Appunti sul metodo della Divina Commedia/La figura di Dante e S. Agostino

La figura di Dante e S. Agostino

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Inferno e paradiso Dante non è Dante Dante e Virgilio Appunti sul metodo nelle arti drammatiche
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L A   F I G U R A   D I   D A N T E 

D A N T E   E   S.   A G O S T I N O

[p. 114 modifica] [p. 115 modifica]D A N T E   E   B A C H 

Dante si può paragonare a Bach. Chiudevano tutti e due una passione acerba, un sentimento sconsolato, una forza sgarbata, una dolcezza spinosa, in uno spirito vasto, studioso, meticoloso, pedante e pudico.

Il pudore ha grande importanza tanto nell’uno che nell’altro.

Scriva Dante invettive contro i preti:

«Non ha Firenze tanti Lapi e Bindi...»

Paradiso, XXIX, 103


o contro il Papa:

«Ahi Costantin, di quanto mal fu matre....»

Inferno, XIX, 115

[p. 116 modifica]o contro le donne impudiche:

«Chè la Barbagia di Sardigna assai
Nelle femmine sue è più pudica,
3Che la Barbagia, dov’io la lasciai.»

Purgatorio, XXIII, 94-96


o parli d’amore:

«Amor, che a nullo amato amar perdona
. . . . . . . . . . . . . . .
Prese costui della bella persona
Che mi fu tolta, e il mondo ancor m’offende.»

Inferno, V, 100-103


o sospiri:

«Del bell’ovile ov’io dormii agnello»

Paradiso, XXV, 5


non c’è mai in alcuno scritto di Dante uno sfogo personale intimo inutile, un’espressione procace; le cose più azzardate sono dette in modo contegnoso e tali che nella bocca di ogni donna «non stieno male».

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Anche la pedanteria ha grande importanza tanto in Dante che in Bach.

Chi immagina quale influenza abbia avuto sullo stile poetico di Dante quella sua passione di dire tutto esattamente, e di suddividere tutto come si deve? (Vedi nel Convito le definizioni e distinzioni sottili tra savio e astuto, pudico e [p. 117 modifica]verecondo, ecc. e la precisa distinzione fra ciò che è bene e ciò che è male ecc.).

Bach e Dante hanno in comune anche questa parte del metodo, che è forse privilegio dei grandissimi: di non sfruttare le occasioni. Due artisti come Chopin e Musset vivevano artisticamente dei loro disastri pratici, sfruttavano il dolore volta per volta con un commercialismo inquietante. Tanto è vero che vedremo spesso Chopin partire con una bella frase in cui s’è sfogato lì per lì, e poi per continuare un pezzo che ormai non l’interessa più, accordare a quella frase un pezzo assolutamente banale. E’ l’arte sfogo.

Dante e Bach non fanno mai questo, anche se lo fanno talvolta apparentemente: la vita passa su loro ed essi la soffrono e la godono come semplici uomini. Quando l’adoperano artisticamente (e davvero allora tutta la vita forma sostanza della loro arte) essa è già trasformata in filosofia.

Dante era sopratutto un poeta. Poeti sono gli artisti che, quando scrivono, suonano, dipingono, interpretano, non pensano al lavoro in sè, ma a un sentimento più generale che li sorpassa. Il presentimento della poesia, in quelle opere, è come quello che si ha del mare, al fondo di una vasta pianura. [p. 118 modifica]ANTI DON
CHISCIOTTE
ANTI-
LETTERATO

Dante è l'anti Don Chisciotte. Don Chisciotte è l’uomo eccezionale che riporta su un piano eccezionale le cose normali, Dante è l’uomo eccezionale che riporta su un piano normale le cose eccezionali.

■ ■

Dante è anche l’anti-letterato. I letterati contro cui Dante impreca:

«E a vituperio di loro dico, che non si deon chiamar Letterati; perocché non acquistano la lettera per lo suo uso, ma in quanto por quella guadagnano denari o dignità: siccome non si dee chiamare citarista chi tiene la citara in casa per prestarla per prezzo, e non; per usarla per sonarla».

Convito, trattato I, cap. IX

sono esseri vanitosi e mediocri, ligi alle passioni dominanti, che vedono il mondo attraverso alla loro ideologia, o meglio alla ideologia dei libri che han Letto, delle accademie che giudicano, delle scuole che insegnano, dei grandi che pagano, timidi nel giudicare, incerti nell’azione, proni ai giudizi altrui, incapaci di stabilire nuovi rapporti, perduti davanti alla realtà. Essi [p. 119 modifica]camminano fra due mura senza vedere e nemmeno guardare quel che avviene al di fuori della propria strada.

Dante è l’uomo aperto a tutti i mondi, umani, naturali e divini, a tutte le passioni, mondane o religiose, famigliari, partigiane, nazionali, universali, che vive gli occhi, le orecchie, le nari spalancati sulla realtà. Ogni cosa che vede, gusta, assapora, sente, gli suggerisce immagini nuove e nuovi punti di contatto. Tutto ferma i suoi occhi ghiotti: il fantolin che corre alla mamma quando è afflitto; il cicognin che leva l'ali per voglia di volare e non s’attenta; la donzella che arresta il ballo perchè ha perduto il tempo; il villanel che batte l’anca davanti alle prime fredde brinate; le pecorelle che escon dal chiuso, i fanti patteggiati di Caprona, il lavoro degli operai nell’arzanà dei Viniziani, il marinaio che si cala a legar l’ancora. Egli è sensibile a tutte le bellezze del creato, al tremolar della marina, ai ruscelletti che pei verdi colli del Casentino discendono in Arno, alla bella variazion dei freschi mai. Di tutto si dà conto, di quello che succede nell’anima propria e in quella altrui. Egli vede l’angoscia dell’uomo «cui tarda di vedere quello che gli convien fuggire e cui paura subito sgagliarda»; la melanconia di colui che perde al gioco della zara, mentre tutti [p. 120 modifica]attorniano il vincitore; l’esitanza di color che stanno per non intender ciò che è a lor risposto quasi scornati e risponder non sanno; il ridicolo di color che vanno con cosa in capo non da lor saputa, se non che i cenni altrui suspicar fanno, per che la mano ad accertar s’aiuta, e cerca e truova, e quell’ufficio adempie, che non si può fornir con la veduta; di quei che si risente di visione oblita, e che s’ingegna indarno di ridursela alla mente.

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Dante è l’uomo sicuro di sé, che vive uomo fra gli uomini, che prende parte a guerre e ambascerie, cui la penna è «mezzo» per agire sui contemporanei e sui posteri.

«Comandamento è delli morali filosofi, che de’ benefici hanno parlato, che l’uomo dee mettere ingegno e sollecitudine in porgere i suoi benefici quanto puote più al ricevitore utili. Ond’io volendo a cotale imperio essere obbediente, intendo questo mio Convito per ciascuna delle sue parti rendere utile, quanto più mi sarà possibile.»

Convito, Trattato IV, cap. XXII.


Dante è il profeta, il poeta, il genio, il santo, il cui senso religioso profondo informa la vita, le cui preoccupazioni morali e politiche sono maggiori di quelle individuali o artistiche, pure assai forti. I suoi personaggi per sapere notizie [p. 121 modifica]del loro mondo politico sfidano le pene dell’inferno e del Purgatorio:

«Non t’incresca restare a parlar meco;
Vedi, che non incresce a me che ardo.
. . . . . . . . . . . . .
Dimmi se i Romagnoli han pace o guerra.»

Inferno, XXVII, 23-28


Vivamente desideroso di lasciare la sua orma nel mondo, avido di consensi:

«Come s’avviva allo spirar dei venti
Carbone in fiamma, così vid’io quella
3Luce risplender ai miei blandimenti.»

Paradiso, XVI, 28-30


«E il tronco: Sì col dolce dir m’adeschi
Ch’io non posso tacer...»

Inferno, XXIII, 52-56


sacrifica ammirazione, fama, per dire quel che crede utile ai suoi ideali, attaccando la Chiesa e i potenti, non solo nelle Cantiche, ma nelle Epistole e nel Convito — peggio, nella vita.

Durante il breve periodo in cui fu al governo spinse il sentimento della giustizia (quella rettitudine di cui parla nel Convito) fino ad esiliare Guido Cavalcanti, il suo migliore amico, e a sfidare lo stesso Bonifacio VIII. Tanta rettitudine gli costò l’esilio. L’uomo più onesto di Firenze fu condannato a morte come concussionario. [p. 122 modifica]

Dante è uno dei rari esempi di intellettuale italiano che si sia appassionato per la politica. La sua vita non fu tale da incoraggiare gli altri a imitarla.

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Sarebbe molto interessante determinare il posto che Dante occupò nella gerarchia letteraria del suo tempo.

Un’opera d’arte eccellente, contrariamente a quanto si crede, in un momento di disordine e di produzione mediocre, non appare più bella, ma molto meno; si gusterà con minor sensibilità e acutezza che non in un’epoca ricca di capolavori. Perchè la disarmonia e la bruttezza delle opere circostanti la patineranno del loro stesso brutto, accentuando quelle parti che nell’opera bella si trovano comuni alle croste, e impedendo, con l’imperioso affollarsi della loro immagine di disordine nella nostra intelligenza critica, che noi si distingua con pace e giustezza, come in momenti di creazione tranquilla e monolineare, l’ordine che la rende armoniosa. E potremmo facilmente scambiare quell’ordine vero per una di quelle tante apparenze d’ordine fallace, che si nascondono sotto una maniera, esteriormente più composta, ma intimamente viziata come tutte le altre. [p. 123 modifica]

Una donna bella in mezzo a dieci brutte è più possibile che scompaia più che non spicchi.

La Vita Nova ebbe grande successo. Le sue opere in prosa suscitarono molti commenti. Ma in Italia il primo libro di uno scrittore ha sempre successo. Quali furono le risonanze della Divina Commedia? Ricevendo il Purgatorio, Giovanni del Virgilio, professore a Bologna invitò Dante a riscattare il tempo perduto in giochi volgari scrivendo delle egloghe alla maniera di Virgilio. L’Italia esiliava il poeta e respingeva il poema.

I posteri non furono con Dante più generosi che i contemporanei. L’Italia rispetta in generale il riposo dei suoi grandi. Le vite di Dante in Italia sono state rare. Due secoli interi, il XVII e il XVIII, lo giudicarono il più noioso dei poeti (Baretti). Il nostro secolo, che mena tanto rumore intorno al suo nome, non ha prodotto malgrado il carnevale del centenario che due o tre Vite di Dante, quella scritta per il popolo da Gallarati Scotti, più tardi quella di Umberto Cosmo e qualche altra. Ma in realtà Dante non sembra essere letto e commentato oggi in Italia che in aule polverose a cura di professori che non lo capiscono. Tanta erudizione non ha pescato nel silenzio dei tempi che delle testimonianze di sofferenze inaudite e crudeli di un [p. 124 modifica]uomo grande e giusto forzato a vivere in mezzo a gnomi.

Questo poema che passa per un poema d’amore è figlio del dolore e dello sdegno. Alle sublimi invettive della Divina Commedia, Dante Fu spinto dalla forza stessa della collera e dal sentimento della giustizia ferito. Il poema è l’opera dell’Italia (miseranda etiam Saracenis), che riuscì a farsi detestare così meravigliosamente.

Niente può sembrare più strano e sorprendente per uno straniero che questa grande opera concepita e scritta contro il proprio paese. La vita di Dante è la vita simbolica di ogni grande in Italia. La nostra vita è seminata di celati massacri, di sforzi inutili, di moltitudini di geni, di martiri morti oscuramente in mezzo ai baccanali.

Dante è in fondo anti-italiano. E cioè uno di quei pochi italiani di spirito europeo anche se di carattere italiano, che in Italia camminano come degli albatros sulla terra.

La posizione di Dante rispetto all’Italia di cui ha patito tutti i vizi e la leggerezza morale, potrebbe essere quella di un aristocratico illuminato dalla destra, tipo Fortunato o Sforza, in tempi di fascismo, o anche tipo Ferrero. Le [p. 125 modifica]tirate contro la Chiesa: Ahi Costantin, di quanto mal fu matre...» quella contro gli Ademari:

«L’oltracotata schiatta che s’imbraca
Dietro a chi fugge, ed a chi mostra il dente
3Ovver la borsa, come agnel si placa.»

Paradiso, XVI, 115


quella contro i falsi filosofi, i falsi predicatori:

«Non ha Firenze tanti Lapi e Bindi
Quante sì fatte favole per anno
3In pergamo si gridati quinci e quindi,»

Paradiso, XXIX, 103


potrebbero uscire dalla bocca di Ferrero. Come in questi preoccupazione di esattezza e di imparzialità (che in un poeta stupiscono):

«Allor mi dolsi, ed ora mi ridolgo
Quand’io drizzo la mente a quel ch’io vidi
3E più lo ingegno affisso che non soglio
Perchè non corra, che virtù noi guidi...»

Inferno, XXVI, 19-22

«Chi è più scellerato di colui
Che al giudizio divin passïon porta?»

Inferno, XX, 29-30

[p. 126 modifica] D A N T E    E
S. AGOSTINO

«Tu se’ lo mio maestro e lo mio autore:
Tu se’ solo colui, da cui io tolsi
3Lo bello stile, che m’ha fatto onore.»

Inferno, I, 85-87


Questa distinzione fra maestro e autore è importante. Autore è forse più che maestro.

L’autore è, quello che dà una illuminazione e una direzione, che nessuno può vedere, perchè non ci sono rapporti visibili. Tutti gli scrittori hanno avuto in vari periodi della loro vita questo autore segreto. Ma questa è una prova di più che il Dante della Divina Commedia è l’uomo normale. Perchè si capisce come allora un uomo colto normale si prendesse per guida il gran poeta dei Latini, quello più caratteristico. Ma che Virgilio sia stato l’autore, peggio, il maestro di Dante, come si può credere? Che illuminazione, guida, gli ha dato? Non riesco a immaginarlo, mentre ci vedo così bene Sant’Agostino.

Sant’Agostino non è nominato?

Una prova di più.

Coltissimi, dottissimi, osservatori profondi, con larga intuizione spalancata sugli uomini, sulle dottrine e sulle istituzioni. Fantasiosi, avidi di cose nuove, hanno visitato tutti e due vari [p. 127 modifica]mondi, visto uomini e cose nostrali e stranieri, paesi e istituzioni varie.

In ambedue rara potenza di tutti i sensi (l’odorato, il gusto, il tatto ritornano negli scritti di Dante e Sant’Agostino quanto le immagini visive e uditive).

In tutti e due immaginazione formidabile, che al tocco di un suono, di un atto accende una corrente elettrica di idee; in tutti e due voluttà di pensare e profondo senso religioso, in tutti e due dubbi e contraddizioni:

Sant’Agostino:

«Il mio cuore era spinto ora in una direzione, ora in direzione contraria.»

(Confessioni, libro V)


Dante:

«E quale è quei che disviuol ciò che volle
E per nuovi pensier cangia proposta
3Sì che dal cominciar tutto si tolle»

Inferno, II, 37-39


In tutti e due grandissima emotività, possibilità enorme di dolore e gioia, di passare dal pianto al riso:

Dante:

«Ma non può tutto la virtù che vuole,
E riso e pianto son tanto seguaci
3Alla passion, da che ciascun si spicca,
Che men seguon voler nei più veraci.»

Purgatorio, XXI, 105-108

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Identiche reazioni dinanzi al dolore.

Probabilmente l’amore delle antitesi viene a Dante da Sant’Agostino, come la veemenza delle tirate, che è in un certo senso una tradizione, letteraria cristiana. Confronta le tirate di Tito Livio come sono più calme. Tacito? (Bisogna, è vero, tener conto della passione.) Lo stile latino di Dante viene da S. Agostino (V. l’Epistola X contro i Fiorentini:


«Paragrafo 2°— ....An ignoratis, amentes et discoli, publica iura cum sola temporis terminatiome finiri, et nullius praescriptionis calculo fore obnoxia? Nempe legum sanctiones almae déclarant, et humana ratio percunctando decernit, publica rerum dominia, quantalibet diuturnitate neglecta, numquam posse vanescere vel abstenuata conquiri...».


«Paragrafo 4° — .....Videbitis aedificia vestra non necessitati prudenter instructa, sed delitiis inconsulte mutata, quae Pergama rediviva non cingunt, tam ariete ruere, tristes, quam igni creniari. Videbitis plebem circumquaque furentem nunc in contraria, pro et contra, deinde in idem adversus vos horrenda clamantem, quoniam simul et ieiuna et timida nescit esse.»

Lo studio di Sant’Agostino è addirittura clamoroso.

Il concetto della natura del male viene da Sant’Agostino.

E non viene dalla Vita Beata di Sant’Agostino l’idea del Convito e le relative allegorie alle vivande così spirituali che materiali: [p. 129 modifica]Sant’Agostino:

«Poiché noi conveniamo che l’uomo è un composto d’animo e di corpo io credo che il giorno compleanno della mia nascita io devo alle anime così come ai corpi un convito migliore che al solito, se dunque voi siete affamati, io vi dirò quale è questo pasto. Poiché intraprendere di nutrire della gente sazia è vana spesa. Facciamo voti perchè voi assorbiate con più ardore questo notrimento che quello del corpo; se le vostre anime sono sane, ciò accadrà inevitabilmente ecc. ecc.»

(Della Vita Beata, paragrafo X)


Dante:

«Ed io adunque, che non seggo alla beata mensa, ma, fuggito dalla pastura del vulgo, ai piedi di coloro che seggono ricolgo di quello che da loro cade, e conosco la misera vita di quelli che dietro m’ho lasciati, per la dolcezza che io sento in quello che io a poco a poco ricolgo, misericordevolmente mosso, non me dimenticando, per li miseri alcuna cosa ho riservata, la quale agli occhi loro già è più tempo ho dimostrata, e in ciò gli ho fatti maggiormente vogliosi. Per chè ora volendo apparecchiare, intendo fare un generale convito di ciò ch’io ho loro mostrato e di quello pane che è mestiere a così fatta vivanda, senza lo quale da loro non potrebbe essere mangiata a questo convito; di quello pane degno a cotal vivanda, qual io intendo indarno essere ministrata. Però ad esso non voglio s’assetti alcuno male dei suoi organi disposto: perocché né denti, né lingua ha, né palato; né alcuno assettatore di vizi, perocché lo stomaco suo è pieno di umori venenosi e contrari sicché la vivanda non terrebbe. Ma vegnaci qualunque per cura famigliare o civile nella umana fame rimase ecc.»

(Convito, Trattato I, cap. I)

[p. 130 modifica] Alcune immagini di Dante ricordano singolarmente quelle di Sant’Agostino.


Sant’Agostino:

«Queste testimonianze d’affetto... erano come altrettante scintille di quel fuoco di amicizia che accende la nostra anima e di molte ne fa una sola.»

(Confessioni, libro IV, cap. VII)


Dante:

«Così un sol calor di molte brage
Si fa sentir, come di molti amori.»

Paradiso, XIX, 19-20


Il concetto dell’impero Romano necessario per la pacificazione e unificazione del mondo viene da S. Agostino (S. Agostino, Epistola VI).

E non viene da S. Agostino l’idea di Dante di cavare immagini e pensieri non solo dagli uomini e dagli animali più nobili, ma anche dagli animali più sprezzati: porci, mosche, tafani, pulci? (V. Confessioni, libro X, cap. XXXV).

I proustismi di Dante non derivano da S.Agostino? (Importante indagare.)