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camminano fra due mura senza vedere e nemmeno guardare quel che avviene al di fuori della propria strada.

Dante è l’uomo aperto a tutti i mondi, umani, naturali e divini, a tutte le passioni, mondane o religiose, famigliari, partigiane, nazionali, universali, che vive gli occhi, le orecchie, le nari spalancati sulla realtà. Ogni cosa che vede, gusta, assapora, sente, gli suggerisce immagini nuove e nuovi punti di contatto. Tutto ferma i suoi occhi ghiotti: il fantolin che corre alla mamma quando è afflitto; il cicognin che leva l'ali per voglia di volare e non s’attenta; la donzella che arresta il ballo perchè ha perduto il tempo; il villanel che batte l’anca davanti alle prime fredde brinate; le pecorelle che escon dal chiuso, i fanti patteggiati di Caprona, il lavoro degli operai nell’arzanà dei Viniziani, il marinaio che si cala a legar l’ancora. Egli è sensibile a tutte le bellezze del creato, al tremolar della marina, ai ruscelletti che pei verdi colli del Casentino discendono in Arno, alla bella variazion dei freschi mai. Di tutto si dà conto, di quello che succede nell’anima propria e in quella altrui. Egli vede l’angoscia dell’uomo «cui tarda di vedere quello che gli convien fuggire e cui paura subito sgagliarda»; la melanconia di colui che perde al gioco della zara, mentre tutti


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