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ATTO V. Mentre palpiti ardenti io provo in seno; E di stringerlo forte io già desio In un tenero abbraccio al petto mio. (avvicinandoti) Augusta, io ti saluto! Satiavàti Della stirpe lunare Tu sempre, o mio gran re, tu sii sostegno! * (a sè) Già — senz’averne alcun indizio — pare Che del suo sangue un nobile rampollo . Egli abbia nel garzon riconosciuto. (ad alta voce, ad Ajùs) Egli è tuo padre; a lui volgi un saluto ! [Ajus, congiungendo le mani alla fronte, t’inchina al padre che ha gli occhi pieni dì lagrime']. Pururàvasa. Vivi tu lungamente, o figlio mio I AjÙS (abbracciandolo,] tra ti) Pururàvasa. Satiavàti. Pururàvasa. Satiavàti. Pururàvasa. Satiavàti. Pururàvasa. Satiavàti. Pururàvasa. « Egli è tuo padre ! » Quella pia m’ha detto, Ed io — suo figlio — sou di gaudio pieno; Qual mai di quelli non sarà l’affetto Che vivon sempre alla famiglia in seno? Perchè tu, diva, sei fin qui venuta? Ascoltami, o signor; questo garzone Fu, nato appena, al mio poter commesso, Nè so per qual cagione. Dopo alcun tempo, in tutto Opel che s’addice a Csàtri, e in tutto il resto Dal venerando Ciàvano fu istrutto; Appresa ogni dottrina, A tirar l’arco s’addcstró ben presto-... Si ch’era in buone mani Pur oggi, essendo andato Insicm ad altri di quell'crmo istesso A coglier fiori, c frutta, c legna, ed erbe, Ha il figlio tuo commesso Fallo chc mal s’addice Degli asceti dell’ermo al pio contegno. Chc fece mai? Fè segno Della sua freccia un vùlture rapace, Chc di carne un brandello avea nel rostro, E s’era in sulla cima D’un albero dell’eremo posato Orsù, mi narra; e dopo? Poiché l’evento a Ciàvano fu noto, Ei m’ordinò a tal uopo Di ricondurre a Urvàsi il giovinetto ; E per vederla or venni al tuo cospetto. T’assidi... (l’adagiano sopra un sedile recato dai domestici), Urvàsi, intanto,