Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1927, XXV.djvu/207


ARTEMISIA 203
Dalla tomba regal Mausolo i detti,

E a me coraggio da quei marmi inspira.
E tu che un regno ad usurpar sei pronto,
Prendi lo scettro dalla man di Eumene,
E in pace lascia un’infelice donna.
Eumene. (Oh me felice, se acconsente al nodo!)
Pisistrato. (Misero me, se il mio bel sole io perdo!)
Farnabaze. Regina, al tuo parlar motto non feci.
Soffri tu pur che a mio talento io parli.
Se l’amor vero, quell’amor che nasce
Dal bel veduto o da virtù palese,
Non mi avesse a te spinto, or non vedresti
Farnabaze al tuo piè. Di Caria il regno
O avrei negletto, o a conquistarlo in uso
Porrei quel braccio che più regi ha oppressi.
Tu sai qual sangue entro il mio seno scorre;
Sai che retaggio di mia stirpe è il trono,
Sai che Xerse a me deve il vasto impero,
E che più i regni conquistar mi piace
Per darli altrui, che per goderne io stesso.
Dunque amor mi conduce, e amor si offende
Dell’ingrata ripulsa. In te mi alletta
Oltre a mille virtù la coniugale
Fede serbata al tuo primier consorte;
Ma la stessa virtude ha i suoi confini;
E chi oltre la porta al dritto, al giusto,
Converte in vizio la virtude istessa.
Devi a Mausolo tuo la tua fortuna,
Ma devi al regno che ti cole e onora
Gratitudine e amor. Qual legge adduci,
Che la cessione autentichi del trono
In favore di Eumene? Il rege estinto
Volle te sola erede. Al tuo rifiuto
Femmina non succeda. Altri vi sono
Pretensori di Caria, ed ha la Persia,