Atto II

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Atto I Atto III

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ATTO SECONDO.

SCENA PRIMA.

Guardie che allestiscono il trono, e distribuiscono varj sedili.

Clorideo e Pisistrato.

Clorideo. Non ci facciam di Farnabaze al fianco

Veder uniti e collegati in guisa
Che la regina sospettar ne possa.
Io l’ho lasciato nel real palagio,
Fuor delle mura destinato albergo
Al Perso prence e al seguito pomposo.
Uscito appena d’Artemisia il cenno
Per esser scorta dalle guardie al tempio,
Sarà l’ospite illustre al tempo istesso
Avvisato e condotto al regal trono.

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Pisistrato. Seco lui ragionasti?

Clorideo.   In brevi accenti
Molto si meditò, molto si prese
A trattare e a dispor. D’amore acceso
Sembra il prence di lei; ma per costume
Fervido, violento, ha già deciso
Se ricusa l’amor, d’usar l’orgoglio.
Pisistrato. Ed avrai cor la vedova regina
Esporre all’onte d’un nemico armato?
Clorideo. Non può dirsi nemico un che l’adora.
Pisistrato. Ma se lo sdegna resistenza ingrata,
E in furor cambia il geniale affetto,
Chi sottrar può dalle minaccie il regno?
Clorideo. Chiede il regno un monarca, e a noi lo rechi
O la forza o l’amor.
Pisistrato.   Pietà risento
Del preveduto suo periglio.
Clorideo.   Invano
Una pietà importuna ti sconsiglia
L’interesse comun. Regni Artemisia;
La feliciti il Ciel; doni alla Caria
Il successor; ma se ricusa il dono
Della sorte, del re, di noi medesmi
Pronti a baciar nella sua destra il scettro,
Non sacrifichi il regno ad una vana
Micidial passion. Chi debol nasce,
Dal trono immeritato alfin discende.
Pisistrato. Se di Eumene si tratta...
Clorideo.   Or non è tempo
Di pensar oltre. Il suo voler si attenda.

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SCENA II.

Artemisia, scortata da numerose Guardie e Grandi del regno; Euriso
in abito civile, dopo di tutti, quale va a ritirarsi fra le colonne
che introducono al tempio; Clorideo e Pisistrato.

Artemisia. Oh trono infausto! Oh agli occhi miei già stanchi

Oggetto di dolor! I tuoi gradini
No, non oso salir. Tremulo il piede,
Già reso inetto a sostener le membra
Abbandonate, inciampa... Oh sposo amato!
Clorideo. In noi, regina, ti riserba il Cielo
Un sostegno non vil. La nostra fede
Languir non sa delle sventure all’urto.
Sei la nostra regina, e il sangue istesso
Per la tua gloria di versar siam pronti.
Artemisia. Dell’amor vostro il sacrifizio, il dono,
Altra donna potria render felice;
Ma alle perdite mie dolenti, eterne,
Util riparo la pietà non reca.

SCENA III.

Eumene e detti.

Artemisia. Vieni, Eumene diletta. Al seno mio

In te lascia che io stringa un degno avanzo
Di quel sangue regal, ch’è a me sì caro.
Oh di Mausolo mio germana illustre,
Unico stelo della Caria stirpe,
Questo pegno d’amor soffri ch’io renda
Alla memoria del re nostro estinto.
Non isdegnar, che la cognata afflitta
Ti versi il cor dalle pupille in seno.
(abbracciandola strettamente piangendo

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Eumene. Cessa, o regina, il lacrimar. Comuni

Son le perdite nostre. Il ciel rapìo
A te lo sposo, a me il germano, è vero:
Ma chi può contro a inesorabil fato
Forza opporre o consiglio? Ei che riposa
Nei pacifici Elisi, omai contento
Fia de’ lunghi sospiri, e il lieto spirto
Pace dai Numi alle nostr’alme impetri.
Pisistrato. Odi, o regina, il favellare umano
Della vergine saggia?
Artemisia.   Ah in lei favella
Discreto amor che di natura è figlio.
Parla in me passïon, di cui la vampa
M’invade il cor; che fu di giorno in giorno
Dal diletto accresciuta, a cui fomento
Fe’ la virtù, la conoscenza, il dolce
Reciproco piacer, l’egual costume
Di due salme indivise, un solo spirto
Di due spirti formato, e la memoria
Di quell’unico ben che render puote
Felici in terra i miseri mortali.
Clorideo. Non è del dolce coniugale affetto
Perito il germe, se non pere il mondo.
Artemisia. Arda per altri la beante fiamma,
Ma non per me che morte solo invoco.
Clorideo. Ah no, regina, non dir così, tel chiede1
Il popoi tuo, che te qual madre adora.
Pisistrato. S’appressa Farnabaze.
Artemisia.   A lui si renda
L’onor ch’è al grado ed al valor dovuto.
Salgo il vedovo trono. Ah che vacilla
Nell’appressarsi il piè. Reggete, amici,
D’una donna languente il tardo passo.
(sale il trono, sostenuta da Pisistrato e Clorideo

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SCENA IV.

Farnabaze, Lisimaco con seguito, e detti.

Farnabaze. Mira l’avello che la fama esalta. (a Lisimaco

Lisimaco. Corrisponde la pompa al comun grido, (a Farnabaze
Farnabaze. Alfin, regina, riveder mi è dato
Dopo tre lustri il tuo real sembiante,
Non amabile men, non men vezzoso,
Del duolo ad onta che ti aggrava il ciglio.
Clorideo. (Scaltro principia dalla cara lode).
Artemisia. Se vuoi che lieta il tuo venire accolga,
Cangia lo stil de’ lusinghieri accenti.
Siedi, e di’ la cagion che a noi ti guida.
(Farnabaze siede, e tutti gli altri a’ loro posti
Farnabaze. Ti rammenta, Artemisia, il dì giulivo
In cui con pompa d’amor colma e fasto
Per te Mausolo empieo di festa il regno?
Artemisia. Gioie non rammentar, che ora soltanto
L’orror m’ingombra e mi circonda il lutto.
Farnabaze. Dirti volea che fin d’allora i lumi
Avidamente nel tuo volto ho fissi,
E che la sorte invidïai di quello
Che possedea sì amabile tesoro.
Artemisia. Tu vuoi stancarmi, Farnabaze, il veggo.
Clorideo. Perdonami, signor; la regai donna
È di se stessa per virtù nemica;
Ma come a forza la curvata verga,
Se medesma disciolta, in alto spinge,
L’umiltà innalza a maggior gloria il merto.
Farnabaze. Scorgo del tuo gran cor, scorgo la pena
Onde a forza tu soffri il dir verace.
Non farò che di laudi il suon ti offenda;
Taccia il mio labbro, e ne favelli il mondo.
Permetti sol che ragionarti io possa
Del tuo regno e di te.

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Artemisia.   So che vuoi dirmi.

Tu vieni spinto da un amor sospetto,
E non so ben se più ti sproni il zelo
Di mia feiicitade, o ardente brama
Di regnar meco, o il torbido consiglio
De’ miei stessi vassalli. In ogni guisa
La risposta prevenga il tuo disegno.
Se amor per me punseti un giorno il core,
Guardami meglio, e riconosci, o prence,
Che più quella non son. Tre lustri han tolto
Forse il meno al mio volto; il mio dolore
Scolorite ha le gote, e il largo pianto
Spense il primo fulgor delle pupille.
Pur se, per mia sventura, ai lumi tuoi
Men deforme rassembro, il core afflitto
Sfuggi di mesta inconsolabil donna.
Ah se il destin per tua compagna avesse
Scelta quest’infelice, oh quai funesti
Miserabili giorni, oh quai lugubri
Notti con essa passeresti2 in pianto!
Non mi udiresti che parlar di morte,
D’orride larve e angosciosi spettri.
Se di tal compagnia non temi il danno,
Amor non è che il tuo desire infiamma,
Ma lusinga di regno, e speme accesa
In te da lor che di un monarca han brama.
Se quest’è il tuo desìo, se questo è il fine
De’ simulati consiglieri accorti,
Le mire vostre soddisfar m’impegno.
Ecco Eumene, signor, ecco di Caria
La legittima erede. Il don del trono
Che a me fece morendo il caro sposo,
Rinunzio a lei ch’è di regnar ben degna.
Parlo innanzi agli Dei, qua dove ascolta

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Dalla tomba regal Mausolo i detti,

E a me coraggio da quei marmi inspira.
E tu che un regno ad usurpar sei pronto,
Prendi lo scettro dalla man di Eumene,
E in pace lascia un’infelice donna.
Eumene. (Oh me felice, se acconsente al nodo!)
Pisistrato. (Misero me, se il mio bel sole io perdo!)
Farnabaze. Regina, al tuo parlar motto non feci.
Soffri tu pur che a mio talento io parli.
Se l’amor vero, quell’amor che nasce
Dal bel veduto o da virtù palese,
Non mi avesse a te spinto, or non vedresti
Farnabaze al tuo piè. Di Caria il regno
O avrei negletto, o a conquistarlo in uso
Porrei quel braccio che più regi ha oppressi.
Tu sai qual sangue entro il mio seno scorre;
Sai che retaggio di mia stirpe è il trono,
Sai che Xerse a me deve il vasto impero,
E che più i regni conquistar mi piace
Per darli altrui, che per goderne io stesso.
Dunque amor mi conduce, e amor si offende
Dell’ingrata ripulsa. In te mi alletta
Oltre a mille virtù la coniugale
Fede serbata al tuo primier consorte;
Ma la stessa virtude ha i suoi confini;
E chi oltre la porta al dritto, al giusto,
Converte in vizio la virtude istessa.
Devi a Mausolo tuo la tua fortuna,
Ma devi al regno che ti cole e onora
Gratitudine e amor. Qual legge adduci,
Che la cessione autentichi del trono
In favore di Eumene? Il rege estinto
Volle te sola erede. Al tuo rifiuto
Femmina non succeda. Altri vi sono
Pretensori di Caria, ed ha la Persia,

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Se la stirpe maschil! si piange estinta,

Forte ragion d’Aiicarnasso al trono.
Non desìo di regnar, non reo consiglio
De’ tuoi vassalli che sospetti infidi,
Non insidia coperta a te mi guida.
Ti amo, Artemisia, dell’amor ti chiedo
Giusta, onesta mercè. Se amor ricusi,
Non intend’io violentar gli affetti.
Ma invan pretendi che ad Eumene io porga
La destra mia, nè che accettare io degni
Da altra man che la tua di Caria il trono.
Eumene. Odi, regina, a qual villan disprezzo
È del nostro buon re la suora esposta? (ad Artemisia
Artemisia. Chi sei tu che pretendi in questo regno (si alza
Qual sovrano dispor? Chi delle leggi
Della mia patria interprete ti ha reso?
Non v’ha dritto la Persia, e non escluse
Son le regie donzelle. O ti ricusi,
O ti accetti Artemisia, ella è sovrana
E di Caria e di sè. D’Eumene il regno,
(scende dal trono
Sia per legge o per don, le sue ragioni
Troverà chi difenda, e tu, superbo,
A rispettar le principesse impara.
(parte con le Guardie e Grandi del regno

SCENA V.

Eumene, Farnabaze, Clorideo, Pisistrato, Lisimaco, seguito di Farnabaze,
e Euriso in disparte, come sopra.

Lisimaco. Di un cuor soggetto a variar gli affetti

Non dispero la resa. In lei lo sdegno (a Farnabaze
Superato ha il dolor, ceder potrebbe
A nuova fiamma l’invecchiato amore.

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Farnabaze. Mal conosci la donna; orgoglio è tutto (a Lisimaco

Quel che accende il suo cuore. Amar gli estinti
È nuova foggia di superbo affetto.
Eumene. Ah non soffrir, Pisistrato, l’onore
Della tua principessa offeso a torto.
So che tu m’ami e nel tuo amor confido.
(a Pisistrato, e parte
Pisistrato. (Sarà mia cura il vendicar l’oltraggio.
Se Artemisia rinunzia a Eumene il trono,
Nuova lusinga di regnar mi alletta), (in atto di partire
Clorideo. Prence, dove ten vai? (a Pisistrato
Pisistrato.   Della regina
I disegni a esplorar.
Clorideo.   Non istancarti
D’esser meco all’impresa. Eumene, il vedi,
Farnabaze ricusa; a te non resta
Il timor di smarrirla. (piano a Pisistrato
Pisistrato.   (È ver. Mi resta
La speme di salir con seco al trono), (da sè, e parte

SCENA VI.

Clorideo, Farnabaze, Lisimaco, Guardie, ed Euriso in disparte, come sopra.

Clorideo. Tu che pensi, signor?

Farnabaze.   Tentar fin dove
Giunger può la pietade, indi allo sdegno
Sciogliere il freno e minacciar l’altera.
Clorideo. Lascia ch’io possa i più fedeli amici
Premere e consultar. Veduto ho in volto
A più d’uno di loro i segni espressi
Dello sdegno eccitato. In ogni guisa
Tu sarai nostro re.

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Farnabaze.   D’esserlo io spero

Non disgiunto da lei che onoro ed amo.
Rigor talvolta sa abbassar gli audaci,
E l’amor spesso del timore è figlio.
Clorideo. Usa tu l’arte che l’amor t’insegna;
Noi sarem teco in ogni dubbia impresa.
Farnabaze. Chi è colui che si asconde, e par che bieco,
(accennando Euriso, che vede lontano
Minaccioso mi guardi?
Clorideo.   È un vil pastore,
Sceso or or dalle balze. Il dolce aspetto
Non spiacque ad Artemisia; in Corte accolto
Fu dalla sua pietade, e qual tu il vedi,
Vestir lo fe’ de’ cittadini all’uso.
Farnabaze. Saria costui di un falso duolo il fonte?
Clorideo. Nol crederei. Troppo saria mendace
Nella donna regal d’un lustro il pianto. (parte

SCENA VII.

Farnabaze con seguito di Guardie, ed Euriso come sopra.

Farnabaze. Non minora per questo il mio sospetto.

Olà; colui che al sagro tempio è appresso,
Conducetemi innanzi. Ah se l’uom vile
(alle Guardie, due delle quali vanno e conducono Eurisio
Fosse il rivali non conosciuto, il Cielo
Offrirebbe al mio braccio aspra vendetta.
Euriso (Assistetemi, o Dei, che in sen raffreni
Contro il tiranno il concepito sdegno).
(da sè, avanzandosi
Farnabaze. Accostati. Chi sei?
Euriso   Per me risponda
La regina di Caria. Ella che m’offre

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Pietoso asilo, sa la patria e il nome.

Farnabaze. Farnabaze tel chiede.
Euriso   Io non conosco
Che una sola sovrana.
Farnabaze.   Un temerario
Conoscerà di Farnabaze il grado.
Euriso Se non basta a sottrarmi il regio cenno,
Valeranno gli Dei che han qui lor sede.
Farnabaze. Perchè al tempio vicin t’inoltri e celi?
Euriso M’inoltro e non mi celo. A che celarmi?
Farnabaze. Della regina ai seguito pomposo
Chi lontan ti trattiene?
Euriso   Il mio rispetto.
Farnabaze. Hai grado in Corte?
Euriso   L’odierno sole
Qua mi vide soltanto, e non è poco
Che di donna regal pietà mi soffra.
Farnabaze. E sol pietà che ti trattiene, o amore?
Euriso Amor di chi?
Farnabaze.   D’una regina accesa
Per un vile pastor; di un pastor vile
Che al regio affetto arditamente aspiri.
Euriso L’impossibil tu fingi. Ove s’intese,
Che fra tanta distanza amor si accenda?
Farnabaze. Non saresti tu il primo, ed Artemisia
L’unico esempio non sarebbe al mondo.
Euriso Che mi narri, signor? Sull’aureo trono
Salir le fiamme d’un volgare affetto?
Farnabaze. Perfido, invan mel chiedi; e nella finta
Maraviglia conosco il cor mendace.
Euriso Ah, signor, se fin ora ardì cotanto
L’innocente mio cor, su questo capo
Giove un fulmine vibri. Ed a che invano
Giustificar la mia innocenza? Un giorno
Scorso non è che Alicarnasso io vidi.

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Farnabaze. Un sol giorno?

Euriso   Lo giuro.
Farnabaze.   E la regina
Ti accolse e ti onorò di ricche spoglie?
Euriso Frutto di sua pietà.
Farnabaze.   Le parli?
Euriso   Ad essa
Mi accostai, non sdegnommi. I Dei pregando
Pel suo cor, pei suo regno, un qualche merto
Mi acquistai fino ad or.
Farnabaze.   (Giovan talvolta
Anche gl’infimi aiuti a grand’imprese). (da si
Odimi; alla regina il duolo atroce
Tenta di minorar.
Euriso   Tentai poc’anzi,
E qualche (rutto ricavar mi parve.
Farnabaze. Le parla anche di me: dille che alfine
Farnabaze l’adora, e in Farnabaze
L’ama di Persia il presuntivo erede.
Ai stimoli d’onor quei non tralascia
Aggiunger del timor. Dille che ho in mano
Di lei la sorte, e del suo regno il fato.
Se forza hai tu d’umiliar l’altera,
Fidati, e spera d’afferrare il crine
D’invidiata e stabile fortuna.
Intendesti?
Euriso   T’intesi.
Farnabaze.   E che prometti?
Euriso Di fare il mio dover.
Farnabaze.   Pensaci. Invano
Farnabaze non parla. A me ritorna
Con novella felice; e ai gradi eccelsi
E alle pingui ricchezze e ai primi onori,
Se tu plachi quel cor, sicuro aspira.
(parte col seguito delle Guardie

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SCENA VIII.

Euriso solo.

Puote un pastore i coraggiosi affetti

Sino al trono innalzar? Può una regina
Le oneste brame umiliar dal soglio?
E si vantan gli esempi? e Farnabaze
Dirlo non teme al risoluto Euriso?
No, non mel disse invan. Servon gli esempi
Di consiglio alle imprese....E quale orgoglio
Ardirebbe troncar le mie speranze?
Grado non v’ha che declinar non possa
Dal sender di virtù; ma d’Artemisia
Geloso è il cor di sua grandezza, e io sono
D’onesti affetti e dell’onor geloso.
Fren si ponga all’ardir; ma invano il prence
Mi lusinga che io serva a’ suoi desiri.
Sdegno l’opre volgari. Il mio dovere
Far promisi, egli è ver; ma il dover mio
È di servir la mia regina, ad essa
Odio inspirar contro il tiranno, e quando
Le giovasse il mio sangue, a lei che il merta
Il sangue offrir per la sua gloria in dono.


Fine dell’Atto Secondo.


Note

  1. Così il testo.
  2. Nel testo: passaresti.