sopra volevi che gli antichi avessero strumenti migliori de i nostri.