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ARTEMISIA 201

SCENA IV.

Farnabaze, Lisimaco con seguito, e detti.

Farnabaze. Mira l’avello che la fama esalta. (a Lisimaco

Lisimaco. Corrisponde la pompa al comun grido, (a Farnabaze
Farnabaze. Alfin, regina, riveder mi è dato
Dopo tre lustri il tuo real sembiante,
Non amabile men, non men vezzoso,
Del duolo ad onta che ti aggrava il ciglio.
Clorideo. (Scaltro principia dalla cara lode).
Artemisia. Se vuoi che lieta il tuo venire accolga,
Cangia lo stil de’ lusinghieri accenti.
Siedi, e di’ la cagion che a noi ti guida.
(Farnabaze siede, e tutti gli altri a’ loro posti
Farnabaze. Ti rammenta, Artemisia, il dì giulivo
In cui con pompa d’amor colma e fasto
Per te Mausolo empieo di festa il regno?
Artemisia. Gioie non rammentar, che ora soltanto
L’orror m’ingombra e mi circonda il lutto.
Farnabaze. Dirti volea che fin d’allora i lumi
Avidamente nel tuo volto ho fissi,
E che la sorte invidïai di quello
Che possedea sì amabile tesoro.
Artemisia. Tu vuoi stancarmi, Farnabaze, il veggo.
Clorideo. Perdonami, signor; la regai donna
È di se stessa per virtù nemica;
Ma come a forza la curvata verga,
Se medesma disciolta, in alto spinge,
L’umiltà innalza a maggior gloria il merto.
Farnabaze. Scorgo del tuo gran cor, scorgo la pena
Onde a forza tu soffri il dir verace.
Non farò che di laudi il suon ti offenda;
Taccia il mio labbro, e ne favelli il mondo.
Permetti sol che ragionarti io possa
Del tuo regno e di te.