Eh! La vita/Pasqua senz'Alleluja
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PASQUA SENZ’ALLELUJA
Nessuno se n’era mai accorto; ma quasi ogni notte Maria Ledda, dalla finestra, e Nino Sbrizza, dalla parte del vicolo, si comunicavano a bassa voce le loro pene di cuore.
Nino era geloso del figlio di mastro Paolo Barreca che, ogni domenica notte, conduceva i suonatori sotto i due balconi della casa di massaio Ledda e cantava, per lo meno, mezza dozzina di canzuni, una dietro l’altra, facendo sfoggio della bella voce di cui era orgoglioso.
C’erano volute tutte le preghiere e tutte le calde raccomandazioni di Maria per ottenere da Nino Sbrizza che lasciasse sbraitare il Barreca come gli pareva e piaceva. Non era sicuro di essere il preferito?
— Ma lui si vanta...
— Di che?
— Che tua sorella gli ha assicurato...
— Mia sorella non ha assicurato e non può assicurar niente a nessuno.
— Te n’ha parlato però!
— Mai! E se mi dicesse qualcosa, le risponderei: bada ai fatti tuoi.
— Pizzuto, che fa all’amore con tua sorella, è amico intimo di Barreca. Gli ha promesso: Ci penso io!
— Infatti!...
Lei si sporgeva dal davanzale della finestra; lui si rizzava sulla punta dei piedi, salito sopra un pezzo d’intaglio della casa in costruzione là di faccia; ma non si potevano toccare neppur la punta delle dita. Pel vicolo stretto, buio, passò un cane randagio, che die’ due o tre abbai, e scappò a una pedata di Nino. Dopo breve pausa, la conversazione ricominciò:
— E tuo padre?
— È in collera con mia sorella, appunto per Pizzuto.
— Io ho in casa la lima sorda di mia madre che vuol darmi la figlia di Garozzo.
— Sposala!
— Lo so; non ti dispiacerebbe: sposeresti Barreca...
— C’è lui solo in questo mondo?
— Che cosa hai detto?
Parlavano così basso che talvolta le parole di lei arrivavano giù come un confuso mormorio, e quelle di Nino si dileguavano per l’aria quasi fossero un po’ di fumo.
Maria si era ritirata improvvisamente e aveva chiuso la finestra. Egli attese mezz’ora, lusingandosi che lei ricomparisse. Accadeva spesso che un rumore interno dèsse un falso allarme. Ma quella volta Maria non si fece vedere neppure dietro i vetri, a picchiarvi su leggermente con la punta delle dita, per saluto. Cominciava a piovigginare.
La mattina dopo, Nino, appena uscito di casa, si trovò faccia a faccia con Pizzuto che pareva lo attendesse.
— Posso dirti una parola?
— Anche due.
— Tu vuoi sposare Maria Ledda.
— C’è qualcuno che non vuole?
— Precisamente, come dispiace a te che ci sia un altro...
— Ognuno per sè, Dio per tutti.
— Vorresti, forse... Perchè si dice: Fra due litiganti il terzo gode.
— Lo sai bene che il mio boccone non può toccarmelo nessuno.
— O dunque?
— Parlo per voialtri.
— Chi ha più forza vince.
— È quel che dico io. Bisognerebbe fare una scommessa, per finirla presto.
— Quasi noi fossimo padroni della volontà altrui!
— Dire alla ragazza: Mettici alla prova.
— Io, se tu non lo sai, ci sono alla prova da due anni. Barreca ha voglia di sgolarsi con le notturne! E se tu credi che la protezione della sorella, che è la tua zita1, possa far cambiar Maria di volontà, la sbagli grossa. Di’ piuttosto al tuo amico che si metta il cuore in pace. E la finisca con le notturne2 se no, qualche domenica notte succederà uno sbaraglio. Sono sei mesi che tenta. Credevo che egli ignorasse che il posto è preso. Ora, però, che non posso più dubitare...
— Non ti scaldar tanto!
— Che diresti tu se io tentassi di guastarti il nido?
— Con me è un’altra cosa.
— È un’altra cosa anche con me. E facciamo conto che non ci siamo visti, se sei un uomo, e se hai stomaco.
⁂
Lo stesso giorno, Nino si presentò a mastro Tano il suonatore che accompagnava le notturne di Saro Barreca.
— Per tre, quattro nottate, di domenica...
— Impossibile. Sono impegnato.
— Vi pago il doppio. Non faticherete niente. Dovrete sparire; e càlia e vino quanto ne vorrete, voi e i vostri compagni.
— Che mi fate fare!
— Questa è la caparra.
Senza mastro Tano era impossibile di combinare una serenata. Il suo violino parlava: — Buona sera! Buona sera! — con la voce di un cristiano. E se, smesso il violino, egli prendeva a suonare lo zufolo di canna, altro che il flauto del farmacista Arcurio quando egli vi soffiava: Mira Norma, ai tuoi ginocchi.... e la gente si affollava davanti alla farmacia!
Saro Barreca, quella domenica, pareva pazzo. Andava di qua, di là, su e giù anche pei viali fuori Porta, domandando a chi incontrava: — Avete visto mastro Tano, il suonatore? — Nessuno lo aveva visto. Neppure la maestra, come chiamavano sua moglie, ne sapeva niente. E il secondo violino? E il contrabasso? Spariti tutti! Poteva immaginare che era un tiro fattogli da Nino Sbrizza?
E, la notte del lunedì Nino diceva a Maria:
— Sei dispiacente; non hai avuto la notturna.
— Vuol dire che ha capito.
— Gliel’ho fatta capire io. Che è?... Piangi?
Maria singhiozzava.
— Parla più forte. Non aver paura! Con questo vento....
Il vento urlava nel vicolo, scoteva i tetti delle case e le imposte, quasi volesse portar via tutto, giù, nella vallata. Nino stentava a tenersi ritto sul solito pezzo d’intaglio che gli serviva da piedistallo. Il vento, che spazzava il vicolo, spazzava via pure le parole della ragazza, un po’ soffocate dai singhiozzi.
— Tuo padre?... Che vuole tuo padre?
— Gli hanno parlato...
— Che importa?... Se tu mi vuoi bene...
— Anche mia sorella...
— Chi le tocca il suo Pizzuto? Ah!... Tu dovresti darmi retta!... La notte del sabato santo.
— No! Questo no!...
— Sai? È tornata la gnà Vicenza. Suo figlio è morto. Verrà a trovarti. Con lei, possiamo fidarci, come prima...
Quella vecchietta, filatora di lino, era stata la loro confidente, la loro ambasciatrice. Da che se n’era andata a Grammichele, in casa del figlio, maritato colà, essi avevan dovuto adattarsi a quelle conversazioni notturne, tremando sempre di essere scoperti; spesso, come quella nottata, col vento che infuriava, non riuscendo a intendersi, e anche con la paura di buscarsi un malanno.
Alla notizia della visita della vecchietta, Maria ripetè:
— Questo, no! Questo, no! Ti saluto!...
⁂
Con la filatora Nino si sfogava:
— Non c’è altro verso. Se vuol farmi fare la buona Pasqua! Ora, con Saro Barreca guerra dichiarata. Un dispetto lui a me, due io a lui; botta e risposta! Finora ci ha avuto poco gusto. Dice che sta per indurre suo padre a far la richiesta a massaio Ledda.
— Dispone forse della volontà della figlia?
— Ah, gnà Vicenza! Voi sapete come sono le ragazze.
— Maria è buona, assennata...
— Niente; non c’è altro verso! Io poi dirò a suo padre: Fate come volete. Non è per la dote...
— È necessaria anche questa!
La gnà Vicenza si era ripresentata in casa di massaio Ledda col pretesto di chiedere lavoro, lino da filare; e aveva portato con sè la rocca con un grosso pennecchio e il fuso; c’era così bel sole su la terrazza! Maria e sua sorella andavano e venivano, per le faccende di casa. Maria ora indugiava a innaffiare i garofani e le viole a ciocche, e la gnà Vicenza, pur continuando a filare, quasi non badasse ad altro, le diceva:
— Fàllo contento. Non è giovane da abusarsi delle circostanze.
— Sua madre vuol dargli la figlia di Garozzo.
— Sua madre sarà felice del cambio... Mentre nessuno è in sospetto, nè tuo padre, nè tua sorella... Andresti via con S. Giovanni, santo glorioso, a suon di campanella benedetta...
Alludeva alla scommessa che correva tra i giovani massai per suonare, la notte di sabato santo, la campanella detta di San Giovanni e poi nella processione della Inchinata, la domenica di Pasqua. Saro Barreca aveva giurato: — Dovrò sonarla io! — E Nino Sbrizza, saputolo, aveva giurato: — Non la sonerai!
Maria era rimasta perplessa. Quella fuga, accompagnata dal suono della campana di san Giovanni, le aveva acceso l’immaginazione. La gnà Vicenza insisteva per la risposta.
— Gliela darò domani, alla benedizione delle Palme. Io, mia sorella e le nostre cugine saremo davanti al ballatoio del Sordo. Egli prenda di mira l’albero più vicino, per buttarlo giù quando sarà il momento e s’impossessi della palma benedetta. La gitti per aria, verso di noi. Io l’afferro, e se la bacio... vuol dire di sì!
— E se non riesci ad afferrarla?
— Mi bacio una mano. E vuol dire di sì. Se lui non butta per aria la palma benedetta, significa...
— Non significa nulla, con le zuffe che accadono. Palma o non palma, vado a farlo felice. La Madonna ti aiuti, figliuola mia!
E vedendo entrare Rica, la sorella di Maria, con un corbello di ulive nere salate da asciugare al sole, la gnà Vicenza disse:
— Per Pasqua ne voglio un pugno!
— Intanto, tenete.
La vecchia sporse il grembiule e Rica gliene versò due giumelle colme.
— E questa per me... — soggiunse Maria.
⁂
Il piano davanti alla chiesa rigurgitava di gente. Allato alla porta maggiore, chiusa perchè la cerimonia voleva così, il rozzo altare di pietra era parato a festa. Durante la nottata il piano aveva cambiato aspetto: un gran viale fiancheggiato da alberi improvvisati — lunghi pali di aloè confitti al suolo rivestiti di rami di querce e di olivo con in cima una piccola palma inargentata — si allungava, facendo gomito dalla via, fino alla porta maggiore della chiesa.
Le Ledda e le cugine erano tra la folla in attesa della processione. Nino Sbrizza, vestito di panno azzurro scuro, col berretto alla marinara, un garofano rosso all’occhiello e un sigaro in bocca passeggiava assieme con due amici lungo il viale, divorando con gli occhi Maria, che lo guardava a tratti, fuggevolmente, per non farsi scorgere dai curiosi. E mentre Nino scendeva da un lato del viale, Saro Barreca, vestito anche lui di panno azzurro scuro, col berretto alla marinara, con una rosa all’occhiello e il sigaro in bocca, veniva su dall’altro lato, fermandosi a ogni po’ assieme con Pizzuto e un altro amico di rimpetto al posto dov’erano le Ledda e le cugine, cavando di tasca a riprese il fazzoletto di seta a vivaci colori, come per segnale convenuto, allo scopo di far arrabbiare Nino Sbrizza, che tornava indietro in quel punto.
Poi Sbrizza e i suoi amici si erano fermati presso uno degli alberi, quasi per prenderne anticipatamente possesso. Giacchè la processione, coi confrati e la banda musicale e i canonici che cantavano si avanzava, un fremito correva tra la gente, specie tra gli uomini che dovevano, al momento della benedizione, atterrare gli alberi e afferrare la palma benedetta attaccatavi in cima.
Fu un attimo. Parve che una ventata li scotesse e li abbattesse da una punta all’altra del viale. Nino Sbrizza, con due poderose spinte, aveva sradicato il palo di aloè e già stendeva la mano ad afferrare la palma argentata, quando Saro Barreca, con un salto, gli si precipitò addosso, strappò dall’albero la palma e trionfalmente, la lanciò per aria, verso il punto dove erano le Ledda. Cento braccia si tesero in alto per afferrarla ma una delle cugine Ledda fu la più lesta di tutti. La baciava, la dava a baciare come cosa benedetta. Quando toccò a Maria, però essa si baciò più volte la mano. E Nino Sbrizza, che stava per perdere il lume degli occhi per la soverchieria del Barreca, alla vista di quei baci alla mano, si frenò, diè un grande respiro di sodisfazione, e raccattò da terra il sigaro che gli era cascato nella breve lotta.
— Ah!... Era di sì! Non gli occorreva altro!
La gente si riversava in chiesa dalla porta maggiore spalancata tutt’a un tratto; e mentre la processione s’inoltrava per la navata di mezzo, un frate agitando le braccia, si sporgeva dal pulpito gridando:
— Benedictus qui venit in nomine Domini!
Ma il rumore della folla era tale che il predicatore pensò bene di smetter quasi sùbito.
Nino, addossato a una colonna, approfittando della gran confusione, faceva cenni, con gli occhi, a Maria, che volevano significare:
— Grazie! Grazie!
Maria, quasi atterrita dell’assenso dato, sorrideva tristemente.
⁂
Ora la lotta era presso il Parroco. La campanella di San Giovanni si concedeva al miglior offerente.
Il Parroco spiegava:
— Capisci, figliuolo mio. Tu rappresenteresti il più amato discepolo di Gesù Cristo, San Giovanni evangelista. Gesù è risuscitato. La Madonna e le Marie non lo hanno trovato nel sepolcro; lo cercano dappertutto dopo che l’Angelo ha detto a Maria Maddalena: — Non è qui! — E così san Giovanni va attorno per avere notizie del Signore risuscitato. ’Ntio! ’Ntio! ’Ntio! Il suono della campanella significa: — Lo avete visto? Lo avete incontrato? — per portar la notizia alla Madonna che piange il figliuolo morto crocifisso. ’Ntio! ’Ntio! ’Ntio! E’ come se tu fossi San Giovanni!... Dunque che daresti?
E il parroco notava il nome e l’offerta.
— Scriva — disse Saro Barreca: — Mezza salma di farro. E se ce ne vorrà di più, metterò di più. La campanella dev’essere mia.
— Eccola là! — rispose il Parroco. — Appoggiata al muro.
Il manico della campanella, incastrato in bilico su un grosso bastone colorato in rosso, era già ornato di rose finte; e lasciava pendere fino a terra il laccio che doveva permettere di fare quei rintocchi di rito: ’Ntio! ’Ntio! ’Ntio!
Saro volle provarsi.
— Bravo! — disse il Parroco. — Ma bisogna attendere fino a venerdì sera, per la certezza. Si tratta dell’interesse della chiesa; le offerte non servono per me ma per le spese del culto.
Nino Sbrizza volle arrivare proprio all’ultimo momento, e soverchiare tutti. Andò, di sera, in casa del Parroco per parlargli a quattr’occhi. Nella sagrestia c’era sempre gente, o il sagrestano; e Nino non voleva testimoni.
— Dica, vossignoria; io accetto la sua parola.
— Ma, figliuol mio...
— Niente! Pago sùbito, in contanti anche. Dica vossignoria!... E pago io pure la banda.
— Sogliono far cena a mezzanotte. Un montone al forno, e vino e càlia... Lo sai!
— Due montoni, se occorrono... E quel che vossignoria comanda!
Nino, con le braccia dietro la schiena, in piedi davanti al Parroco attendeva la risposta decisiva, che questi pareva cercasse nel breviario aperto sul tavolino per dire l’uffizio.
— E vossia farà la buona Pasqua col tacchino che riceverà sabato mattina...
— Oh, per me, nulla! Io non c’entro! Io non c’entro! — protestò il Parroco. — Per la chiesa, per la campanella... una salma di farro o il prezzo. Sei contento? Faccio una particolarità, per riguardo di tua madre che è una gran devota.
— E il tacchino... lo manderà mia madre. Le bacio la mano!
La gnà Vicenza, col pretesto delle funzioni religiose della settimana santa, stava attorno a Maria Ledda per riportare notizie, per battere il ferro, come lei diceva, mentre era caldo, perchè quella benedetta ragazza riguardo alla fuga, aveva un cuor d’asino e un cuor di leone, secondo i momenti e le piccole circostanze. E Nino le andava dietro da una chiesa all’altra, facendo le viste di visitare i santi Sepolcri. E più tardi, durante la processione del Cristo alla Colonna, si strizzava rabbiosamente le mani e si mordeva le labbra, per quella malombra di Saro Barreca, che, assieme con Pizzuto, ora seguiva, ora precedeva le Ledda. Poi Nino pensava che tra due giorni, Maria sarebbe scappata di casa con lui, e si rasserenava e faceva l’indifferente.
Quando Saro apprese che la campanella di Pasqua era toccata al suo rivale, andò a prendersela col Parroco, minacciando, bestemmiando nella sagrestia, quasi si trovasse in una taverna. Il Parroco ch’era un omone, lo aveva preso per le spalle e messo fuori dell’uscio, ripetendo:
— Nella mia chiesa faccio quel che mi pare!
⁂
In quei giorni, Maria Ledda sembrava una mosca senza capo. Si aggirava per la casa, cominciava una faccenda, smetteva, ne principiava un’altra, e rimaneva come incantata, con le braccia ciondoloni, guardando per aria.
— Che hai? — le domandava la sorella.
Rispondeva con una spallucciata; e se ne andava su la terrazza, quasi nelle stanze sentisse mancarsi il respiro. Ormai aveva detto di sì! Ma che sarebbe avvenuto dopo? Le pareva che non dovesse più rivedere la casa dove era nata e cresciuta; la sua cameretta imbiancata a calce, coi santi appiccicati al cappezzale, la candela della Candelora e la piletta di terraglia per l’acqua benedetta.
Nel vuoto del muro, riparato con una vecchia coltre, stavano appesi i vestiti, e giù, su una tavoletta, le scarpe, gli stivaletti, assieme con un cofanetto di paglia, a colori, ripieno di sete, di aghi, di scampoli, di fettucce, di cordelle, e tra essi, un paio di forbicine. La cassa, tinta di verde, a piè del letto, con la biancheria sua particolare, due scialli, uno nero e l’altro di seta gialliccia, per l’estate, fazzoletti, calze, nascondeva, sotto sotto, i regalucci di Nino, che non poteva mostrare ai parenti: due anelli e una collana di corallo.
Maria, tirava da parte la coltre e rimaneva a guardare i vestiti, rivoltati, appesi ai chiodi; apriva la cassa verde, metteva sossopra la biancheria, gli scialli, e tastava la carta dov’erano involtati gli anelli e la collana.
— Non ti prepari, per la visita ai santi Sepolcri e per la processione? C’è, di là, la gnà Vicenza che si accompagnerà con noi. Che stai a rimestare? — venne a dire Rica.
— Su, lagnusazza!3. Io che sono vecchia sono già pronta.
E la gnà Vicenza, entrata nella cameretta, appena si vide sola con Maria, la rimproverò:
— Dovresti, anzi, mostrarti più allegra degli altri giorni! Infine, non vai alla morte. Quel poveretto smania, non vede l’ora. Passerà due volte con la banda e la campanella; alla terza volta sarà solo, mentre gli altri mangeranno il montone al forno e si ubbriacheranno nella taverna di Scatà. Un vestito, due camicie, due paia di calze... Butterai l’involto dalla finestra... e scenderai le scale! Se non fosse pel buon fine.... Figurati, figliuola mia, se penso a dannarmi l’anima! Allegra! Coraggio!... Vuoi che ti pettini io?
— Farò più presto da me. — rispose Maria.
E aveva il pianto nella voce, e le lacrime che le gonfiavano gli occhi.
— Non farti scorgere!... Allegra!
Di là si sentiva la parola grave e lenta di massaio Ledda:
— Io devo tenere le maniglie della barella del Cristo alla Colonna. È devozione di famiglia: da padre in figlio. Voialtre spicciatevi.
Appunto quella sera Maria, che avrebbe voluto vedere il padre alle maniglie della barella del Cristo alla Colonna, dovette voltarsi dall’altra parte, irritata dalla sfacciata insistenza con cui Saro Barreca la guardava, quasi avesse qualche diritto di perseguitarla in quel modo.
E mentre il Cristo, tutto piagato, legato da un cordone dorato alla colonna di argento, con le mani dietro la schiena, barcollava sulla barella, in mezzo alle torce accese davanti alla raggiera che lo circondava, la gnà Vicenza, stringendo una mano di Maria, pregava in modo che questa la udisse:
— Signore Gesù, aiutate le anime in pena che si rivolgono a voi! Date ad esse forza e coraggio per quel che devono fare; così, con la vostra divina grazia, potranno servirvi santamente in questa vita e glorificarvi, dopo morte, nell’altra!
⁂
Nino era in grandi faccende per via della cena nella taverna di Scatà.
Dalle due di notte — allora si contava così — fino alla mezzanotte, la banda andava dietro a colui che sonava la campanella di San Giovanni, con gran rumore di tamburo, di gran cassa e di piatti. Poi fatto onore al montone al forno — pietanza tradizionale in quella occasione — veniva ripresa la passeggiata per le vie, dietro il ’Ntio! ’Ntio! della campanella, con rinforzo di passi doppi, allegramente stuonati e grida degli sfaccendati che li seguivano:
— Viva la Misericordia di Dio!
Nino voleva fare le cose alla grande.
Lo zi’ Scatà, il tavernaio, in maniche di camicia con le mani incrociate sul pancione, proponeva:
— E se cuocessimo due fili di maccheroni?
— No, si andrebbe troppo per le lunghe.
— Anzi! Il sugo li fa scivolare giù per la gola meglio di ogni altra cosa.
— Vada pei maccheroni!
— Vino di Vittoria, arrivato fresco fresco!
— E senza battezzarlo, mi raccomando.
— Lo zi’ Scatà è cristiano, ma il vino lo vuole turco...
— Per sè. Ma per gli altri?
— E càlia e fave arrostite a disposizione dei bevitori.
— Tutto pronto per la mezzanotte.
— Non è la prima volta, compare Nino... Io — scusate il consiglio — aggiungerei le cassatelle di ricotta col miele. Mia moglie, che è stata nel Monastero, le prepara meglio delle monache.
— Non mi dispiacciono, zi’ Scatà!
Voleva farsi onore. Voleva che, ogni anno, si ricordassero della cena di Nino Sbrizza, quando scappò con Ledda, la notte del Sabato Santo. E mentre dava gli ordini, gli pareva che Maria fosse presente e l’approvasse, perchè la campanella di San Giovanni, e il montone al forno, e i maccheroni e le cassatelle di ricotta col miele, erano in onore di lei, una festa di amore!
Glielo ripetè la notte appresso:
— Una festa di amore per te!... Hai tutto pronto?
— Ah, Nino! Che mi fai fare!
— Ti sei pentita? Non mi vuoi bene?
— Ti avrei detto di no, come da principio. Penso a mio padre. Non mi perdonerà!
— Fra due mesi, saremo marito e moglie! Non devi pensare ad altro!
— Rica forse sospetta qualcosa. Mi ha detto: — Quella gnà Vicenza! Certe vecchie portano alla perdizione! — Per chi mi hai presa? — le risposi. — Poveretta! Vorrebbe un paio di scarpe vecchie!
— È la nostra provvidenza! Le regaleremo un vestito nuovo. Se lo merita. Hai capito bene? Passerò due volte colla campanella e la banda. Poi li lascerò a ubriacarsi da Scatà. Due soli ’Ntio! ’Ntio! da sentirsi appena; butterai il fagotto giù dalla finestra, io sarò davanti alla porta...
— Zitto!... Mi è parso...
Maria accostò l’imposta; Nino si addossò al muro. Nella fitta oscurità e nel silenzio egli sentiva il battito accelerato del cuore.
Maria riaperse lentamente l’imposta. Nino, con un salto, fu sul pezzo d’intaglio che gli serviva da piedistallo proprio sotto la finestra.
— Sii pronta, per carità!
— Sì, sì! Buona notte!
— Buona notte.
E Nino si avviò, zufolando, verso casa, strofinandosi le mani dall’allegrezza perchè quello era l’ultimo loro segreto colloquio notturno!
⁂
La festa dell’Inchinata, dalla notte del Sabato Santo alla mattina della Domenica di Pasqua, poteva dirsi una specie di rappresentazione, di Mistero Sacro, dove facevano da personaggi la campanella di San Giovanni, la Madonna avviluppata col manto di lustrino nero, e il Cristo risorto, col braccio destro levato in alto, il pennone tramato d’oro, attaccato all’asta, nel pugno sinistro.
Per ciò ogni anno don Giuseppe il sacrestano ripeteva le istruzioni a colui che doveva fare da San Giovanni, e ai quattro giovani massai che regalavano due tumoli di frumento ciascuno per portare a spalla la leggera barella della Madonna col manto.
— Nella nottata, è niente: ’Ntio! ’Ntio ’Ntio per le vie; ma, domenica mattina, quando vien la Madonna in cerca del Signore resuscitato e va ad attendere nella chiesetta di San Rocco, voi, figliuolo caro, dovete correre su e giù, tra le due ale di confratelli schierati in piazza; andare come uno sperduto che non sa più dove dar la testa; sempre più lesto, sempre più lesto, perchè vorreste consolare la Madonna: — Finalmente! L’ho trovato! — Intanto il Signore resuscitato vien portato nella Piazza, con la testa alta, con quegli occhi da spiritato che mettono paura... E appena voi lo vedete, un bell’inchino con la campanella e con tutta la persona e, addietro, di corsa. ’Ntio! ’Ntio! ’Ntio! Voialtri, con la barella della Madonna accorrerete alla notizia, a precipizio; io tiro il laccio che fa andar giù il manto e... tre volte avanti, tre volte indietro, tre inchini tra Madre e Figlio. Poi si fermano l’uno di faccia all’altro, fino a che non arriva il clero col Santissimo Sacramento, e non si avvia la processione, la Madonna innanzi, il Signore resuscitato dietro, e San Giovanni con la campanella: ’Ntio ’Ntio! ’Ntio! quasi per invitare a gridare: Viva! Viva!
Non c’era bisogno di queste istruzioni; ma don Giuseppe avrebbe creduto diminuita la sua autorità se non avesse riuniti nella sagrestia Nino Sbrizza e gli altri quattro giovani massai. Il suo zelo, però, non era proprio disinteressato. Nino infatti gli disse:
— Verrete a prendere un boccone assieme coi bandisti, da Scatà, domani notte.
E gli altri:
— Scusate, don Giuseppe. Bevete un bicchiere di vino alla nostra salute.
Don Giuseppe stese la mano e intascò, senza fiatare, quel pugno di soldi.⁂
— Sissignore! Col camice da confratello!
E Nino, al lume del mozzicone di torcia accesa da don Giuseppe su un piccolo candelabro della sagrestia, indossava il camice e la mantellina rossa; ma sopra di esso infilava il giubbone di panno, foderato di lana verde, col cappuccio, per garantirsi dal freddo di quella nottata di marzo, che era proprio di quello che penetra fin il corno del bue!
Appena l’orologio della chiesa finì di sonare i cento colpi — din! don! — delle due ore di notte. Nino si mise alla testa della banda, tirando il laccio che pendeva dal manico della campanella infiorata: ’Ntio! ’Ntio! ’Ntio!
Si udiva per le vie il grande scalpitio degli scarponi dei contadini che seguivano la banda, e il picchiare dei loro bastoni sul selciato, quasi per battere la solfa, e, di tratto in tratto, le grida:
— Viva la Misericordia di Dio!
Maria aveva dovuto fingere di andare a letto dopo che la campanella era passata per la via, tornando indietro. Tendeva l’orecchio per convincersi che il padre e la sorella fossero nel primo sonno; e non osava di accendere il lume, di mettere i piedi a terra, con le sole calze, per non fare il minimo rumore. Nel gran silenzio della notte, le arrivava, ora sì, ora no, il lontano ’Ntio! ’Ntio! della campanella, la voce di Nino, le pareva, che si raccomandava: Tienti pronta; tra un’ora sarò costì!
Tra un’ora! Oh, per amore di lui si sarebbe buttata viva nel fuoco. Ma quella fuga diventava per lei qualcosa di peggio. Lei stessa aveva terrore che, all’ultimo momento, non le venissero meno la forza e il coraggio....
Ed ecco — mettevano i brividi, quasi lanciassero per l’aria un malaugurio — ecco i cento colpi dell’orologio — din! don! — che suonavano la mezzanotte dal campanile della Matrice. Arrivavano da lontano, fiochi, lenti... non finivano più. Tra mezz’ora, tra un quarto d’ora, Nino avrebbe lasciato gli altri nella taverna di Scatà... L’avrebbe condotta da una parente di lui, e sarebbe tornato a riprendere il giro con la campanella e la banda, fino all’alba, come se niente fosse stato!
Nella casa e nella via silenzio profondo.
Acceso il lume, preparò il fagottino, infilò le scarpe, si buttò addosso lo scialle, e si sedette accosto alla finestra socchiusa, soffocando i singhiozzi con un fazzoletto, col cuore in tumulto, trasalendo a ogni piccolo rumore.
Udì lievi passi sotto la finestra. Spense il lume, aprì metà dell’imposta, e tossì leggermente. Le fu risposto allo stesso modo.
— Tieni! Scendo!
Il fagotto non era caduto per terra. L’imposta fu socchiusa, il lume riacceso; e due minuti appresso per la via dove ancora non erano lampioni, nella fitta oscurità della notte, risuonarono i passi dei fuggitivi... Immediatamente, allo svolto della cantonata, un gran grido di donna che chiamava: Aiuto! Aiuto!
Poi niente.
⁂
Pietro Chitella, inteso Lasagna, si era precipitato nella taverna di Scatà come se fosse stato inseguito, pallido, con la voce strozzata nella gola:
— Hanno ammazzato... qualcuno!
— Dove?
— Lassù.... vicino a casa mia. Un grido: Aiuto! Aiuto!
— E’ il vino di Pasqua! Eh? — disse lo zi’ Scatà che non voleva disturbata la festa.
Il brigadiere dei carabinieri però ordinò di preparare le lanterne e con due militi e parecchi della banda che volevano vedere il morto: — Torniamo sùbito! — si affrettarono dietro a Lasagna che ripeteva, senza andar oltre nella narrazione:
— Volevo accendere la pipa dopo di aver chiuso la porta... Erano tre, quattro alla svolta della cantonata... Andavano di fretta, si capiva dal rumore dei passi... E tutt’a un tratto: Aiuto! Aiuto!... Lasciai di accendere la pipa... Mi parve voce di donna!
Nino era rimasto inchiodato su la seggiola, sbalordito dal contrattempo.
— Quel Lasagna! E’ il vino di Pasqua!... Allegria, signori miei!...
Lo zi’ Scatà andava da un punto all’altro della tavola per rianimare la festa; ma pure quelli che eran rimasti là si sentivano impressionati dalle parole di Lasagna.
— Anche voi, compare Nino. Dove volete andare?
Nino, che si era tolto la mantellina rossa e il camice da confratello, s’infilava in fretta in fretta il giubbone di panno, e scappava via, senza rispondere una parola, quasi uno gli avesse sussurrato all’orecchio... non capiva che cosa, ma una cosa trista assai!
E a mezza strada, incontrò il brigadiere e gli altri che tornavano addietro ridendo:
— Niente! Niente! Una ragazza rapita, pare. Sentiremo domani!
Lo avevano visto sparire nel buio, e lo attesero invano da Scatà. Don Giuseppe il sagrestano, all’ultimo, prese lui la campanella e uscì per le vie, seguìto dalla banda: ’Ntio! ’Ntio! ’Ntio!
Nino intanto, come un cane da fiuto, andava; gli pareva di seguire una traccia, dopo che aveva trovato aperta la porta di massaio Ledda e Maria non aveva risposto alla chiamata nel vicolo.
— Com’è stato? Com’è stato?
Si fermava, origliava, riprendeva a correre all’impazzata.
E l’alba lo trovò seduto a pie’ di un ballatoio, in una straducola, coi gomiti su le ginocchia, con la testa tra le mani, quasi rantolando:
— Scellerata! Scellerata!
⁂
Due giorni dopo, Pizzuto si presentava al brigadiere:
— Creda, creda, signor brigadiere! E’ stato per caso. Chi ne sapeva niente? Io avevo detto a Saro Barreca: — Vuoi scommettere che Nino Sbrizza penserà di far assaggiare alla Ledda le cassatelle con la ricotta preparate da Scatà? — E andammo ad appostarci in fondo al vicolo, per mettergli paura e portargli via almeno le cassatelle... Fu così, signor brigadiere!... Chi ne sapeva niente? Ora, però, bisogna accomodare la faccenda. La picciotta dice ancora di no! Ma, capisce? Saro, che n’era innamorato pazzo... Capisce?... Non è giovane per nulla... Vedrà. Si aggiusterà ogni cosa. Venga con me. Intanto bisogna tener d’occhio Nino Sbrizza, che non vuol credere al caso e minaccia di ammazzare, di squartare!...
Dovette crederci, povero Nino, quando seppe che la sua Maria, non potendo sopportare l’orrenda fatalità e la violenza patita, si era conficcata nella gola un paio di forbici, ed era morta proprio mentre Pizzuto diceva al brigadiere:
— Venga! Si aggiusterà ogni cosa! Saro è pronto!....