Alessandro Manzoni (De Sanctis)/Nota/Introduzione
Questo testo è completo. |
Introduzione
◄ | Nota | Nota - Saggi | ► |
La Letteratura italiana nel secolo XIX è il frutto delle lezioni che il De Sanctis, nominato professore di «letteratura comparata» all’Università di Napoli1; tenne negli anni 1872-76, in quella che fu detta la sua «seconda scuola napoletana»; fino a quando, divenuta incompatibile la sua carica con quella di deputato, egli decise di abbandonare l’insegnamento ritornando alla politica attiva. In quegli anni svolse quattro corsi: sul Manzoni, nell’anno accademico 1871-72; sulla scuola liberale, nel 1872-73; sulla scuola democratica, nel 1873-74; sul Leopardi, nel 1875-76, dopo un anno di interruzione. Queste lezioni avrebbero dovuto costituire, nelle intenzioni dell’Autore, il materiale per un terzo volume della sua Storia della letteratura italiana2, il cui secondo volume si chiudeva con un ricordo troppo sommario e lacunoso delle grandi figure e dei movimenti del secolo XIX. Senonché il terzo volume non venne mai in luce.
I risultati di quel lavoro non andarono tuttavia perduti, in quanto le lezioni, diligentemente raccolte per espressa volontà del De S. da un suo «valoroso e carissimo discepolo», Francesco Torraca, furono pubblicate su alcuni giornali napoletani del tempo: La Libertà, Il Pungolo e il Roma. Il De S. stesso inoltre, per quel che riguarda il corso sul Manzoni e quello sul Leopardi, ne rielaborò la materia ricavandone dei saggi e degli articoli, pubblicati rispettivamente sulla Nuova Antologia e sul Diritto. Sul modo come il De S. preparava e svolgeva le sue lezioni, preziose testimonianze ci lasciò il Torraca, in una commossa rievocazione del maestro e di quegli anni d’insegnamento, fatta nella prolusione al corso di letteratura comparata del 1902 all’Università di Napoli:
Egli soleva [scrive il Torraca] segnar su la carta, brevissimamente, le parti del soggetto, alle quali giudicava opportuno fermarsi di più, certi fatti e certe idee, che si proponeva di lumeggiar meglio, qualche passo dell’opera, che veniva esaminando; ma anche a quelle noticine non ricorreva quasi mai. Levatosi diritto su la cattedra, riassunta in pochi periodi la lezione precedente, o indicato il punto della trattazione, al quale era pervenuto, entrava in medias res; e perché aveva fortemente meditato il soggetto, poteva abbandonarsi all’ispirazione del momento, sicuro di giungere, senza fermate, né troppo lunghe digressioni, alla fine3. |
Quanto alla diligenza con cui fu raccolta la parola del maestro «come gli usci nel dire improvviso», lo stesso Torraca teneva a precisare:
Non sempre la rapidità della mano, che scrisse, eguagliò quella della voce; qualche periodo fu abbreviato, qualche inciso fu saltato, qualche sentenza o imagine andò perduta: pure, vi si rispecchia assai fedelmente il lavoro, che la mente di lui compiva, dinanzi agli ascoltatori, volta per volta; e spesso ci fa provar l’illusione di averlo presente, di udirlo, di vederlo 4. |
* * * |
Le lezioni sul Manzoni ebbero inizio il 29 gennaio del 1872, dinanzi a un foltissimo uditorio di studenti, professori e cittadini, convenuti per ascoltare la parola del maestro, noto o per fama, o per un antico ricordo della gloriosa prima scuola. La cronaca di quell’avvenimento fu più o meno estesamente riferita dai vari giornali napoletani, ma con più abbondanza di particolari dal Roma del 30 gennaio, di cui riportiamo per intero il resoconto:
Ieri la nostra Università offriva uno spettacolo insolito, al quale pur troppo non siamo adusati. Una quantità di popolo, ma di popolo a modo, era alle II a. m. nell’aula universitaria. Tutti anelavano d’essere meglio in grado di udire la prolusione del prof, de Sanctis annunziata per l’una dopo mezzodì. Quella gente dunque era lì raccolta né per politica, né per religione: era la scienza d’un uomo che rendevala commossa ed ansiosa. Ne parve di trovarci in Germania, a Gottinga, a Eidelberga, a Lipsia. Scorgendo le scialbe figure di certi professori a gironzolare fummo tratti dal lieto inganno.
Più tempo passava ed il pubblico sempre più numeroso diveniva. La sala destinata al de Sanctis non era più capace di contenere tanta moltitudine. E qui comincia un’ora di peregrinazioni. Il professore Settembrini, persuaso di non poter durare così stivati, invitò tutti di seguirlo. E si discese nell’atrio per alla volta della sala di Pepere. E quivi pure non fu possibile rimanere, tanti erano i nuovi intervenuti. Talché il medesimo Settembrini, generoso e volontario Mosè, si diede un’altra volta il fastidio di guidare quelle moltitudini nella sala promessa. Si andò al refettorio dell’attiguo abolito collegio del Salvatore. E lì fu una invasione, non di barbari per lo scopo, ma per i modi, un tantino. Si salì sui banchi, sulle sedie, sui vani delle finestre, dappertutto. E si era pigiati, si moriva dal caldo; ma porro unum est necessarium: ascoltare il de Sanctis. Entra il professore. Però non ebbe detto che poche parole, quando nuova calca irrompeva numerosa e cercava farsi strada ad ogni costo. Erano studenti di filosofia, di giurisprudenza, di matematica, di medicina, che, lasciate cattedre e professori, quivi convenivano. Ci fu un po’ di tumulto. Ma valsero alcune parole concilianti del prof. Pierantoni, il più alto tra le persone autorevoli dell’uditorio, perché si tornasse in calma. E dire che il de Sanctis appartiene all’opposizione parlamentare! E dire che la sua nomina fu tra le più recenti dell’inviso ministro di pubblica istruzione! E con tutto ciò tanta premura, tanto straordinario concorso! C’è da perdere la bussola: i consorti non si sapranno dar pace. Si ruppe l’incanto, la plebe afferra il pontificato de’ patrizii. E come i patrizii romani sarà forza rassegnarsi. Il professore di storia antica, sig. Calvello, dovrà consigliarlo ai proprii colleghi pel loro meglio. |
Un esteso ragguaglio del contenuto della lezione (ma meno dettagliato, comunque, di quello del Torraca), fu poi pubblicato nel numero del 31 gennaio dell'Unità Nazionale a firma di F. F. (forse Francesco Fiorentino, allora docente nell’Università di Napoli).
Iniziando il suo insegnamento, il De S. si proponeva come metodo di lavoro quello di uno studio associato con gli studenti, ciò che oggi diremmo un seminario, allora già praticato nelle università tedesche e svizzere; e come oggetto d’indagine le varie letterature europee nell’età romantica, centro la letteratura italiana (secondo la natura della cattedra occupata). Senonché, per quel che riguarda il primo punto, il De S. dovette ben presto ripiegare sul sistema tradizionale delle lezioni dalla cattedra; e il motivo lo spiegò in seguito lui stesso, in un articolo intitolato La scuola e pubblicato sulla Nuova Antologia dell’agosto 1872:
Ma vidi subito non esser possibile cominciare così. Mancava quella certa uguaglianza di coltura, quella comunione degli spiriti, che renda possibilmente armonico un lavoro collettivo. Di giovani ce n’era troppi, vogliosissimi, con abitudini teatrali, impazienti di sentir cantare il maestro e battergli le mani. Quando dissi a certuni che avrei fatta una lezione sola al mese, mi guardarono in faccia, come avessi detto un grosso sproposito. Il mio sistema richiedeva una modestia e una pazienza di lavoro troppo lontana dalla scuola accademica, quale ancora è oggi. Mi risolvei dunque di cantare anch’io, lavorando la mia lezione tutto solo ed esponendo a’ giovani i risultati del mio lavoro7. |
Il progetto iniziale di un seminario fu tuttavia applicato ad esercitazioni di natura diversa dalle lezioni: temi vari assegnati ai discepoli e poi discussi collegialmente, secondo quanto si ricava dal citato articolo del De S. e dal Libro della scuola di F. De S. curato dal Torraca8, nel quale si possono leggere i nomi dei discepoli partecipanti al seminario, i titoli di alcune esercitazioni e le osservazioni fatte da maestro e scolari sui vari lavori. Quanto al disegno di uno studio comparato delle varie letterature europee, il De S. non ne fece più cenno nelle lezioni successive: e la trattazione si restrinse, anche per gli altri anni, al campo specifico della letteratura italiana nel secolo XIX, a parte gli occasionali richiami ad autori e correnti letterarie d’oltralpe.
Dal citato Libro della scuola possiamo anche ricavare la cronologia delle prime otto lezioni sul Manzoni:
29 gennaio. — Il prof, fa la sua prima lezione. Comincia esponendo l’idea di fondare una ‘ Scuola di lavoro comune ’, come ce ne sono in Germania. Ricorda in seguito gli avvenimenti del principio del secolo XIX, perché della letteratura di esso vorrà trattare in questo anno. Paragona l’ideale del secolo XVIII con l’ideale che sorse al principio del presente secolo; si ferma a determinare che cosa furono il classicismo e il romanticismo in Germania e in Francia, e poi come il romanticismo penetrò in Italia ed ebbe a primo propugnatore Manzoni. Ma l’ideale romantico tedesco non è quello di Manzoni, che non ha il sentimento religioso e la fede dell’ingenuo credente, ne’ suoi Inni. Il prof, determina infine ciò che c’è di vivo e poetico negl’Inni, sceverandolo da quello che ci è di rettorico.
31 gennaio. — Il prof, espone ai giovani i suoi intendimenti a proposito della ‘scuola’ che vuol formare... Dà due temi:... 2°) Intonazione degl’Inni di Manzoni e differenza fra essa e quella del secolo XVIII. 9 febbraio. — Lezione sopra l’Ermengarda, fino alle ore 3 p. m. 19 febbraio. — Il professore discorre del Cinque maggio. 27 febbraio. — Lezione sul Conte di Carmagnola. Il prof, fa un riscontro tra la forma della tragedia classica, quale appare soprattutto in Alfieri, e la forma della tragedia storica manzoniana. Ne fa l’applicazione al Conte di Carmagnola. Accenna alla distinzione di personaggi reali e ideali, e al Coro. Pone a base dell’arte la forma in quanto è manifestazione della vita. Ribatte le critiche dei critici tedeschi sul Carmagnola, procedenti dalle vecchie estetiche fondate sull’ideale e sul bello. 11 marzo. — Il prof, continua a parlare del Carmagnola, esamina la critica che ne fece Chauvet e la risposta di Manzoni. Da questo esame, coordinatamente a’ principi dell’arte esposti nella lezione precedente, cava i criteri del ’ meccanismo ’. Dimostra che le unità di tempo, di luogo e d’azione dipendono dall’ ’unità di situazione’, la quale si ha quando l’insieme è fortemente sentito in tutte le sue parti. Applica queste norme alla tragedia, e fa notare che l’azione si rinchiude nel solo terzo atto, essendo il rimanente discorsi e narrazioni. Ciò costituisce difetto non solo artisticamente, ma anche storicamente, perché gli uomini del Medio Evo parlavan poco e operavano molto; il ripiegarsi dello spirito in sé è cosa de’ tempi moderni: così co’ soliloqui e discorsi si falsa lo spirito della storia. 18 marzo. — Il prof., continuando a parlare del Carmagnola, esamina la benevola critica che ne fece Goethe. Tutto ciò che loda Goethe, c’è ed è meritevole di lode; pure la tragedia è difettosa, perché opera d’intelletto più che di fantasia. Ci manca il sentimento di negazione che dovevano provare Manzoni e i suoi contemporanei allo spettacolo di quella vita ignobile del secolo XV. Questo sentimento si sviluppa nel Coro, che è lo stesso Manzoni, rappresentante delle idee contemporanee di nazionalità e patriottismo. Queste idee sorsero in Manzoni per conseguenza degli avvenimenti in mezzo ai quali la tragedia fu concepita, e di essi il prof, parla a lungo, fermandosi su un frammento di canzone composta da Manzoni quando Murat fece il suo proclama a Rimini. Infine il prof, esamina il Coro e, dimostrando che la lirica è originariamente drammatica, fa vedere come in quello non sono raziocini ma situazioni, per cui Manzoni è il ricostruttore della lirica drammatica in Italia. 25 marzo. — Il prof, parla dell’Adelchi, fermandosi specialmente sul Coro, nel quale apparisce l’ideale del popolo latino, con le sue velleità di antico orgoglio, tra la lotta di due popoli vivi e forti. Spiega la tristezza del Coro, ricordando i tempi tristi per l’Italia, ne’ quali fu scritto. Passa a parlare dei Promessi Sposi, ne espone il disegno, e spiega come Manzoni lo abbia immaginato mercé un felice cambiamento nel meccanismo,ponendo non nell’avvenuto la base della concezione, ma in un fatto inventato a cui dá il contorno la storia lombarda del secolo XVII. Le lezioni furono in tutto diciassette, e si protrassero fino al 14 giugno di quell’anno. Sullo svolgimento dell’ultima lezione e sul commiato del De S. dai suoi scolari, L’Era Novella del 15 giugno forniva questi ragguagli: Ieri l’illustre prof. Francesco de Sanctis compiva il corso delle sue lezioni di questo anno scolastico, facendo un’ultima e magnifica lezione sui Promessi Sposi del Manzoni, che noi pubblicheremo a suo tempo. Le sue ultime parole furono coperte da prolungati e cordiali applausi del solito numeroso uditorio de’ giovani, i quali gli presentarono un foglio firmato per ringraziarlo del modo come egli sa incoraggiare la gioventù, ispirandole forti pensieri, e sentimenti magnanimi, e del grande affetto ch’egli ha per essa. Noi ci associamo volentieri a que’ giovani, perché come essi nel dotto letterato noi ammiriamo l’uomo di gran cuore, due qualità ch’egli sa bene innestare, e che lo rendono a preferenza carissimo agli studiosi, ed a tutti. Ieri sera il Professore partiva per Roma.
Le prime tredici lezioni vennero raccolte dal Torraca e via via pubblicate, otto su La Libertà, a. IV, 1872, nn. 31-89, 31 gennaio-29 marzo; e le altre cinque, avendo La Libertà sospese le sue pubblicazioni, sul Pungolo, a. I, 1872, nn. 103-139, 13 aprile-19 maggio. La prima puntata del nuovo giornale portava in nota quest’avvertenza editoriale: «Questo è il riassunto della nona lezione dell’illustre professore, e che fa seguito a quelle già pubblicate dalla Libertà. Esse destarono nel pubblico intelligente un interesse, che noi abbiamo creduto poter continuare a soddisfare». Intanto L’Era Novella, in seguito alla cessazione delle pubblicazioni da parte della Libertà, aveva affidato ad un «egregio giovane» (per noi non meglio identificato), l’incarico di raccogliere le successive lezioni, secondo quanto si ricava dalla seguente nota editoriale del 9 aprile: «La Libertà suoleva raccogliere e riprodurre le lezioni che l’illustre prof. F. De Sanctis detta nella nostra Università. Avendo quel periodico cessato le sue pubblicazioni, e parendoci un danno che la parola del dotto letterato non avesse più eco fuori la cerchia della scuola, abbiamo commesso ad un egregio giovane di raccogliere le lezioni che verremo man mano pubblicando». Queste lezioni furono regolarmente raccolte e pubblicate sul detto giornale (a. II, 1872, nn. 98-155, 9 aprile-15 giugno), in forma generalmente più succinta, fino alla sedicesima. Quanto alla diciassettesima e ultima, promessa, come s’è visto, nella nota di cronaca del 15 giugno, essa non fu mai pubblicata. La lezione sul Cinque Maggio fu poi ristampata dal Torraca nella Rassegna di Roma, e successivamente da M. Mandalari in opuscolo (Morano, Napoli, 1884; 2ª ediz., ivi, 1894). Ma i risultati di quell’insegnamento furono direttamente condensati dal De S. in quattro lunghi saggi ch’egli venne pubblicando a vari intervalli sulla Nuova Antologia: Il mondo epicolirico di Alessandro Manzoni nel numero del febbraio 1872, vol. XIX, pp. 235-66; La poetica di Manzoni nel numero dell’ottobre 1872, vol. XXI, pp. 231-51; La materia de’ «Promessi Sposi» nel numero dell’ottobre 1873, vol. XXIV, pp. 225-42; I «Promessi Sposi» nel numero del dicembre 1873, vol. XXIV, pp. 742-65. Di questi quattro saggi, il primo fu accolto, con lievissime variazioni, nei Nuovi saggi critici del 1872 (Napoli, Morano) e del 1879 (2ª ediz. aumentata di 12 saggi), e poi sempre riprodotto nelle successive ristampe di quell’opera, tutte stereotipe; il terzo e il quarto vennero ristampati, con rarissime varianti formali certamente non autentiche, nell’edizione diamante dei Promessi Sposi del Barbera (Firenze, 1884: ma l’anno di stampa è il 1883). Degli ultimi due saggi si conserva il manoscritto autografo nella Biblioteca Nazionale di Napoli.
I saggi e alcuni brani di lezioni furono raccolti per la prima volta in una miscellanea di Scritti varii, inediti o rari di F. De S. (Napoli, Morano 1898, voi. I, pp. 1-175) da Benedetto Croce, il quale poté scorrere i numeri de La Libertà e dell’Era Novella, e trascegliervi, largamente ritoccandoli, quei frammenti di lezioni che «o trattano argomenti di cui non si tratta negli studii, o svolgono più ampiamente ciò che in questi è accennato di volo» (p. 4). I brani pubblicati dal Croce furono: la parte finale della prima lezione, riguardante l’analisi degl’Inni; parte della seconda e l’intera terza lezione, su Adelchi ed Ermengarda; l’intera quarta lezione, sul Cinque Maggio; gran parte della sesta lezione, sul coro del Carmagnola, preceduta da un breve sunto della parte precedente; parte dell’ottava lezione, sul primo coro dell’Adelchi; la decima lezione, sulla Morale Cattolica e i Promessi Sposi, largamente condensata nell’ultima parte, nel testo dell’Era Novella; la seconda parte della tredicesima lezione (nel testo dell’Era Novella') e le lezioni quattordicesima e quindicesima, tutte su don Abbondio. Parecchi anni dopo il Gentile curò, per l’editore Laterza, un intero volume desanctisiano dedicato al Manzoni (F. De S., Manzoni, Studi e lezioni, Bari, 1922), inserendovi, oltre che la Prolusione zurighese del 1856 e i quattro saggi del 1872-73, una scelta più larga delle lezioni del ’72, «ancorché ne dovesse qua e là risultare qualche ripetizione, che non m’è sembrata né anch’essa del tutto priva di utilità» (p. IV). Senonché per alcune lezioni il Gentile dovette limitarsi a riprodurre i riassunti forniti dal Croce, essendo ormai irreperibili parecchi numeri di quei giornali. Le novità dell’edizione gentiliana riguardavano: il resoconto della prima lezione pubblicato sull’Unitá Nazionale; gran parte della quinta lezione, sul Conte di Carmagnola; la prima parte della settima lezione, sempre sul Carmagnola; la dodicesima lezione, sulla forma dei Promessi Sposi, e la prima parte della lezione tredicesima, su don Abbondio, nel testo dell’Era Novella. Ma a parte questi acquisti editoriali, il Gentile si potè anche giovare del controllo diretto dei giornali per ciò che riguardava le lezioni sul Carmagnola e le lezioni decima, dodicesima, tredicesima, quattordicesima e quindicesima, rivedute sull’Era Novella. Un sensibile passo in avanti nel processo di recupero dell’intero materiale delle lezioni fu compiuto da Nino Cortese il quale, nel curare il primo volume della Letteratura italiana nel secolo decimonono, interamente dedicato al Manzoni (Napoli, Morano, 1931), riuscì ad ampliare il materiale precedente per quanto concerneva le prime cinque lezioni sui Promessi Sposi, avendo ritrovato nella Biblioteca Lucchesi-Palli di Napoli le copie del Pungolo su cui il Torraca aveva pubblicato, in forma più estesa, gli appunti delle lezioni IX-XIII. Per le altre lezioni il Cortese dovette accontentarsi delle riproduzioni fornite dal Croce e dal Gentile, non avendo potuto ritrovare le copie della Libertà e dell’Era Novella. Ma in un secondo tempo, proseguendo le sue ricerche, il Cortese riuscì a rintracciare presso la Biblioteca Nazionale di Firenze e la Biblioteca Provinciale di Avellino la serie completa del giornale La Libertà, limitandosi peraltro a pubblicare l’intero resoconto della prima lezione e la parte non ancora pubblicata della seconda e della quinta, in F. De S., La poesia cavalleresca - Pagine manzoniane - Scritti vari, vol. unico, Napoli, Morano, 1940, pp. 225-96. Nel medesimo anno Paolo Arcari, fornendo un’edizione commentata di quest’opera (F. De S., Manzoni, Saggi critici Milano, Garzanti) poteva giovarsi del ritrovamento dell’intera serie di numeri dell’Era Novella presso la Nazionale di Firenze. Pochi comunque i sostanziali acquisti editoriali dell’Arcari, se se ne eccettui gran parte della sedicesima lezione (ma vi mancavano una parte della sesta lezione e per intero le lezioni settima, ottava e undicesima; oltre al fatto che l’Arcari si era servito dell’Fra Novella anche per le lezioni pubblicate in più ampia stesura dal Pungolo e già ristampate dal Cortese); ma l’edizione si raccomandava soprattutto per il diretto controllo compiuto dall’editore sul testo dei giornali. Senonché l’intero materiale risultava poi caoticamente distribuito tra capitoli e note, nel discutibile intento di sostituire all’ordine desanctisiano di trattazione un astratto ordine cronologico degli argomenti. Nella nostra precedente edizione (F. De S., La letteratura italiana nel secolo XIX, vol. I, Alessandro Manzoni, Bari, Laterza, 1953) noi adottammo il materiale fornito dal Cortese nel citato volume primo della Letteratura italiana nel secolo decimonono, preoccupandoci di migliorarne il testo, grazie al controllo della Nuova Antologia, dei Nuovi saggi critici nelle edizioni del 1872 e del 1879, dei manoscritti (per i saggi), e delle copie del Pungolo (per le lezioni IX-XIII); ma trascurando i successivi ritrovamenti. A due anni di distanza usciva presso l’editore Einaudi il volume sul Manzoni della Letteratura italiana nel secolo decimonono, a cura di Carlo Muscetta e Dario Puccini (Torino, 1955). Quest’opera si avvantaggiava su tutte le precedenti per la ricchezza del materiale pubblicato: i saggi e le prime quindici lezioni nel loro testo integrale, desunto da La Libertà (le prime otto), dal Pungolo (IX-XIII) e da L’Era Novella (XIV-XV); oltre a una nutrita appendice di appunti sparsi sul Manzoni, di cui daremo conto più oltre. Vi mancava però la sedicesima lezione, già scoperta e pubblicata, come s’è visto, dall’Arcari, sia pure nell’apparato delle note e in una forma disorganica. Una riedizione popolare del volume einaudiano può considerarsi infine il Manzoni a cura di Alberto Asor Rosa e con prefazione di Carlo Muscetta, uscito presso l’editore Feltrinelli nella collana dell’Universale Economica (Milano, 1958): con l’unica novità, rispetto all’edizione maggiore, dell’inclusione di una parte della sedicesima lezione, quella riguardante il personaggio di don Rodrigo. La presente edizione si propone da un lato di colmare le lacune editoriali della nostra precedente, e dall’altro di fornire finalmente agli studiosi i materiali integrali di tutto il primo corso napoletano (salvo la diciassettesima e ultima lezione che non fu pubblicata, come s’è visto) accuratamente controllati sul testo delle pubblicazioni originali. In appendice al volume abbiamo poi riprodotto alcune pagine extra-napoletane sul Manzoni: ossia gli appunti delle lezioni zurighesi del 1858 sul romanzo storico e i Promessi Sposi, raccolti dal discepolo Teodoro Frizzoni, pubblicati per la prima volta da Sergio Romagnoli nella Rivista di Bergamo (dicembre 1954), successivamente ripubblicati nel volume F. De S., Lezioni zurighesi sul Petrarca e altri scritti, a cura di S. Romagnoli (Liviana Editrice in Padova, 1955), e inclusi nelle edizioni Einaudi e Feltrinelli; la lezione zurighese del 1858-59 sul Cinque Maggio. raccolta da Vittorio Imbriani, pubblicata la prima volta dal Cortese nel citato vol. I della Letteratura italiana nel secolo decimonono, quindi da Muscetta e Puccini nelle edizioni Einaudi e Feltrinelli; e infine la conferenza su don Abbondio tenuta a Firenze nel Circolo filologico la sera del 25 novembre 1873, raccolta dallo studente Apollo Lumini e pubblicata sulla Nazione del 3 dicembre 1873, da dove la riprodussero La piccola rivista di Roma del gennaio 1892 (a cura di M. Mandalari), Il Fortunio di Napoli del 31 marzo 1892 e il Corriere di Napoli dell’11-12 maggio 1893: conferenza anch’essa inclusa dal Cortese nel citato volume manzoniano, quindi dall’Arcari in op. cit., da noi nella precedente edizione e da Muscetta e Puccini nelle edizioni Einaudi e Feltrinelli. Restano pertanto escluse da questo volume le lezioni sul Manzoni della prima scuola napoletana e la Prolusione zurighese del 1856 con l’analisi del Marzo 1821: le prime da pubblicarsi assieme alle altre lezioni della prima scuola napoletana nel secondo volume delle Memorie, lezioni e scritti giovanili, in preparazione per questa medesima collezione; la seconda già pubblicata nei Saggi critici a cura di L. Russo, Bari, Laterza. 1952, vol. II. Il materiale del presente volume risulta quindi distribuito in tre sezioni: a) i quattro saggi del 1872-73; 6) le lezioni del 1872; c) un’appendice comprendente le pagine extra-napoletane.
|