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In terra libera



Lugano, settembre ’909,


Ogni anno, all’avvicinarsi delle vacanze, mi propongo:

— Ah, stavolta, niente Svizzera; andrò nell’Umbria a satnrarmi di verde e di nostalgie mistiche; a Venezia in cerca dhmo stato d animo armonizzante con tutti i toni bigi, i toni cernii, i toni lividi della laguna e delle fondamenta; in Sicilia a far provvista di visioni di bellezza per dodici lunghi mesi; andrò in montagna, andrò in campagna, andrò in riviera ma non a Lugano.

E ogni anno, il fascino della piccola città mi riprende; non il fascino esteriore della sua bellezza che pure è innegabile; ma un altro più serttile e più forte, sprigionantesi, direi quasi, [p. 242 modifica]dalla fisionomia morale della città. Il ricordo estetico del suo piccolo lago verd’azzurro — un lago di malachite stemperata nell’opale — vegliato dall’alta pace delle montagne solenni che invano i piccoli uomini profanatori tentano di deturpare con funicolari ignobili e di addomesticare con una dégringolade di villini appollaiati sul fianco roccioso aspro e nudo — non basterebbe per determinarmi a varcare il confine.

Il richiamo è più forte: viene dai mille aspetti di vita che in questa piccola città si fondono; dalla strana fisionomia sua, metà villaggio e metà Cosmopolis; dalla sua anima blasée che le fa ospitare colla stessa indifferenza un sovrano autentico, e l’ultimo ribelle di Peretola in contumacia di sentenza pretoriale; dalla saturazione d’internazionalità, che l’ha tutta penetrata e che l’ha preparata ad accogliere le espressioni più audaci e le più avanzate forme di modernità — nella vita pratica come in quella filosofica — con una semplicità che forza l’ammirazione.

Poche, io direi nessuna città al mondo è interessante come Lugano sotto codesti punti di vista; io non so se ci venga con disposizioni ammirative, certo ci ritorno sempre colla [p. 243 modifica]stessa curiosità osservatrice che non mi lascia mai delusioni.

Città? A volte, meno: una strada di villaggio; a volte assai di più: una grande stazione internazionale. Qua, è la provincia colle vie acciottolate dove, dopo una giornata di pioggia, Perba spunta tra i sassi, colla lunga teoria di portici irregolari, neri, serbanti gelosamente, fin che una raffica di vento non vi corra dentro a spazzarle via, le esalazioni composte e complesse dei negozi che vi si aprono: P odore sano e vellutato del pane caldo, quello acuto ed eccitante delle spezie e delle droghe, quello soffocante di farmacia, quello nauseante del sangue dei macelli ed il puzzo dei formaggi, dei cuoi, delle cotonine oliate e il profumo caldo delle pasticcerie e quello deliziosamente snervante delle profumerie ~ una gamma di sensazioni olfattive possenti per la memoria e per il ricordo quanto e più della visione; — la provincia, colla vita vissuta in istrada, sulle porte dei negozi, sulla soglia della casa, in un verboso scambio di sensazioni, d idee, di commenti che potrebbe costituire una specie di Acta Diurna per la storia avvenire della città.

Altrove è la stazione climatica cosmopolita: un paesaggio fin troppo pittorico, troppo [p. 244 modifica]bello, troppo completo, troppo perfetto: lungo la linea dell’insenatura del lago, una passeggiata meravigliosa prospiciente l’acque, prospiciente le montagne, vegliata dalla catena delle colline degradanti e più lontano dalla corona dell’Alpi nevose: un cielo pallido divinamente malinconico: una dolcezza di raccoglimento indicibile. E accanto a questo paesaggio di sogno e di poesia, la praticità non disprezzabile che ha realizzato tutte le comodità della vita in alberghi di primissimo ordine, alberghi che sono monumenti, circondati da giardini che sono parchi, condotti da proprietari che sono gentlemens, frequentati in ogni stagione da una colonia esotica che viene da tutti i punti della terra, portando per un giorno, per una settimana, per un mese, in questo angolo sereno di serena repubblica, i più bei nomi del Gotha internazionale e i rappresentanti delle fortune più prodigiose.

Di sera, quando il sole è calato dietro il San Salvatore, e l’acque del lago si fanno più verdi, e la piccola città s’ammanta di poesia, la colonia forastiera deserta gli hótels per popolare la passeggiata lungo il lago; sfilano qui i tipi più diversi, passano le più svariate fogge di vestire, s’incrociano tutti gli idiomi d’ [p. 245 modifica]Europa. Un po’ più tardi, all’onda esotica si mescola P elemento cittadino: chiusi i negozi, assaporato il caffè, il luganese corona la sua giornata colla inevitabile passeggiata lungo il quai in compagnia della consorte se la consorte c’è, eolla brigata dei figlioli se ci sono i figlioli, e il suo commento intorno al concorso dei forastieri è fatto soltanto di considerazioni commerciali, non comporta alcuna di quelle ingenuità ammiratrici che accompagnano sempre, altrove, di fronte al visitatore straniero ricco misterioso e chiuso, la contemplazione dei piccoli borghesi épatés.

Ah, no! per épater il luganese ci vuol altro!

— Quello è il granduca di Gerolstein? Tanto piacere.

Lo ha visto entrare stamane nel suo negozio, scegliersi e comprare dei sigari, della cioccolata, degli orribili oggettini da bazar, delle pietre delle Alpi, iridate come una goccia di acqua attraversata da un raggio di sole; ha pagato senza discutere, ha parlato in tedesco e non s’è mostrato affatto sorpreso di sentirsi compreso e di udirsi rispondere nella stessa lingua.

Diceva Carlo V che, per ogni nuova lingua che s’impara, è una nuova anima che s’ [p. 246 modifica]sta. Forse, l'anima internazionale del luganese gli viene dal fatto di conoscere tante lingue: il potersi esprimere colla stessa facilità in italiano, in francese, in tedesco, in inglese, spesso in russo, lo fa essere un o di tutte codeste nazionalità, mette subito il suo spirito all'unisono di quello di chi gli parla, toglie di mezzo la prima e più grave ragione per la quale un uomo è straniero a un altro uomo.

Qui, non c'è quasi negozio dove non si parlino le tre lingue: i bimbi le imparano contemporaneamente, per le strade si odono indifferentemente: delle tre, direi quasi che la peggio parlata è l'italiano, quantunque il paese appartenga alla Svizzera italiana e il dialetto che vi si parla sia una corruzione del lombardo.



Di tutti gli stranieri che qui passano o si soffermano, il più interessante per il luganese, il foràstiero per eccellenza è l'italiano.

Dico il più interessante; mi guarderei bene dal dire il più amato e tanto meno il meglio accolto. Interessante dal punto di vista della curiosità che ispira, dei commenti che suscita, dei discorsi ai quali può fornire argomenti. [p. 247 modifica]Che volete dire intorno al Re di Romania che s’è fermato dieci giorni in un Grand Hotel del Ceresio?

— È proprio Re? Perbacco! Ha con se la moglie. (Siamo in Repubblica). Bella donna! Viaggia per salute. È ricco. Molto. Poco. Così così.

E basta.

Pensare invece quale sorgente d'interessantissime ricerche la discesa del direttore proprietario dell’Eco di Piavóle alla Trattoria del Salice! Il direttore è giovane, simpatico, abbastanza ben vestito. Le belle figliole dei negozi della piazza dove c’è la trattoria se ne sono accorte. Qualcuna è già corsa per informazioni dalla figlia della padrona.

— Chi è?

— Un giornalista.

Un giornalista! Le fantasie lavorano. Il forastiero è entrato in uno dei negozi, ha comprato dei sigari — costano poco, qui, per consolazione degli esuli — ha scambiato due frasi banali con untarla annoiata che la fanciulla — i negozi, a Lugano, sono tenuti quasi esclusivamente da donne — ha trovato supremamente interessante, poi è uscito.

Lungo la strada la notizia è corsa e il romanzo è stato imbastito: il forastiero è un [p. 248 modifica]giornalista che ha ucciso in duello un ufficiale, col quale s’era battuto per ragioni d’amore.

— Per questo ha l’aria così malinconica — dice una piccola bionda, che stanotte lo sognerà.

In realtà, la malinconia del direttore-proprietario dell’Eco di Piavole è soltanto preoccupazione, come il suo volontario esilio è dovuto a una ragione meno poetica d’un duello ma assai più impellente: una querela per diffamazione a mezzo della stampa.

Non importa: per qualche giorno egli è un eroe agli occhi e nel cervello di tutto un piccolo mondo femminile.

Per gli uomini, no. Il luganese è pratico, sa la storia, e sopratutto ha per se l’esperienza. Nel suo concetto, il forastiero, cioè Vitaliano, è una piaga per il paese. Una piaga fatale, inguaribile, che egli accetta con rassegnazione ma non senza un perpetuo intimo senso di rivolta. L’esperienza gli ha insegnato che raramente perviene qualcosa di buono da oltre il il confine, e molto spesso, troppo spesso, invece, giunge della merce avariata.

Nessuno gli potrebbe dar torto: è troppo vero che oggi la

«libertà va cercando ch’è sì cara»

[p. 249 modifica]di chi piomba in Isvizzera è, ottanta volte su cento, soltanto quella eli non andare a vedere il sole a scacchi. E ai tiranni, il luganese, con molto buon senso, non crede più.



Ci ha creduto quando c erano, e li ha odiati: d’avere ospitato Giuseppe Mazzini nella Villa Nathan si fa giustamente una gloria. D'essere stato l’amico fedele e sicuro di tutti i grandi esuli lombardi prima, dei perseguitati mazziniani poi è ancora oggi orgoglioso. Ed è verità documentata che codesta amicizia raggiunse in qualcuno forme eroiche — in Carlo Battaglini, per esempio, il fedelissimo amico di Mazzini, di Eosales, di Alberto Mario, d'Aurelio Saffi, della Principessa di Belgioioso e più. tardi di Carlo Cattaneo — spirito nobilissimo, sommo di cuore e d ingegno, fedele sino al sacrihcio, generoso sino alla prodigalità.

Il bel periodo eroico delle lotte nostre e delle persecuzioni autentiche aveva fecondato anche qui qualche seme isolato di rivoltoso. Dove lo spirito d’avventura s’innestava al temperamento indomito, il gesto andò anche oltre il segno. Partirono da Lugano ed erano luganesi Natale Imperatori e quel Greco che [p. 250 modifica]furono complici di Felice Orsini nell'attentato contro Napoleone III. I due erano a Parigi con quell'Angelo Trabucco che sui biglietti da visita si definiva: Primo corno della Regina d’Inghilterra. Dopo l'attentato, l'Imperatori venne condannato a morte, ebbe commutata la condanna nella deportazione a Caienna, riuscì a fuggire, venne in Italia, continuò a cospirare, a lottare, ad agitarsi, fu dei Mille a Marsala, fu ad Aspromonte e a Mentana — e quando non ci fu più niente da fare in Italia, se ne tornò a Lugano e aperse un negozio da cartolaio sotto i portici di Piazza della Riforma. Ma continuò a modo suo a fare il Mazziniano, lo Internazionalista, il Garibaldino, il ribelle, insomma. Non potendo più contribuire a fare la storia, diventò lo storiografo delle epiche lotte alle quali aveva partecipato: fuori e dentro il suo negozio era sempre un esposizione di cromolitografìe a base di camicie rosse, di berretti frigi, di battaglie, di profili di eroi; Garibaldi e Mazzini, Felice Orsini e Victor Hugo vi fraternizzavano dinanzi alla carica di Mentana, allo sbarco di Quarto, alla presa di Calatafimi, al panorama di Caprera. I bambini e i giovanetti luganesi si soffermavano estatici a contemplare paesaggi e profili, osavano [p. 251 modifica]talvolta una domanda alla quale Natalino rispondeva con un tono di voce terribile e con una occhiata che era una carezza, imparavano la storia così, e se si mostravano intelligenti, appassionati, entusiasti, ricevevano magari in premio un soldo di decalcomanie dal buon orso terribile e innocuo, che il governo imperiale aveva condannato a morte e che da tanti anni era ridotto a vivere di ricordi e dell'amicizia dei piccoli.

Povero Natalino! Questanno non ho trovato piii né lui ne il suo negozio. Mi sono informata: l'antico cospiratore, carico danni ormai, s’è ritirato a vivere in campagna. Mi vien la tentazione d andare a domandargli:

— Chi è che ha tirato la terza bomba contro Napoleone?

Chissà, forse egli mi guarderebbe stupito, incredulo che i giornali siano andati a cavar fuori ancora codeste cose, dopo tanti anni che lui non ci pensa più.

Tutto questo è il passato: protagonisti di avventure epiche e profughi eroi sono scomparsi collo scomparire dell'epoca eroica. Gli ultimi perseguitati che Lugano abbia accolto con interessamento simpatico sono stati gli esuli del ’98: rappresentavano ancora la [p. 252 modifica]reazione a una reazione autenticamente politica, quelli, erano ancora vittime autentiche, i sacrificati a un pensiero, a un idealità, a una ribellione, che rappresentavano l’avvenire di fronte a un passato agonizzante.

Dopo, profughi interessanti, Lugano non ne ha visti più. Ha accolto, sì, molti fuggiaschi colla giustizia alle calcagna — la giustizia, non la persecuzione: agitatori incoscienti responsabili di rovine senza numero, truffatori dell’ideale e truffatori volgari, gli uni più ignobili forse, ma anche assai meno colpevoli degli altri. La piccola città silente se ne è disinteressata e neppure ci badano le fanciulle serene, spianti da dietro le vetrine, di tra le pile di cioccolatta o le costruzioni architettoniche di scatole di sigarette: essi non hanno nemmeno il fascino del direttore dell’Eco di Piavole!

Come è aperta a tutti gli uomini la piccola città, così è aperta a tutte le idee.

Novemila abitanti ha Lugano, ma ha quattro giornali politici quotidiani, parecchi periodici settimanali, una rassegna letteraria, una di sociologia, una di liberi studi — il Cænobium, organo dei buddisti europei e dei modernisti [p. 253 modifica]laici. È facile immaginare il fermento d’idee scaturente da codesta valanga di carta stampata. Pochi ne sono turbati, è vero, ma quei pochi portano nella traduzione pratica delle idee più bizzarre un cumulo d energie che difficilmente non riescono vittoriose.

Qualche anno fa, una rassegna letteraria propugnava la fondazione d’una colonia vegetariana nel cantone, e la colonia sorse poco lungi da Lugano, ad Ascona che vide lo strano spettacolo di uomini, donne e bimbi nature passeggiare in costume adamitico nel vastissimo terreno di proprietà di quella curiosa associazione.

L'anno passato, il Cænobium ha lanciato la idea d’un cenobio laico ed ecco che si annunzia prossima l'erezione d’un convento buddista che dovrà sorgere proprio qui e pel quale s’è già fatto il nome del priore, un iniziato indù.

L’ultima bizzarra idea l'ho raccolta ieri. S’è fondato non diciamo un partito, ma un circolo politico annessionista, che si propone di staccare il Cantone dalla Confederazione per cederlo all’Italia. Non so se il proposito commoverà la Monarchia: io ho trovato irresistibile l’attaccamento appassionato d’uno dei cospiratori per il nostro Paese. Ogni tanto, il [p. 254 modifica]poveraccio sente il bisogno imperioso, assoluto di prendere il treno e di correre fino a Chiasso per varcare la linea di confine e premere un po’ di terra italiana.

Ieri l'altro, salutando un amico che partiva per Zurigo dove doveva farsi operare, gli diceva:

— Senti, piuttosto che andare a farmi guarire dai tedeschi preferirei quasi lasciarmi ammazzare da mani italiane!

È stato a Roma mesi fa e ha avuto occasione di vedere la Regina. Fu un delirio d’entusiasmo. Narrandone poi, concludeva così:

— E io feci, contemplandola, un voto: O Augusta Donna, mi concedano i fati di potere un giorno chiamarmi Tuo suddito!

Perchè non gli risponderemmo: — Amen! — povero cospiratore armato soltanto di classicismo e di poesia?