Atto I

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Personaggi Atto II

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ATTO PRIMO.

SCENA PRIMA.

Talete con seguito de’ Ministri del tempio e Guardie.

Ite, ministri, e nella tomba augusta

Che di Mausolo estinto il cener chiude,
Risvegliate le fiamme. E voi, custodi,
Annunziate alla regina afflitta,
Che il varco è schiuso, e che all’usato uffizio
Può seguir l’orme della sua pietade.
(Li ministri entrano nel Mausoleo, e alcune Guardie partono per altra via.
Oh di fè coniugal raro, inaudito,
Memorabile esempio! Ancor non cessa
Dopo di un lustro consagrato al pianto

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Nella mesta regina il duol, l’ambascia.

Ma chi è il pastor che arditamente avanza
Nel vestibulo il piede?

SCENA II.

Euriso e detti.

Euriso   Invan la fama

Del superbo edifizio altrui non empie
Di bramoso stupor. (avanzandosi guardando il Mausoleo
Talete.   Fermati; il passo
A te non lice d’inoltrar.
Euriso   Perdona.
Tu ch’all’aspetto e al ragionar tuo grave
Uom rassembri del tempio, a me concedi
Appagare il desìo che qua mi trasse
Dalle inospite selve.
Talete.   E che ti spinse
Alla reggia di Caria?
Euriso   Anche ai remoti
Più scoscesi dirupi, ov’io di latte
Pascomi e d’erbe e di silvestri poma,
Della tomba regal si è sparso il grido.
Nè Caria mai, nè Cappadocia, o Lidia,
Nè l’Ionia, o la Grecia, o il Perso impero
Con maggior pompa consacrar mai vide
La memoria dei re. Tai voci intesi
Risuonarmi all’orecchio. Ho un cuore in petto
Di mia sorte mal pago, e le bell’opre
Mi appagan sì che vagheggiarle aspiro,
Non senza speme d’imitarne un giorno
I più saggi cultori. Il vecchio padre
Penetrò il mio desir: ma invan si oppose
All’ardito disegno. Ei mi confida

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La greggia un dì. Lungi dal patrio ciglio

La consegno a un pastor. La via ricerco
Che conduce alla reggia, e a stento alfine
Ritrovarla mi è dato. Un sol momento
Niego alle membra di riposo. Il piede
Inoltro al tempio. Curioso il guardo
Vuo’ fissar nella tomba, e tu mel vieti?
Talete. Frena lo spirto intollerante. Aspetta
L’ora opportuna a soddisfar tua brama.
Benché nato fra’ boschi, hai tale esterna
Apparenza gentile e mostri in seno
Un sì nobile ardir, che ad appagarti
In me il potere e l’amicizia impegna.
Io custode del tempio a parte a parte
Dell’alta mole spaziosa, altera,
La esterna pompa e l’intima bellezza
Farò che all’occhio tuo svelata sia.
Ma per or non è tempo. La dolente
Nostra reina si attende. Ella due volte
Per ciascun giorno visitare ha in uso
Questa tomba funesta; e i marmi bagna
Di larghissimo pianto, e il cener freddo
Dell’estinto consorte agita e scuote.
Euriso Se tanto l’ama dal suo fral disciolto,
Qual avrà amato il caro sposo in vita?
Talete. Non si potrebbe immaginar l’eccesso
Del reciproco affetto. Àrdeano entrambi
L’ultimo giorno come il dì primiero.
Euriso E prole a lor non ha concesso il Cielo?
Talete. Ah sì, pur troppo! Nove lune appena
Dopo il casto Imeneo, la regal donna
Diè alla luce un bambin. Bramoso il padre
Di consultar sul pargoletto i Numi,
Offrì vittime e incensi al sagro altare;
E il sacerdote al sacrifizio eletto

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Questa risposta dell’Oraeoi diede:

Tremi la madre dell’amor del figlio.
Pensa tu se restaro ambi dolenti,
E se la gioia si converse in pianto!
Vincer volea con la costanza il duolo
La prudente reina, ai detti oscuri
Minorando la fè. Ma il debol rege
Ora temea nel pargoletto infante
Un rivale nutrir, che un dì potesse
Di sacrilego ardor destar le fiamme;
Or temea che Nicandro (è questi il nome
Di quel misero prence) ardesse un giorno
D’altro vil foco ingiurioso al regno;
Indi non so se più caparbio o amante,
Al suo timor sacrificato ha il figlio.
Ma si appressan le guardie. La reina
Ecco si avanza. Scostati.
Euriso   Non lice
Mirar d’appresso la reina augusta?
Talete. Lice altrove mirarla. Intorno al tempio
Fuor che i soli ministri altr’uom non soffre.
Euriso Mi celerò fra i sacri marmi.
Talete.   Parti,
Euriso Ma se io parto, l’incontro.
Talete.   Ah fui pur stolto
Trovar sperando in un pastor rispetto.
Euriso Non ti pentir d’essermi stato umano.
Talete. Celati.
Euriso   Obbedirò. (si ritira
Talete.   Non me n’avvidi
Che fuggivami il tempo. Il parlar seco
Dolce cosa pareami, e a parte il resi
In brievi note degli affar del regno.

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SCENA III.

Artemisia, Clorideo, Guardie; Talete, Euriso in disparte.

Artemisia. Ah ch’io non posso a quel dolente aspetto

Le lacrime frenar. Mio re, mio sposo,
Mio dolce amico Oh Dio! la piaga ognora
Del cor nel centro si dilata e inaspra,
E mortale divien.
Clorideo.   Regina, il duolo
Sazio avrà de’ tuoi pianti il re tuo sposo.
Pensa a te, pensa al regno. Il nostro affetto
Cagliaci consolar. Vedovo il trono
Non lasciar della Caria, e il tuo bel seno
Il sospirato successor ci doni.
Artemisia. A che di’ tu di successor? T’accheta;
Non risvegliarmi il mio secondo affanno.
Se il Ciel voluto dal mio sangue avesse
Della Caria il sostegno, in fasce tolto
Non mi avrebbe il mio figlio. Ah questa almeno
Parte del genitor rimasta fosse
A mitigar l’eterno mio cordoglio!
Clorideo. Non ti doler se ti levaro i Dei
Nel tuo tenero parto il tuo periglio.
Artemisia. Oh di tremendo oracolo fatale
Orrida voce, troppo presto i fati
Risposer crudi al tuo predir funesto!
Poco tempo tremai del rio destino,
Se il mio Nicandro pargoletto in fasce
Mi rapiro gli Dei. Ah caro sposo,
Il soverchio timor, l’amore ardente
Che provasti per me, ti rese forse
Alla vita del figlio attento meno.
Ma comunque ciò siasi, amor fu sempre
Che guidò i tuoi pensieri; oh dolce immago

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Di quel tenero amor, per brieve istante

Vieni, e n’innonda di letizia il seno;
Indi l’affanno del piacer smarrito
Renda più crudo, esacerbato il duolo.
Olà: se nella tomba alcun si chiude
O ministro o custode, il van disgombri;
Sola vuo’ rimanervi; e niuno ardisca
Interrompere il corso a mia pietade.
(Escono dalla tomba i Ministri, i quali passano al tempio inchinandosi ad Artemisia.
Talete, va; fin che sul cener piango,
Offerte sian dai sacerdoti al tempio
Le vittime agli Dei. Clorideo, veglia
Che non penetri alcun. Chi è quel pastore
Che di celarsi fra que’ marmi ha cura?
(A Talete, osservando Euriso, nell’atto che s’incammina al Mausoleo.
Talete. (L’imprudente si scopre). Un giovin, spinto
Dal desìo di mirar del ricco avello
Gli scelti marmi e l’artifizio industre.
Artemisia. Fa che s’avanzi.
Talete.   Accostati, pastore;
La regina l’impone.
(Ad Euriso, poi inchinandosi ad Artemisia parte verso il tempio con li Ministri.

SCENA IV.

Euriso, Artemisia, Clorideo e Guardie.

Euriso   (Ah qual m’inspira (accostandosi

Letizia in sen quel maestoso aspetto!)
Artemisia. Donde vieni? chi sei?
Euriso   Alta regina,
Sul scosceso confin che dalla Lidia

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Questo regno divide, ebbi il natale.

Euriso è il nome mio; Zeontippo è quello
Del mio buon genitor. Qual genio in Caria
Ha guidato il mio piè, Talete il disse.
Artemisia. Ah, della tomba quel che vedi, è il meno.
Il prezioso tesor che vi si asconde
È il cener sacro del monarca estinto.
Lo vedesti vivente?
Euriso   Unqua non venni
D’Alicarnasso a vagheggiar le mura.
Artemisia. Se veduto l’avessi! Avea nel ciglio
Dipinta la bontà. Virtù e natura
Gareggiavano in lui. L’una il bel volto,
L’altra il bel cor signoreggiava in esso.
Da sì amabile padre, oh che bel figlio
Mi concesser gli Dei! Ma ohimè! rapito
Troppo presto mi fu. Misera madre!
Da qual nuovo dolor toccar mi sento
Crudelmente le piaghe? Ahi, questo pianto
Sparso non è per lo mio sposo. Oh Numi!
Pretende forse il misero innocente
Fra il padre e lui la pena mia divisa?
Lo pretende a ragion. Mai più m’intesi
Punger il cor sì crudelmente al nome
Dello smarrito figlio. Oh Dio! Si vada
Libero ad isgorgar pianto richiesto.
(entra nella tomba, e chiude

SCENA V.

Clorideo, Euriso e Guardie.

Clorideo. Tu perchè piangi?

Euriso   E chi frenar mai puote
A un sì atroce dolor la pena e il pianto?

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Clorideo. Tenero sei di cuor.

Euriso   Per me natura
Mi diè costanza e per altrui pietade.
Clorideo. (Ah Pisistrato vien. Di Farnabaze
Avrà novelle). Olà, parti. (ad Euriso
Euriso   Signore,
La regina mi soffre, e tu mi scacci?
Clorideo. Va, il ministro di stato a te l’impone.
Euriso Permetti almen che a venerare il tempio
Conduca i passi miei.
Clorideo.   Fa ciò che brami.
Euriso Ah se i miei voti ascolteran gli Dei,
Pietade avran della regina afflitta. (parte verso il tempio

SCENA VI.

Clorideo e Pisistrato.

Clorideo. Ritiratevi, guardie. (le Guardie si ritirano

Pisistrato.   Oh me felice,
Che ti trovo qui sol.
Clorideo.   Basso ragiona,
Chè la regina nella tomba è chiusa.
Pisistrato. Farnabaze è qui presso.
Clorideo.   Accols’ei dunque
Della nostra amicizia il franco invito?
Pisistrato. Lietamente l’accolse, e caldo ancora
Della pugna co’ Greci, a noi vien spinto
Da amor insieme e da ambizion di regno.
Sai ch’ei vide Artemisia allor che invito
Mausolo fece ai giostrator stranieri
Per divertir della smarrita prole
Dal bel sen della sposa il duol crudele.
Piacque al prence il bel volto, e piace ad esso
La corona di Caria.
Clorideo.   Oh noi felici

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Sotto un re valoroso! Abbiam finora

Languir mirato nell’obblìo sepolta
Questa misera terra. Il re fra’ vivi
Sol gemea per la sposa; or la consorte
Pianger non fa che per lo sposo estinto.
Quando vedrem ripullular fra noi
E le palme e gli allori? Insulti e scorni
Ci conviene soffrir. D’ozio si pasce
La gioventù. Van le bell’arti incolte,
Sconosciute le scienze; e il Cario nome
Vil materia di riso è ai Persi, a’ Greci.
Perduta è già del principe Nicandro
La speranza per sempre. Il grido sparso
Della morte del re trar lo dovrebbe,
Se ancor vivesse, ad occupare il soglio.
O non è tra’ viventi, od è in tal guisa
A se medesmo il suo destino ignoto,
Che non lice sperar di più vederlo.
Dunque o ceda Artemisia al zelo, al dritto
Di chi le offre uno sposo, o ceda il regno.
Restavi ancor del regio sangue Eumene;
Passi in lei la corona, e Farnabaze
Se non dall’una, abbia dall’altra il soglio.
Pisistrato. Ah Clorideo, nel proferir tai note
Pensa che io sono adorator di Eumene.
Clorideo. Ma sei nato vassallo e invan protesti
Aspirar all’impero.
Pisistrato.   Io sol pretendo
D’Eumene il cor, non la corona. Il Perso
Ch’io’invitai per tuo cenno, ad Artemisia
Ha rivolti i pensieri; io di tal nodo
Seco sol ragionai. Fino a tal segno
M’avrai compagno all’onorata impresa.
Ma se ti cal dell’opra mia, tel dico,
Non m’insultar, non mi privar di Eumene. (parte

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SCENA VII.

Clorideo, poi Artemisia e Guardie.

Clorideo. Cede al pubblico bene ogni diritto

Di privata ragion. Ma dalla tomba
Veggo uscir la regina. Guardie, entrate.
(escono le Guardie
Artemisia. Ora per poco il mio dolore è pago.
Co’ miei caldi sospiri il cener scossi,
Lo baciai riverente, ed una voce
Parvemi udir che mi dicea: ciò basta.
Clorideo. Deh questa voce ti ripeta al core:
Basta, basta il dolor, ti basti il pianto.
Abbi pietà di noi, se di te averla
Niegati il primo radicato affetto.
Artemisia. Non parlarmi di sposo.
Clorideo.   E vuoi che il regno?....
Artemisia. Dov’è il pastor che qui poc’anzi io vidi?
Clorideo. Che ti cale di lui? Passato è al tempio.
Artemisia. (La bell’alma dimostra il vago aspetto).
Clorideo. Regina, il prence Farnabaze, il forte
Condottier dell’esercito persiano,
A te sen vien.
Artemisia.   Quale desìo lo sprona?
Clorideo. La sua mente m’è ignota.
Artemisia.   Ad esplorare
Manda alcuno i disegni. Io non l’ascolto
Se di nozze mi parla.
Clorideo.   Il prence è tale
Che non puoi ricusar senza periglio
D’ascoltare i suoi detti.
Artemisia.   Ebben, si ascolti.
Qui di Mausolo in faccia ergasi il trono;
Quivi l’ascolterò. Sia meco Eumene,

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Meco sian tutti i più fedeli amici.

Testimoni vi bramo all’atto illustre
Di giustizia e pietà che il cor mi detta.
Tu Farnabaze ad onorar t’invia.
Clorideo. Ti obbedirò. Voglian gli Dei pietosi
Che, tua mercè, nostro destin migliori,
E la virtù che nel tuo cor s’annida
Dia pace al regno e al tuo dolor conforto, (parte

SCENA VIII.

Artemisia con Guardie, poi Euriso.

Artemisia. Pace al regno può dare, al mio dolore

Il conforto non mai. Perduto ho quello
Cui racquistar fiero destin mi vieta.
Dianmi tanto di vita i Dei superni
Quanto basti a onorar co’ sagrifizj
La grand’alma che vive entro al mio seno.
Gratitudin s’adempia, e poi si mora.
Euriso (Stelle! è qui la regina. Ah, non ardisco
Nuovamente appressarmi).
Artemisia.   (Ecco il gentile
Peregrino pastor). Perchè t’arresti?
Euriso Mi trattiene, o regina, il mio rispetto.
Artemisia. Accostati.
Euriso   Obbedisco.
Artemisia.   Hai soddisfatto
All’interna pietà?
Euriso   Sì caldi voti
Non mi usciroò giammai dal cor sincero.
Artemisia. A qual fine eran tesi?
Euriso   Ad impetrare
Il sostegno di Caria e il tuo conforto.
Artemisia. Sì pietoso per me?

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Euriso   Non merta meno

li tuo gran cor, la tua bontà, l’amore
Con cui tratti i vassalli, e me infelice
Accor ti piacque ed onorar col guardo.
Artemisia. Volgi ad altr’uopo gl’innocenti uffizj.
Non ascoltan gli Dei le preci umane,
Se alla pietà l’altrui voler contrasta.
Euriso Pon tuo malgrado serenar quell’alma.
Artemisia. Tardo è il suffragio e la speranza vana.
Euriso Non è van lo sperar fin che si vive.
Artemisia. Odio la vita e migliorar non curo.
Euriso Tanto ti affliggi pel consorte estinto?
Artemisia. Il consorte ed il figlio in cor mi stanno.
Euriso L’uno e l’altro del par tu credi estinti?
Artemisia. Ah sì: dell’uno in fra que’ marmi oscuri
Si raggira lo spirto e il cener giace;
E dell’altro, che il Ciel mi tolse in fasce,
Odo i gemiti ancor d’intorno al core.
Euriso Lo vedesti spirar?
Artemisia.   No, la pietade
Del consorte vietommi il duol feroce.
Euriso Vivere non potria?
Artemisia.   Lusinghi invano
Il materno dolor.
Euriso   Testè nel tempio
Parvemi udir dai sacerdoti uniti
Vittime offrir per la sua vita ai Numi.
Talete interrogai. Cauto rispose,
Ma mi fe’ dubitar.
Artemisia.   Qual ria mercede
Offri alla mia pietà, velen spargendo
D’angoscioso desìo sul core afflitto?
Euriso Perdonami, reina; all’ara innante
Tra il fervor de’ miei voti udir mi parve
Una voce del Ciel, che del mio prence

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M’animasse a sperar la vita in salvo.

Artemisia. Ah lo voglian gli Dei. Viva il mio figlio,
Venga e consoli della madre il duolo.
Ma oimè! S’ei vive e se d’appresso il veggo,
Dell’oracol pavento i detti orrendi:
“Tremi la madre dell’amor del figlio”.
Ah che per me non v’ha pietade in cielo.
Lo piango estinto, e s’egli vive il temo.
Euriso. Non aggravar d’immagini funeste
L’abbattuto pensier. Gli oracoli sempre
Veritieri non furo; dopo il fatto
Il non inteso ragionar si svela,
E spesso avvien che il fortunato evento
Oltra al presagio spiegazion ritrova.
Artemisia. Te ha il Ciel mandato o per scemar mie pene,
O per farle maggiori. Al regio tetto
Ti concedo l’accesso, e non discaro
Mi sarà il rivederti. I Dei che han grata
Forse la tua innocenza, a te di nuovo
Parlino al core e tu per me li priega.
Priegali non che all’alma lacerata
Levin del tutto o in parte il duoi che l’ ange,
Ma che dar pace con le odiate nozze
Possa di Caria al regno, e a senno mio
Possa franca versar o pianto o sangue. (parte

SCENA IX.

Euriso solo.

Ah sì, la speme i cor dolce ristora,

E sperando Artemisia, il duol potrebbe
A grado a grado estinguersi del tutto.
Spinto mi sento da una intensa brama
Di vederla felice o meno afflitta.

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Grazie alla sua bontà, cambiare io spero

L’odiata capanna in aureo tetto.
Sappialo il genitor; ritorni anch’esso
A riveder d’Alicarnasso il trono,
Dove la fresca gioventute ha speso.
Chi sa qual sorte a noi conceda il Cielo?
Chi di sua vil condizion si appaga,
Mostra gl’insulti meritar del fato.
E lode merta chi il sentier calcando
Della virtude, a miglior grado aspira.


Fine dell’Atto Primo


Note