Appunti sul metodo della Divina Commedia/Inferno e paradiso Dante non è Dante Dante e Virgilio

Inferno e paradiso Dante non è Dante Dante e Virgilio

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Inferno e paradiso Dante non è Dante Dante e Virgilio
Come Dante dà il senso del divino La figura di Dante e S. Agostino
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INFERNO E PARADISO

DANTE NON È DANTE

D A N T E E VIRGILIO

[p. 93 modifica]INFERNO

L’Inferno è un caos ben ordinato. Artisticamente non esiste caos, quindi anche un caos deve essere reso con ordine — un ordine fatto in modo che ripensandoci dia un senso generico di caos. Se fosse composto caoticamente non darebbe il senso del caos, ma di confusione artistica: il disordine, invece che attaccarsi al mondo descritto, sarebbe messo in conto della descrizione.

Così quando si vede da lontano un affresco con molta folla (Cappella Sistina) non si ha che una sensazione generica di linee e masse senza costrutto umano — eppure si sente che se fossero linee e masse a caso farebbero un’impressione diversa. [p. 94 modifica]

■ ■


L’Inferno si sente arrivare come in treno si sente arrivare una galleria. Cominciano l’ombre di due grandi muri che poi dolcemente si riabbassano fino a terra, e si rizzano su poco dopo; poi una passerella che ti dà per un momento l’impressione che la galleria cominci, poi la galleria, con la visione del paesaggio che muore nei vetri.

Nei primi due canti subito sono introdotti, a gradi, i tre piloni del poema: Dante, Virgilio e Beatrice.

Nota, l’idea di far venire Beatrice in principio (simile a quella di far comparire Penelope nei primi canti dell’Odissea) è artisticamente felicissima. Se l’avesse introdotta per la prima volta nel Paradiso Terrestre, avrebbe dato noia. Questi tre così fanno telaio per tutta la materia del poema.


PARADISO

Nel Paradiso i caratteri si stemperano. Ogni personaggio rappresenta più che un uomo un sentimento puro.

Beatrice non è diversa da San Bernardo o da San Pier Damiano.

Questo da una parte si capisce, dato che in Paradiso un carattere, ossia un insieme di [p. 95 modifica]asperità, riescirebbe una cosa troppo terrena, ma dall’altra toglie sapore alla cantica.

Chi ci perde più di tutti è Beatrice, che è schiacciata dai ragionamenti gravi che deve tenere:

«Secondo mio infallibile avviso,
Come giusta vendetta giustamente
3Punita fosse, t’hai in pensier miso;
Ma io ti solverò tosto la mente:
E tu ascolta: ché le mie parole
6Di gran sentenzia ti faran presente.»

Paradiso, VII, 19-24


«Intra duo cibi, distanti e moventi
D’un modo, prima si morria di fame
3Che liber’uom l’un si recasse a’ denti».

Paradiso, IV, 1-4


Così quando Dante rammenta il suo amore:

«Forse la mia parola par tropp’osa,
Posponendo il piacer degli occhi belli,
3Ne qua’ mirando mio disio ha posa.»

Paradiso, XIV, 130-132


«Come si vede qui alcuna volta
L’affetto nella vista, s’ello è tanto
3Che da lui sia tutta l’anima tolta;»

Paradiso, XVIII, 22-24 95

[p. 96 modifica]o la bellezza corporale di Beatrice, o la dolcezza del suo sorriso, o il suo fascino femminile:

«Vincendo me col lume d’un sorriso,
Ella mi disse: «Volgiti ed ascolta:
3Ché non pur ne’ miei occhi è paradiso!»

Paradiso, XVIII, 19-21


restiamo un po’ meravigliati. Ma non è vero che le parti teologiche in Dante siano meno belle che le parti liriche.

Le tirate sulla posizione dei buoni che non conobbero Cristo:

«Però nella giustizia sempiterna
La vista, che riceve il vostro mondo,
3Com’occhio per lo mare, entro s’interna;
Che, benché dalla proda veggia il fondo,
In pelago noi vede; e nondimeno
6Egli è; ma ’l cela lui l'esser profondo.»

Paradiso, XIX, 58-63


quelle sul libero arbitrio, e sui doveri dei cristiani:

«Siate, cristiani, a muovervi più gravi!
Non siate come penne ad ogni vento;
3E non crediate ch’ogni acqua vi lavi!»

Paradiso, V, 73-75

[p. 97 modifica]o sui falsi pastori:

«Non ha Firenze tanti Lapi e Bindi,
Quante siffatte favole per anno
3In pergamo si gridan quinci e quindi;
Sì che le pecorelle che non sanno,
Tornan dal pasco pasciute di vento,
6E non le scusa non veder lor danno.»

Paradiso, XXIX, 103-108


non sono meno belle che le parti liriche dell’Inferno e del Purgatorio. E’ vero che a noi riescono, per lo spegnersi della religione cattolica, difficili a capirsi — ma probabilmente quelle parti liriche in cui sono descritti certi passaggi di sentimenti degni di Proust, riuscivano ai medievali altrettanto, se non più difficili.

E’ dunque solo mutato l’orientamento.

D’altronde era assurdo di fare un Paradiso che ricadesse, sia pure in modo imprevedibile, sotto il dominio dei sensi, e Dante lo sapeva:

«E avvegnachè quelle cose, per rispetto della verità assai poco sapere si possono, quello tanto che la umana ragione me vede ha più dilettazione che il molto e il certo delle cose, delle quali si giudica per lo senso.»

(Convito, Trattato 103)

[p. 98 modifica] INTRODU-
ZIONE DI
VIRGILIO

La prima battuta che annunzia Virgilio è veramente grandiosa:

«Dinanzi agli occhi mi si fu offerto
Chi per lungo silenzio parea fioco.»

Inferno, I, 61-63


Sensazione sopranaturale di uomo disuso dalle ombre.

Poi Virgilio dice chi è, e Dante gli risponde.

Virgilio rimane impersonale, con quell’aria misteriosa che hanno le persone vedute per la prima volta, inquadrate dal mistero di un carattere sconosciuto (cfr. Arnoux nell' Education Sentimentale). Nel primo capitolo Arnoux è descritto in due o tre particolari, che non hanno nessuna importanza, nè un carattere specifico: fa passare davanti a sè Frédérique, dice delle «gracieusetés» all’orecchio della moglie, protesta che il conto è troppo caro e lo fa ribassare. Questi particolari, visti retrospettivamente acquistano invece un’importanza psicologica e si inquadrano benissimo con gli altri caratteri di Arnoux. Ma questa scelta di atti fatti da un personaggio, che non si conosce ancora, rende quell’impressione di sgomento che ci riempie a [p. 99 modifica]contemplare gli sconosciuti. Si sente che Arnoux ha una vita per conto suo, completa, piena di avvenimenti, di passato, di passioni, e che quei due o tre gesti, per uno che lo conosca sanno di qualcosa; ma per Frédérique o per noi (giacché non guardiamo attraverso i suoi occhi) non sono che frammenti indecifrabili.

La prima nota che fa Dante su Virgilio è questa:

«Intendi me’ ch’io non ragiono»

Inferno, II, 36


In verità in quel momento il sentimento che ognuno avrebbe chiesto con più urgenza da una guida è l’intuizione.

Virgilio a Dante che aveva chiacchierato con molti fronzoli sulla sua indegnità di fare il viaggio, risponde: «Ti intendo1, hai paura...»

«L’anima tua è da viltà te offesa;
La qual molte fiate l’uomo ingombra
3Sì, che d’onrata impresa lo rivolve,
Come falso veder bestia quand’ombra.»

Inferno, II, 45-48


Da questo momento Virgilio acquista sull’animo del discepolo una definitiva autorità:

«Ahi quanto cauti gli uomini esser denno
Presso a color, che non vedon pur l’opra,
3Ma che entro i pensier miran col senno!»

Inferno, XVI, 118-120

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Il primo sentimento che prova Dante è la paura:

«Ah quanto, a dir qual era, è cosa dura,
Questa selva selvaggia ed aspra e forte
3Che nel pensier rinnova la paura!
Tanto è amara, che poco è più morte...»

Inferno, I, 4-7


Poi quando vede Virgilio è la riverenza. In verità non è detto che in quel momento, davanti a un possibile salvatore, non cada anche in un po’ d’adulazione:

«Or se’ tu quel Virgilio, e quella fonte
Che spande di parlar sì largo fiume?
. . . . . . . . .
O degli altri poeti onore e lume...»

Inferno, I, 79-80-82


Nella terzina seguente Virgilio ritorna l’uomo normale:

«Tu sei lo mio maestro e lo mio autore»

Inferno, I, 85


La gerarchia è subito impostata con mano maestra. Dante si mette subito nelle mani di Virgilio: «Tu duce, tu signore, tu maestro» e vi sta fino alla soglia del Paradiso quando Virgilio lo proclama degno di seguire da solo il suo viaggio: [p. 101 modifica]

«... Il temporal fuoco e l’eterno
Veduto hai, figlio, e sei venuto in parte,
3Ov’io per me più oltre non discenno.
Tratto t’ho qui con ingegno e con arte;
Lo tuo piacere ornai prendi per duce;
6Fuor se’ dell’erte vie, fuor se’ dell’arte.
Vedi il Sol, che in la fronte ti riluce;
Vedi l’erbetta, i fiori e gli arboscelli,
9Che quella terra sol da sé produce.
Mentre che vegnon lieti gli occhi belli,
Che lagrimando a te venir mi fenno,
12Seder ti puoi, e puoi andar tra elli.
Non aspettar mio dir più, né mio cenno;
Libero, dritto, sano, è lo tuo arbitrio,
15E fallo fora non fare a suo senno;
Per ch’io te sopra te corono e mitrio.»

Purgatorio, XXVII,127-142


Per tutti i cerchi dell’Inferno e i gironi del Purgatorio il patto di Virgilio: «Io sarò primo e tu sarai secondo» rimane rigoroso. Quando nell’ultimo canto dell'Inferno i due entrano in Purgatorio Dante ha cura di dire: «Salimmo su, ei primo ed io secondo».


D A N T E
N O N    È
D A N T E

«E da ciò (dal parlare di sé) è l’uomo rimosso, perchè parlare non si può d’alcuno, che il parlatore non lodi o non biasimi quelli, di cui egli parla.... [p. 102 modifica]

«Dispregiare sé medesimo è per sé biasimevole, perocchè allo amico dee l’uomo lo suo difetto contare segretamente, e nullo è più amico che l’uomo a sé; onde nella camera de’ suoi pensieri sé medesimo riprendere dee e piangere li suoi difetti, e non palese....

«Lodare sé è da fuggire, siccome male per accidente chè le parole son fatte per mostrare quello che non si sa. Onde chi loda sé, mostra che non crede essere buono tenuto: che non gli incontra senza maliziata coscienza, la quale, sé lodando, discopre, e discoprendo si biasima.

«E ancora la propria loda e il proprio biasimo è da fuggire per una ragione, egualmente siccome falsa testimonianza fare; perocchè non è uomo che sia di sé vero e giusto misuratore, tanto la propria carità ne inganna....»

Dante - Convito - Trattato I, cap. II


E con queste idee Dante si sarebbe rappresentato come protagonista della Divina Commedia?

Perchè bisogna pensare che ogni commento è in quelle circostanze eccezionali una lode o un biasimo. No, nella Divina Commedia Dante non si è impersonato in Dante, se mai in Virgilio, in Beatrice (in realtà un po’ in tutti i suoi personaggi) cui presta volta a volta le sue idee teologiche, morali, psicologiche, sociali, religiose, e le sue passioni.

Il Dante della Divina Commedia ci pare invece il prototipo dell’uomo normale: [p. 103 modifica]umile:

«Allor con gli occhi vergognosi e bassi,
Temendo che il mio dir gli fosse grave,
3Infino al fiume di parlar mi trassi.»

Inferno, III, 79-81


«... Tanto mi è bel quanto a te piace:
Tu se’ signore, e sai ch’io non mi parto
3Del tuo volere, e sai quel che si tace»

Inferno, XIX, 37-39


remissivo:

«....e tutto mi ritrassi
Al Duca mio, e gli occhi a lui drizzai.
3Ei cominciò: Figliol, segui i miei passi....»

Purgatorio, I, 110-112


diffidente:

«E il mio Conforto: «Perchè pur diffidi?»
A dir mi cominciò tutto rivolto —
3«Non credi tu me teco, e ch’io ti guidi?»

Purgatorio, III, 22-24


prudente:

«S’io fossi stato dal fuoco coverto
Gittato mi sarei tra lor disotto;
3E credo che il Dottor l’avria sofferto.
Ma perch’io mi sarei bruciato e cotto,
Vinse paura la mia buona voglia....»

Inferno, XVI, 46-50


spaventato:

«Già mi sentia tutti arricciar li peli
Dalla paura, e stava indietro intento...»

Inferno, XXIII, 19-20

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«Qnd’io, che non sapeva per qual calle,
Mi volsi intorno, e stretto m’accostai
3Tutto gelato alle fidate spalle.»

Purgatorio, VIII, 40-42


Geniale idea! In quella figura bisognava trovarci non un uomo particolare coi suoi fatti personali, ma, perchè ci fosse un interesse di ordine universale, l’«uomo», cioè l’uomo normale, trasportato in un mondo di eccezione. Quello che ci aspettiamo con golosità è il vedere le reazioni elementari: paura, curiosità, pietà, stupefazione, che quei mondi fantastici provocano sopra un uomo terreno, non le considerazioni che un tipo come Dante, dottissimo in teologia e filosofia, e ormai compromesso in una particolare maniera di giudicare il mondo, poteva farci su questo ristretto di storia universale.

Per questo bisogna ben guardarsi di attribuire all’autore i sentimenti del personaggio Dante (es. pietà per Francesca, ira per Argenti). Possono alle volte coincidere, ma non è necessario. Tanto è vero che le tirate Dante non le mette in bocca al suo Dante, interrompe la narrazione e le fa lui. [p. 105 modifica]DANTE E
VIRGILIO

Quello che c’è di più importante nella Divina Commedia sono i rapporti fra Dante e Virgilio, cioè quell’insieme di movimenti psicologici che sono la riverenza, la deferenza, l’affetto dell’uno per l’altro continuamente frullati e alterati dalle impressioni del di fuori.

Dante è il discepolo che non osa interloquire:

«E quale il cicognin, che leva l’ala
Per voglia di volare, e non s’attenta
3D’abbandonar lo nido, e giù la cala;
Tal era io con voglia accesa e spenta
Di dimandar; venendo infino all’atto,
6Che fa colui ch’a dicer s’argomenta.
Non lasciò, per l’andar che fosse ratto,
Lo dolce Padre mio, ma disse: «Scocca
9L’arco del dir, che infino al ferro hai tratto.»

Purgatorio, XXV, 10-18


«Posto avea fine al suo ragionamento
L’alto Dottore; ed attento guardava
3Nella mia vista, s’io purea contento.
Ed io, cui nuova sete ancor frugava,
Di fuor taceva, e dentro dicea: Forse
6Lo troppo dimandar, ch’io fo, gli grava.
Ma quel padre verace, che s’accorse
Del timido voler, che non s’apriva,
9Parlando, di parlare ardir mi porse.»

Purgatorio, XVIII, 1-9

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E’ il figliolo che ammira e che ama:

«Volsimi alla sinistra col respitto,
Col quale il fantolin corre alla mamma,
3Quando ha paura, o quando egli è afflitto,
Per dicere a Virgilio: Men che dramma
Di sangue m’è rimasa, che non tremi;
6Conosco i segni dell’antica fiamma.
Ma Virgilio n’avea lasciati scemi
Di sé, Virgilio dolcissimo padre,
9Virgilio, a cui per mia salute die’mi....»

Purgatorio, XXX, 43-51


Virgilio è il padrone di casa; incita Dante a parlare:

«....Da ch’ei si tace,
Disse il Poeta a me, non perder l’ora;
3Ma parla, e chiedi a lui, se più ti piace.
Ond’io a lui: Dimandal tu ancora
Di quel che credi ch’a me satisfaccia...»

Inferno, XIII, 79-83


presenta a Dante quelli che incontra:

«Acciocché il fatto men ti paia strano,
Sappi che non son torri, ma giganti....»

Inferno, XXXI, 30-31


cerca di far parlare le ombre che possono interessare Dante: [p. 107 modifica]

«O tu, che con le dita ti dismaglie»,
Cominciò il Duca mio ad un di loro,
3«E che fai d’esse talvolta tanaglie;
Dinne se alcun Latino è tra costoro,
Che son quinc’entro; se l’unghia ti basti
6Eternalmente a cotesto lavoro.»
«Latin sem noi, che tu vedi sì guasti
Qui ambedue»; rispose l’un piangendo
. . . . . . . . . . . . . . .
Lo buon Maestro a me tutto s’accolse
Dicendo: «Di’ a lor ciò che tu vuoli.»

Inferno, XXIX, 85-100


loda Dante:

«Io credo ben ch’al mio Duca piacesse;
Con sì contenta labbia sempre attese
3Lo suon delle parole vere espresse.
Però con ambo le braccia mi prese...»

Inferno, XIX, 121-124


ne prende le difese:

«S’egli avesse potuto creder prima —
— Rispose il Savio mio — anima lesa,
3Ciò ch’ha veduto pur con la mia rima,
Non averebbe in te la man distesa;
Ma la cosa incredibile mi fece
6Indurlo ad ovra, ch’a me stesso pesa.»

Inferno, XIII, 46-51


gli segnala i pericoli:

«Lo duca mio, dicendo: «Guarda, guarda»
Mi trasse a sé del loco, dov’io stava.
3Allor mi volsi come l’uom, cui tarda...».

Inferno, XXI, 23-25

[p. 108 modifica]provoca le risposte che Dante attende:

«E il duca mio: «figliol, che lassù guarde?»
Ed io a lui: «a quelle tre facelle
3Di che il polo di qua tutto quanto arde.»
Ed egli a me: «le quattro chiare stelle...»

Purgatorio, VIII, 88-91


«Incominciai: «E par che tu mi nieghi,
Ed egli a me: «La mia scrittura è piana;
3E la speranza di costor non falla,
Se ben si guardi con la mente sana....»

Purgatorio, VI, 28, 34-36


gli suggerisce le risposte:

«Allor Virgilio disse: «Digli tosto:
Non san colui, non son colui che credi.»

Inferno, XIX, 61-62


cerca di risparmiare a Dante la fatica:

«Mostrate da qual mano in ver la scala
Si va più corto....
3Che questi che vien meco,
per l’incarco Della carne d’Adamo, onde si veste,
Al montar su, contra sua voglia, è parco.»

Purgatorio, XI, 40, 43-45


lo mette in luce:

«Senza vostra dimanda io vi confesso
Che questo è corpo uman che voi vedete;
3....ma credete
Che non senza virtù, che dal ciel vegna,
Cerca di soverchiar questa parete.»

Purgatorio, III, 94-97-99

[p. 109 modifica]

«E il mio maestro: «voi potete andarne,
E ritrarre a color che vi mandaro,
3Che il corpo di costui è vera carne.
Se per veder la sua ombra restaro,
Come io avviso, assai è lor risposto:
6Facciangli onore; ed essere può lor caro...»

Purgatorio, V, 31-36


lo sprona quando è stanco:

«Levati su — disse il maestro — in piede:
La via è lunga, e il cammino è malvagio;
3E già il sole a mezza terza riede.»

Inferno, XXXIV, 94-96


lo sostiene quando vacilla:

«Ma esso, che altra volta mi sovvenne
Ad altro forte, tosto ch’io montai,
3Con le braccia m’avvinse e mi sostenne....»

Inferno, XVII, 94-96


Notare in quante diverse maniere Virgilio sprona Dante, or persuadendolo che non c’è pericolo:

«Disse per confortarmi: non ti noccia
La tua paura, ché, poder ch’egli abbia,
3Non ti torrà lo scender questa roccia.»

Inferno, VII, 4-6


ora stuzzicando il suo senso morale:

«Qui si convien lasciare ogni sospetto;
Ogni viltà convien che qui sia morta.»

Inferno, III, 14-15

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«Ormai convien che tu così ti spoltre,
— disse il Maestro — chè, seggendo in piuma,
3In fama non si vien, né sotto coltre;
Senza la qual chi vita sua consuma,
Cotai vestigia in terra di sè lascia,
6Qual fumo in aere, od in acqua la schiuma»

Inferno, XXIV, 46-51


or con le minacce:

«....or sii forte ed ardito;
Ornai si scende per siffatte scale»

Inferno, XVII, 81-82


«Ma vergogna mi fèr le sue minacce
Che innanzi a buon signor fa servo forte.»

Inferno, XVII, 89-90


or con le lusinghe:

«Quando mi vide star pur fermo e duro,
Turbato un poco disse: «Or vedi, figlio,
3Tra Beatrice e te è questo muro.»
. . . . . . . . . . . . .
«Ond’ei crollò la testa, e disse: «Come!
Volemci star di qua? «Indi sorrise,
6Come al fanciul si fa ch’è vinto al pome.»

Purgatorio, XXVII, 34-36, 43-45


or distraendolo:

«Non dimandai: che hai? per quel che face
Chi guarda pur con rocchio che non vede,
. . . . . . . . . . . . . . .
3Ma dimandai per darti forza al piede.»

Purgatorio, XV, 133-136

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Virgilio serve come i confidenti di Racine, per spiegare vivificandole col dramma di una relazione, ovvero con gli alti e bassi che accompagnano sempre i rapporti di due persone in circostanze straordinarie, quelle stesse cose, che Dante avrebbe dovuto dire come autore — peso morto. [p. 112 modifica]