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però ciascuno degli Svati contribuisce mandando per la parte sua provvigioni. Le frutta, e ’l cacio aprono il pranzo; la zuppa lo chiude, precisamente all’opposto dell’usanza nostra. Fra le vivande prodigamente imbandite v’ànno tutte le spezie d’uccelli domestici, carni di capretti, di agnelli, e selvaggine talvolta: ma di raro vi si trova vitello, e forse mai fra’ Morlacchi non guasti dalla società forastiera. Questo abborrimento dalla carne vitulina è antichissimo presso la Nazione; e ne fa cenno anche San Girolamo, contro Gioviniano1. Il Tomco Marnavich, Scrittore originario di Bosna, che visse nel principio del secolo passato, dice, che „ sino a’ suoi tempi i Dalmati non corrotti dai vizj de’ forastieri si astenevano dal mangiar carne di vitello, come da un cibo immondo“2. Le donne del parentado, se sono invitate, non pranzano già alla mensa de’ maschi, essendo usanza stabilita che mangino sempre in disparte. Il dopo pranzo si passa, al solito delle solennità, in danze, in canti antichi, e in giuochi di destrezza, o d’acutezza d’ingegno. La sera all’ora conveniente, dopo la cena, fatte le tre rituali disfide del bere, il Kuum accompagna il nuovo Sposo all’appartamento matrimoniale, che suoi essere la cantina, o la stalla degli animali, dove appena è arrivato che fa uscire i Diveri, e lo Stacheo, restando egli solo co’ due conjugati. Se v’è preparato un letto migliore che la paglia, egli ve li conduce; e dopo d’avere sciolto

  1. At in nostra Provincia scelus putant vitulos devorare D. Hier. Contra Jovin.
  2. Ad hanc diem Dalmatae, quos peregrina vitia non infecere, ab esu vitulorum non secus ac ab immunda esca abhorrent. Jo. Tomc. Marn. in Op. ined. De Illyrico, Cæsaribusque Illyricis.