Viaggio in Dalmazia/De' Costumi de' Morlacchi/11. Sponsali, gravidanze, parti

11. Sponsali, gravidanze, parti

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§. 11. Sponsali, gravidanze, parti.

È frequentissima cosa anche fra i Morlacchi, che una fanciulla sia chiesta in isposa per un qualche giovane, che abita molte miglia lontano; sì fatti matrimonj si trattano dai vecchiardi delle rispettive famiglie, senza che gli Sposi futuri si siano mai veduti. La ragione di queste ricerche lontane suol essere, più che la mancanza di fanciulle nel villaggio, o ne’ contorni, il desiderio d’imparentarsi con famiglie assai diramate, e celebri per aver prodotto uomini valorosi. Il padre dello Sposo, o altro di lui parente d’età matura va a chiedere la giovane, o per meglio dire una giovane della tal famiglia, non avendo pell’ordinario scelta determinata. Gli vengono mostrate tutte le fanciulle di casa, ed egli sceglie a piacere, rispettando per lo più il diritto della primogenita. Di raro vengono negate le fanciulle richieste; nè si suol molto badare alle circostanze di chi le chiede. Sovente avviene, che un ricco Morlacco dia una delle figliuole al proprio servo, o al colono, come usavasi ne’ tempi Patriarcali; così poco si fa conto delle donne in quelle contrade. In queste occasioni però esse ànno un diritto, cui le nostre desidererebbero d’avere, e giustizia vorrebbe che avessero. Colui che à chiesto la giovane come procuratore, ottenuta che l’abbia, va pello Sposo, e ritorna con esso, onde si veggano l’un l’altro. Quando non si dispiacciano reciprocamente, il matrimonio è concluso. In qualche paese si usa che la giovane vada a vedere la casa, e la famiglia dello Sposo propostole, prima di pronunziare un sì definitivo; ella è in libertà di sciogliere il trattato, ogniqualvolta il luogo, o le persone avessero di che disgustarla. S’ella n’è contenta, ritorna alla casa paterna scortata dal futuro suo Sposo, dai [p. 72 modifica]cognati, e amorevoli della famiglia. Si fissa il tempo delle nozze, giunto il quale lo Sposo unisce i più distinti del parentado, che così raccolti chiamansi Svati, e tutti montati a cavallo, e ben adorni se ne vanno alla casa della fanciulla. Uno degli ornamenti distintivi de’ chiamati a nozze si è il pennacchio di pavone su la berretta. La compagnia è ben armata per rispingere qualunque aggressione, o imboscata, che tendesse a turbare la festa. Di tali improvvisate accadevano spesso ne’ tempi andati, allorchè (per quanto dalle Canzoni Eroiche della Nazione raccogliesi) era in uso, che i varj pretendenti alla mano d’una fanciulla si meritassero la preferenza con azioni valorose, o con prove d’agilità, e destrezza di corpo, e prontezza d’ingegno. In una Canzone antica sopra le nozze del Vojvoda Janco di Sebigne (che fu contemporaneo del celebre Giorgio Castriotich, detto Scanderbegh) i fratelli di Jagna da Temesvvar, ch’egli avea chiesta per moglie, poco ben disposti verso di lui, dopo d’averlo fatto bere più del bisogno, gli propongono de’ giuochi, coll’alternativa di ottenere la Sposa se sapea trarsene con onore, o di restare ucciso se non riusciva nell’eseguirli.

     „ E primamente fuor trassero un’asta,
     „ Che un pomo su la cima avea confitto,
     „ E sì parlaro umanamente: Janco,
     „ Col dardo pungi su quell’asta il pomo,
     „ Che se ferir tu nol potrai col dardo,
     „ Nè di quì partirai, nè omai la testa
     „ Più porterai, né condurrai con teco
     „ La giovane vezzosa. “1

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Un altro giuoco proposto fu il varcare d’un salto nove cavalli, posti l’uno accanto l’altro; il terzo, di conoscere la sua futura sposa fra nove fanciulle coperte da’ loro veli. Janco era ben un valoroso soldato, ma non sapea far di queste galanterie; un suo nipote le fece per lui, e non vi fu che ridire, poichè l’usanza lo permetteva come permette in codesta vostra Isola, Regina dell’Oceano, il pagar un uomo, che faccia alle pugna in cambio dello sfidato. La maniera, con cui Zéculo, il nipote di Janco, indovinò qual fosse la Sposa promessa allo Zio, fra le nove altre giovani, merita d’essere riferita, e d’allungare la mia digressione. Egli distese sul pavimento il manto, che si trasse di dosso, e così in farsetto, dice il Poeta,

                                             „ A par del Sole
               „ Zèculo risplendè folgoreggiante.

Quindi gettovvi sopra una manata d’anella d’oro, e rivoltosi alle giovani velate:

                                             „ Su via raccogli
               „ Le anella d’oro, amabile fanciulla
               „ Tu, che se’ a Janco destinata; e s’altra
               „ Stender la mano ardisse, io d’un sol colpo
               „ Troncargliela saprò col braccio insieme.
               „ Tutte addietro si fer; ma non già addietro
               „ Volle di Janco la fanciulla farsi,
               „ Che l’auree anella si raccolse, e adorna
               „ Ne feo la bianca man.“

Fa d’uopo accordare a Zèculo un talento particolare per conoscere le maschere.

Colui, che dopo questa sorte di prove si trovava escluso dalla pretesa, o posposto ad altri, e non credeva d’esserlo giustamente, cercava di risarcirsi colla vio[p. 74 modifica]lenza, dal che ne seguivano sanguinosi combattimenti. Su le sepolture degli antichi Slavi, che trovansi pe’ boschi, e luoghi deserti della Morlacchia, veggonsi di frequente scolpite a rozzo bassorilievo queste zuffe2.

Condotta alla Chiesa la Sposa velata, e coronata fra gli Svati a cavallo, e compiute le sagre cerimonie, fra gli spari di pistolle, d’archibugi, e urli barbarici, e grida romorose d’allegrezza viene accompagnata alla casa paterna, o a quella dello Sposo se sia poco lontana. Ognuno degli Svati à qualche particolare ispezione, tanto nel tempo della marcia, che in quello del convito, a cui si dà mano subito dopo finite le funzioni della Chiesa. Il Parvinaz precede gli altri tutti, cantando in qualche distanza; il Bariactar va sventolando una bandiera di seta attaccata a una lancia, su la di cui punta è conficcata una mela; i Nariactari sono due, e quattro negli Sposalizj più nobili. Lo Stari-Svat è il principale personaggio della brigata, e suol essere rivestito di questa dignità il più orrevole uomo del parentado. Lo Stacheo è destinato a ricevere gli ordini dello Stari-Svat. I due Siveri, che quando ve n’abbiano deggiono essere i fratelli dello Sposo, servono la giovane. Il Kuum è il Compare al nostro modo d’intendere; Lomorgia, o Seksàna, è il deputato alla custodia della cassa dotale. Ciaus porta una mazza, e tien in ordine la marcia come maestro di ceremonie; egli va cantando ad alta voce: Breberi, Davori, Dobra-srichia, Jara, [p. 75 modifica]Pico, nomi di antiche Deità propizie. Buklia è il coppiere della brigata, così per viaggio, come a tavola. Questi ufizj sono duplicati, e triplicati a tenore del bisogno nelle compagnie numerose.

Il pranzo del primo giorno si fa talora in casa della Sposa, ma per lo più dallo Sposo, all’albergo del quale s’avviano gli Svati dopo la benedizione nuziale. Tre o quattro uomini a piedi precedono la comitiva correndo, e il più veloce di essi à per premio una Mahrama, spezie d’asciuttamani ricamato alle due estremità. Il Domachin, o sia capo di casa, va incontro alla Nuora; prima ch’ella scenda di sella le vien dato un bambino da accarezzare, che si prende ad imprestito dai vicini, se non ve ne fossero in famiglia. Scesa ch’ella è, prima d’entrare in casa s’inginocchia, e bacia la soglia della porta. La Suocera, o in mancanza di questa qualche altra femmina del parentado le presenta un vaglio pieno di varie spezie di grani, e frutta minori, come nocciuole, e mandorle, ch’essa dee spargere sopra gli Svati, gettandosene a manate dietro le spalle. In quel giorno la Sposa non pranza alla tavola de’ parenti; ma ad una mensa appartata co’ due Diveri, e lo Stacheo. Lo Sposo siede alla tavola degli Svati: ma egli non dee per tutto quel dì unicamente consagrato all’unione matrimoniale sciogliere, nè tagliare cos’alcuna. Il Kuum trincia per lui le carni, e ’l pane. Tocca al Domachin il far le disfide del bere; il primo a rispondervi è pella dignità sua lo Stari-Svat. Pell’ordinario il giro della Bukkàra, ch’è un gran bicchiere di legno capacissimo, incomincia religiosamente da un brindisi al Santo Protettore della famiglia, alla Prosperità della Santa Fede, o d’altro nome ancora più d’ogni altro sublime, e venerabile. L’abbondanza più strabocchevole regna in questi conviti, ai quali [p. 76 modifica]però ciascuno degli Svati contribuisce mandando per la parte sua provvigioni. Le frutta, e ’l cacio aprono il pranzo; la zuppa lo chiude, precisamente all’opposto dell’usanza nostra. Fra le vivande prodigamente imbandite v’ànno tutte le spezie d’uccelli domestici, carni di capretti, di agnelli, e selvaggine talvolta: ma di raro vi si trova vitello, e forse mai fra’ Morlacchi non guasti dalla società forastiera. Questo abborrimento dalla carne vitulina è antichissimo presso la Nazione; e ne fa cenno anche San Girolamo, contro Gioviniano3. Il Tomco Marnavich, Scrittore originario di Bosna, che visse nel principio del secolo passato, dice, che „ sino a’ suoi tempi i Dalmati non corrotti dai vizj de’ forastieri si astenevano dal mangiar carne di vitello, come da un cibo immondo“4. Le donne del parentado, se sono invitate, non pranzano già alla mensa de’ maschi, essendo usanza stabilita che mangino sempre in disparte. Il dopo pranzo si passa, al solito delle solennità, in danze, in canti antichi, e in giuochi di destrezza, o d’acutezza d’ingegno. La sera all’ora conveniente, dopo la cena, fatte le tre rituali disfide del bere, il Kuum accompagna il nuovo Sposo all’appartamento matrimoniale, che suoi essere la cantina, o la stalla degli animali, dove appena è arrivato che fa uscire i Diveri, e lo Stacheo, restando egli solo co’ due conjugati. Se v’è preparato un letto migliore che la paglia, egli ve li conduce; e dopo d’avere sciolto [p. 77 modifica]la cintola alla giovane, fa che lo Sposo, ed essa reciprocamente si spoglino. Non è molto tempo, che sussisteva ancora in tutto il suo vigore, l’usanza, che obbligava il Kuum a spogliare intieramente la nuova Sposa; ed è una conseguenza di essa il privilegio, che rimane ancora a questo parente spirituale, di baciarla quantunque volte, e in qualunque luogo la incontri; privilegio, che potrà forse esser piacevole su le prime, ma che dev’essere disgustoso in progresso. Quando gli Sposi sono in camicia il Kuum si ritira, e sta coll’orecchio alla porta, se pur v’è porta. A lui tocca dar l’annunzio dell’esito de’ primi abbracciamenti, e lo fa con uno sparo di pistolla, a cui fanno eco parecchi degli Svati; ma se lo Sposo trova qualche facilità non aspettata, (quando sia bastevolmente smaliziato per avvedersene) la festa è turbata. Non si fa però il romore, cui fanno in simili casi gli Ukrainesi da’ quali i Morlacchi nostri sono in questo caso un po’ differenti, quantunque in pieno abbiano con essi una grandissima conformità di vestito, di costumi, di dialetto, e persino d’ortografia. Colà usano di portare in trionfo la camicia della nuova Sposa il giorno dopo le nozze con molta solennità; e maltrattano bruttamente la Madre, se la verginità della giovane si trovasse sospetta. Uno degli scherni, cui usano di fare alla custode poco attenta, si è il versarle da bere in un vaso forato nel fondo5.

I due Diveri, e Stacheo licenziati dal luogo destinato al rusticano Imeneo, in pena d’avere abbandonata la giovane alla loro custodia affidata, sono obbligati a [p. 78 modifica]rispondere ad una disfida lustrale, se vogliono essere riammessi fra gli Svati. La Rakia, o acquavite si consuma prodigamente in sì fatte occasioni. Il dì seguente la Sposa, deposto il velo, e la berretta verginale, col capo scoperto assiste alla tavola degli Svati, ed è costretta ad ascoltare gli equivoci più grossolani, e le brutalità più ubbriachevoli dai convitati, che si credono in questi casi liberi dai ceppi della decenza loro abituale su certi propositi.

Queste feste nuziali, dette Zdrave dagli antichi Unni, sono chiamate Zdravize da’ nostri Morlacchi, d’onde certamente è derivata la voce Italiana stravizzo; elleno durano tre, sei, otto, e più giorni secondo il potere, o l’indole prodiga della famiglia, che dee farle. La novella Sposa ritrae de’ profitti considerabili in que’ giorni d’allegria, e quindi si forma il suo picciolo peculio; da che in dote non suol portare, che le proprie robbe, e una vacca: spesso accadendo, che i parenti di essa, invece di darne, ritraggano denaro dallo Sposo. Ella porta ogni mattina l’acqua alle mani degli Ospiti, ciascuno de’ quali dopo d’essersi lavate dee gettare qualche moneta nel catino; ed è ben giusto, che paghino qualche cosa allorchè si lavano coloro, che stanno talvolta de’ mesi interi senza mai farlo. L’uso accorda alle Spose la libertà di far delle burle agli Svati, nascondendo loro le Opanke, i berretti, i coltelli, o altre simili cose di prima necessità, cui deggiono riscattare con una somma di denaro tassata dalla compagnia. Oltre alle sopraccennate contribuzioni volontarie, e all’estorte, deve per rito ciascuno di essi far un regalo alla Sposa, che dal canto suo corrisponde con presentuzzi l’ultimo giorno delle Zdravize. Il Kuum, e lo Sposo portanli sopra sciable sguainate dinanzi al Domachin, che li distribuisce per ordine a tutti gli Sva[p. 79 modifica]ti, consistono pell’ordinario in camicie, moccichini, mahrame, berretti, e altre tali coserelle di poco valore.

I riti nuziali sono quasi precisamente gli stessi per tutto il vasto paese abitato dai Morlacchi, nè di gran lunga dissimili si praticano anche da’ contadini Isolani, e da’ litorali dell’Istria, e della Dalmazia. Fra i tratti di varietà, che vi s’incontrano è notabile quello dell’Isola di Zlarine, nelle acque di Sebenico, dove lo Stari-Svat (che può essere, ed è sovente difatti briaco), nel momento, in cui la Sposa si dispone ad andare col marito, le deve levar dal capo la corona di fiori con un colpo di sciabla nuda. Sull’Isola di Pago, in Quarnaro, nel Villaggio di Novaglia (dov’era probabilmente la Gissa degli antichi Geografi) v’è un’usanza più comica, e meno pericolosa, bench’egualmente selvaggia, e brutale. Quando un nuovo Sposo è per condurre seco la fanciulla, a cui dee legarsi indissolubilmente, il Padre, o la Madre di essa nell’atto di consegnargliela, gli fanno con molta caricatura l’enumerazione delle di lei male qualità! „Giacchè tu la vuoi, sappi, ch’ella è dappoco, caparbia, ostinata, ec.“ Lo Sposo allora rivolgendosi alla giovane in atto sdegnoso: „Oh! dacch’ella è così, le dice, io ti farò ben mettere il cervello a partito!“ e fra queste parole le sciorina qualche buona ceffata, un pugno, un calcio, o tal altra gentilezza, che non manca talvolta di coglierla, perchè il rito non sia di sola figura. In generale sembra, per quanto dicono, che le donne Morlacche, e le Isolane ancora, trattone le abitanti delle Città, non disamino qualche bastonata da’ loro mariti, e sovente anche dagli amanti.

Nei contorni di Dernish le nuove Spose, durante il primo anno del matrimonio, sono in dovere di baciar tutti i conoscenti Nazionali, che giungono alla loro ca[p. 80 modifica]sa; dopo questo termine, l’uso le dispensa da tal complimento: come se l’intollerabile sporchezza, a cui s’abbandonano pell’ordinario, le rendesse indegne di praticarlo. Fors’è ad un tempo causa, ed effetto questo loro sudiciume della maniera umiliante, con cui vengono trattate dai mariti, e da’ parenti. Essi non le nominano giammai, parlando con persona rispettabile, senza premettere l’escusatoria con vostra sopportazione; il più colto Morlacco, dovendo far menzione della moglie sua, dice sempre, da prostite, moia xena, „vogliate perdonarmi, mia moglie.“ Que’ pochi, che ànno una lettiera, su cui dormire nella paglia, non vi soffrono già la moglie, che dee dormire sul pavimento, e ubbidire soltanto quando è chiamata. Io ò dormito più volte in casa di Morlacchi, e sono stato a portata di veder quasi universalmente praticato questo disprezzo al sesso femminino, che se lo merita colassù, dove non è punto amabile, o gentile, anzi deforma, e guasta i doni della Natura.

Le gravidanze, e i parti di queste femmine sarebbero cosa nuova fra noi, dove le Signore patiscono tanti languori, e sì lunghe debolezze prima di sgravarsi, ed ànno d’uopo di tante circospezioni dopo la grand’operazione. Una Morlacca non cangia cibo, non intermette fatica, o viaggio per esser gravida; e spesso accade ch’ella partorisca nel campo, o lungo la via da per se sola, che raccolga il bambino, e lo lavi alla prim’acqua che trova, se lo porti in casa, e ritorni il dì seguente a’ consueti lavori, o al pascolo delle sue greggie. Anche se nascono in casa, i bambini sono per inveterato costume della Nazione lavati nell’acqua fredda; e posson ben dire di se i Morlacchi ciò, che gli antichi abitatori d’Italia:

          Durum a stirpe genus natos ad flumina primum
          Deferimus, savoque gelu duramus, & undis.

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Nè il bagno freddo produce que’ cattivi effetti ne’ bambini che si diè a credere dovessero venirne il Sig. Mochard, che l’uso degli Scozzesi, e Irlandesi de’ giorni nostri disapprova come pregiudicevole ai nervi, e le immersioni degli antichi Germani taccia di superstiziose, e figlie d’ignoranza6.

Le creaturine così diligentemente raccolte, e morbidamente ripulite, sono poscia involte in miserabili cenci, da’ quali stanno riparate alla peggio pello spazio di tre, o quattro mesi; dopo di questo termine si lasciano andare a quattro gambe per la capanna, e pe’ campi, dove acquistano insieme coll’arte di camminare in due piedi quella robustezza, e sanità invidiabile, onde sono dotati i Morlacchi, e che li rende atti ad incontrare le nevi, e i ghiacci più acuti a petto scoperto. I fanciulli succhiano il latte materno sino a tanto che una nuova gravidanza lo faccia mancare; e se il ringravidamento tardasse quattro, e sei anni, per tutto questo tempo eglino ricevono nutrimento dal seno della Madre. Non dee dopo tutto questo esser creduto favola, ciò che si racconta della prodigiosa lunghezza delle zinne Morlacche, le quali possono dar latte ai bambini per di dietro alle spalle, non che per di sotto alle braccia.

Tardi usano di mettere le brache ai fanciulli, che vanno talvolta col loro camiciotto lungo sino al ginocchio nell’età di tredici, e quattordici anni, spezialmente verso il confine della Bossina, seguendo l’usanza comune del paese soggetto alla Porta, dove i sudditi non pagano il Haraz, o capitazione, se non quando [p. 82 modifica]portano calzoni, essendo prima di quel tempo considerati come ragazzi incapaci di lavorare, e di guadagnarsi il vitto.

Nell’occasione de’ parti, e particolarmente de’ primi, tutti i parenti, ed amici mandano regali di cose da mangiare alla puerpera, e di questi si fa poi una cena detta Bàbine. Le puerpere non entrano in Chiesa se non dopo quaranta giorni, previa la benedizione lustrale.

La prima età dei fanciulli Morlacchi si passa fra’ boschi a guardia delle mandre, o delle greggie. Ogni sorta di lavori escono lor dalle mani, e in quell’ozio s’addestrano a farne con un semplice coltello. V’ànno delle tazze di legno, e degli zufoli adornati di bassorilievi capricciosi, che non mancano di aver un merito, e provano abbastanza la disposizione di quella gente a cose più perfette.

  1. Questa Canzone non passa per esattamente Storica, ma sempre serve a far conoscere le usanze di que’ tempi, e il carattere della Nazione.
  2. Ve n’ànno spezialmente nel bosco fra Gliubuski, e Vergoraz, su le sponde del Trebisat, lungo la via militare, che da Salona conduceva a Narona. A Lovrech, a Cista, a Mramor, fra Scign, e Imoski, se ne veggono pur molte. Ve n’à una isolata a Dervenich in Primorje, detta Costagnichia-greb; così a Zakuçaz, dove dicesi eretta sul luogo del combattimento.
  3. At in nostra Provincia scelus putant vitulos devorare D. Hier. Contra Jovin.
  4. Ad hanc diem Dalmatae, quos peregrina vitia non infecere, ab esu vitulorum non secus ac ab immunda esca abhorrent. Jo. Tomc. Marn. in Op. ined. De Illyrico, Cæsaribusque Illyricis.
  5. Queste usanze sono comuni a tutto il paese Russo.
  6. Memoires de la Soc. Oecon. de Berne, an. 1764. III partie.