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I III

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L’ispiratrice, la Musa! Nessun più invidiabile destino, per una donna: nessuna vita meglio vissuta che compiendo piamente il dolce e alto incarico, per cui il Signore presceglie le sue creature predilette. E che significa, per una donna, essere una ispiratrice? Significa, è vero, essere bella, ma di una bellezza che non porti seco il gelo della vanità e la crudeltà dell’egoismo: significa essere giovane, ma di una gioventù non deturpata dalla frivolezza e dalla superficialità; significa esser buona, non della bontà [p. 28 modifica] ristretta e arida che si contenta di non fare il male: significa esser virtuosa, ma non di una virtù arcigna e angolosa: significa essere innamorata, ma innamorata non nel senso esigente, pretenzioso e tormentoso, come molte donne, ahimè sono! La beltà di una Musa deve essere fatta della più completa unione fra lo spirito e le linee, fra gli occhi e lo sguardo, fra la bocca e il sorriso, fra la persona e il suo passo: tanto che agli occhi estatici del poeta appaia una figura dove brilli la divina armonia che fa vibrare tutte le corde della mente e del cuore. La gioventù di questa felice donna, che ebbe una così gran parte nel mondo dell’intelletto e del sentimento, deve avere la freschezza rorida del fiore, il candore affascinante, la semplicità che prende e che trascina, la serenità che placa tutte le tempeste: la sua bontà deve essere sapiente, larga, profonda, efficace, fonte inesauribile di ogni dolcezza e di ogni tenerezza, una bontà che tutto sa, che tutto [p. 29 modifica] comprende, che tutto perdona, che nulla dimentica, ma che ricorda per perdonare ancora: la sua virtù deve essere clemente e assolvitrice: e il suo amore, questo amore che deve dare al poeta tutta la forza e tutta la felicità, questo amore, deve essere un miracolo di altruismo, un abbandono tenero e costante, una indulgenza mite e generosa, una passione alta e pure misurata, un senso schietto e silenzioso di abnegazione senza lacrime, di sacrificio senza rimprovero. Non così, forse eravate voi, Beatrice, cara soave creatura che così poco rimaneste sulla terra, ma che vi restaste abbastanza per compire il vostro fato, ma che deste, dagli occhi e dal soriso e dal saluto la viva fiamma che doveva perpetuare, nei secoli, il nome del vostro Poeta e il Vostro! Così, così, voi, esile giovanetta di Toscana, amata sin da quando eravate fanciulletta, amabile creatura fatta di preghiera e di amore, tutta serena nella leggiadria e tutta chiusa nella verecondia, creatura che amaste, [p. 30 modifica] come nel più bel romanzo di amore che abbia il mondo, nella Vita Nuova è narrato. Povero, tenue, e pure profondo e vasto e ardente amore, raccontato con la parola più nobile e più schietta, col verso più innamorato e più passionale, riferendone gli episodii più semplici, più giovanili e più ingenui, tanto che ogni uomo, il più rozzo, nella Vita nuova trova rispecchiato un suo amore, un suo idillio: giacché le esistenze più misere e più brutali hanno avuto un idillio, nella vita! Voi eravate così, Beatrice e fra quante donne amarono i poeti, in tutte le plaghe del mondo e in tutti i tempi, fra quante dettero il loro cuore e la loro persona, il loro amore e la loro vita; voi, prima, voi Musa delle Muse, voi, ispiratrice delle ispiratrici, mistico fantasma aureolato, luminoso, precedente lontano, la lunga schiera delle martiri felici che vissero e perirono per amare un poeta.

Certo, non tutte potettero rassomigliare [p. 31 modifica] alla sublime fanciulla fiorentina, che presto la morte rapì al mondo e collocò nella gloria del Signore, dove il suo poeta la rivedette, dove la raggiunse. Certo un essere così giovanilmente perfetto, così datore di ogni bene, così fatto per attraversare semplicemente la terra, per ritornare al Cielo, mai più riapparve nel mondo. Ma ciò non importa. La donna ispiratrice può non essere bella, ma avrà sempre la grazia che conquide e che meglio conquide: può non essere giovane, ma trovare nell’amore il filtro che le ridà l’ora bella e piena di giovinezza: può il suo cuore essere stato maltrattato dalla vita, ma le donne sanno, dove è il balsamo che tocca e che sana: può avere l’anima abbeverata di amarezza, ma essere più forte dei veleni che prepara l’esistenza. Che importa! La donna è quello che vuole. Nel campo dello spirito e del sentimento, ella può invocare da Dio e volere fortemente tutti i miracoli che vivificano, che trasformano, che [p. 32 modifica] risuscitano, che mutano l’essenza dell’anima, che rifanno tutto un cuore. Ella può quel che vuole, se vuole. Ricordatevi, ricordatevi, voi che avete vissuto, come me, voi cui interessa lo spettacolo dello spirito, ricordatevi quante volte, in nome di un’idea, per un sentimento, perfino per un interesse, voi vedeste mutarsi completamente un cuore muliebre, e dove era la perversità, ritornare la ingenuità più sapiente, più conscia, e dove era la secchezza e il gelo, nascere ogni fiore di dolce colore, di dolce fragranza: ricordatevi, voi cui il problema dello spirito umano tormenta i buoni occhi osservatori, quante volte vi parve di veder nascere un’anima, novellamente, un’altra anima, e ve ne meravigliaste grandemente. Tutti i miracoli sono concessi a una donna, quando l’agiti dentro lo stimolo irresistibile di un ideale: tutto esso può sperare, felice taumaturga, in onore di un affetto, sia odio, sia amore. Io credo che si può nascere Salomè e diventare Maria [p. 33 modifica] Maddalena, nascere Dubarry e diventare Carlotta Corday, nascere Cleopatra e diventare Beatrice!

Giacchè tutte le Muse che ispirarono i grandi poeti dell’umanità furono donne essenzialmente diverse, di tempi, di paesi, di condizioni così varie e così dissimili, che mai altre. Volti bianchi e volti bruni, fronti dove risiedeva viva la gioventù e fronti già tocche indelebilmente dagli anni, creature austere e fantasie capricciose, anime il cui maggior pregio era la debolezza e volontà violente di trionfatrici, tutte le forme plastiche e tutte le essenze spirituali formano la schiera delle ispiratrici: eppure sotto la carezza delle loro bianche mani, i cuori dei poeti si aprirono e nacque la poesia alata, folgorante per i cieli dell’are. Un solo grande vincolo le accomunava, le accomuna ancora, tutte quante ed è questo desiderio di essere la fonte, donde l’ingegno del poeta trarrà ogni beltà d’immagini e ogni [p. 34 modifica] preziosità di forma, di essere la fiamma che incende le polveri onde alta e nobile, non devastatrice, si leva la gran vampa che sorprende le menti degli uomini, questo vincolo le unisce, questa missione grande, spesso dolorosa, spesso martirizzante. Ah dolce e amara cosa essere una Musa! Dire: ecco, quest’uomo ha in sè una forza, ma essa dorme, io la sveglierò: tutte le facoltà di questo ingegno sono nobili, ma immerse nell’ignavia, io vincerò la loro lunga inerzia: il lavoro che svincola lo spirito e gli dà le ali, è in orrore a quest’uomo, e io lo indurrò ad amarlo: la via, la bella via è innanzi agli occhi di costui, ma egli chiude gli occhi per non vederla indolente, fiacco, scoraggiato, io prenderò la sua mano e camminerò con lui. Camminare con lui: la gran parola! Vuol dire mettere la sua piccola mano nella mano talvolta gelida, talvolta perfida, talvolta debole, talvolta paurosa di un uomo e sorreggerne tutte le debolezze, riscaldarne il gelo, vincerne le [p. 35 modifica] perfidie e domarne tutti gli sgomenti: questo con una piccola mano feminile carezzevole e sicura, salda e leale. Vuol dire camminare accanto a lui, ma camminare anche avanti, perchè i triboli della strada feriscano prima lei, la ispiratrice, che li scarta, che li allontana e non lacrima per le ferite: andare avanti, perchè il poeta non devii, perchè egli continui direttamente il suo cammino verso la sua meta: andare avanti, perchè il proprio core sia scudo ai colpi di tutti i maghi e di tutte le streghe che giurano vendetta, sempre, sovra ogni culla di poeta: questo è camminare con lui. Ma vuol dire anche stargli vicino e piangere tutte le sue lacrime, se le lacrime sono necessarie; e dargli tutti i sorrisi, anche col cuore straziato quando egli voglia un sorriso; e sorreggerlo nelle ore di fiacchezza mortale; e medicare amorosamente tutte le ferite che il mondo riserba specialmente ai poeti; e cingere quell'amata persona delle proprie braccia per [p. 36 modifica] ridarle il vigore e posare quel capo adorato sul proprio cuore, per ridargli la pace. Camminare con lui, vuol dire anche dimenticare la propria beltà e la propria giovanezza, obbliare di essere una donna con una volontà propria, con un carattere proprio: annullare lentamente la personalità propria: dimenticarsi di essere: sparire nell’ombra del poeta. Camminare con lui, significa, spesso, per la Musa, per l’inspiratrice non essere né amata più, né ammirata più: significa avere avuto un’ora di amore e una vita di dolore: significa subire l’abbandono più crudele, essere tradita sempre, quando si è sempre fedele: vedere mille rivali trionfare e trionfare la gran rivale, sovra tutto, che è la poesia: andare alla morte, significa, camminare con lui! Ma, in cambio di questo assorbimento, di questo annichilimento, di questa morte, rivivere più pura, più bella, più splendida nelle opere del poeta: prendere un posto così luminoso che poche creature umane possono [p. 37 modifica] diversamente: salire a una gloria che durerà nel tempo, quando centinaia di primavere, già, abbiano sfrondato le loro rose sulla tomba della Musa. Meraviglioso premio che va alle più fortunate inspiratrici: premio stupendo a tutta una esistenza martirizzata! E neppure tutte le raggiungono, questa corona di luce, questa bella palma data al miglior sangue dal loro cuore versato: molte inspiratrici restano sconosciute, giacché l’ingrato poeta dimenticò colei che fu l’origine della propria fortuna spirituale, o l’adombrò in modo che niuno potesse riconoscerla. E allora queste ispiratrici si appagano, tacitamente, di avere dato al poeta tutto quello che gli mancava, si consolano pensando che il tale libro, il tale poema, non esisterebbe, se il loro amore non avesse circondato l’amato capo di un’aureola di serenità, credono di avere ottenuto il premio se colui che amarono fu grande, anche un poco per esse. Se madame de Beaumont è morta per l’egoista, per il [p. 38 modifica] disumano visconte di Chateaubriand, strappando a tutti le lacrime, salvo che al suo poeta, i critici non sanno ancora dire chi fu che inspirò all’olimpico Wolfango Goethe la Carlotta del suo Werther e la Margherita del suo Faust!

Ma non tutti gli uomini possono essere poeti: Dio concesse questo dono fatale a pochi eletti, a poche aquile capaci di fissare il sole, ma, talvolta, destinate a morire fulminate. In cento altre forme, in cento altre manifestazioni del pensiero e dell’azione, lo spirito dell’uomo può volare nei cieli della grandezza. Da secoli l’umanità si dibatte contro i problemi che la turbano e l’attraggono irresistibilmente: e il piccolo gruppo di pensosi, a traverso il tempo, è cresciuto, cresciuto: dove uno è morto, dieci sono nati: un combattente è caduto, cento novelli [p. 39 modifica] guerrieri si sono avanzati. Legioni di smorti e pure ardenti lavoratori passano le loro giornate, curvi dai travagli che dà l’esercizio della scienza e dell’arte; schiere di ostinati ricercatori, allora manipoli, adesso schiere, domandano allo studio paziente e tenace, uno dei segreti dell’esistenza che una suprema ironia continua a nasconder loro, beffardamente sogghignando; il mondo racchiude, oramai, falangi di apostoli che rinunziando, con gli occhi serrati per non cedere alle tentazioni, a ogni comune bene, gittano la loro vita, perchè il destino dei loro fratelli sia meno grave, meno doloroso: tanto che quest’audace e misera umanità, ieri ancora inconscia, ma già inquieta, è oggi in un incessante spasimo di pensiero, in un febbrile movimento che mai si possa. Colui che, nel silenzio della notte, tenta fermare nel verso l’impeto di una passione, la luce di un’idea, colui che dove tutto è tenebra, innanzi a sè, vede sorgere una immagine e tremante di [p. 40 modifica] gioia e di paura, vuol renderla in tutta la sua vivezza, colui che vuol mettere, nel nobile crogiuolo della forma lirica, tutto quello che preme in lui e che palpita intorno, il poeta, infine combatte una battaglia solinga e disperata, simile a quella di Giacobbe con l'Angelo: e la vittoria ha con sé così alte lusinghe, che è poco dare per essa la forza, l'amore e la vita. Ma le lotte di tante altre anime di artisti, di scienziati, di filosofi, di mistici, d’inventori, ma le torture che sono inflitte a costoro dalle cose nemiche e dagli uomini nemici, anche hanno il loro singulto che schianta il petto, anche hanno il loro grido lungo e roco, che fa impallidire chi lo ascolta. E spesso, tutta questa pugna è inutile e le vigorie degli uomini si sciupano, si disperdono in vani tentativi: spesso, colui che cerca, nulla trova: spesso, quando egli ha trovato, si accorge che quanto chiedeva e ha ottenuto, è inane: spesso il premio raggiunto, è destinato a onorare chi non [p. 41 modifica] l'ottenne: la vicenda delle cose umane ha sanguinose ingiustizie, delusioni terribili, scherni che fanno impazzire. Ah non solo il poeta può essere un eroe e può essere un martire: non solo! Il mondo ha altri martiri e altri eroi: più umili, più buoni, più oscuri; una folla di martiri e di eroi. Il poeta ha, nella vita o nella morte, un’ora di apoteosi: questi altri eroi, spesso, non l’hanno mai, e la polvere delle loro ossa tormentate, torna alla terra, oscuramente!

Ebbene, ognuno di questi uomini di pensiero e di volontà ha avuto la sua Musa, la sua ispiratrice, la tradizione sublime, la sublime eredità di Beatrice è passata nelle vene di tante altre donne, quasi tutte ignote: accanto a ogni anima che tentò strappare i veli crudeli che ci celano ancora tanta parte dell’ideale, vi è, sempre, noi lo sappiamo, sebbene nessuno ce lo abbia detto, vi è sempre un’altra anima, vi è un sorriso, vi è un bacio, vi è la donna, la donna che ispira, [p. 42 modifica] anche se la mente sia angusta, anche se il suo mondo spirituale sia meschino, anche se ella sia fatta di semplice beltà, anche se ella non sia bella, ma piaccia, anche se ella non piaccia, ma ami! Ride, perfìda, dalle tele la donna che Giorgio Barbarelli amò e odiò, insieme, ma che gli dette più largo e più umano, il senso dell’arte, onde il nome di Giorgio ne tiene alto il suo posto, nella pleiade veneziana: in una piccola via di Trastevere, una guida, un amico, vi mostra la finestretta donde la Fornarina attendeva, nei vesperi di Roma, il suo Raffaello. Ella lo uccise, dicono: ma, veramente, ella rivelò al freddo e purissimo cultore dell’arte classica, all’adoratore della bellezza, greca, una beltà viva e parlante, una soffusione di grazia e di sorriso che solo l’amore potea ispirare: e se egli è vero che morì per lei, egli morì bene e la morte fu sapiente, colpendolo quando già il suo genio aveva dato tutti i suoi frutti, quando egli aveva detto la sua più grande [p. 43 modifica] parola. La vanità maschile dichiara pomposamente che il grande Leonardo non amò nessuna donna: ma nel Louvre di Parigi sorride misticamente e sensualmente la sua Gioconda, sorride con tanta finezza, tanta malizia, tanta seduzione e tanta perversità, che si comprende come questo ritratto di Monna Lisa durasse, nientemeno, cinque anni e il cav. Giocondo, suo marito, assai s’impazientisse di questa lunghezza. Il Beato Angelico ha vissuto una vita di purità e di fede, piegato in adorazione davanti ai suoi ideali mistici: la storia, la critica non trovano nell'esistenza di questo piissimo artista la traccia di una sola donna. Eppure, vi è! Ed è la Madonna, la ispiratrice di frate Angelico, la Madonna che dolcemente gli appariva, nelle sue notti senza sonno, sulle colline fiorite di Fiesole, la città etrusca: è la Madonna che appariva al suo fedele, circondata dagli angeli oranti e cantanti le glorie del Signore e della Vergine! E se bene si guardasse in [p. 44 modifica] tutte le esistenze dei grandi, se si potesse ficcare lo sguardo in tutte le ore della loro vita, si troverebbe una figura feminile che li accompagna nel viaggio, che, forse senza neppure intenderlo, è la ragione segreta del loro lavoro e delle loro opere. Figure velate, è vero. Chi le conosce? Chi ne ricorda i nomi? Nessuno. Sono lunghe teorie di creature avvolte nei veli del mistero: sono processioni di anime di cui nessuno seppe la storia. Amarono, furono amate, ecco tutto: e forse non amarono abbastanza, non abbastanza furono amate, ma vissero nella casa dove un uomo di genio, di pensiero, di azione, visse, ma furono le compagne, le mogli, le amanti di un guerriero, di un conquistatore, di un filosofo, di uno scienziato, di un artista, ma furono, accanto a lui, il simulacro della feminilità, il simbolo di Beatrice. E colui che le sogna, colui che sa che esse esistettero, anche se niuno ne ha fatto menzione, colui che induce la loro vita, colui che le [p. 45 modifica]indovina, figure immobili e sorridenti, figure fedeli, forse e forse infedeli, ma sempre piene di fascino, colui che intuisce la loro grazia e il loro potere, le vede, come sono state, nelle mille espressioni di mille vite diverse, negli amori e nelle passioni, negli affetti e nelle adorazioni, nelle tenerezze e negli entusiasmi, le vede, angeli, donne, femmine, talvolta, fatte per la felicità e fatte per la tortura, ma esse sole sorgenti di tortura e sorgenti di felicità: le vede, legate a un uomo coi vincoli creati dall’amore, dal capriccio, dalla consuetudine, forse anche dal disprezzo e dall’odio: le vede, le più alte, quelle che intesero tutta la loro missione, vivere perchè egli raccolga tutte le dolcezze e tutte le ebbrezze, costoro, le dirette nipoti di Beatrice: le vede, le altre, quelle che non seppero comprendere, ma, almeno, si lasciarono amare, ma, almeno, misero tutta la loro bellezza in omaggio di un’arte o di una scienza. Che importa, se neppure il loro nome è giunto [p. 46 modifica] sino a noi? Che fa, un nome? Che dice una storia? Esse hanno esistito: la pruova della loro vita è nelle opere degli artisti e dei pensatori, degli scienziati e dei mistici. Esse hanno vissuto, giacché l’umanità ha avuto le sue alte cime, giacché l’uomo è stato grande. Pallide donne, rosee fanciulle, volti consunti dagli anni e dai dolori, fronti candide che non furono mai solcate da tristezze, cuori macerati nelle lacrime, bocche che seppero solamente baciare, esse furono: popolane amanti e costanti, grandi dame purissime e altiere, borghesi gentili e semplici, donne d’amore appassionate e crudeli, monache smorte sotto il biancore delle cuffie; innamorate, amanti, spose, mogli; tenere, dure, amorose, folli, spietate, adoratrici, adorate, viventi tutta una vita accanto a lui, o passandovi solo un giorno: apparendogli nel nimbo di una poesia quasi sovrumana e sparendo subito, per sempre, o servendolo umilmente, nella schiavitù desiderata e voluta dell’ [p. 47 modifica] amore; torturandolo, dopo averlo amato, per naturale fatalità dell’amore, come Giorgio Sand e Alfredo de Musset; o torturandolo, torturandosi perchè l’amore è forte come la morte, come madame de Stael e Beniamino Constant; lasciandosi amare e non amando, come la Targioni Tozzetti, l’Aspasia di Leopardi; oppure amando e non essendo amata, come Quirina, la donna gentile di Ugo Foscolo; e come queste conosciute, tante altre sconosciute, simili ad esse e dissimili, portanti tutta la singolarità umana nell’amore e nel disamore, le ispiratrici furono! Talvolta, una linea di una statua, il colore di un quadro, una pagina di prosa, un verso parla di loro: talvolta, nulla. Ma, in tutta la loro espressione, in tutta la loro suggestione di beltà o di grandezza, parlano i poemi e i quadri, parlano le statue e i libri, parlano le grandi scoperte e le grandi invenzioni, parlano le guerre vinte e i paesi conquistati, narrando la istoria grande della ispirazione feminile. [p. 48 modifica]Gli uomini dicono che una donna è incapace di fare un capolavoro. Forse: non lo so. So che vi è una donna, in ogni capolavoro di un uomo.