Viaggio in Dalmazia/De' Costumi de' Morlacchi/12. Cibi
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§. 12. Cibi.
Il latte in varj modi rappreso è il nudrimento più comune de’ Morlacchi; eglino usano di farlo agro coll’infondervi dell’aceto, e ne riesce una spezie di ricotta oltremodo rinfrescante; il siero di questa è bevanda graditissima da loro, e non disgustosa anche a un palato straniero. Il cacio fresco fritto nel burro è il miglior piatto, cui sappiano preparare all’improvviso per un Ospite. Di pane cotto alla nostra foggia non ànno grand’uso; ma sogliono farsi delle stiacciate1 di miglio, d’orzo, di gran Turco, di saggina, e di frumento ancora se siano benestanti; queste stiacciate cuociono di giorno in giorno su la pietra del focolare, ma quelle di frumento rare volte si mangiano nelle capanne de’ poveri. I cavoli cabusi inaciditi, de’ quali fanno la maggior possibile provvigione, le radiche, ed erbe esculente, che trovansi pe’ boschi, o pelle campagne, servono loro sovente di companatico poco costoso, e salubre: ma l’aglio, e le scalogne sono il cibo più universalmente gradito dalla Nazione, dopo le carni arroste, pelle quali ànno trasporto; ogni Morlacco caccia molti passi dinanzi a se gli effluvj di questo suo alimento ordinario, e s’annunzia di lontano alle narici non avvezze. Mi ricordo d’aver letto, non so dove, che Stilpone rimproverato d’esser andato al Tempio di Cerere dopo d’aver mangiato dell’aglio, il che era vietato, rispose „ dammi qualche altra miglior cosa, e io lascierò di mangiarne“. I Morlacchi non farebbero questo patto; e se lo facessero potrebb’essere, che se n’avessero da pentire. È probabile, che l’uso di questi erbaggi corregga in parte la mala qualità dell’acque de’ serbatoj fangosi, o de’ fiumi impaludati, da’ quali molte popolazioni della Morlacchia sono in necessità d’attingere nel tempo di state, e contribuisca a mantener lungamente robusti, e vegeti gl’individui. V’ànno difatto vecchi fortissimi, e verdi in quelle contrade, e io penderei a darne una parte di merito, anche all’aglio, checchè ne possano dire i partigiani d’Orazio. M’è sembrato stranissimo, che facendo i Morlacchi tanto consumo di cipolle, scalogne, ed agli, non ne mettano nelle loro vaste, e pingui campagne, e si trovino costretti d’acquistarne d’anno in anno per molte migliaja di ducati dagli Anconitani, e Riminesi. Sarebbe per certo una salutare violenza o, per megljo dire, un tratto di paterna carità quello, che li costringesse a coltivare questi prodotti. Io desidererei, che fosse proposto almeno questo modo di risparmiare somme considerabili; da che sarebbe deriso chi proponesse d’invitarli co’ premj, ch’è pur il modo più facile d’ottenere ogni cosa in fatto d’Agricoltura.
Lo zelo d’uno de’ passati Eccellentissimi Generali in Dalmazia introdusse nelle campagne della Morlacchia la seminagione della Canape, che non vi fu poi con egual vigore sostenuta: ma il vantaggio riconosciuto à indotto molti Morlacchi, a continuarne volontariamente la coltivazione, ed è certo, che da quel tempo in poi spendono qualche minor porzione di denaro nelle tele forastiere, avendo qualche telajo in paese. Perchè non potrebbono pigliar più facilmente il genio della seminagione d’una pianta, ch’è di quotidiano lor uso, e divenuta quasi di prima necessità? La frugalità, e la vita faticosa, congiunta alla purità dell’aria fanno, che in Morlacchia, e particolarmente sul dorso delle montagne, v’abbia un gran numero di macrobj. Io non ò però con tutto questo cercato di un qualche Dandone2: ma a traverso dell’ignoranza, che vi regna anche degli anni proprj, mi è sembrato di vedere qualche vecchione quasi paragonabile al celebre Parr.