Eumene. Cessa, o regina, il lacrimar. Comuni
Son le perdite nostre. Il ciel rapìo
A te lo sposo, a me il germano, è vero:
Ma chi può contro a inesorabil fato
Forza opporre o consiglio? Ei che riposa
Nei pacifici Elisi, omai contento
Fia de’ lunghi sospiri, e il lieto spirto
Pace dai Numi alle nostr’alme impetri.
Pisistrato. Odi, o regina, il favellare umano
Della vergine saggia?
Artemisia. Ah in lei favella
Discreto amor che di natura è figlio.
Parla in me passïon, di cui la vampa
M’invade il cor; che fu di giorno in giorno
Dal diletto accresciuta, a cui fomento
Fe’ la virtù, la conoscenza, il dolce
Reciproco piacer, l’egual costume
Di due salme indivise, un solo spirto
Di due spirti formato, e la memoria
Di quell’unico ben che render puote
Felici in terra i miseri mortali.
Clorideo. Non è del dolce coniugale affetto
Perito il germe, se non pere il mondo.
Artemisia. Arda per altri la beante fiamma,
Ma non per me che morte solo invoco.
Clorideo. Ah no, regina, non dir così, tel chiede1
Il popoi tuo, che te qual madre adora.
Pisistrato. S’appressa Farnabaze.
Artemisia. A lui si renda
L’onor ch’è al grado ed al valor dovuto.
Salgo il vedovo trono. Ah che vacilla
Nell’appressarsi il piè. Reggete, amici,
D’una donna languente il tardo passo.
(sale il trono, sostenuta da Pisistrato e Clorideo
- ↑ Così il testo.