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ARTEMISIA 195
M’animasse a sperar la vita in salvo.

Artemisia. Ah lo voglian gli Dei. Viva il mio figlio,
Venga e consoli della madre il duolo.
Ma oimè! S’ei vive e se d’appresso il veggo,
Dell’oracol pavento i detti orrendi:
“Tremi la madre dell’amor del figlio”.
Ah che per me non v’ha pietade in cielo.
Lo piango estinto, e s’egli vive il temo.
Euriso. Non aggravar d’immagini funeste
L’abbattuto pensier. Gli oracoli sempre
Veritieri non furo; dopo il fatto
Il non inteso ragionar si svela,
E spesso avvien che il fortunato evento
Oltra al presagio spiegazion ritrova.
Artemisia. Te ha il Ciel mandato o per scemar mie pene,
O per farle maggiori. Al regio tetto
Ti concedo l’accesso, e non discaro
Mi sarà il rivederti. I Dei che han grata
Forse la tua innocenza, a te di nuovo
Parlino al core e tu per me li priega.
Priegali non che all’alma lacerata
Levin del tutto o in parte il duoi che l’ ange,
Ma che dar pace con le odiate nozze
Possa di Caria al regno, e a senno mio
Possa franca versar o pianto o sangue. (parte

SCENA IX.

Euriso solo.

Ah sì, la speme i cor dolce ristora,

E sperando Artemisia, il duol potrebbe
A grado a grado estinguersi del tutto.
Spinto mi sento da una intensa brama
Di vederla felice o meno afflitta.