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Interoperabilità e standard aperti nella legislazione italiana

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Interoperabilità e standard aperti nella legislazione italiana
Capitolo terzo Bibliografia

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Appendice
Interoperabilità e standard aperti nella legislazione italiana


1. Introduzione: L’importanza di standard e formati aperti per la pubblica amministrazione

Il tema dell’utilizzo di strumenti informatici alternativi a quelli imposti dal mercato è per sua intrinseca natura un tema caro al settore pubblico, sia per ragioni di principio, sia per le ragioni di concreta convenienza e sostenibilità economica, sia per ragioni di opportunità tecnico-pratica.

Dunque, di riflesso, anche il tema dell’utilizzo degli formati aperti è diventato un tema centrale in fatto di e-government e di pubblica amministrazione in generale. In un mondo digitalizzato e interconnesso come quello attuale, tanto i servizi al cittadino quanto i rapporti fra pubbliche amministrazioni non possono prescindere dall’utilizzare standard di riferimento. In questo campo le scelte diventano ancor più pregnanti poiché non possono fare a meno di condizionare quelle del privato cittadino o delle altre pubbliche amministrazioni, sempre alla luce degli effetti di rete che queste scelte portano inevitabilmente con sé.

La promozione e l’adozione di standard aperti diventa dunque uno dei punti nodali per uno sviluppo funzionale e democratico della pubblica [p. 92 modifica]amministrazione digitale. Come infatti Domenico Squillace tiene a precisare, l’adozione di formati documentali aperti «risulta importante in particolar modo per i documenti della Pubblica Amministrazione, perché assicura la disponibilità in termini di lettura e di riscrittura del documento in qualsiasi momento, la massima interoperabilità tra i sistemi, la libertà di scegliere la piattaforma, il sistema operativo e il produttore (sia per l’utente che per l’Amministrazione stessa)».1

E non a caso il Decreto Legislativo 7 marzo 2005, n. 82 (comunemente noto come “Codice dell’amministrazione digitale”) si è occupato specificamente ed espressamente di questo argomento, inquadrandolo nell’ambito del diritto di accesso ai documenti, e ad oggi numerose leggi regionali hanno sottolineato e sviluppato i principi fissati a livello nazionale.

In questa appendice vorremmo dunque cercare di fornire una ricostruzione storica degli atti normativi (siano essi legislativi o regolamentari) che in Italia si sono occupati del tema degli standard e formati aperti. Teniamo sempre presente che questo tema raramente è disciplinato con interventi ad hoc ma viene per lo più fatto rientrare nell’ambito di interventi in materia di FLOSS per la pubblica amministrazione o ancora più genericamente in materia di e-government e pubblica amministrazione digitale.

2. I disegni di legge di Cortiana e Folena

Come ci ricorda la stessa Flavia Marzano2, a livello parlamentare le prime iniziative in tal senso si sono avute grazie a due disegni di legge presentati quasi contemporaneamente all’inizio del 2002 da Fiorello Cortiana in Senato e da Pietro Folena alla Camera, entrambi mirati alla promozione del pluralismo informatico attraverso la diffusione del FLOSS e degli standard aperti.3 Anche se questi disegni di legge non vengono mai effettivamente tramutati in legge dello Stato, hanno il merito di aver formulato per primi il principio secondo cui chiunque dovrebbe avere «il diritto di sviluppare, pubblicare e utilizzare un software originale compatibile con gli standard di comunicazione e con i formati di salvataggio [p. 93 modifica]di un altro software, anche proprietario»; e in generale hanno il merito di aver inaugurato un dibattito parlamentare su questi temi.

3. La circolare Aipa/Cr/40 del 22 aprile 2002

Più o meno nello stesso periodo, nell’ambito del progetto NormeInRete volto a creare un grande database on-line di tutto il corpo normativo italiano, l’Aipa4 emette una circolare dedicata al “formato per la rappresentazione elettronica dei provvedimenti normativi tramite il linguaggio di marcatura XML” nella quale si fissano alcune linee guida per gli standard di rappresentazione dei provvedimenti normativi.

Si riporta un estratto del paragrafo più significativo ai fini della nostra analisi (par. 2):

Il progetto intersettoriale dell’Aipa “Norme in rete” ha affrontato, nella sua prima fase, i problemi relativi all’uniformità delle funzioni di ricerca delle norme attraverso internet, indipendentemente dai formati di rappresentazione dei provvedimenti. È stato, quindi, realizzato un portale per l’accesso unificato ai documenti di interesse normativo pubblicati sui siti web istituzionali, ricorrendo alle tecnologie di indicizzazione e ricerca dei documenti in base alle parole presenti nel testo.
Parallelamente sono state avviate attività di standardizzazione finalizzate a favorire l’interoperabilità tra sistemi diversi e a consentire la realizzazione di funzionalità più specifiche.5
4. La prima commissione Meo

Sulla scia del dibattito politico e istituzionale apertosi con i disegni di legge Cortiana e Folena, l’allora Ministro per l’Innovazione e le Tecnologie (Lucio Stanca) decide di istituire una commissione di esperti che faccia luce sulle principali problematiche relative all’introduzione del FLOSS nella pubblica amministrazione e che produca un documento che possa fungere da [p. 94 modifica]punto di riferimento per eventuali interventi normativi futuri. Tale commissione, presieduta da uno dei massimi teorici italiani in materia di informatica libera, il Prof. Angelo Raffaele Meo del Politecnico di Torino, viene istituita con decreto ministeriale del 31 ottobre 2002 6 e dopo alcuni mesi di lavoro produce il documento “Indagine conoscitiva sul software a codice sorgente aperto nella pubblica amministrazione”7. Questo documento, divulgato nel maggio del 2003, rappresenta tutt’oggi una fondamentale pietra miliare grazie alla quale è fornita una prima panoramica completa e articolata sulla materia e sono messi a fuoco i principi fondamentali che poi ritroveremo in altri documenti postumi.

Riportiamo qui una sintesi delle principali proposte contenute nell’indagine, così come compare nel paragrafo 1.3 del documento stesso.

1) Le PA non devono penalizzare/vietare l’utilizzo di pacchetti open source: il criterio che deve valere al momento della selezione di una soluzione software è quello del value for money.
2) I software custom (e le personalizzazioni) devono essere di piena proprietà (non necessariamente esclusiva) della PA. I contratti di outsourcing devono includere opportune clausole di protezione.
3) È necessario sostenere e facilitare il riuso dei software custom di proprietà delle PA, e la disseminazione dei risultati e delle best practice tra tutte le PA del Paese.
4) Tutti i pacchetti proprietari acquisiti su licenza devono essere disponibili per ispezione e tracciabilità da parte della PA. Le PA devono essere tutelate nel caso un fornitore di pacchetti non sia più in grado di fornire supporto.
5) I sistemi informativi delle PA devono interagire attraverso interfacce standard che non siano vincolate ad un unico fornitore.
6) I documenti delle PA sono resi disponibili e memorizzati attraverso uno o più formati. Di questi almeno uno deve essere obbligatoriamente aperto, mentre gli altri, se presenti, possono essere scelti a discrezione della PA tra quelli aperti o proprietari.
7) Il trasferimento del software custom e delle licenze dei pacchetti tra PA deve essere libero da vincoli e favorito.
8) È opportuno definire linee guida, strumenti di pianificazione e servizi di supporto ai processi di procurement di prodotti software nelle PA. Ciò deve attuarsi attraverso la valorizzazione ed il potenziamento delle competenze e delle risorse presenti sul territorio.
[p. 95 modifica]9) È necessario definire politiche di disseminazione per i progetti di ricerca e innovazione tecnologica finanziati con fondi pubblici affinché vi sia maggiore riuso dei risultati. La modalità open source può essere uno strumento utile da sperimentare per diffondere prodotti software innovativi risultanti da tali progetti. Inoltre, tale approccio può essere sperimentato anche per ciò che concerne i software custom prodotti nell’ambito dei progetti finanziati attraverso i bandi di e-government.

5. La direttiva Stanca del 2003

Alcuni mesi dopo lo stesso Ministro decide di emanare una direttiva con lo scopo di chiarire i principi in materia di sviluppo e utilizzo del software nell’ambito della pubblica amministrazione in generale, dedicando particolare attenzione al mondo delle soluzioni “open”. La direttiva “Sviluppo ed utilizzazione dei programmi informatici da parte delle pubbliche amministrazioni” (anche nota come “Direttiva Stanca”) è datata 19 dicembre 2003 e «intende fornire alle PA indicazioni e criteri tecnici e operativi per gestire più efficacemente il processo di predisposizione o di acquisizione di programmi informatici. Nella scelta delle soluzioni informatiche disponibili sul mercato le PA dovranno seguire criteri che sono dettati dalle loro specifiche esigenze, ma anche da altri elementi quali:

1. la trasferibilità ad altre amministrazioni delle soluzioni acquisite;

2. l’interoperabilità e la cooperazione applicativa tra le amministrazioni;

3. la non dipendenza da un unico fornitore o da un’unica tecnologia proprietaria;

4. la disponibilità del codice sorgente per ispezione e tracciabilità;

5. l’esportabilità di dati e documenti in più formati, di cui almeno uno di tipo aperto.»8

Inoltre la direttiva si preoccupa anche di alcuni fondamentali aspetti come quello della sostenibilità economica del modello “open”; infatti nel testo si invitano espressamente le pubbliche amministrazioni «a tener conto dell’offerta sul mercato di una nuova modalità di sviluppo e diffusione di programmi informatici in modalità “open source”, ovvero applicazioni il cui codice sorgente può essere liberamente studiato, copiato, modificato e ridistribuito, una nuova opportunità tra le possibili soluzioni che rafforza e amplia il quadro di equilibrio e di aperta competizione.»

Inoltre, uno dei principali meriti della direttiva è quello di aver chiarito a livello legislativo alcuni concetti chiave, fornendone le definizioni. Si riporta a tal proposito l’intero articolo 2: [p. 96 modifica]
Ai fini della presente direttiva si intende:
a. per “formato dei dati” la modalità con cui i dati vengono rappresentati elettronicamente in modo che i programmi informatici possano elaborarli. Il formato specifica la corrispondenza fra la rappresentazione binaria e i dati rappresentati (testo, immagini statiche o dinamiche, suono, ecc.). Esempi di formati sono Bitmap, GIF, JPEG, ecc.;
b. per “formato aperto”, un formato dei dati reso pubblico e documentato esaustivamente;
c. per “tecnologia proprietaria”, una tecnologia posseduta in esclusiva da un soggetto che in genere ne mantiene segreto il funzionamento;
d. per “formato proprietario” un formato di dati utilizzato in esclusiva da un soggetto che potrebbe modificarlo a proprio piacimento;
e. per “standard” una specifica o norma condivisa da una comunità.
Lo standard può essere emanato da un ente di standardizzazione oppure essersi imposto di fatto (industry standard). Nel caso dei formati dei dati o dei documenti, un formato è standard quando è definito da un ente di standardizzazione (per esempio, il formato XML), o è di fatto condiviso da una comunità (per esempio, il formato PDF);
f. per “interoperabilità” la capacità di sistemi informativi anche eterogenei di condividere, scambiare e utilizzare gli stessi dati e funzioni d’interfaccia;
g. per “programmi informatici ad hoc o custom” applicazioni informatiche sviluppate o mantenute da un fornitore per soddisfare specifiche esigenze di uno o più clienti. Normalmente questo tipo di sviluppo viene eseguito all’interno di un contratto di servizio per il quale il cliente corrisponde al fornitore un compenso;
h. per “programmi a licenza d’uso”, o “pacchetti”, applicazioni informatiche che vengono cedute in uso (e non in proprietà) dal fornitore al cliente. Tale cessione d’uso è regolata da opportune licenze che indicano i vincoli e i diritti che sono garantiti al titolare della licenza stessa;
i. per “programmi di tipo proprietario”, applicazioni informatiche basate su tecnologia di tipo proprietario, cedute in uso dietro pagamento di una licenza, che garantisce solo la fornitura del codice eseguibile e non del codice sorgente. Esempi di tali prodotti sono MS Windows, IBM DB2, Oracle DB;
j. per “programmi a codice sorgente aperto” o “open source”, applicazioni informatiche il cui codice sorgente può essere [p. 97 modifica]liberamente studiato, copiato, modificato e ridistribuito;
k. per “costo totale di possesso”, l’insieme dei costi che nel corso dell’intera vita operativa di un sistema informativo è necessario sostenere affinché esso sia utilizzabile proficuamente dall’utenza;
l. per “costo di uscita”, l’insieme dei costi da sostenere per abbandonare una tecnologia o migrare verso una tecnologia o soluzione informatica differente. Comprende i costi di conversione dati, di aggiornamento dell’hardware, di realizzazione interfaccia e di formazione;
m. per “piattaforma”, infrastruttura informatica, comprendente sia hardware che software, su cui vengono elaborati i programmi applicativi;
n. per “portabilità”, possibilità di trasferire un programma informatico da una piattaforma a un’altra.

6. Le attività del Cnipa in materia di open source

Nel 2004, sempre in attuazione della Direttiva Stanca, viene costituito un osservatorio permanente presso il Cnipa chiamato Osservatorio Open Source e il cui sito ufficiale è www.osspa.cnipa.it.

La sua mission è quella di fungere da catalizzatore delle “best practice” e della conoscenza in materia di open source.

I modelli e le problematiche introdotte dall’adozione di software open source necessitano un’adeguata e corretta comprensione e diffusione della materia per favorirne ritorni positivi. Le infrastrutture e l’organizzazione dell’Osservatorio favoriscono l’accentramento di conoscenze ed esperienze e la diffusione del know-how nella pubblica amministrazione, grazie anche alla promozione di processi di valutazione e comparazione di software. Gli obiettivi perseguiti dall’Osservatorio non solo sono allineati a quelli dei principali paesi europei (esistono già nell’Unione europea dei centri di competenza o delle organizzazioni assimilabili all’Osservatorio del Cnipa), ma rientrano tra le iniziative auspicate dal programma UE IDABC (Interoperable delivery of european eGovernment services to Public Adminstrations, Businesses and Citizens).9

Sempre in seno al Cnipa è stato istituito nel febbraio 2004 un “Gruppo di lavoro per il Codice sorgente aperto”, entità che ha operato da febbraio a luglio 2004 conducendo incontri con esperti del settore, audizioni e scambi di esperienze anche con controparti estere e perseguendo i seguenti obbiettivi:

  • analizzare la tematica del software OS, proseguendo i lavori della “Commissione Meo” e aggiornandone ove necessario i risultati; [p. 98 modifica]
  • studiare il modello organizzativo e di sviluppo del software OS;
  • descrivere lo scenario normativo, economico e tecnologico all’interno del quale si evolve il fenomeno OS;
  • esaminare le iniziative su questo tema presenti in altri Paesi, con particolare attenzione all’UE;
  • sviluppare una metodologia di attuazione della Direttiva del Ministro per l’Innovazione e le Tecnologie del 19 dicembre 2003;
  • redigere un documento di indirizzo ed ausilio alla PA per la valutazione e l’adozione di software Open Source, tenendo conto delle problematiche su standard aperti e riuso;
  • stilare un progetto di massima di un Centro di Competenza nazionale in materia di software Open Source e delle infrastrutture ad esso necessarie.10

Il frutto del suo lavoro è condensato all’interno di un rapporto conclusivo, la cui trattazione a grandi linee riguarda:

  • un aggiornamento dello scenario di riferimento rispetto alla situazione illustrata dalla Indagine conoscitiva del software Open Source (la cosiddetta “Commissione Meo”);
  • le iniziative UE e dei paesi extra UE;
  • la descrizione del modello organizzativo e di sviluppo del software OS;
  • l’attuale scenario normativo;
  • il mercato rispetto al software OS;
  • una metodologia di attuazione della Direttiva del Ministro per l’Innovazione e le Tecnologie del 19 dicembre 2003;
  • le caratteristiche di un costituendo Centro di Competenza nazionale in materia di OS per la Pubblica Amministrazione e delle sue principali infrastrutture e attività.

Particolarmente interessante è però ciò che si evince dal paragrafo introduttivo “Considerazioni di fondo” che ci riporta ineluttabilmente all’analisi da noi compiuta a proposito del web come tecnologia interoperabile per eccellenza:

L’affermazione crescente del software OS va di pari passo con la diffusione di Internet nel mondo: tra i primi benefici va sottolineata la conseguente, ugualmente progressiva diffusione di standard e formati aperti, ed i primi passi verso la stabilità, e quindi l’affidabilità dei prodotti OS attraverso la creazione delle community. Queste appaiono come un primo spontaneo, e necessario, assetto organizzativo condiviso per ricavare i benefici derivanti alla collettività dall’avere a disposizione il codice sorgente. Da tale rilevazione delle caratteristiche, ad oggi, del fenomeno OS, [p. 99 modifica]scaturisce la sensazione che si è all’inizio di un processo di trasformazione della realtà del software, i cui risultati a lungo termine potrebbero modificare in maniera imprevedibile l’intero scenario.
Si osserva infatti che gli standard e i formati aperti, affermatisi con Internet, sono un primo passo verso una sorta di lingua comune che unisce di fatto gli utilizzatori della rete, e che non potrà che aggiornarsi e crescere nel tempo.

7. La direttiva europea sul riutilizzo di documenti nel settore pubblico

Nel 2003 il Parlamento e il Consiglio europei emettono una direttiva in materia di riutilizzo di documenti nel settore pubblico (direttiva 2003/98/CE)11 nella quale vengono fissati alcuni importanti principi relativamente alla gestione dei dati da parte delle pubbliche amministrazioni: principi che verranno successivamente recepiti dal Decreto Legislativo n. 36 del 24 gennaio 2006 e ripresi diffusamente da altri importanti interventi legislativi nazionali (fra cui lo stesso Codice dell’amministrazione digitale).

Come spesso accade, la parte più interessante della direttiva sta nei “considerando” (solitamente premessi al vero e proprio testo normativo), fra i quali si segnalano il n. 8 (che contiene la definizione di “riutilizzo di documenti”) e il n. 13 (dedicato specificamente alla questione dei formati di salvataggio dei documenti).

8. Affinché il riutilizzo dei documenti del settore pubblico avvenga in condizioni eque, adeguate e non discriminatorie, le modalità di tale riutilizzo devono essere soggette ad una disciplina generale. Gli enti pubblici raccolgono, producono, riproducono e diffondono documenti in adempimento dei loro compiti di servizio pubblico. L’uso di tali documenti per altri motivi costituisce riutilizzo. [...]


13. Le possibilità di riutilizzo possono essere migliorate riducendo la necessità di digitalizzare documenti cartacei oppure di manipolare documenti elettronici per renderli compatibili fra loro. Pertanto, gli enti pubblici dovrebbero mettere a disposizione i documenti in qualsiasi lingua o formato preesistente, ove possibile e opportuno per via elettronica. Gli enti pubblici dovrebbero esaminare la richiesta di fornire estratti di documenti esistenti con spirito positivo allorché per dar seguito a tale richiesta [p. 100 modifica]occorrerebbe solo una semplice manipolazione. Gli enti pubblici non dovrebbero essere tuttavia obbligati a fornire un estratto di un documento se ciò comporta difficoltà sproporzionate. Per facilitare il riutilizzo, gli enti pubblici dovrebbero mettere a disposizione i propri documenti in un formato che, nella misura del possibile e se opportuno, non dipenda dall’utilizzo di programmi informatici specifici. Ove possibile e opportuno, gli enti pubblici dovrebbero tener conto delle possibilità di riutilizzo dei documenti utilizzati dai disabili o ad essi destinati.

8. Il D. Lgs. 82/2005 (Codice dell’amministrazione digitale)

Il contenuto della direttiva Stanca viene quasi interamente trasfuso nel Decreto Legislativo n. 82 del 2005, testo unico che vuole riorganizzare i molteplici e spesso poco organici interventi normativi in materia di tecnologie informatiche ed e-government. Oltre a questo intento di riorganizzazione normativa, il decreto (noto come “Codice dell’amministrazione digitale” e abbreviato in CAD) ha avuto in merito di fissare alcuni “diritti fondamentali per il cittadino digitale” come il diritto all’uso delle tecnologie, il diritto di accesso ai documenti anche attraverso procedimenti digitali, il diritto di comunicare con la pubblica amministrazione per via telematica, il diritto ad effettuare pagamenti in via digitale.12 Non potendo entrare in questa sede nel merito di ogni singolo diritto sancito dal CAD e tantomeno delle relative problematiche di effettività giuridica, si rimanda a fonti specialistiche.13 Tuttavia ai fini della nostra analisi ci interessa sottolineare che il tema dell’interoperabilità e dell’adozione di standard aperti, pur essendo esplicitato in pochi articoli (che vedremo ora), fa da sfondo a molte disposizioni del CAD e sembra assurgere anch’esso a principio fondante di una pubblica amministrazione digitale moderna, funzionale e rivolta alle esigenze dei cittadini. Si pensi appunto a come l’utilizzo di formati aperti per la conservazione e la trasmissione dei dati rientri nel campo d’azione del diritto di accesso ai documenti della PA e del diritto di partecipazione al procedimento amministrativo, come sanciti dalle riforme della pubblica amministrazione degli anni 90 e riconfermati - per così dire - in versione digitale nello stesso CAD.

Soffermiamoci ora sulla norma decisamente più centrale ai fini della nostra analisi: l’articolo 68 del CAD. Esso si può idealmente dividere in due parti: la prima (comma 1) dedicata ai criteri di acquisizione delle soluzioni software da parte della pubbliche amministrazioni e la seconda (commi 2, 3 e [p. 101 modifica]4) più specificamente dedicata ai formati con cui le pubbliche amministrazioni conservano e gestiscono i loro dati.

Art. 68 - Analisi comparativa delle soluzioni
1. Le pubbliche amministrazioni, nel rispetto della legge 7 agosto 1990, n. 241, e del decreto legislativo 12 febbraio 1993, n. 39, acquisiscono, secondo le procedure previste dall’ordinamento, programmi informatici a seguito di una valutazione comparativa di tipo tecnico ed economico tra le seguenti soluzioni disponibili sul mercato:
a) sviluppo di programmi informatici per conto e a spese dell’amministrazione sulla scorta dei requisiti indicati dalla stessa amministrazione committente;
b) riuso di programmi informatici sviluppati per conto e a spese della medesima o di altre amministrazioni;
c) acquisizione di programmi informatici di tipo proprietario mediante ricorso a licenza d’uso;
d) acquisizione di programmi informatici a codice sorgente aperto;
e) acquisizione mediante combinazione delle modalità di cui alle lettere da a) a d).
2. Le pubbliche amministrazioni nella predisposizione o nell’acquisizione dei programmi informatici, adottano soluzioni informatiche che assicurino l’interoperabilità e la cooperazione applicativa [...] e che consentano la rappresentazione dei dati e documenti in più formati, di cui almeno uno di tipo aperto, salvo che ricorrano peculiari ed eccezionali esigenze.
3. Per formato dei dati di tipo aperto si intende un formato dati reso pubblico e documentato esaustivamente.
4. Il CNIPA istruisce ed aggiorna, con periodicità almeno annuale, un repertorio dei formati aperti utilizzabili nelle pubbliche amministrazioni e delle modalità di trasferimento dei formati.

Il comma 2 rappresenta la prima norma a livello di legislazione ordinaria nazionale esplicitamente dedicata alla promozione dell’interoperabilità (intesa in senso ampio), supportata dal concetto affine di cooperazione applicativa; ma si tratta anche di una norma più specificamente dedicata alla promozione della compatibilità e quindi dell’apertura dei formati.

Meno deciso ed efficace appare invece il successivo comma 3, che nell’intento di fornire una definizione legislativa del concetto di formato aperto, tende a non sbilanciarsi molto; infatti, ad un attento confronto con la definizione più accettata di “formato aperto” (come sopra esposta), ci si accorge della mancanza di alcuni elementi essenziali. Per contro, sulla pagina [p. 102 modifica]del sito del Cnipa dedicata ai formati aperti (e al repertorio pubblico previsto dal successivo comma 4) la definizione viene così precisata:

Il formato dei dati digitali si definisce “aperto” quando ne viene resa pubblica, mediante esaustiva documentazione, la sintassi, la semantica, il contesto operativo e le modalità di utilizzo. Tali informazioni, unitamente ad una guida all’uso del formato, orientata alla lettura da parte dell’utilizzatore, devono essere presenti in uno o più documenti rilasciati dall’ente proponente lo standard.
I formati aperti fanno parte, insieme al software open source, dell’insieme degli standard aperti.14

Infine, riguardo al repertorio previsto dal comma 4, nella stessa pagina del sito si trova il link ad un file contenente una tabella con i formati conformi ai requisiti posti dal CAD nonché il link ad altra pagina15 in cui si espongono le modalità per sottoporre nuovi formati per l’inserimento nel repertorio.

9. Il Ministro Nicolais e la seconda Commissione Meo

Con le elezioni politiche del 2006 le funzioni precedentemente affidate al Ministro per l’Innovazione e le Tecnologie Lucio Stanca passano nelle mani del Ministro per le riforme e le innovazioni nella Pubblica Amministrazione Luigi Nicolais. Questi, pur non avendo a disposizione molto tempo a causa della prematura caduta del governo Prodi, prosegue grossomodo nel solco tracciato dal suo predecessore e istituisce una seconda “Commissione Meo” con un decreto datato 16 maggio 2007 (Istituzione della Commissione per il software a codice sorgente aperto - “open source” nella Pubblica Amministrazione).

Secondo il testo del decreto, la mission di questa commissione sarebbe dovuta essere la seguente (art. 3):

La Commissione dovrà in particolare realizzare:
a. un’analisi aggiornata delle posizioni in materia dell’Unione Europea, dei maggiori paesi europei, della Pubblica Amministrazione in Italia, nonché degli operatori di mercato;
b. la definizione di linee guida operative, concernenti le modalità di approvvigionamento di sistemi software e del software in generale, che consentano alla pubblica amministrazione di divenire un consumatore attento e intelligente di soluzioni open source, sviluppando una visione strategica della gestione dei sistemi [p. 103 modifica]informativi che comprenda la valutazione ed eventuale selezione di prodotti open source nell’ambito dell’offerta globale del mercato;
c. un’analisi delle possibilità offerte dall’approccio open source per favorire percorsi progettuali condivisi nell’ambito della pubblica amministrazione, nell’ottica di una migliore condivisione delle esigenze ed esperienze, dell’interoperabilità e riuso delle soluzioni sviluppate, e, in generale, di un miglioramento della qualità della domanda. 16

Come si può facilmente percepire, si tratta della fissazione di alcuni principi generali, fra i quali per altro non compaiono i temi degli standard e dei formati aperti, se non di mero riflesso.

Purtroppo non ci è dato di poter valutare se queste enunciazioni di principio abbiano trovato una maggiore estrinsecazione, poiché la commissione non ebbe mai modo di pubblicare un vero e proprio rapporto conclusivo dei lavori. 17

10. La sentenza 133/2008 della Corte Costituzionale
Anche la Corte Costituzionale ha avuto modo di occuparsi negli ultimi anni del tema degli standard applicati all’e-government e in generale al tema dell’interoperabilità dei sistemi informativi delle pubbliche amministrazioni. Si riporta qui di seguito un estratto della sentenza 133 del 2008 che a sua volta ribadisce alcuni principi già espressi dalla precedente sentenza 31 del 2005.18 Entrambe si sono occupate dell’argomento nell’ambito di questioni di costituzionalità relative al riparto di competenze fra Stato, Regioni ed Enti locali sulla scia della riforma del Titolo V della Costituzione effettuata nel 2001 (come d’altronde è accaduto nella più recente pronuncia del 2010, che vedremo più avanti). [p. 104 modifica]
7.- Le ulteriori questioni sollevate nei confronti dell’art. 1, commi 892 e 895, della legge n. 296 del 2006, con riferimento agli artt. 117, 118, 119 della Costituzione nonché con riferimento al principio di leale collaborazione (art. 120 Cost.), non sono fondate.
Occorre innanzitutto individuare la materia sulla quale dette norme vanno ad incidere.
Le disposizioni di cui trattasi si riferiscono, innanzitutto, all’amministrazione dello Stato e degli enti pubblici nazionali e, quindi, rinvengono la loro legittimazione nell’art. 117, secondo comma, lettere g) e r), della Costituzione, che assegnano alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, rispettivamente, le materie «ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali» e «coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale». [omissis]
7.2.- L’attribuzione a livello centrale della suddetta materia, del resto, corrisponde alla necessità di «assicurare una comunanza di linguaggi, di procedure e di standard omogenei, in modo da permettere la comunicabilità tra i sistemi informatici della pubblica amministrazione» (sentenze n. 31 del 2005 e n. 17 del 2004). Infatti, il comma 895 indica come priorità, per il finanziamento dei progetti, l’utilizzo o o sviluppo di «applicazioni software a codice aperto» e prevede, ai fini della comunicabilità, che i «codici sorgente, gli eseguibili e la documentazione dei software sviluppati» vengano mantenuti «in un ambiente di sviluppo cooperativo, situato in un web individuato dal Ministero per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione al fine di poter essere visibili e riutilizzabili». [omissis]
7.4.- [omissis] Nei primi tre commi dell’art. 26 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2003), oggetto della sentenza n. 31 del 2005, si prevedeva un Fondo per il finanziamento di progetti di innovazione tecnologica nella pubblica amministrazione, nonché incisivi interventi del Ministro per l’innovazione e le tecnologie che potevano riguardare «l’organizzazione e la dotazione tecnologica delle Regioni e degli enti territoriali» al «fine di assicurare una migliore efficacia della spesa informatica e telematica sostenuta dalle pubbliche amministrazioni, di generare significativi risparmi eliminando duplicazioni e inefficienze, promuovendo le migliori pratiche favorendo il riuso, nonché di indirizzare gli investimenti nelle tecnologie informatiche e telematiche, secondo una coordinata e integrata strategia». [omissis]
[p. 105 modifica]7.5.- Vi è, al riguardo, da precisare che l’art. 14 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 (Codice dell’amministrazione digitale), ha affrontato la questione dell’esatta identificazione di uno degli aspetti maggiormente problematici nei rapporti, in questa materia, tra Stato e Regioni, vale a dire il confine ed i limiti del potere di coordinamento. [omissis]
In questa prospettiva, nel primo comma dell’art. 14 si identifica il limite della competenza esclusiva dello Stato, di cui alla lettera r), secondo comma, dell’art. 117 Cost., là dove esso individua il concretizzarsi del coordinamento nella definizione di regole tecniche, che possono anche investire aspetti di carattere organizzativo, allorché gli stessi siano «ritenuti necessari al fine di garantire la omogeneità nella elaborazione e trasmissione dei dati» (sentenza n. 31 del 2005). Ne consegue che la citata disposizione deve essere intesa nel senso che lo Stato disciplina il coordinamento informatico, oltre che per mezzo di regole tecniche, anche quando sussistano esigenze di omogeneità ovvero anche «profili di qualità dei servizi» e di «razionalizzazione della stessa», funzionali a realizzare l’intercomunicabilità tra i sistemi informatici delle amministrazioni (sentenza n. 17 del 2004).
I commi 892 e 895 della legge n. 296 del 2006 si collocano all’interno di questo confine, in quanto dettano regole tecniche funzionali alla comunicabilità dei sistemi ed al loro sviluppo collaborativo, favorendo il riuso dei software elaborati su committenza del Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione con lo scopo di razionalizzare la spesa e, contemporaneamente, favorire l’uniformità degli standard. [omissis]

11. La riforma del CAD avviata dal Ministro Brunetta

Con le elezioni politiche del 2008 vi è un ulteriore passaggio di testimone per il quale l’economista Renato Brunetta diventa Ministro per la Pubblica amministrazione e l’Innovazione, acquisendo le competenze che erano state di Stanca prima e di Nicolais dopo.

Brunetta si è fin da subito mostrato determinato a innovare radicalmente la pubblica amministrazione italiana, annunciando una serie di interventi normativi volti ad attuare nei fatti (e non più solo con enunciazioni di principio) l’informatizzazione della “macchina pubblica” italiana.

La riforma Brunetta è ancora in pieno svolgimento alla data di scrittura di questo libro, di conseguenza non è possibile esprimersi in merito all’efficacia degli interventi. Si può solo registrare che il ministro ha annunciato l’intenzione di intervenire cospicuamente anche sul testo del CAD a mezzo di decreto sulla base di una delega conferitagli dal Parlamento con [p. 106 modifica]legge ordinaria (L. 69/2009). Non essendo disponibile ancora alcun testo di carattere normativo al di fuori della citata legge delega, si riporta il comunicato ufficiale comparso il 28 gennaio 2010 sul sito personale di Renato Brunetta.

Il Consiglio dei Ministri, riunitosi oggi a Reggio Calabria, ha avviato positivamente l’esame della riforma del CAD (Codice dell’Amministrazione Digitale) proposta dal Ministro per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione Renato Brunetta.
A cinque anni dalla sua emanazione, il Parlamento - con la delega contenuta nell’articolo 33 della legge 18 giugno 2009 n. 69 - ha infatti dettato i principi e i criteri direttivi per adeguarne il testo al veloce sviluppo delle ICT e assicurare maggiore effettività alle molte norme, a carattere programmatico o recanti indicazioni di principio, la cui attuazione ha finora segnato il passo.
Il CAD traccia il quadro legislativo generale entro cui può e deve attuarsi la digitalizzazione dell’azione amministrativa. È appena il caso di ricordare che questa è una priorità del programma politico del Governo Berlusconi, chiaramente affermata nel Piano industriale della Pubblica Amministrazione presentato lo scorso maggio dal Ministro Brunetta.
Occorrono pertanto ulteriori, consistenti interventi sia sul piano normativo sia quello amministrativo per allineare le amministrazioni italiane a quelle dei Paesi più avanzati. Altrimenti strutture obsolete e procedure interminabili continueranno a gravare il sistema Italia di costi e di adempimenti tali da scoraggiare l’afflusso di capitali internazionali a vantaggio di Paesi, anche emergenti, che hanno più decisamente imboccato la strada della modernizzazione e della semplificazione amministrativa.
Occorre anzitutto sviluppare in modo deciso, concreto e operativo il grande progetto della Pubblica Amministrazione impostato nel 2005, cioè dare effettività all’impianto del Codice attraverso misure premiali e di sanzione così come a meccanismi di incentivazione a favore delle Amministrazioni più virtuose, garantendo loro la possibilità di riutilizzare, almeno in parte, i risparmi ottenuti grazie alle tecnologie digitali.
Questo è l’orientamento di fondo della delega e in questo solco si muove lo schema di decreto legislativo del Ministro Brunetta che intende dare attuazione, il più possibile puntuale, ai quindici criteri di delegazione contenuti nell’articolo 33 della legge n. 69 del 2009. Nell’osservanza di tali criteri, il decreto persegue le seguenti finalità principali:
[p. 107 modifica]
  • premiare le migliori pratiche;
  • assicurare un miglior servizio e relazioni semplificate con i cittadini e le imprese;
  • implementare e controllare la digitalizzazione dell’Amministrazione e alimentare tale processo con i risparmi derivanti dalla riorganizzazione delle strutture e dei servizi;
  • incrementare la sicurezza dei dati, dei sistemi e delle infrastrutture.
    L’intervento riformatore è comunque strutturato in modo da consentire alle Amministrazioni di realizzare gli interventi di loro competenza in un ragionevole lasso di tempo e con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, come previsto dalla legge delega.19

Dalla lettura del comunicato si evince che temi come interoperabilità, openness, standard aperti (molto presenti negli atti dei due ministri precedenti) qui non vengono espressamente toccati per essere invece lasciati sullo sfondo.

12. Il disegno di legge Vita-Vimercati

Un cenno merita anche un interessante disegno di legge proposto dai Senatori Vita e Vimercati nel corso della XIV legislatura. Nonostante alla data di stesura di questo libro il disegno di legge si trovi ancora in una fase di discussione preliminare presso le Camere (e dunque non si possono fare previsioni sulla sua effettiva approvazione), si ritiene opportuno riportarne alcuni estratti, vista la sua particolare aderenza con i temi da noi trattati.

Infatti il documento ad oggi disponibile porta il titolo “Disposizioni per garantire la neutralità delle reti di comunicazione, la diffusione delle nuove tecnologie telematiche e lo sviluppo del software libero” e fra le sue finalità (art. 1, lettera e) registra espressamente «la diffusione e l’utilizzo di standard e formati aperti allo scopo di salvaguardare il pluralismo informatico e la libertà di scelta delle istituzioni pubbliche, del cittadino e delle imprese.»20

L’art. 3 contiene invece alcune definizioni sicuramente interessanti poiché più precise rispetto a quelle comparse in altri testi normativi e che quindi è il caso di riportare:

i) formato aperto: il formato di dati che non presenta restrizioni, anche di licenza, rispondente a specifiche tecniche definite e [p. 108 modifica]validate a livello internazionale liberamente disponibili e documentate in modo completo;
m) interoperabilità: la capacità dei sistemi informativi, anche eterogenei, di interagire, condividere, scambiare e utilizzare dati e programmi informatici;
o) neutralità delle reti: una rete in cui tutti i servizi sono accessibili a tutti gli utenti allo stesso modo ed hanno lo stesso trattamento con una logica del “massimo sforzo”, ovvero una rete in cui l’operatore non eserciti alcuna forma di discriminazione: da una parte, sui contenuti e sui servizi su di essa veicolati e, dall’altra, sugli utenti;
p) neutralità tecnologica: la condizione che non impone l’uso di una particolare tecnologia, che non discrimina tra diverse tecnologie e che permette di adottare provvedimenti e promuovere servizi indipendentemente dalla tecnologia utilizzata;
s) pluralismo informatico: l’insieme di condizioni che garantiscono libertà di scelta nella realizzazione di piattaforme informatiche, eliminando ogni barriera dovuta a diversità di standard.

Inoltre, ai fini della nostra analisi assume un certo rilievo l’articolo 9 intitolato “Archivi e documenti della Pubblica amministrazione”:

1. I dati contenuti negli archivi elettronici utilizzati dagli uffici delle amministrazioni pubbliche sono conservati in formati standard e liberamente accessibili dai soggetti autorizzati senza vincoli all’utilizzo di specifici programmi. L’estrazione dei dati dall’archivio e il trasferimento su altro archivio non sono soggetti a limitazioni tecniche derivanti da licenze, brevetti, copyright o marchi registrati.
2. Le amministrazioni pubbliche garantiscono l’archiviazione dei documenti in formato digitale con modalità che consentono la conservazione e la conoscibilità nel tempo.
13. L’importante ruolo della legislazione regionale

Con la riforma del Titolo quinto della Costituzione avvenuta nel 2001 è stato attribuito un vero e proprio potere legislativo alle regioni, le quali possono emettere leggi a vigenza regionale su un ampio spettro di materie.21

In esercizio di questi nuovi poteri, sono molte le regioni che hanno scelto di regolamentare con legge regionale anche aspetti relativi all’informatizzazione delle pubbliche amministrazioni e più nello specifico all’utilizzo di soluzioni tecnologiche aperte e interoperabili. [p. 109 modifica]

Riportiamo di seguito alcuni estratti (i più significativi per la nostra panoramica) dalle leggi regionali finora comparse in questo settore.

Regione Toscana - L. r. 26 gennaio 2004 n. 1
Promozione dell’amministrazione elettronica e della società dell’informazione e della conoscenza nel sistema regionale. Disciplina della “Rete telematica regionale toscana”22


Art. 4 - Principi e criteri guida
1. Nel perseguimento delle finalità di cui all’articolo 1, comma 1, lettera a), la Regione e i soggetti di cui all’articolo 8, comma 2, operano conformandosi ai seguenti principi e criteri guida:
[...]
c) utilizzazione di standard informativi e documentali aperti negli scambi tra amministrazioni pubbliche e con riferimento ai dati da rendere pubblici;
[...]
i) promozione, sostegno ed utilizzo preferenziale di soluzioni basate su programmi con codice sorgente aperto, in osservanza del principio di neutralità tecnologica, al fine di abilitare l'interoperabilità di componenti prodotti da una pluralità di fornitori, di favorirne la possibilità di riuso, di ottimizzare le risorse e di garantire la piena conoscenza del processo di trattamento dei dati.


Regione Umbria - L. r. 25 luglio 2006 n. 11
Norme in materia di pluralismo informatico sulla adozione e la diffusione del software a sorgente aperto e sulla portabilità dei documenti informatici nell’amministrazione regionale23


Art. 1 - Finalità della legge
1. La Regione, nel rispetto della normativa statale in materia di informatizzazione della Pubblica Amministrazione, di seguito P. A., favorisce il pluralismo informatico, garantendo l’accesso e la libertà di scelta nella realizzazione di piattaforme informatiche, eliminando altresì ogni barriera dovuta a diversità di standard.
[p. 110 modifica]2. L’amministrazione regionale, nel rispetto del principio costituzionale di buon andamento e di economicità dell’attività amministrativa, di cui all’Art. 1, comma 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241 favorisce l’adozione di software a sorgente aperto così come da definizione dell’Art. 2. [...]


Art. 3 - Documenti
1. L’Amministrazione regionale utilizza programmi per elaboratore a sorgente aperto per la diffusione in formato elettronico di documenti soggetti all’obbligo di pubblica esposizione nonché per garantire il diritto di accesso mediante scambio di dati in forma elettronica.
In caso di ricorso a programmi per elaboratori a sorgente non aperto, l’Amministrazione regionale ne motiva le ragioni e rende disponibile anche un formato dei documenti più possibile prossimo a formati a sorgente aperto.


Regione Veneto - L.r. 14 novembre 2008 n. 19
Norme in materia di pluralismo informatico, diffusione del riuso e adozione di formati per documenti digitali aperti e standard nella società dell’informazione del Veneto 24


Art. 3 - Pluralismo informatico e formati aperti.
1. Al fine di garantire la più ampia libertà di accesso all’informazione pubblica attraverso il pluralismo informatico, la Regione del Veneto promuove e incentiva l’uso di formati digitali aperti e non proprietari, per la documentazione elettronica e per le basi di dati.
2. Per le stesse finalità di cui al comma 1, ciascuno dei soggetti di cui all’articolo 2:
a) persegue, nelle forme e nei limiti previsti dalla disciplina vigente, la rimozione delle barriere all’accesso alle informazioni, mediante l’adozione di formati standard per la predisposizione dei programmi e delle piattaforme e con l’impiego ottimale dei software a codice sorgente aperto e chiuso;
b) concorre alla diffusione dell’uso di formati standard e di codici sorgente aperti;
c) impiega almeno un formato di dati di tipo aperto, ai sensi dell’articolo 68, comma 3, del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, “Codice dell’amministrazione digitale” nelle operazioni di memorizzazione e pubblicazione dei propri documenti, al fine di [p. 111 modifica]garantirne la disponibilità e fruibilità.


Regione Piemonte - L.r. 26 marzo 2009 n.9
Norme in materia di pluralismo informatico, sull’adozione e la diffusione del software libero e sulla portabilità dei documenti informatici nella pubblica amministrazione25


Art. 3 - Diritto allo sviluppo portabile
1. Chiunque ha il diritto di sviluppare, pubblicare e utilizzare un software originale compatibile con gli standard di comunicazione e formati di salvataggio di un altro software, anche proprietario.
Art. 4 - Documenti
1. La Regione utilizza programmi per elaboratore a sorgente aperto e a formati aperti per la diffusione in formato elettronico di documenti soggetti all’obbligo di pubblicità nonché per garantire il diritto di accesso di cui alla legge regionale 4 luglio 2005, n. 7 (Nuove disposizioni in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi) mediante scambio di dati in forma elettronica.
2. In caso di ricorso a formati proprietari, la Regione motiva le ragioni delle proprie scelte e rende disponibile anche una versione più vicina possibile agli stessi dati, in formato libero.


Regione Lazio - L.r. 14 agosto 2009 n.20 Disposizioni per la diffusione dell’altra economia nel Lazio 26


Art. 14 - Software libero
1. Il software libero è un programma informatico a codice sorgente aperto che viene rilasciato con una licenza che permette a chiunque di utilizzarlo, copiarlo, studiarlo e modificarlo, incoraggiandone la redistribuzione.
2. I soggetti che svolgono attività di software libero producono, trasformano, scambiano o promuovono il software di cui al comma 1, nonché beni e servizi ad esso collegati.
3. L’attività di cui al comma 1 è realizzata, in particolare, attraverso:
a) l’accesso libero al programma;
b) l’esecuzione del programma senza vincoli sul suo utilizzo;
c) lo studio del funzionamento del programma e l’adattamento alle [p. 112 modifica]proprie esigenze o a quelle dei clienti;
d) il sostegno alla diffusione del programma stesso e la condivisione dei suoi miglioramenti;
e) la manutenzione e la personalizzazione in base alle esigenze del cliente.


Regione Toscana - L.r. 5 ottobre 2009 n.54
Istituzione del sistema informativo e del sistema statistico regionale. Misure per il coordinamento delle infrastrutture e dei servizi per lo sviluppo della società dell’informazione e della conoscenza27


Art. 25 - Standard tecnologici e informativi nell’erogazione integrata dei servizi
1. Per consentire un’erogazione integrata dei servizi dei soggetti di cui all’articolo 2 ed assicurarne la razionalità organizzativa, la sostenibilità economica, la sicurezza operativa, il rispetto delle condizioni di protezione dei dati personali e una qualità conforme alle esigenze degli operatori e degli utenti, la Giunta regionale, nell’osservanza della normativa nazionale e comunitaria, individua e concorda con i medesimi soggetti gli standard per il mantenimento e lo sviluppo delle infrastrutture e dei servizi, promuovendo le coerenti soluzioni organizzative.
2. Qualunque soggetto pubblico o privato può fare richiesta di conformità delle proprie soluzioni tecnologiche ed informatiche agli standard di cui al comma 1.
3. La conformità agli standard è rilasciata subordinatamente alla rispondenza delle soluzioni tecnologiche ed informatiche alla loro funzionalità e alla loro capacità di integrazione ed interoperabilità nell’ambito della infrastruttura di rete regionale.
4. Le forme di pubblicità degli standard, l’aggiornamento e l’adeguamento agli stessi, i soggetti incaricati di rilasciare la conformità e le procedure relative al rilascio della stessa sono definite dalla Giunta regionale con apposita deliberazione.
5. L’elenco delle soluzioni tecnologiche ed informatiche che ricevono la conformità è pubblico.


Art. 26 - Programmi informatici a codice sorgente aperto e formati liberi
1. La Regione, nel rispetto della normativa statale in materia di informatizzazione della pubblica amministrazione, sostiene l’innovazione, incentiva la ricerca e promuove lo sviluppo e la [p. 113 modifica]diffusione di programmi informatici a codice sorgente aperto e di formati liberi come strumenti e modalità operative in grado di assicurare la libertà di accesso, l’interoperabilità tra le applicazioni ed i servizi, l’uso e lo sviluppo delle tecnologie, il pluralismo e la crescita della competitività nell’offerta dei prodotti informatici.
2. Per le finalità di cui al comma 1, i soggetti di cui all’articolo 2, comma 1, adottano programmi informatici a codice sorgente aperto e formati liberi.
3. Per le stesse finalità di cui al comma 1, la Regione favorisce ed incentiva l’adozione dei programmi informatici a codice sorgente aperto e formati liberi da parte dei soggetti di cui all’articolo 2, comma 2.
4. Ai fini della presente legge, per assicurare maggiore economicità alle attività della pubblica amministrazione e favorire al tempo stesso la concorrenza nel mercato delle soluzioni informatiche, nelle procedure di valutazione delle gare pubbliche per l’acquisizione di programmi informatici costituisce titolo preferenziale l’uso di codici sorgente aperti o di formati liberi, sulla base di una valutazione di tipo tecnico-economico delle diverse soluzioni disponibili sul mercato e delle esigenze organizzative.


14. La sentenza 122/2010 della Corte Costituzionale

Tra le leggi regionali sopra citate, ce n’è una che merita particolare attenzione poiché è stata oggetto di una sentenza della Corte Costituzionale: la legge regionale del Piemonte n. 9 del 2009, sottoposta ad esame della Consulta per alcuni rilievi di incostituzionalità relativi alla suddivisione di competenze fra legislazione regionale e legislazione statale (alla luce del Titolo V Cost. riformato nel 2001).

Tale sentenza (datata 23 marzo 2010), al di là della sua portata abrogativa limitata all’ambito regionale, rappresenta un’importante pietra miliare per le riflessioni tecnico-giuridiche sui temi oggetto di questo libro; infatti con essa si può finalmente disporre di un primo riferimento giurisprudenziale in cui il fenomeno del FLOSS ottiene idealmente un riconoscimento anche a livello giurisprudenziale e non più solo a livello di dottrina giuridica o di mera prassi contrattuale. A ciò si aggiunga che gli articoli censurati dalla Consulta sono ripresi quasi pedissequamente in altre leggi regionali (come ad esempio la legge umbra); quindi l’impatto di questa sentenza può facilmente estendersi ad altre regioni.

Dei tre rilievi sollevati di fronte alla Corte (comma 3 dell’articolo 1, articolo 3 e commi 1 e 2 dell’articolo 6) quello che più interessa la nostra analisi è quello inerente all’art. 3. Si riporta un estratto della sentenza della [p. 114 modifica]Corte, rimandando il lettore a fonti più specifiche e dettagliate28 per un’analisi puntuale dell’intera sentenza.

È impugnato l’art. 3 della legge regionale ora citata, il quale, sotto la rubrica “Diritto allo sviluppo portabile”, stabilisce che “Chiunque ha il diritto di sviluppare, pubblicare e utilizzare un software originale compatibile con gli standard di comunicazione e formati di salvataggio di un altro software, anche proprietario”.
Ad avviso della difesa dello Stato, la disposizione interviene sulla materia del diritto d’autore, derogando alla disciplina dettata per tutti i programmi per elaboratori dagli artt. 64-bis e seguenti della legge n. 633 del 1941, e successive modifiche e integrazioni [omissis].
La resistente replica sostenendo che chiunque ha il diritto di sviluppare un software originale, se ne è capace, compatibile con altri standard o formati. Da ciò si dovrebbe dedurre che la contestazione del ricorrente riguardi l’ultima parte dell’articolo, nella quale si riconosce tale diritto anche nei confronti degli standard e dei formati del software proprietario. In sostanza l’illegittimità costituzionale sarebbe ravvisabile nell’implicito obbligo (imposto agli autori di software, anche proprietari) di mettere a disposizione di tutti le conoscenze tecniche relative ai propri standard e formati, in modo da rendere effettivo lo sviluppo di programmi compatibili.
Tuttavia, tale interpretazione sarebbe “asistematica e per ciò solo discutibile”.
Infatti, la disposizione andrebbe coordinata con il resto dell’impianto normativo generale e, quindi, interpretata nel senso che essa riconosce un diritto di sviluppo esercitabile sempre e soltanto nei limiti di quanto permesso dall’esercizio dei diritti altrui (in questo caso, dell’autore del software già esistente).
Inoltre, proprio la normativa statale, e per la precisione l’art. 64-quater [p. 115 modifica] della legge sul diritto d’autore, riconoscerebbe una deroga all’esclusività dei diritti spettanti al creatore di un programma, al fine di conseguire l’interoperabilità con il programma medesimo.
Anche tale questione [d’incostituzionalità] è fondata.
Il citato art. 64-quater, comma 1, della legge sul diritto d’autore stabilisce che l’autorizzazione del titolare dei diritti non è richiesta, qualora la riproduzione del codice del programma di elaboratore e la traduzione della sua forma [omissis] siano indispensabili allo scopo di ottenere le informazioni necessarie per conseguire l’interoperabilità con altri programmi, di un programma per elaboratore creato autonomamente, purché siano soddisfatte le condizioni nella norma medesima previste [omissis].
La disposizione censurata, invece, senza formulare alcun richiamo alla normativa dello Stato in tema di diritto d’autore, con la concisa formula adottata non soltanto non prevede alcun requisito o condizione per il diritto affermato, ma lo estende anche al software proprietario, cioè al programma per elaboratore, rilasciato con licenza d’uso che non soddisfi i requisiti di cui all’art. 2, lettera a), della legge della Regione Piemonte n. 9 del 2009. Così statuendo, essa realizza una palese deroga alla norma statale, introducendo un autonomo contenuto precettivo che si rivela non suscettibile di essere coordinato con la detta norma statale.
Pertanto, l’art. 3 della legge della Regione Piemonte n. 9 del 2009, viola la competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile, dettata dall’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., sicché deve esserne dichiarata l’illegittimità costituzionale.29

  1. Squillace D., Open Standard e OpenDocument Format, in Concas, De Petra, Marchesi, Marzano, Zanarini (a cura di), Finalmente Libero! Software libero e standard aperti per le pubbliche amministrazioni, Mc Graw Hill, Milano, 2008 (p. 135).
  2. Marzano F., Il FLOSS nella pubblica amministrazione, in Glorioso A. (a cura di), Il software libero in Italia, Shake, 2009 (p. 87); libro disponibile anche in versione digitale su www.copyleft-italia.it/flossitalia.
  3. L’iter di questi due disegni di legge viene approfondito in Rozza L., Le principali iniziative legislative sul FLOSS, in Glorioso A. (a cura di), Il software libero in Italia, Shake, 2009; libro disponibile anche in versione digitale su www.copyleft-italia.it/flossitalia.
  4. «L’Autorità per l’informatica nella Pubblica Amministrazione (AIPA) era un organismo pubblico italiano, istituito con il decreto legislativo numero 39 del 12 febbraio 1993, con il compito di promuovere, coordinare, pianificare e controllare lo sviluppo di sistemi informativi automatizzati delle amministrazioni pubbliche, secondo criteri di standardizzazione, interconnessione ed integrazione dei sistemi stessi. [...]Con la legge 3/003 del 16 gennaio 2003 l'AIPA è stata definitivamente soppressa.» Parte delle competenze dell’ente sono poi confluite nel CNIPA (oggi DigitPA). http://it.wikipedia.org/wiki/Autorità_per_l’informatica_nella_Pubblica_ Amministrazione.
  5. II testo integrale della circolare è disponibile all’indirizzo www.cnipa.gov.it/site/_contentfiles/00127500/127544_CR%2040_2002.pdf.
  6. II testo integrale del decreto si trova all’indirizzo web www.cnipa.gov.it/site/_files/os_Decreto%20MIT%2031%20ottobre%202002_c.pdf.
  7. II testo integrale del documento si trova all’indirizzo web www.cnipa.gov.it/site/_files/indagine_commissione_os.pdf.
  8. II testo integrale della direttiva si trova all’indirizzo web www.cnipa.gov.it/site/_files/os_Direttiva%20MIT%2019%20dicembre%202003_c.pdf
  9. www.osspa.cnipa.it/home/index.php?option=com_content&task=view&id=14&Itemid=30
  10. www.osspa.cnipa.it/home/index.php?option=com_content&task=view&id=14&Itemid=30.
  11. II testo integrale della direttiva è disponibile on-line in lingua italiana all’indirizzo http://epsiplus.net/media/files/italian_l_34520031231it00900096.
  12. Si veda l’intero Capo I (Principi Generali).
  13. A tal proposito si legga l’interessante analisi di Pacchioli P., Gli aspetti informatici del codice dell’amministrazione digitale, in Rossetti A. (a cura di), Legal Informatics, Moretti Honegger, 2008.
  14. www.cnipa.gov.it/site/it-it/Attivit%C3%A0/Formati_aperti/
  15. www.cnipa.gov.it/site/it- IT/Attivit%C3%A0/Formati_aperti/Principi_generali/
  16. II testo integrale del decreto è disponibile all’indirizzo web www.cnipa.gov.it/HTML/RN_ICT_cron/07/2007_05_16_Decreto %2016%20maggio%202007.pdf
  17. In rete tuttavia si trova un interessante documento, risalente al marzo 2008 e proposto dall’Associazione Software Libero, nel quale l’associazione Software Libero, facendosi portavoce di tutta la comunità FLOSS italiana, avanza alla Commissione una serie di proposte per lo sviluppo del software libero nella Pubblica Amministrazione. Il documento, a firma di Marco Ciurcina e Antonio J. Russo, segnala alla Commissione con estrema chiarezza le numerose norme dell’assetto normativo italiano rimaste disattese e incomplete nonostante siano in vigore ormai da alcuni anni. Il documento è disponibile sul sito dell’associazione alla pagina www.softwarelibero.it/files/commissione_MEO_assoli_finale.pdf.
  18. Un’interessante analisi delle due pronunce si trova in Martini F., Open Source, pubblica amministrazione e libero mercato concorrenziale, in Il diritto dell’economia, 3/4-2009, pp. 677-707.
  19. www.renatobrunetta.it/2010/01/28/cdm-avviato-lesame-della-riforma-del-cad-codice-amministrazione-digitale-proposta-dal-ministro-brunetta/
  20. II testo integrale del disegno di legge è disponibile all’indirizzo www.luigivimercati.it/uploads/2009/03/ddl_reti.pdf.
  21. Sulla suddivisione di competenze fra Stato, Regioni ed Enti locali si veda più specificamente l’art. 117 della Costituzione.
  22. Il testo integrale della legge è disponibile all'indirizzo web www.cnipa.gov.it/site/_files/lr_Legge%20regionale%2026%20gennaio%202004%20n%201_c.pdf
  23. II testo integrale della legge è disponibile all’indirizzo web www.cnipa.gov.it/site/_files/lr_Legge%20regione%20Umbria%2025%20luglio%202006%20n%2011.pdf. Si segnala anche la relativa delibera di attuazione del 25 giugno 2007 n. 1048.
  24. II testo integrale della legge è disponibile all’indirizzo web www.consiglioveneto.it/crvportal/leggi/2008/08lr0019.html.
  25. II testo integrale della legge è disponibile all’indirizzo web www.regione.piemonte.it/urp/dwd/lr9_2009.pdf. Si segnala anche la relativa delibera di attuazione del 30 novembre 2009, n.8-12657.
  26. II testo integrale della legge è disponibile all’indirizzo web: http://notes.regione.lazio.it/Produzione/Normativa/Leggi.nsf/RicercaWeb/96DD1F6A186410F7C1257608004EB48B.
  27. II testo integrale della legge è disponibile all’indirizzo web www.e.toscana.it/e-toscana/resources/cms/documents/LR_541.pdf.
  28. Di certo su questa sentenza verranno scritte pagine e commenti di vario tipo; tuttavia alla data di scrittura di questo libro non si dispone di una nota a sentenza vera e propria a cui rimandare. Si segnala però il comunicato pubblicato da AsSoLi pochi giorni dopo il deposito della sentenza, da cui si evince quanto segue: «In sostanza, secondo la Corte preferire Software Libero non viola la libertà di concorrenza, in quanto la libertà del software è una caratteristica giuridica generale e non una caratteristica tecnologica legata a uno specifico prodotto o marchio: questa sentenza mette a nudo l’inconsistenza degli argomenti di quanti, fino ad oggi, si sono opposti all’adozione di norme che favoriscono il software libero argomentando che confliggono con il principio di “neutralità tecnologica”».
    Si veda il comunicato al sito www.softwarelibero.it/Corte_Costituzionale_favorisce_softwarelibero.
    Più scettici risultano invece altri studiosi fra cui Guido Scorza e Alfonso Fuggetta che sui rispettivi blog personali hanno espresso le loro perplessità a riguardo.
  29. II testo integrale della sentenza è disponibile sul sito ufficiale della Corte Costituzionale www.cortecostituzionale.it.