Comedia di Iacob e Ioseph/Atto quinto

Atto quinto

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Atto quarto Atto sesto

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ATTO QUINTO

Nel quale si tratta de la venuta dei figlioli di Iacob di Egitto e delli loro avvenimenti e di tutto quello che gl’incontrò in quel viaggio.

SCENA I

Sopher nunzio, solo.

     Essendo ora sul monte, i’ ho veduto

gente ben da lontano, che per certo
sian figli di Iacob ben m’è paruto.
     Io era in cima in cima, ov’è piú erto,
e vidili venir per la pianura
con le lor some, dove il campo è aperto;
     allor diss’io: Quest’è la mia ventura!
se il primo serò a dargli questo gusto,
Iacob si mi dará la nunciatura.
     Ho caro farlo ancor, perch’è ben iusto,
ché giá nova portai trista e noiosa,
come uno iniquo mentitore e iniusto,
     quando con quella vesta sanguinosa
dinanzi gli comparsi a farlo mesto:
conviene or dargli questa graziosa.
     Io voglio dunque andare et andar presto:
ogni dubbio e pensier gli leverò
per compensar queli’altra, come è onesto.

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     Non so se in casa adesso io ’i troverò,

non starò di cercarlo in ogni lato.
Ma l’esce de la porta: certo i’ ho
     quel ch’io cercavo a ponto, Dio laudato

SCENA II

Iacob, Sopher, Beniamino.

Iacob.   Molto stanno per certo a ritornare

i toi fratei d’Egitto, e sua dimora
mi fa temer di peggio e dubitare
     che appresso il danno de la fame ancora
o tutti o alcun di lor, per qualche avverso
e tristo caso, non s’infermi o mòra.
     A te, summo Fattor de l’universo,
lor ricomando e me, che come andòrno,
ritornin sani e il tempo non sia perso.
     Chi d’alcun caro assente il suo ritorno
brama, chiede et aspetta, colui certo
per desiderio invecchia in un sol giorno.
Sopher.   Io non voglio tenerti piú coperto,
o fortunato vecchio, quel ch’io porto:
non voglio che piú sii dubio et incerto.
     Vedut’ho i toi figliol, piglia conforto,
che di bon passo vengono qui appresso:
venni correndo, come me n’ fu’ accorto.
     Non li lassai lontani e però adesso
credo che qui seranno: a te sta mo
ricordarti di me per cotal messo.
Iacob.   Amico mio da ben, mai lasserò
far il debito mio, com’è dovere:
ingrato non fui mai né mai serò.
     E se ben giá mi désti da dolere,
con una vesta ch’ancor mi dá pene,
per questo non starò farti piacere.

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     Tu hai detto il vero, io vedo che ne viene

de’ mei figliol l’amata compagnia,
e son ben carchi, s’io comprendo bene:
     or piglia il suo vigor l’anima mia.
Ma indugiar non voglio per niente,
ch’io non li scontri in mezzo de la via,
     e non li abbracci tutti dolcemente.

SCENA III

Iuda, Ruben, Iacob e li altri sette figlioli.

Iuda.   Ecco il bon vecchio nostro, ecco il bon zoppo,

ecco quel ch’ama noi piú che se stesso:
oh, come averá a caro il nostro intoppo!
     A te, Rubén, come gli sei d’appresso,
tocca il parlare e tu fa’ che ’l saluti
in nome di noi tutti, e fallo adesso.
Ruben.   Il nostro grande Iddio ti salvi e aiuti,
diletto padre nostro e venerando!
Di Egitto, come vedi, sém venuti,
     e come sani sempre fummo andando,
cosí al tornare, e il grano abbiam portato,
che un pezzo n’anderá pur sustentando.
Iacob.   Figli mei benedetti, Dio laudato
sempre di quel che inverso noi dispone!
Il tornar vostro qui molto mi è grato,
     ma non è senza qualche mia passione:
voi n’eri diece et or voi séte nove.
Che è del vostro fratello Simeone?
     Ditemi che è di lui, e con chi e dove,
perché non è con voi: ditelo presto,
che ’l cor mio a sospettar di lui si mòve.
Ruben.   Padre, non ti turbar punto per questo.
Ascolterai di noi tutto il progresso,
e ti riposerai dappoi del resto.

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     Da forza vederai che l’è processo

il lassar Simeone, e che gli è via
d’averlo presto, come intendi appresso.
     Quel che tiene in 1 ’ Egitto signoria,
subito che ne vide a sua presenza,
ci parlò crudo e con cera aspra e ria,
     e disse:—Io vi conosco a l’apparenza
che séte esploratori —, e per tre volte
che fussimo spion die’ per sentenza.
     Noi replicammo con parole molte
ch’omini erám di pace e non ribelli,
con le menti da insidie in tutto sciolte;
     e ch’éramo ben dodici fratelli,
tutti d’un padre nati veramente,
da fame spinti, pover’ meschinelli;
     e ch’un non gli era piu, l’altro sequente,
minor di tutti, in terra cananea
era con te rimasto certamente.
     Cosi tra noi di ciò si contendea,
e lui rispose, che volea provare
se l’era il vero quel che si dicea,
     e disse: — Andate pur a comperare
del gran quanto bisogna, e ritornate
con esso a casa, pel vostro mangiare;
     ma un di voi convien che qui lassate,
che per ostaggio stia, fin che ’l minore
vostro fratello qui voi mi menate.
     In questo modo, qual tengo il migliore,
conoscerò se séte omin di pace,
e se tra voi gli è alcuno esploratore.
     Cosi ’l vostro parlar terrò verace,
e l’ostaggio averete a vostra posta,
e tór de l’altro gran quanto vi piace. —
     La cosa a ponto sta com’io l’ho esposta:
per questo li rimase Simeone,
qual n’aspetta in prigion con la risposta.

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     Ma un’altra cosa gli è di ammirazione,

e quel che ne fa Dio noi non sappiamo,
onde restiamo in gran confusione;
     che quando i nostri sacchi noi apriamo,
ognun di noi i dinar che ’n grano ha speso
ne la bocca dei sacchi ritroviamo.
     Tutto quel ch’è accaduto, tu l’ha’inteso:
se tu vói Simeone e aver piú grano,
sai mo quel ch’hai a far, non star sospeso.
Iacob.   Tanto farete pur di mano in mano,
che senza i mei figliol mi troverò!
Questo è un partito troppo duro e strano.
     Ioseph è tanto tempo che mancò,
Simeon si ritrova incarcerato,
e Beniamino mi torrete mo.
     Non será el ver, che tutto è rivoltato
sopra me questo male, e son quel io,
che in fin tutti i dolori ho sopportato?
Ruben.   Padre, ascolta ti prego il parlar mio.
Se sano e salvo non te lo rimeno
insino a qui, secondo il tuo desio,
     ho dui figlioli, e non n’ho piú né meno:
occidili ambidui. Beniamino
insin a mo sopra di me lo meno.
Iacob.   Non vo’ che con voi faccia tal cammino
il mio figliol, ch’è qui per mio conforto,
ancor che ’l loco fusse piú vicino.
     Il suo fratei materno Isepe è morto,
e lui rimasto solo, e se in Egitto
gl’intravenisse alcun sinistro torto,
     questi capelli mei canuti al dritto
sotterra i mandereste con dolore;
si che dar non vel voglio, e questo è ditto.
     Andate e non tenete piú di fòre
le vostre some, e il grano qual avete
compartitelo bene e senza errore,
     e fatelo durar piú che potete.

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SCENA IV

Iacob solo.

     Dura cosa è per certo in questa vita

misera nostra, che mai vera posa
pò pigliar l’omo, o aver cosa compita:
     né si lieta materia o graziosa
in queste umane cose si presenta,
che al fin non torni poi trista e noiosa.
     Cosi sempre in fatiche e affanni stenta
la mortai turba, pria che morte vegna,
né so se dappoi quella è mai contenta.
     O Dio, tua grazia prego mi mantegna
in umiltade vera e pazienza,
che a aspettar la tua pace mi ritegna.
     Con quanta ansietade quest’assenza
portato ho de’figlioli! e quand’io credo
pigliar conforto de la lor presenza,
     ecco un figliol mi manca, e a quel ch’io vedo,
lá sta in prigion, Dio sa s’è vivo o morto,
tra gente strana, e se mai piú ’l rivedo!
     Che farò mo? s’io’l lasso lá, fo torto:
s’io mando Beniamin contra mia voglia,
rimango privo d’ogni mio diporto.
     E s’io’l ritengo, cresce un’altra doglia,
ché piú gran non aremo, onde ’l pensiero
fia dur per ogni banda, quale io voglia.
     Sai che farò? al mio Dio vivo e vero
la mente volterò, la sua pietade
mi condurrá pel debito sentiero.
     E quel che piacerá a la sua bontade,
da Lui inspirato, piglierò pel meglio,
perché esso è via e vita e veritade.

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     Quest’è nei casi dubbi il ver conseglio,

questo m’è stato sempre guida e scorta.
Ma vedo che ’l ne viene il mio fameglio:
     intenderò quel che di novo porta.

SCENA V

Siban, Iacob.

Siban.   Patrone, i toi figlioli han fatto ’l conto

del grano, qual d’Egitto hanno portato,
per veder quanto ’l basta tutto a ponto;
     e in fine diece sacchi n’han trovato,
con quel di Simeon ch’è lá rimasto,
che in men d’un mese sera divorato.
     Senio assai bocche, e non di poco pasto:
donne, figliol, nepoti e gran brigata.
Tu sai che con la fame è dur contrasto.
Iacob.   Io ’l conosco pur troppo et ho provata
molti mesi tal cosa, e in fin sera
sopra me questa fava macinata.
Siban.   Quel partito che in fine a pigliar s’ha,
si deve pigliar presto. A me è paruto
darti avviso di quel ch’ora si fa.
     Lor veniranno a te, com’om saputo
e padre e vecchio: in queste cose estreme
con fatti si vói presto dare aiuto.
     Ecco che ’n qua ne vengon tutti insieme.

SCENA VI

ISACHAR, Iuda, IACOB, BENIAMINO.

Isachar.   Tanto non basterá, non per niente

bisogna ritornar presto in Egitto:
parla tu, Iuda, un poco arditamente.

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     Questo pensier, che s’ha nel capo fitto

nostro padre, convien farlo deponere;
forsi revocherá quel ch’elio ha ditto.
     lllDA. Qui non accade finzion componere;
il caso è chiaro. Quanto sia possibile,
m’ingegnerò la cosa al fin disponere.
     Benigno padre nostro, eli’è impossibile
senza pan durar troppo: danne un sano
consiglio sopra ciò, che sia fattibile.
Iacob.   Ritornate in Egitto a tòr del grano:
quel che dico e consiglio in fine è questo,
perché ogn’altro pensiero in ciò fia vano.
     IlJDA. Con iuramento disse e con protesto
quell’orno, che ’l suo volto mai vedremo,
se ’l minimo fratei, ch’è di noi ’l resto,
     non meniamo con noi; si che ’l faremo,
se ne ’l vói dare, e arém quel che bisogna.
Se noi vói dare, e noi non anderemo.
Iacob.   Chi credesse altro, crederia menzogna!
Voi diceste d’aver questo fratello
per mia doglia e miseria e mia vergogna.
     ISACHAR Lévati questa cosa del cervello,
padre, noi ti preghiamo, ché da noi
non procedette il dir, ma lui fu quello.
     Lui interrogava:—Quanti séte voi?—,
che progenie, che padre, se vivo era:
noi rispondemmo a li quesiti soi.
     Né giá dal parlar suo né da la cera
potevam divinar che avesse a dire:
— Menate il fratei vostro —; e questa è vera.
     lllDA. Padre, ti prego, non mi contradire,
manda il putto con noi, non sopportare
veder per fame i nostri e noi morire.
     Dállo sopra di me, lassaci andare!
Io il toglio a rimenar: da le mie mano
vo’ che ’l richiedi, et io tei voglio dare.

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     S’io noi rimeno, io m’obbligo de plano,

per fin ch’io vivo, a questo tal peccato:
non dubitar, ché ’l mio consiglio è sano.
     Se tanto non avessimo indugiato
a tornar lá, giá il grano e Simeone
insieme tutti aremmo ritrovato.
Iacob.   Poi che forza è tòr quella condizione
che vói necessitá, sia in la bon’ora:
mandate a effetto vostra intenzione.
     Ma abbiate a mente, che quand’un s’onora,
è ben fatto donargli alcun presente,
ché con l’offerte ancora Dio s’adora.
     De le cose, che son perfettamente
bone in questo paese pigliarete,
in quantitá che sia sufficiente.
     Mèle, balsamo e rasa e statte arete,
e mandole e storace e termentina:
di queste cose gli presentarete.
     E perché temo di qualche ruina
pei dinar che nei sacchi ritrovaste
(ché son li egizi intenti a la rapina),
     tanti dinar portate che vi baste
pel grano, e ancor portatine altrettanti
per render quelli che in qua riportaste,
     ché in questo voi non fusti stati erranti
o inavvertenti; e qualcun piú portate,
ché dir non possin: — Questi non son tanti. —
     E il fratei vostro ancor con voi menate,
e tornate a quell’omo, e il mio potente
Dio faccia che benigno il ritrovate;
     si che in qua vi rimandi prestamente
con Simeon ch’è in carcere e con questo
Beniamin, che troppo non stia assente.
     Et io rimanerò pauroso e mesto,
quasi privato di figlioli in tutto,
dappoi che senza alcun di loro io resto.

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Iuda.   L’andata nostra i’ spero fará frutto.

Padre, non dubitar, fa’ che sii certo
che presto salvo l’arò qui condutto.
Iacob.   Vien qua, Beniamin, tu se’ inesperto
perché sei giovinetto e nei prim’anni,
e del tuo ritornare io sono incerto.
     Altro non ti so dir, Dio da li inganni
ti guardi sempre e dia bona ventura,
tal che d’Isepe io non rinnovi i danni.
     A la persona tua fa’ che abbi cura,
e fa’ che la tua mente vólti a Dio;
Lui ti defenderá d’ogni sciagura.
     Appresso io ti ricordo, figliol mio,
che a questi toi fratei sii obediente,
sii umano, accostumato, umile e pio.
     Non ti posso dir piú, ché noi consente
per le lacrime il core, che dal petto
parmi sia tratto, e l’anima dolente.
     Basar ti voglio, figliol mio diletto;
diletto figliol mio dolce e suave,
da Dio e da me sii sempre benedetto:
     ché de la vita mia porti le chiave
e il cor del corpo in questo tuo partire,
che tra li altri dolor mi è duro e grave.
Beniamino.   Padre, non dubitar del mio morire,
non pianger, padre, saperò ben fare
che tu mi vederai presto venire.
     Si come m’ha’ insegnato tu di orare,
cosí dirò: pregherò che torniano
con grano a casa pel nostro mangiare.
     Se pregherò quell’omo egiziano
che non mi tenga, non mi tenerá.
Non pianger, padre, piú! Su, Iuda, andiamo.
     Poi che l’andare è pur necessitá,
io vado et anderò con bona cura.
Statti con Dio, ché lui mi aiuterá;
     non pianger, padre, e non aver paura!

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SCENA VII

Iacob, lamentasi solo:

     Signor, io son tuo servo, come sai,

e come i padri mei con te son stati,
cosí me (benché indegno) sempre arai.
     Né mai dal tuo voler siam deviati,
et adorato abbiam la tua potenza,
perché li effetti toi n’hai dimostrati.
     Quel che mi fai, so che tua sapienza
ne l’eterno secreto suo dispone,
però m’induco a tòrio in pazienza.
     Né posso creder che tua visione,
che a faccia a faccia mi facesti degno,
abbia a tornare in mia confusione.
     Ma se del mio parlar tu non hai sdegno,
qual reverente io porgo a tua grandezza,
ascolta un poco me, Signor benegno.
     Quante fatiche ebb’io, quanta tristezza,
perseguitato essendo da Esau,
che fratei m’era, il sa ben la tua altezza:
     sai che sette e sett’anni in servitú
per Rachel stetti et ebbi poi di lei
dui sol figlioli che mi désti tu.
     Or posso dir che non furono mei,
perché Ioseph perdetti in puerizia,
e longamente il pianto per lui fèi.
     Quest’altro, mia dolcezza e mia delizia,
Beniamino, pure in quell’etade
mando fra gente piena di nequizia.
     E Rachel, ch’era piena di bontade,
qual tanto amai, nel parto mi togliesti,
memoria amara, piena di pietade.

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     Zoppo ancora dal piede mi facesti,

quando il nervo toccasti de la cossa,
e tutto per iustizia permettesti.
     Ti ringrazio, Signor, quant’è mia possa,
ma ben ti prego ch’or tu sii contento
prima ch’io mòra, che allegrar mi possa,
     e mi tragghi d’affanno e di tormento,
e sani e salvi i mei figliol mi rendi:
ascolta con clemenza il mio lamento.
     Dir non bisogna a te quel che tu intendi:
ti ricomando in fin la mia vecchiezza,
e i mei figlioli nel tuo amore accendi:
     dammi, Signore, in fin qualche allegrezza.

SCENA Vili

Nabuch, Ioseph.

Nabuch.   Son tornati, signor, quei cananei,

che ’l fratello lassáro qui in prigione,
e a chi i dinar nei sacchi lor rendei.
     Stan, come vedi, lá in attenzione:
se vói ch’io li conduca a tua presenza,
li farò intrar con tua commissione.
Ioseph.   Io li ho veduti ben, ma l’audienza
non la voglio dar qui. Nota pur bene
quel ch’io ti dico e fa’ ’l con diligenza.
     So ben ch’a lor notizia non perviene
quel ch’ora io parlo in lingua egiziana,
si che fa’ pur quel che ’l mio dir contiene.
     Fagli accoglienza graziosa e umana,
menali in casa nostra ad alloggiare,
guarda non li trattar da gente estrana.
     Fa’ ch’abbin li lor asin da mangiare;
e voglio a mezzodi fargli un convito:
fa’ ’l con ogni splendore apparecchiare.

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     Fagli lavare i piè, fa’ che polito

sia bene il loco et abbia sua ragione;
e acciò che questo pasto sia compito,
     fa’ che ’l fratei sia tratto di prigione
e che con lor si trovi a tal letizia,
che ogn’un stia lieto, senza passione.
     Voglio che d’ogni cosa ab’oin divizia;
vitei, capretti occidi in abondanza,
ogni animai che s’usa a’ sacrifizia.
     Verrò sul mezzodi secondo usanza,
e li darò audienza e mangerò
con loro insieme, tutti in una stanza.
     Fa’ ti stia a mente ben quel che dirò.
Con loro hanno un fratello giovinetto,
minor di tutti, che sta li da po’:
     fa’ quel che gli darai sia tutto eletto
e fa’ che sopra li altri abbia piú parte,
piú cinque volte, e fa’quel che t’ho detto.
Nabuch.   Cosi farò con ogni ingegno et arte:
ho inteso a ponto tua commissione,
mi sforzerò per certo satisfarte.
Ioseph.   Un’altra mia secreta intenzione
vo’ che ancor sappi: mandala ad effetto
con gran destrezza e gran discrezione.
     Dappo’ il mangiare, penso che nel letto,
dal vino e da la via stracchi, anderanno
e si riposeran senza sospetto.
     Fa’ empire i sacelli lor, quanto porranno,
di bon grano e nei sacelli sia ligato
tutto il denar che dato t’averanno.
     Fa’ che in quest’altra cosa sii avvisato:
oltra il denar, nel sacco del minore,
dico di quel che arai piú carezzato,
     la coppa d’oro, a qual piú porto amore,
con la qual bevo, tu la metterai
in mezzo al gran, che ’l non si vegga fòre.

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     Al suo cammino andar li lasserai

po’ il di sequente. La mia voluntade
tu l’hai mo intesa, a punto la farai.
Nabuch.   Niente non mancherá, con lealtade
tutto farò, per farlo ancor più presto
né perder tempo a andar per tante strade.
     Vien qua, Mascone, che sei bon per questo,
va’ a la prigione e fa’ fora cavare
quell’ebreo, che li sta si afflitto e mesto,
     che per ostaggio qui vòlsen lassare
li soi fratelli, e con te il menerai,
ché i fratei per la via possa scontrare.
Mascone.   Será fatto, Nabuch, e noi dirai
piú d’una volta. Insieme veniremo:
se verso casa nostra tu verrai
     per la via dritta, lá ci scontreremo.

SCENA IX

Nabuch, Ruben con li fratelli, Mascone.

Nabuch.   Il signor vói che a casa sua veniate,

omin da bene; e li v’alloggiarete,
fin che parlare voi gli possiate.
     Se comprar grano ovver altro vorrete,
far lo porrete, et al vostro piacere
a casa vostra ve ne tornarete.
     Con me venite e vi farò assapere
la casa, e quel che appresso arete a fare,
ché piú a disagi non vi vo’ tenere.
Ruben.   Avviate, patron mio, quando ti pare:
disposti semo al tutto d’obedire
quel che ’l nostro signor vói comandare.
Mascone.   Se cosa dura parve a te il partire
da’ toi fratelli, or ti será piacevole
riveder loro e di prigione uscire.

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Simeone.   Stu dici pur il ver, ma male agevole

mi par quello che dici, e aver tal sorte
a un misero non par sia convenevole.
Mascone.   Non potria quel ch’è fatto alcun mai tòrte:
ma sta’ sopra di me, che i toi fratelli
presto rivederai, fa’ ti conforte.
Simeone.   Gran piacere a vedermi aranno anch’elli.
O Dio, tal grazia presto mi concedi,
ché ho portato pur troppo flagelli!
Mascone.   Deh, guarda un poco lá, se tu li vedi,
e se son dessi. Io non dico bugia:
un’altra volta a chi il ver dice, credi.
Simeone.   O dolci mei fratelli, o compagnia
tanti mesi da me si desiata!
Ora è tornata l’allegrezza mia.
     Che è del nostro bon padre e de l’amata
mia donna e mei figlioli e vostri ancora?
Come sta bene tutta la brigata?
Ruben.   Tutti del corpo sani erano allora
che ne partimmo, ma di mala voglia,
vedendo noi fratelli tutti fòra.
     Parlarem poi: ma non so che dir voglia
questo condurci in casa del signore:
per certo ho nel mio cor sospetto e doglia.
     Poi che i dinari (e non fu nostro errore)
nei sacelli ritrovammo, mai da poi
la paura si è tolta del mio core;
     sospetto che con questi modi soi,
per quei dinar, non voglia in servitute
condur li asini nostri et ancor noi.
Iuda.   Questi egizi fúr sempre gente astute:
anch’io ne temo, e però supplichiamo
questo dispensator che lui ci aiute.
     Patron, che tu ci ascolti ti preghiamo.
Noi venimmo in Egitto l’altra volta
per comperar del gran, ché non n’abbiamo.

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     E quella somma che avevamo tolta,

noi la pagammo, e poi nostra partita,
avendo ognuno la sua soma sciolta,
     trovammo che nei sacchi era cucita
la moneta qual demmo, in alcun groppi,
onde la mente nostra fu smarrita.
     Dubitando di qualche mal’intoppi,
l’abbiamo riportata, onde ’l conviene
che tu sii quel che questo errore sgroppi.
     Non fu nostro difetto, intendi bene.
De l’altro argento abbiam, per tòr del grano:
il parlar nostro veritá contiene.
Nabuch.   Dative pace, il timor vostro è vano.
Il vostro Dio, e il Dio del padre vostro,
quel denar vi lassò in la vostra mano.
     Non vi date pensier del fatto nostro:
quel denar che in quel tempo voi pagasti
l’ho messo a intrata e pel mio libro il mostro.
     Intrate pure in casa e questo or basti;
li intenderete, come io spero, il resto:
non dubitate in questo aver contrasti.
     Col signor mangerete, e verrá presto.

SCENA X

Abed, Ioseph, Ruben e li fratelli.

Abed.   Gran pasto s’apparecchia e gran convito

per undici persone, ognun forestiero,
né mai vidi il maggior né il piú polito.
     Non è un convito tal senza mistero;
la sapienza del nostro prefetto
non si move a tal cose di leggiero.
     Voglio andare a trovarlo, perché ha detto
che come è mezzogiorno, che sia in ponto,
io gliel faccia saper senza difetto. —

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     A ognun di quei ebrei, come fu gionto,

signor, lavammo i piedi et assettammo
li asini lor con biada senza conto.
     E lor persone bene accarezzammo,
et è il convito in ordine a tua posta,
qual magnificamente apparecchiammo.
Ioseph.   Or, poi che l’ora del mangiar s’accosta,
andiamo a casa, e tu va’, corri inanti,
fa’ ch’ogni cosa i’ trovi ben disposta.
Abed.   Il signor viene, andate tutti quanti
al vostro officio, perché ’l vói mangiare:
guardate a non errar, voi soprastanti!
Ruben.   Noi servi toi venimmo ad adorare
tua maiestá. Signor, questi presenti
preghiamo che ti piaccia di accettare.
     Giá sappiami che non son convenienti
a tua grandezza, ma son per un segno
di fede, che ti siamo obedienti.
     Accettali, signor bono e benegno,
che ’l grande Dio del ciel sempre conservi
e Faraone e te, con tutto ’l regno.
Ioseph.   Non voglio sia tra noi nome di servi.
Questi presenti accetto di bon core:
disponete di me senza riservi,
     perché disposto son di farvi onore.
Ma ch’è del padre vostro? È ’l forte e sano?
Ha’l ancor de le membra il suo vigore?
Ruben.   Sano è il tuo servo, nostro padre, e piano
si sta, come li vecchi, e vive ancora.
Avendo noi, tu hai sua vita in mano.
Ioseph.   E questo è ’l fratelletto, quale allora
mi diceste d’aver, che minim’era?
Ancor lui sia venuto in la bon’ora.
     L’eterno Dio, per sua clemenza vera,
figliol mio, ti conservi in sanitate
e dia felicitá ferma e sincera.

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     Perché l’ora è vicina, in casa intrate:

noi mangiarono insieme e verrò appresso,
com’abbia alcune cose qui ordinate. —
     Strugger mi sento tutto drento adesso,
per amor, per pietá, per tenerezza,
che’l mio carnai fratello in cor m’ha messo.
     Le lacrime non tengo d’allegrezza,
ma per far di costoro esperienza,
io voglio dimostrare ancor durezza,
     né voglio ancor di me darli scienza.
Dammi de l’acqua, ch’io mi lavi il volto,
per comparir piú lieto a lor presenza,
     e d’ogni passion mostrarmi sciolto.

SCENA XI

Abed dice cosí solo:

     Gran liberalitade e gran carezze

mostra il signore a questi convitati:
non si pò dir le sue domestichezze.
     E benché tutti siano ben trattati,
pur è tra loro un certo giovinetto,
a chi tutti i vantaggi son mostrati.
     E simile mi par tutto di aspetto,
e per qualche fattezza di persona,
proprio al signor, secondo il mio concetto.
     Che simil sian di sangue mi consona,
perché ’l signor lui sol con grazia vede
et a lui sol de la sua mensa dona.
     Il signor solo a una taula siede:
a un’altra taula alcun baron d’Egitto:
la terza è al destro lato, e li risiede,
     l’un presso a l’altro, quelli i quali ho ditto,
secondo l’etá loro, e quel minore
post’è contra’l signor per il diritto.

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     A tutti nondimeno gran favore

certo dimostra e i sacchi gli fa empire
tutti di grano eletto e del migliore.
     Et égli apparecchiato per dormire,
ché al fin son del mangiare; e a quant’intendo,
levati che seran, voglion partire.
     Ma fin che indarno qui parole spendo,
il tempo passa e a quel che m’è commesso
pel superchio ammirare io non attendo.
     Fòr di casa verrá il signore adesso
e monterá nel seggio a l’audienza,
né voglio che mi trovi qui d’appresso,
     e che m’impúti poi di negligenza.