Vangeli apocrifi/Introduzione/I Vangeli apocrifi

Introduzione - I Vangeli apocrifi

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II. I VANGELI APOCRIFI


Oltre le opere d’insieme citate sopra, vedi:

C. De Tischendorf, Evangelia apocrypha, ed. altera, Lipsiae, 1876; Id. De evangeliorum apocryphorum origine et usu, Hagae Comitum 1851; B. H. Cowper, The apocryphal Gospels and other documents relating to the history of Christ. Translated from the originals, 6ª ed., New-York 1897; A. Resch, Agrapha, aussercanonische Schriftfragmente, 2 Aufl. (Texte u. Unters. 30, 3-4), Leipzig 1906; E. Preuschen, Antilegomena. Die Reste der aussenkan. Evangelien u. urchristl. Ueberlieferung, Giessen 1905; E. Buonaiuti, Detti extracanonici di Gesù, Roma 1925; Cn. Michel E P. Peeters, Evangiles apocryphes, Paris, vol. I (2ª ed.) 1924, vol. II 1914 (contiene solo i Vangeli dell’infanzia); M. Nicolas, Études sur les Evangiles apocryphes, Paris 1866; J. Variot, Les Évangiles apocryphes: histoire litter., forme primitive, transformations, Paris 1878; J. Chrzaszcz, Die apokr. Evangelien, insbes. das Evang. sec. Hebr., Progr. Gleiwitz 1888; J. H. Ropes, Die Spruche Jesu, die in den kan. Evangelien nicht überliefert sind. Eine krit. Bearbeitung des von D. A. Resch gesammelten Materials (Texte u. Unters. 14, 2), 1896; J. Hoyer, Die apokryphischen Evangelien auch [p. xii modifica]ein Beweis für die Glaubwürdigkeit der Kanonischen, Halberstadt 1898-1899; F. Haase, Literarkritische Uniersuchungen zur orientalisch-apokryphen Evangelienliteratur, Leipzig 1913; A. F. Findlay, Byways in early Christian literature. Studies in the uncanonical Gospels and Acts, Edinburgh 1923; R. A. Hormannn, Das Leben Jesu nach den Apokryphen in Zusammenhang aus den Quellen erzählt u. wissensch. untersucht, Leipzig 1851; A. Tappehorn, Ausserbiblische Nachrichten oder die Apokryphen über die Geburt, Kindheit und das Lebensende Jesu u. Maria, Paderborn u. München, 1855; B. Pick, The life of Jesu according the extra-canonical sources, 1887; Id. Extracanonical life of Christ, London 1903; J. De Quiner Doonehoo, Apocryphal Gospels. The apocryphal and legendary life of Christ, New-York 1903; W. Bauer, Das Leben Jesu, im Zeitalter der neutestam. Apokryphen, Tüb. 1909; Rohault de Fleury, L’Evangile. Études iconographiques et archéologiques, Tours 1874; A. De Vaal, Die Apokryphen Evangelien in der altchristl. Kunst, in «Römische Quartalschr.» 1887, p. 173 ss., con un Nachtrag. p. 273; N. Prokovsei, Il Vangelo ne’ monumenti bizantini e russi (è scritto in russo), Mosca 1892; W. Von Dosschütz, Christusbilder; Untersuchungen zur christl. Legende (Texte u. Unters. 18), Leipzig 1899; J. E. Weiss-Liebesdorf, Christus und Apostelbilder. Einfluss des Apokryphen auf die älteste Kunsttypen, Freiburg i. Br. 1902; G. Millet, Recherches sur l’iconographie de l’Évangile aux XIV, XV, XVI siècles d’après les monuments de Mistre, de la Macedoine et du Mont Athos, Paris 1916.

A

De’ vangeli apocrifi più antichi, alcuno de’ quali fu per così dire in concorrenza con i vangeli canonici, scarsi frammenti son giunti sino a noi, e di parecchi il nudo nome. Ciò si spiega facilmente, atteso il carattere più o meno eretico di tutti.

1. Il Vangelo secondo gli Ebrei, che san Girolamo († 420) trovò tra i Nazarei di Berea (Aleppo) e poi anche nella biblioteca di Cesarea (probabilmente lo stesso esemplare, che aveva avuto tra mano Eusebio († c. 340), era scritto in aramaico, ma con lettere ebraiche: «caldaico quidem syroque sermone, sed hebraicis litteris scriptum est» (Contra Pelag. III, 2). San Girolamo ne pubblicò, a quanto egli afferma (De vir. ill. c. 2), una traduzione greca e una latina1; ma l’una e l’altra andaron perdute al pari dell’originale2. Sicché per la conoscenza del Vangelo secondo gli Ebrei non ci restano se non le citazioni di Girolamo, di Origene (185-254) e qualche altro scarso vestigio. È assai probabile che già Ignazio († 107) citi un passo del nostro apocrifo in ad Smyrn. 3, 2-33; ad esso si riferiscono senza dubbio Egesippo presso (Eus. IV, 22, 7) nella seconda metà del II sec. e Clemente Alessandrino circa il 200 (Strom. II, 9, 45; V, 14, 96), nonché gli scòlii greci “τὸ [p. xiii modifica]Ἰουδαϊκόν” in alcuni codici di San Matteo. Secondo il catalogo di Niceforo, comprendeva 2200 stichi (il Matteo canonico 2500). Molti antichi, compreso Girolamo, videro nel Vangelo secondo gli Ebrei l’originale aramaico di S. Matteo; e tra i moderni non manca chi, come lo Zahn, sostenga energicamente tale sentenza. Certo, sembra assai ovvio veder in quel vangelo i famosi Λόγια di Papia, sia pure con modificazioni e interpolazioni. Altri tuttavia ritiene che il Vangelo secondo gli Ebrei sia posteriore ai nostri Sinottici e ne dipenda (cfr. più sotto anche lo Schmidtke). Altri, escludendo tale dipendenza dai Sinottici, ei vede un antico rappresentante d’una tradizione giudeo-cristiana, parallela a quella di Matteo e Luca.

Accanto al Vangelo secondo gli Ebrei usato dai Nazarei, Sant’Epifanio († 403) ne conosce un altro, in uso presso gli Ebioniti, ch’essi attribuivano parimenti a S. Matteo e chiamavano «Ebraico» o «secondo gli Ebrei», e ch’egli riconosce infatti per il Vangelo di S. Matteo, non. integro però, ma falsificato e mutilo4. Si tratta forse non d’un vangelo diverso, ma d’una recensione diversa gnostico-ebionita (fine del II secolo) del vangelo de’ Nazarei5. Si ritiene poi comunemente che questo vangelo ebionita, in veste greca, s’abbia ad identificar nella sostanza col Vangelo secondo i XII Apostoli, ricordato come eretico da Origene (hom. I in Lucam) e da altri6.

Ma non tutti son di quest’avviso. Lo Schmidtke per esempio distingue tre vangeli ben diversi: 1º il Vangelo de’ Nazarei, che sarebbe un rifacimento o targum aramaico del Matteo, scritto originariamente in greco (Papia avrebbe preso un grosso abbaglio!), il τὸ Ἰουδαϊκόν citato dalle glosse ne’ codici di Matteo. — 2º il Vangelo degli Ebrei, cioè il vangelo ebionita ricordato da Epifanio, composto originariamente in greco verso la fine del II secolo. — 3º il Vangelo de’ Dodici, infetto di parsismo, in uso presso alcuni gruppi gnostici, pagano-cristiani, di Siria. È la tesi di tre vangeli diversi e propugnata anche dal Waitz nella recente edizione dei Neutestamentliche Apokryphen del Hennecke (p. 10 sgg.), ma non allo stesso modo dello Schmidtke. Il Vangelo de’ Nazarei, infatti, non dipenderebbe dal Matteo canonico; sì bene da un Matteo greco primitivo, ch’è la fonte a un tempo così del nostro Matteo, come del vangelo aramaico de’ Nazarei. Il Vangelo degli Ebioniti, ossia il Vangelo dei Dodici sarebbe il vangelo eretico giudeo-greco ricordato da Epifanio (conosciuto già da Clemente Alessandrino e Origene e citato Hier. c. Pel. III, c), il cui influsso fu poi vivo negli scritti pseudo-clementini: un vangelo greco derivato da’ vangeli sinottici e soprattutto da Matteo, con cui ha la massima affinità (accanto a notevoli divergenze), non però dal Matteo canonico, sibbene dal Protomat[p. xiv modifica]teo, così dalla fonte greca del Vangelo de’ Nazarei. Il Vangelo degli Ebrei, al quale si riferiscono specialmente Clemente Alessandrino e Origene, ch’è assai lontano per contenuto e carattere dal Matteo canonico, è un derivato, sembra, dal Vangelo de’ Dodici, rifuso sotto l’influsso dello spirito ellenico in opposizione al pagano-cristiano-encratistico vangelo secondo gli Egiziani si ricollega con i Λόγια Ἰησοῦ del papiro d’Oxyrh. 654, di cui sarebbe la fonte (una parola del Signore attribuita da Clemente Alessandrino al Vangelo degli Ebrei ricorre assai chiaramente in quei Λόγια) ed è l’opera probabilmente, d’un giudeo-cristiano d’Egitto, scritta in greco verso la metà del II secolo. A questo vangelo si riferisce Niceforo nella sua sticometria. E ad esso va ricollegato il frammento copto che B. Burch ha pubblicato di recente, tolto dalla traduzione copta d’un dialogo o sermone del vescovo Cirillo di Gerusalemme (The Gospel according to the Hebrews: some new matter chiefly from Coptic source in Journ. of theol. Studies 1920, p. 310 sgg.).

          Vedi oltre gli autori citati nella bibliografia generale sui vangeli apocrifi (p. X), E. B. Nicholson, The Gospel according to the Hebrews, its fragments translated and annotated with a critical analysis of the external and internal evidence relating to it, London 1879 (si tratterebbe di un vangelo scritto da Matteo, ma dopo il Vangelo greco composto parimenti da lui; cfr. la risposta del Hingenfeld, Das Hebräerevangelium in England, «Ztschr. f. wiss. Theol.» 1884, p. 188-194); B. Handmann, Das Hebräerevangelium. Ein Beitrag zur Krit. u. Gesch. des hebr. Mt. (Texte u. Unters. 5, 3), Leipzig 1888, dove si troverà elencata la bibliografia più antica (il Vangelo secondo gli Ebrei non sarebbe propriamente base del Matteo aramaico, ma una fonte tuttavia a cui Matteo come Luca hanno attinto. Cfr. Hilgenfeld, Das Hebr.-Evang. und sein neuster Bearbeiter in «Ztschr. f. wiss. Theol.» 1889, p. 280-302, e K. F. Nösgen in «Ztschr. f. kirchl.» Wissensch. u. k. Leben 1889, p. 499-519; 561-578; S. A. Fries, Det fjärdt Evangeliet och Hebreerevangeliet, Stoccolma 1898; Wernle, Die synoptische Frage, Tüb. 1899, p. 248 ss.; Vernon Cartlet in Contemporany Review, jan. 1905; Rouvanet, Étude exégetique et critique de l’évangile des Hebreux (Thèse), Cahors 1904; A. S. Barnes, The Gospel according to the Hebrews in «The Journal of theol. Studies», VI, 1905, p. 356-371; A. Schmidtke, Neue Fragmente und Unters. zu den Judenchristl. Evangelien (T. u. U. 37, 1), Leipzig 1911 (cfr. Revue biblique 1912, p. 587 ss.); J. Wellhausen, Einleitung in die drei ersten Evangelien, 2 Aufl. Berlin 1911, p. 107-118; H. Waitz, Das Evang. der 12 Apostel in «Ztschr. f. die neutest. Wiss.» XIII, 1912, p. 338-348; XIV, 1913, p. 38-64; 117-132; Lagrange, L’Évangile selon les Hebreux in «Revue biblique» XXXI, 1922, n. 2-3; R. Dunkerley, The Gospel according to the Hebrews in «Expos. Times» XXXIX, luglio e agosto 1928, p. 437-442 e 490-495. [p. xv modifica]

2. Il Vangelo secondo gli Egiziani è forse il più antico dei vangeli gnostici. E ricordato da Clemente Alessandrino (c. 150-215), che ne cita forse solo di seconda mano7 alcune parole del Signore, di cui abusavano gli Encratiti; da Origene, che rileva espressamente il carattere eretico 8; dai Philosophoumena (V, 7) d’Ippolito († c. 235) come usato dai gnostici Naasseni; e più tardi (c. il 376) da Epifanio, che vi accenna una volta (haer. LXII, 2), facendoci sapere ch’era in uso presso i Sabelliani9. Da esso, secondo alcuni, sarebbe tolta anche la più gran parte delle citazioni evangeliche della così detta seconda epistola di Clemente (seconda metà del II sec.)10; ma dato il carattere indubbiamente eterodosso dell’apocrifo11 è poco verosimile. Le maggiori affinità, se pure è dato giudicarne dagli scarsi frammenti12, sembra le avesse col vangelo di S. Matteo. Come data di composizione può stabilirsi la metà del II secolo. La patria d’origine è con ogni probabilità l’Egitto, come insinua il titolo; altri tuttavia propende per Antiochia.

     Cfr. Scheckenburger, Ueber das Ev. der Aegyptier. Ein historisch-kritischer Versuch, Bern 1834 (sostiene che il Vangelo sec. gli Egiz. è una recensione ebionita egiziana del Vangelo sec. gli Ebrei); Resch in «Ztschr. f. kirchl. Wissensch. u. Leben» IX, 1888, p. 232245; D. Völter, Petrus Evangelium oder Aegypterevangelium? Tüb. 1893 (il Vangelo sec. gli Egiz. sarebbe un rifacimento del Vang. di Pietro); Deissmann in «Theol. Literaturzeit.» 1901, col. 72.92 s., (su alcune presunte reliquie del Vangelo secondo gli Egiziani); M. Zappalà, L’encratismo di Giulio Cassiano e i suoi rapporti con il Vangelo apocrifo sec. gli Egiz., in «Studi filos. e relig.» III, 1922, n. 4.

3. Il Vangelo di Pietro (τὸ λεγόμενον κατὰ Πέτρον εὐαγγέλιον) è ricordato come in uso presso i Docetizzanti di Rhossos (Siria) e non in tutto ortodosso, in una lettera di Serapione vescovo d’Antiochia (e. 200) presso Eusebio Hist. eccl. VI, 12, 2 ss.; poi è menzionato da Origene in Matth. X, 17 (ἐκ παραδόσεως ὁρμώμενοι τοῦ ἐπιγεγραμμένου κατὰ Πέτρον εὐαγγελίου), e figura tra gli scritti rigettati del così detto decreto Gelasiano: cfr. Eus. H. e. III, 3, 2; 25, 6; Hier. De vir. ill. I; e più tardi Theodor. Haer. fab. comp. II, 2 (la cui notizia, che il Vangelo di Pietro fosse in uso presso i Nazarei, sembra dovuta a una delle non rare confusioni di questo scrittore). C’era, si può dire, affatto sconosciuto sino alla scoperta (inverno 1886-7) d’una vecchia pergamena (VIII-IX sec.) nel sepolcro d’un monaco cristiano di Akhmîm nell’alto Egitto; la quale ci ha rimesso in possesso d’un notevole brano del Vangelo di Pietro, relativo agli ultimi fatti della passione e della risurrezione di Cristo13. L’apocrifo d’origine probabilmente siriaca, [p. xvi modifica]appare come una libera e popolare compilazione dai vangeli canonici 14 con accentuato carattere apologetico, non sempre felice e con barlumi qua e là di tendenze gnostico-docetiche, se pur non si tratta di un semplice enfatismo di gusto popolare. Appartiene con ogni probabilità alla prima metà del II secolo: che Giustino l’abbia conosciuto e usato (Apol. 1, 35; Dial. 106, ecc.) non è certo, ma c’è ragione di crederlo. Recentemente anche altri frammenti e notizie sono stati attribuiti al Vangelo di Pietro; ma si tratta di congetture15.

     Cfr. U. Bouriant, Fragments du texte grec du livre d’Enoch et de quelques écrits attribués à saint Pierre (Mémoires publiées par les membres de la Miss. archéol. frane. du Caire, IX, 1), Paris 1892 (è l’editio princeps); A. Robinson e M. Rh. James, The Gospel according to Peter and the Rev. of P., London 1892; A. Lods, Evangelii sec. Petrum et Petri Apocalypseos quae supersunt, Paris 1892; L’Evangile et l’Apocalypse de Pierre publiées pour la première fois d’après la photogr., Paris 1893; H. B. Swete, The Akhmîm Fragment of the apocryphal Gospel of St. Peter, London 1893; J. Kunze, Das neuaufgefundene Bruchstück des Petrusev., Leipzig 1893; X. Funk, Fragmente des Evangeliums und der Apokalypse des Petrus in «Theol. Quartalschr.» LXXV, 1893, p. 255-288; Von Gerhardt, das Ev. u. des Apok. des Petrus, Leipzig. 1893; A. Harnack, Bruchstücke des Evang. u. Apok. des Petrus, (Texte u. Unters. IX, 2), Leipzig 1893, 2ª ed. 1898; Mc. Giffert, The Gospel of Peter (Papers of the American Society of Church Hist. VI, 1894, p. 99-130); Balion, Het evang. en de openharing von Petrus, Utrecht 1896; H. von Schubert, Die Composition des pseudopetr. Evangelien fragments, Erl. u. Leipzig 1893; Id., Das Petrusevangelium, 1893; Th. Zahn, Das Ev. des Petrus, Erl. u. Leipzig 1893; H. von Soden, Das Petrusevangelium und die kan. Evangelien, in «Ztschr. f. Theol. u. Kirche» III, 1893, p. 52-92; D. Völter, Petrusevang. oder Aegypterev., Tüb. 1893; A. Sabatier, L’Évangile de Pierre et les Evang. canoniques, Paris 1893; G. Semeria, L’Evangile de Pierre in «Rev. bibl.» III, 1894, p. 522-560; E. Piccolomini, Sul testo dei frammenti dell’Evang. e dell’Apocal. dello Pseudo-Pietro, Roma 1899; V. H. Stanton, The Gospel of Peter, its history and character, ecc., in «Journ. of theol. Studies» II, 1900, p. 1-25; Stoks, Zum Petrusevangelium, in «Neue kirch. Ztschr» XIII, 1903, p. 276-314, 515-542; G. H. Turner, The Gospel of Peter, in «Journ. of theol. Studies» XIV, jan. 1913, p. 161-195; P. Gardner-smith, The date of the Gospel of Peter, ibid. XXVII, 1926, n. 107 e 108; L. Vaganey, L’Évangile de Pierre, Paris. 1930.

4. Di un Vangelo secondo Mattia fa menzione Origene (hom. I in Luc.)16, Eusebio (Hist. eccl. III, 25, 6), Girolamo (nella prefazione al commento di S. Matteo), il così detto «catalogo dei 60 libri canonici» e il decreto Gelasiano: sarebbe identico, secondo alcuni critici, alle gnostiche Tradizioni di Mattia (παραδόσεις Ματθίου), citate [p. xvii modifica]tre volte da Clemente Alessandrino17, e ai basilidiani Discorsi segreti di Mattia (οἱ Ματθίου λόγοι κρύφιοι) ricordati in Philosophoumena, VII, 20.

5. In uso presso gli Gnostici (o altra setta) d’Egitto, nel IV secolo, era il Vangelo secondo Filippo (l’apostolo? l’evangelista?), di cui Epifanio ci ha tramandato un breve frammento (Haer. XXVI, 13). Ad esso allude forse, già nel III secolo, lo scritto gnostico Pistis Sophias18. È elencato tra le scritture manichee da Timoth. presbitero (De recept. haer., 86, 21) al decimo posto. Risale probabilmente alla fine del II secolo.

6. Un Vangelo secondo Tommaso è ricordato sfavorevolmente da Origene in hom. I in Lc19. I Philosophoumena (V, 7) che ne citano un breve motto (l’unico frammento a noi pervenuto), ci fan sapere ch’era in uso presso gli gnostici Naasseni del II sec.; Eusebio (III, 25, 6) lo designa come uno scritto eretico; S. Cirillo di Gerusalemme († 386) lo dice composto da uno de’ tre discepoli di Manes20; e come usato da’ Manichei21 lo condanna anche il decreto Gelasiano22. La sticometria di Niceforo (se pur non riguarda, come sembra probabile, un posteriore rifacimento cattolico) gli attribuisce 1300 stichi. È controverso se Giustino (Dial. 88) l’abbia conosciuto. Ma ad esso apparteneva molto probabilmente il tratto relativo a un episodio dell’infanzia di Gesù, che Ireneo (nato c. il 140) Haer. I, 20, 1 riferisce da un libro in uso presso i Marcosiani (una setta Valentiniana) e che si ritrova sostanzialmente nel c. VI dello Pseudo-Tommaso, «I fatti dell’Infanzia del Signore»23.

          Per la bibliografia v. Ehrhard, Die altchristl. Lit. und ihre Erforschung, p. 141-142. Cfr. L. Conrady, Das Thomasevangelium. Ein Wissenschaftl. Krit. Versuch, in «Theol. Studien u. Krit.», LXXVI, 1903, p. 377-459; H. A. Michelsen, Uittreksels uit het Evangelie volgens Thomas in Sertum Nabericum, Leida 1908, p. 225-269.

7. Troviamo poi ricordati anche un Vangelo di Barnaba e un Vangelo d’Andrea (notati nel decreto Gelasiano, e il primo anche nel catalogo dei 60 libri canonici), un Vangelo secondo Basilide (Orig. hom. I in Lc.) e un altro secondo Apelle (Hier. nel prologo a S. Matteo) — semplice nuova edizione, a quanto pare, del Vangelo di Marcione suo maestro, ch’era a sua volta una mutilazione e alterazione del Vangelo di Luca, — un Vangelo della Verità (Iren. III, 11, 9), un Vangelo di Giuda [Iscariota] (Iren. I, 31, 1 s.; Epiph. XXXVIII, 1, 3), il Vangelo di [p. xviii modifica]Eva, in uso presso gli Ofiti, di cui Epifanio (XXVI, 2 s.) cita un breve passo, il Vangelo vivente (τὸ ζῶν εὐανγγέλιον), menzionato da Timoteo presbitero (86, 21) come capolista del canone manicheo, il Vangelo della perfezione o consumazione (τὸ εὐαγγέλιον τελειώσεως cfr. Epiph. XXVI, 2; Philastr. 33) e qualche altro. Si tratta in massima parte di libri gnostici. Cfr. altresì R. Reitzenstein, Eine frühchristliche Schrift von der dreierlei Früchten des christlichen Lebens (in «Ztschr. f. d. neut. Wiss.» XV, 1914, p. 60-69), pervenutoci in un codice del IX secolo, e il cui autore nonostante varie speculazioni gnostiche appartiene tuttavia alla Chiesa; rimonterebbe, secondo il Reitzenstein, al II secolo.

Frammenti, più o meno probabili, di antichi vangeli perduti sono stati ritrovati recentemente ne’ papiri egiziani. Citiamo:

a) il frammento così detto del Fajjûm (III sec.?), parallelo a Mt. 26, 30-34 = Mc. 14, 26-30. Il Bickell, che l’ha scoperto e decifrato per primo nel 1885, lo Harnack, il nostro Chiappelli ed altri credettero vederci un resto d’un antichissimo vangelo perduto, anteriore ai Sinottici. Altri invece, specialmente tra i critici inglesi, ci videro una semplice citazione biblica dipendente dai nostri Vangeli: lo Hingenfeld sostenne non esser altro che una reliquia d’un’antica armonia evangelica, sul genere di quella famosa di Taziano24. Lo Harnack, tornando qualche anno dopo sulla questione (Texte u. Unters 1889, V, 4, p. 483497), confessava essere troppo breve il frammento per trarre una conclusione definitiva e sicura, e tale è anche l’opinione del Bardenhewer. Per il Resch tuttavia è fuori di dubbio che il frammento apparteneva al Vangelo secondo gli Egiziani; il Waitz25 si limita a considerar l’ipotesi come possibile. Vedi la bibliografia presso Ehrhardt, p. 123 s., e Bardenewer2, I, 510 ss.

b) Catalogue général des antiquités égypt. du Musée du Caire X, Oxford 1903, n. 10735. È un breve e mutilo frammento (unciale del VI o VII sec.) riguardante l’annunciazione e la fuga in Egitto. Ma più che un frammento d’antico vangelo, sembra un resto di qualche antica omelia: vedi Deissmann, Das angebliche Evangelien-Fragment von Kairo in «Archiv. f. Religionswissensch.» 7, 387-392, riprodotto in Licht von Osten dello stesso autore, Beil, 3.

e) The Oxyrhynchus Papyri IV, 1904, n. 655. Breve frammento (II o III sec.), parallelo nella prima parte al discorso della montagna (Mt.) o della campagna (Lc.), e nella seconda all’invettiva contro i Farisei di Mt. 23, 13; Lc. 11, 52.

d) Oxyrh. Pap. V, 1908, n. 840 (pergamena del III o IV sec.). È un frammento abbastanza lungo, che si riferisce a un colloquio nel tempio tra Cristo e il sommo sacerdote. Il Lagrange l’attribuirebbe [p. xix modifica]al Vangelo secondo gli Ebrei; altri ha pensato al Vangelo secondo gli Egiziani. Si tratta certo di un antico vangelo, appartenente con ogni probabilità alla prima metà del II secolo. Fu pubblicato anche a parte: Grenfell and Hunt, Fragment of an uncanonical Gospel from Oxrhyncus, Oxford

1908. Cfr. A. Büchler in «The jewish Quarterly Review» 1908, p. 330-346; Preuschen in «Ztschr. f. neut. Wissensch.» 1908, p. 1-11; Lagrange in «Rev. bibl.» 1908, p. 538-553; H. B. Swete, Zwei neue Evangelien fragmente, Bonn (Lieztzmann kl. Text.) 1908 (1924); Riggenbach, Das Wort Jesu im Gespräch mit dem pharisäischen Hohenpriester nach dem Oxyrhynchus-Fragment V, n. 840, in «Ztschr. f. die neut. Wissensch.», XXV, 1926, p. 140-144.

e) Oxyrh. Pap., VIII 1911, n. 1081 (III-IV sec.). Piccolo framento d’un vangelo gnostico, contenente un dialogo di Gesù con i discepoli.

f) Oxyrh. Pap. X, 1914, n. 1224 (principio del IV sec.). Breve risposta di Gesù a chi lo beffava perchè si sedeva a mensa coi peccatori.

g) Oxyrh. Pap. X, 1914: cfr. Greek Papyri num. 10735 (IV sec.): testo assai guasto.

h) Oxyrh. Pap. XI, 1915, n. 1384 (V sec.).

i) Berlin. Pap. 11710 (VI-VII sec.): due foglietti, ch’eran cuciti insieme per servir probabilmente come amuleto. Breve frammento d’un dialogo tra Natanaele e Rabbi (Gesù), derivato in sostanza da Jo. 1, 49 coll. 1, 29, ma con l’aggiunta di una curiosa risposta di Cristo a Natanaele: πορεύου ἐν τῷ ἡλίῳ, «va’ nel sole», ovvero «cammina nel sole», che potrebbe essere uno spunto manicheo (cfr. Aug. De haer. 46 ecc.).

8. I papiri dell’Egitto ci han dato inoltre un’importante collezione di Λόγια Ἰησοῦ Un primo papiro, scoperto in Oxyrhynchus (Behnesa) da Grenfell e Hunt (un foglietto di libro; principio del III sec.) e pubblicato nel 1897 (Oxyrh. Pap. I, 1), conteneva sette o otto detti del Signore; un secondo papiro, scoperto ivi stesso nel 1903 (Oxyrh. Pap. IV, 654), ci dava altre 42 righe di detti di Gesù (scritti a tergo d’un rotolo concernente appezzamenti di terreno: manoscritto assai mutilo del 300 circa): e i più videro nel secondo papiro il principio d’una collezione di Λόγια, alla quale apparterrebbero anche i Λόγια precedentemente scoperti26. Poichè la fine del primo detto di questa seconda serie ricorre in una citazione di Clemente Alessandrino dal Vangelo secondo gli Ebrei, congetturarono alcuni che i Λόγια, fossero un estratto di questo vangelo, ed è tuttora l’opinione di White27, Harnack e Preuschen pensarono invece al vangelo secondo gli Egiziani28; altri (cfr. [p. xx modifica]le parole dell’introduzione) al Vangelo di Tommaso29. I più preferiscono ritenere i Λόγια di Oxyrhynchus come una collezione indipendente di parole del Signore, tolte dalla viva tradizione cristiana: collezione che, se non appartiene ai primi tentativi ricordati da Luca di mettere in iscritto gl’insegnamenti e i fatti di Gesù, come vuole il Kenyon (Bible and ancient Monuments, p. XVI), sarebbe però d’età antichissima, risalendo forse al primo secolo, certo alla prima metà del II secolo. Altri tuttavia non ammette questa indipendenza dalla tradizione sinottica, e vede ne’ Λόγια, accanto a rielaborazioni di detti tolti dai Sinottici, chiare tracce del pensiero e del linguaggio gnostico30. Notevole, a ogni modo, è il fatto che, sebbene manchino ne’ Λόγια paralleli soprattutto ne’ Λόγια diretti col IV vangelo, vi aleggia nondimeno della seconda serie quello spirito mistico e speculativo, ch’è caratteristica del Vangelo di Giovanni.

     La letteratura sui Λόγια Ἰησοῦ è quanto mai abbondante (per quella relativa ai Λόγια del 1896: v. Ehrhardt, Die altchr. Liter. p. 124 s.). Basti ricordare qui (oltre le opere più generiche indicate sopra): W. Loch and W. Sanday, Two Lectures of the Sayings of Jesus, Oxford 1897; Swete in «Exposit. Times» 1897, p. 544-550; P. Batiffol in «Revue d’histoire et de littér. relig.» 1897, p. 434-438; Chiappelli in «Nuova Antologia» 1897, p. 524-534; Harnack, Ueber die jüngstendeckten Sprüche Jesu, Freiburg i. Br., 1897; Zahn in «Theol. Literaturblatt» 1897, p. 417-420, 425-431; Heinrici in «Theol. Literaturzeitung 1897,» p. 449 ss.; Redpath in «The Expositor» 1897, p. 224-230; Weiss in «Theol. Rundschau» 1897, p. 227-236; Wright in «Biblioteca sacra» 1897, p. 579 ss.; G. Semeria, Le parole di Gesù recentemente scoperte e l’ultima fase della critica evangelica, Genova 1898; Esser, in «Kathollik» 1898, p. 26-43, 137-151; E. Taylor, The Oxyrh. Logia and the apocr. Gospels, Oxford 1899; von Scholz in «Theol. Quartalschr.» LXXXII, 1900, p. 1-22; e posteriormente alla seconda scoperta: Batiffol in «Revue bibl.» 1904, p. 481-493; Harnack in «Sitzungsber. der Berliner Akademie der Wissensch.» 1904; U. von Wilamowitz in «Göttingische Gelehrte Anzeigen» 1904; Swete in «Exposit. Times» 1904, p. 488-495; Heinrici in «Theol. Studien u. Kritiken» 1905, p. 188-210; Zahn in «Neue kirchliche Ztschr.» (Erlangen) XV, 1905; Bruston, Fragment d’un ancien recueil des paroles de Jésus, Paris, 1905; A. Deissmann, Zur Text-Rekonstruktion der neuesten Jesuworte aus Oxyrh. in «Reil. N. 162 zur Allgemeine Zeitung» (München), riprodotto con modificazioni in Licht vom Osten Beil. 2.; E. Preuschen, Zur Vorgeschichte d. Evangelien-Kanons, Progr. Darmstadt 1905: E. Taylor, The Oxyrhynchus Sayings, Oxford 1905; G. Evelyn White, The Sayings of Jesus from Oxyrhynchus edited with introduction, critical apparatus and commentary, Cambr. Univ. Press 1920; Lagrange, Une des paroles attribuées à Jésus in «Rev. bibl.» 1921, p. 233 s.; ID. La seconde parole d’Oxyrhynque in «Rev. bibl.» 1922, p. 427-433; R. Reitzenstein in [p. xxi modifica]«Götting. Gelehrte Anzeigen» 1921, p. 165-174 (recensione dell’opera del White); W. Schubart, Das zweite Logion Osyrhynchus Pap. IV, 654 in «Ztschr. f. neutest. Wiss.» 1921, p. 215-223; Vernon Bartlet in «Journ. of Theol. Stud.» XXIII, april 1923, p. 293-300 (recensione di The Sayings of Jesus del White). L’opera citata più sopra (n. 7) del Wessely; R. Dunkerley, The Oxyrhynchus Gospel Fragments in «The Harw. Theol. Rev.» XXIII, 1930, p. 19-37.

B

Un gruppo speciale tra i vangeli apocrifi è costituito da’ così detti Vangeli dell’infanzia, i quali, lasciando da parte il resto della vita del Signore, raccontato dai vangeli canonici, voglion colmare la lacuna ch’è in questi, occupandosi diffusamente dell’infanzia del Salvatore e della vita antecedente di Maria e di Giuseppe (talora anche della loro fine gloriosa). Sono, in gran parte, d’età più tarda de’ precedenti vangeli apocrifi, benché comincino a florire già nel II secolo. Né in genere son redatti, come i più di quelli, con intenti ereticali; ma solo allo scopo di soddisfare con fantasiosi e romanzeschi racconti - o inventati di sana pianta o racimolati qua e là31, e assai spesso in stridente contrasto con lo spirito evangelico! — l’avida e credula pietà del popolo cristiano. Di questi vangeli, che nonostante la grossolana trivialità dei più, anzi in gran parte per merito di essa — han goduto la più larga popolarità in Oriente, e più tardi anche in Occidente32, lasciando orma vasta e profonda nella letteratura e nell’arte cristiana, non abbiamo solo frammenti, ma le opere intiere e di solito in più recensioni e lingue.

          Oltre la bibliografia già citata, cfr. R. Reinsch, Die PseudoEvangelien von Jesu und Maria’s Kindheit in der roman. und german. Literatur, Halle 1879; Ch. Rost, Les évangiles apocryphes de l’enfance de Jésus-Christ avec une introduction sur les recits de Mathieu et de Luc (Thèse), Montauban 1894; M. A. Potter, The legendary Story of Christ’s Childhood, New-York 1899; N. Baldoria, La nascita di Cristo nell’arte figurativa in «L’Italia artistica illustrata» V, 1886; Rohault De Fleury, La sainte Vierge, études archéol. et iconographiques, Paris, 1878; J. LIELL, Die Darstellungen der allerseligsten Jungfrau Maria, Freiburg 1887; Max Schmid, Die Darstellung der Geburt Christi in der bildenden Kunst, Stuttgart 1890; A. Ventura, La Madonna. Svolgimento artistico delle rappresentazioni della Vergine, Milano 1900 (Cfr. l’opera grandiosa dello stesso: Storia dell’arte italiana), G. Van Den Bergh Van Eysinga, Indische Einflüsse, auf evangelische Erzählungen (in «Forschungen zur Religion u. Literatur des A. u. N.T.», 1909, IV, p. 63-67, 90 s.). F. A. Von Lehner, Die Marienverehrung in den ersten Jahrhunderten, 2 Aufl. Stuttgart, 1886. [p. xxii modifica]

1. Il più antico, il più diffuso e al tempo stesso il più dignitoso e meno urtante de’ vangeli apocrifi dell’infanzia è il Protovangelo di Giacomo, che l’umanista francese Guglielmo Postel riportò da un viaggio in Oriente, e pubblicò la prima volta non nel testo greco originale, ma in una versione latina nel 1552 a Basilea 33. Numerosi codici ne furono scoperti più tardi nelle biblioteche europee; ma nessuno fino allora ci aveva fatto caso. Accanto poi ai codici greci furono rintracciati versioni o frammenti di versione in siriaco, arabo, etiopico, copto, armeno e in antichi dialetti slavi, le quali attestano la grande diffusione e popolarità di cui aveva goduto l’apocrifico34. Le differenze però, sia tra i codici greci tra loro, sia tra i testi greci e le varie versioni, sono assai notevoli: più che apografi e versioni d’un unico archetipo, abbiamo dinanzi rimaneggiamenti e più o meno liberi rifacimenti; sicché una ricostituzione criticamente sicura del testo primitivo sarà opera di lunga lena. Per ora, l’edizione del Tischendorf è quanto v’ha di meglio.

Il titolo di Protevangelo non figura in nessun manoscritto; se sia stato inventato dal Postel, o fosse veramente (com’egli affermava) la designazione usuale di quel vangelo in Oriente, è difficile dire. Quanto al Giacomo, cui il libro è attribuito (c. XXV), è senza dubbio, com’è dichiarato espressamente nel titolo della maggior parte dei codici, il «fratello del Signore», l’Apostolo Giacomo il Minore, il primo Vescovo di Gerusalemme. (Cfr. Innoc. I ad Exsup. 7: «cetera autem, quae vel sub nomine Matthiae sive Jacobi minoris», e il decreto Gelasiano: «Evangelium nomine Jacobi minoris»).

L’origine assai antica del nostro apocrifico è fuori di contestazione. Non può certo dedursi rigorosamente da certe coincidenze (come la nascita di Cristo in una grotta, ecc.), che già S. Giustino, verso la metà del II secolo, abbia conosciuto il Protovangelo. Né il fatto che Clemente Alessandrino (Strom. VII, 16, 93) parli della verginità di Maria constatata da levatrici è una prova apodittica che tale tradizione l’abbia attinta proprio dal Protovangelo. Ma quando Origene (in Matth. X, 17) ci dice che alcuni, basandosi sul così detto Vangelo di Pietro e sul libro di Giacomo» (τῆς βίβλου Ἰακώβου), ritengono i «fratelli»» del Signore esser figliuoli di Giuseppe, avuti da una prima moglie, è difficile non vedere in quel «libro di Giacomo» il nostro apocrifo, o almeno la parte più antica di esso. Aggiungo questa limitazione, perché s’ha qualche motivo di ritenere (vedi per esempio nel c. XVIII lo strano passaggio del racconto in terza persona a quello in prima persona, come pure la storia di Maria bruscamente troncata [p. xxiii modifica]al principio del c. XXII, mentre seguono altri due capitoli sul martirio di Zaccaria), e i più ritengono, che il Protovangelo, nella sua redazione attuale, non sia l’opera di getto d’un solo autore, ma una amalgama di tre scritti originariamente distinti: il primo (sec. II) sarebbe il racconto attribuito a Giacomo, della nascita e del matrimonio di Maria; il secondo (II sec.?), un apocrifo di Giuseppe, relativo alla nascita di Gesù; il terzo (verso la fine del III sec.?) la leggenda apocrifa di Zaccaria35. A ogni modo la compilazione non può essere posteriore alla fine del III secolo o al principio del IV; poiché il papiro di Aschmunên, pubblicato dal Pistelli36, il quale è del IV secolo, contiene frammenti anche dei due ultimi capitoli37.

La tendenza del Protovangelo, diretto soprattutto alla glorificazione della santità e verginità di Maria, è schiettamente e piamente ortodossa; le tracce di speculazione gnostica, che alcuno ha creduto scoprire qua è là, sono assai tenui e malsicure, e in ogni caso è agevole spiegarle come inavvertitamente derivate dalle fonti. Non sempre, peraltro, la pietà dell’autore è accompagnata da un giusto senso delle convenienze.

          Frammenti antichi del Protovangelo anche in B. P. Grenfell, An Alexandrian erotic fragment and other Greek papyri, Oxford 1896, p. 13-17. Cfr. oltre le opere più generali già ricordate, L. Conrady, Das Protev. Jak. in neuer Beleuchtung (in «Theol. Stud. u. Krit.» LXII, 1889, p. 728-784) e Die Quelle der kanon. Kindheitsgeschichten, Gött. 1900 (Sostiene la tesi paradossale, che il Protovangelo è la fonte della storia dell’Infanzia in Matteo e Luca): E. Amann, Le protévangile de Jacques et ses remaniements latins, Paris 1910; E. Pistelli, Il Protovangelo di Jacopo, Lanciano 1919; A. Berends, Studien über ZachariasApokryphen u. Zacharias-Legenden, Leipzig 1895.

2. Un altro apocrifo assai diffuso fu il Vangelo di Tommaso, ossia «I fatti dell’infanzia del Signore» (τὰ παιδικὰ τοῦ Κυρίου), pervenutoci anch’esso in varie versioni (due greche di disuguale lunghezza, anzi tre38; inoltre in siriaco, in latino, in arabo, in vecchio slavo). Contiene una sequela slegata di prodigi stravaganti operati da Gesù fanciullo (dai cinque ai dodici anni39), il quale appare altrettanto capriccioso, stizzoso, dispettoso e vendicativo, quanto divinamente onnipotente e omniscente. Un concetto del divino, schiettamente pagano, affatto agli antipodi dell’idea cristiana!40. E la trivialità della forma è in buona armonia con la non rara sconvenienza del contenuto. C’è tuttavia, nello sfondo dell’apocrifo, qualcosa di grazioso che piace, ed [p. xxiv modifica]è l’ingenuo e pittoresco verismo, con cui son riprodotte varie scenette della vita di campagna di quei bambini orientali41.

Il manoscritto sinaitico, che rappresenta la redazione greca più corta, attribuisce il libro esplicitamente all’apostolo Tommaseo (σύγγραμμα τοῦ ἁγίου ἀποστόλου Θωμᾶ περὶ τῆς παιδικῆς ἀναστροφῆς τοῦ Κυρίου; ma gli altri codici parlan solo di Tommaso, o di Tommaso l’israelita, il filosofo israelita42. L’autore a ogni modo non era né un filosofo, né un israelita; ma un cristianello ellenista che di lingua e di costumi giudaici non sapeva nulla o quasi. Il titolo di «Vangelo» non è dato da nessun manoscritto.

L’apocrifo dipende con molta probabilità direttamente o indirettamente dal vangelo gnostico di Tommaso, ricordato più sopra, di cui sembra essere un parziale rifacimento cattolico (IV-V secolo), cioè un estratto rimaneggiato a uso degli ortodossi43. Con che si spiegherebbero certi spunti gnostici, abbastanza trasparenti tuttora nel nostro apocrifo, specialmente in qualche recensione non ancora abbastanza rimaneggiata. La redazione siriaca ci rappresenta la recensione relativamente più antica, ma suppone chiaramente un originale più ampio, di cui è non di rado un compendio44. Assai affine ad essa è la versione latina di un palinsesto viennese del V o VI secolo (disgraziatamente tuttora indecifrato, salvo i saggi fatti dal Tischendorf). La seconda redazione greca appare, in gran parte, un riassunto e un estratto rispetto alla prima; qua e là tuttavia è più colorita e più ricca di particolari. Finalmente il Tommaso latino del codice vaticano in parte segue strettamente la prima redazione greca, in parte se ne allontana notevolmente, accostandosi non di rado al siriaco; ha poi alcune cose in più, come la fuga e la permanenza in Egitto e il ritorno in Giudea, cap. I e II45.

3. Una compilazione latina del Protovangelo insieme e dello Pseudo-Tommaso è lo Pseudo-Matteo, cioè il «Libro sulla nascita della Beata Maria e sull’infanzia del Salvatore». Esso si presenta come una traduzione latina di S. Girolamo dall’originale ebraico dell’evangelista S. Matteo, ed è preceduto da una presunta lettera dei vescovi Cromazio ed Eliodoro a Girolamo e dalla risposta non meno fittizia di Girolamo46. Risale forse al VI-VII secolo47., La prima parte (G. I-XVII) è sostanzialmente affine al Protovangelo, pur con molte amplificazioni ed aggiunte48; l’ultima (c. XXV-XLII) è un libero rimaneggiamento, con un crescendo di stravaganze, del vangelo di Tommaso l’israelita; nei capi XVIII-XXIV son raccontati, con tratti stranamente leggendari di mano orientale (suggeriti spesso da testi dell’Antico Testamento) i prodigi della fuga in Egitto. Appare qua e là qualche spunto meno [p. xxv modifica]ortodosso. La popolarità e l’importanza goduta dallo Pseudo-Matteo in Occidente durante il Medio evo è notevolissima49.

4. Un piccolo apocrifo latino di soli due capitoli (che figura tra le opere di S. Girolamo) ha per titolo «La Natività di Maria». Al pari del precedente è spesso dato nei codici come la traduzione latina, fatta da S. Girolamo, di un originale ebraico di S. Matteo. Si tratta in fondo di un adattamento della prima parte dello Pseudo-Matteo, con la soppressione frequente delle minute circostanze con varie attenuazioni (inspirate non di rado ad un senso vigile di ortodossia) e con qualche non incongrua aggiunta: il tutto in latino relativamente elegante, «cum luxuria sententiarum verborumque» (Tischend.). È difficile fissare l’età precisa dell’apocrifo; ma si ritiene appartenere all’età carolingia. È riprodotto per intero nello Speculum historiale di Vincenzo di Beauvais e nella Legenda aurea di Jacopo di Voragine.

5. Un altro «Vangelo dell’Infanzia», relativo alla nascita di Maria e alla nascita e infanzia di Gesù, è stato pubblicato recentemente da M. R. James in due recensioni notevolmente divergenti, che riproducono l’una un manoscritto di Hereford (sec. XIII), l’altra il manoscritto Arundel del British Museum, il quale rappresenta senz’alcun dubbio (salvo qualche glossa qua e là) il testo più antico. Il cod. H attribuisce la storia a Giacomo; il cod. A invece, premettendo le due lettere di Cromazio ed Eliodoro a Girolamo e di Girolamo a Cromazio ed Eliodoro (vedi s. n. 3), viene con ciò ad attribuirlo a S. Matteo.

In buona parte l’apocrifico coincide con il Protovangelo e con lo Pseudo-Matteo; si aggiunge nel cod. H qualche estratto dal Vangelo della Natività di Maria e dallo pseudosermone d’Agostino 195; ma in parte è nuovo. Sulla sua origine è difficile per ora pronunciare un giudizio definitivo. È un fatto, che parecchie dipendenze dallo Pseudo-Matteo appaiono chiaramente fuor di posto; onde s’han da ritenere senz’altro come interpolazioni posteriori dei manoscritti a noi pervenuti. Ma il testo genuino conosceva tuttavia e ha sfruttato lo PseudoMatteo ovvero (come sembra più verosimile) gli è anteriore e gli ha servito di fonte? E quanto alla dipendenza del Protovangelo, esisteva essa già nel testo più antico, come ritiene il James? o questo testo più antico, come altri preferisce credere, si riduceva senz’altro alla parte nuova relativa alla nascita di Cristo50, che altri più tardi avrebbe ampliato con il racconto che va sino al viaggio a Betlemme, togliendolo dal Protovangelo, e con altre aggiunte? Ancora: il testo più antico sarebbe per caso derivato, come vuole il James, dal «Vangelo di Pietro»? [p. xxvi modifica]

Il docetismo del racconto della nascita di Cristo è evidente per il James51, come per J. A. Robinson e per altri dotti; il Lagrange invece non l’ammette52.

.          M. R. James, Latin Infancy Gospel, a new text, with a parallel version from Irish, edited with introduction, Cambridge 1927; J. A. Robinson, M. R. James Latin Infancy Gospel, in «The Journal of Theol. Studien» XXIX Jan. 1928, p. 205-207; M. J. Lagrange, Un nouvel evangile de l’enfance edité par M. R. James, in «Rev. bibl.» oct. 1928, p. 544-557; D. B. Copelle, in «Rev. Bénédectine» XLI, 1929.

6. A questo stesso gruppo B appartengono: 1º Lo scritto gnostico intitolato Γέννα Μαρίας, di cui parla Epifanio (Haer. XXVI, 2 Γένναν μὲν γὰρ Μαρίας βιβλίον τί φασιν εἶναι, ἐν ᾧ δεινά τε καὶ ὀλέτρια ὑποβάλλοντές τινα ἐκεῖσε λέγουσιν) che non sappiamo se fosse identico con l’omonimo De generatione Mariae, usato a’ tempi di Sant’Agostino (C. Faustum, XXIII, 9) dai Manichei: entrambi sono andati perduti. 2º Il Vangelo dell’infanzia del Salvatore, di cui abbiamo una redazione siro-araba, che combina in buona parte con lo Pseudo-Tommaso, e una redazione armena, quasi quattro volte più ampia (che amalgama Protovangelo, Pseudo-Tommaso e altre leggende), con carattere spiccatamente romanzesco53. 3º La storia di Giuseppe il legnaiuolo, pervenutaci in tre recensioni: boairica, zaidica (frammenti), e araba. Inoltre, varie redazioni e compilazioni latine posteriori, riferentisi alla nascita e alla fanciullezza di Gesù e di Maria. Citiamo: il Liber de nativitate Christi et obstetricibus a Joseph adductis, item de infantia eius usque ad annum XII, conservato nella biblioteca della Università di Lipsia54; le Narrationes de vita et conversatione b. Mariae virginis et de pueritia et adolescentia Salvatoris, pubblicato dallo Schade (Halis Saxonum 1876) di su un manoscritto di Giessen del XIII-XIV secolo; un Liber de infantia Salvatoris, in varie compilazioni, contenente oltre il materiale della Pseudo-Matteo, parecchie leggende nuove55, ecc.

7. Notiamo infine, sebbene non si riferisca alla infanzia del Salvatore e altri preferisca classificarlo tra le Apocalissi apocrife, il Transito della b. Vergine Maria o De dormitione Deiparae; ch’è attribuito all’apostolo S. Giovanni (τοῦ ἁγίου Ἰωάννου τοῦ Θεολόγου)56. Ci è pervenuto, oltre che in greco, in recensioni latine e siriache, in arabo, in sahidico-copto e in boairico57; il che prova la sua grande diffusione e popolarità. La glorificazione di Maria, già pronunziatissima ne’ precedenti apocrifi, raggiunge qui le più alte vette; ma nulla ci ob[p. xxvii modifica]bliga a vedere in questo apocrifico il fondamento e la base della credenza d’allora e pertanto di tutta la successiva tradizione (Jürgens).

Come data della composizione primitiva può stabilirsi la fine del IV secolo e il principio del V.

Un terzo gruppo di apocrifi evangelici riguarda la storia della passione e morte e della risurrezione di Cristo.

Un’ultima categoria tra gli apocrifi evangelici è costituita dal supposto carteggio tra Cristo e il re Abgar V Ukkâmâ di Edessa, col quale è connesso il resoconto della missione di Taddeo e di Addai in Edessa.

Di questi due gruppi C e D ci occuperemo nel volume secondo.

Note

  1. Forse non si trattava di traduzioni integrali, ma solo di estratti.
  2. Una traduzione più antica doveva essere già esistita prima di Girolamo, alla quale, con ogni probabilità, si riferiscono Clemente Alessandrino e Origene; ma al tempo di Eusebio non se ne aveva più traccia.
  3. Cfr. Hier. De vir. ill. 16: «Ignatius... scripsit.... ad Smyrnaeos et proprie ad Polycarpum..., in qua et de evangelio quod nuper a me translatum est, super persona Christi posuit testimonium dicens: Ego vero et post resurrectionem cet», Cir. tuttavia Orig. De princ. I proem. 8, dove il testo è attribuito al libro «qui Petri doctrina appellatur», ed Eus., h. e. III, 38, 11 ὁ δ´ αὐτὸς (sc. Ignazio) Σμυρναίοις γράφων οὐκ οἶδ´ὀπόθεν ῥη (=ῥητοῖς) συγκέχρηται. τοιαῦτά τινα περὶ τοῦ Χριστοῦ διεξιών· Ἐγὼ κτλ.
  4. Haer. XXX, 3 καὶ δέχονται μὲν καὶ αὐτοὶ τὸ κατὰ Ματϑαῖον εὐαγγέλιον. Τούτῳ γὰρ καὶ αὐτοὶ.... χρῶνται μόνῳ. Καλοῦσι δὲ ἀυτὸ Κατὰ Ἑβραίους. Ibid. 13 ἐν τῷ γοῦν παρ᾽ αὐτοῖς εὐαγγελίῳ Κατὰ Ματϑαῖον ὀνομαζομένῳ οὐκ ὅλῳ δὲ πληρεστάτῳ ἀλλὰ νενοθευμένῳ καὶ ἠχρωτηριασμένω, Ἑβραϊκὸν δὲ τοῦτο καλοῦσι, ecc. Cfr. Iren. I, 26, 29 [Ebionaei] solo autem eo quod est secundum Matthaeum Evangelio utuntur»; Ἑβραίους λεγομένῳ χρώμενοι (gli Ebionei) τῶν λοιπῶν σμικρὸν ἐποιοῦντο λόγον.
  5. Ciò spiegherebbe il comune titolo dato ai due vangeli (vedi nota precedente) e l’affermazione di Hier., in Matth. 12, 13 «In evangelio quo utuntur Nazareni et Ebionitae quod nuper in Graecum de Hebraeo sermone transtulimus, et quod vocatur a plerisque Matthaei authenticum etc.». D’altra parte, il racconto per esempio del battesimo di Gesù è assai diverso nei due vangeli.
  6. Cfr. le parole contenute in uno dei frammenti d’Epifanio Her. 30, 13: ὑμᾶς οὖν βούλομαι εἶναι δεκαδύο ἀποστόλους εἰς μαρτύριον τοῦ Ἰσραήλ. A questo vangelo secondo i XII apostoli il Revillout vorrebbe attribuire vari frammenti copti, relativi alla passione di Cristo, da lui pubblicati (Patrologia Orientalis II, 2); congettura assai poco probabile: οἷν, l’articolo di Baumstark in «Revue biblique» avril 1926, p. 245 ss.
  7. Cfr. Strom. III, 9, 63: φέρεται δέ, οἶμαι, ἐν τῷ κατ᾽ Αἰγυπτίους εὐαγγελίῳ, coll. III, 13, 92.
  8. Hom. I in Lucam (trad. s. Girol.): «Ecclesia quatuor habet evangelia, haeresis plurima, e quibus quoddam inscribitur secundum Aegyptios». Cfr. lo scholion in Lc. 1, 1: τὸ μέντοι ἐπιγεγραμμένον κατὰ Αἰγυπτίους εὐαγγέλιον καὶ τὸ ἐπιγεγραμμένον τῶν δώδεκα εὐαγγέλιον οἱ συγγράψαντες ἐπεχείρησαν (ma non scrissero sotto la divina ispirazione).
  9. Tὴν δὲ πᾶσαν αὐτῶν πλάνην καὶ τὴν τῆς πλάνης αὐτῶν δύναμιν ἔχουσιν ἐξ ἀποκρύφων τινῶν, μάλιστα ἀπὸ τοῦ καλουμένου Αἰγυπτίου Ἐαγγελίου, ᾧ τινες τὸ ὄνομα ἐπέϑεντο τοῦτο. Ἔν αὐτῷ γὰρ πολλὰ τοιαῦτα ὡς ἐν παραβύστῳ (=in segreto) μυστηριόδως ἐκ προσώπου τοῦ Σωτῆρος ἀναφέρεται, ὡς αὐτοῦ δηλοῦντος τοῖς μαθηταῖς τὸν αὐτὸν εἶναι πατέρα, τὸν αὐτὸν εἶναι πατέρα, τὸν αὐτὸν εἶναι ἅγιον πνεῦμα (cioè l’identità delle tre persone divine).
  10. Harnack, Chronologie I, p. 617 s.; cfr. anche Hennecke, Apokryphen² p. 56.
  11. Harnack, naturalmente, non ammette tale carattere eretico dell’apocrifico e ci vede soltanto un encratismo contenuto entro limiti dell’ortodossia. Ma è assai difficile conciliare tale giudizio con la radicale condanna degli antichi e con il frammento dell’apocrifo relativo al matrimonio.
  12. Lo Hennecke riferisce al Vangelo secondo gli Egiziani (con un punto interrogativo) anche il λόγιον di P. Oxy. 655, e alcune citazioni dei «Canoni ecclesiastici dei santi Apostoli», Ad. Jacoby, con minore probabilità ancora, attribuisce all’apocrifo il frammento d’un papiro copto di Strassburg da lui pubblicato (Ein Neues evangelienfragment, Strassburg 1900), che contiene, sembra, una preghiera sacerdotale di Gesù al Getsemani; il Baumstark (Oriens christianus, II, 1902, p, 466 s.) aggiudica al vangelo secondo gli Egizi un racconto del battesimo di Gesù sul Giordano, divulgato parimenti dal Jacoby (Ein bisher unbeachteter Bericht über die Taufe Jesu, Strassburg 1902).
  13. Segue un altro brano, dove Gesù mostra agli apostoli il cielo e l’inferno, cioè un brano dell’Apocalissi di Pietro, secondo l’opinione comune. Il James tuttavia propende a vederci un secondo brano del Vangelo.
  14. Secondo Harnack solo la dipendenza da Marco sarebbe certa o quasi certa. Il Gardner-Smith non ammette neppur quella.
  15. Del Kerygma Petri (Doctrina Petri?) parleremo a suo tempo.
  16. Cfr. lo scholion in Lc. 1, 1 citato sopra. πολλοὶ μὲν οὖν ἐνεχείρησαν καὶ (τὸ) κατὰ Ματθίαν καὶ ἄλλα πλερονα..
  17. Strom. 11, 9, 45; III, 4, 26; VII, 13, 82; cfr. VII, 17, 108 dov’è detto ch’erano in grande onore presso i Basilidiani.
  18. Schatze-Πetermann, Berlin 1851, p. 69 ss.
  19. Cfr. lo scholion citato in Lc. 1, 1: ἔγραψαν καὶ Μανιχαῖοι κατὰ Θωμᾶν Εὐαγγέλιον, VI, 31 μηδεὶς ἀναγιγνωσκέτω τὸ κατὰ Θωμᾶν εὐαγγέλιον· οὐ γάρ ἐστιν ἑνὸς τῶν δώδεκα ἀποστόλων, ἀλλ᾿ ἑνὸς τῶν τριῶν κακῶν τοῦ Μάνου μαθητῶν.
  20. Catech. IV, 36
  21. Ciò spiega forse l’errore in cui è caduto Cirillo di Gerusalemme: «nimirum quem ille librum apud Manichaeos imprimis in usu esse noverat, eum ab iisdem compositum ex coniectura arbitrabatur» (Tischend).
  22. Nel catalogo delle scritture manichee, redatto dal presbitero Timoteo (86, 21), occupa il nono posto.
  23. Sui rapporti di questo apocrifo con l’antico vangelo gnostico secondo Tommaso vedi più sotto, B, 3.
  24. Vedi l’articolo riassuntivo di P. Savi in «Rev. bibl.» I, 1892, pagine 321-344.
  25. In E. Hennecke, Apokryphen,² p. 56.
  26. Vedi White p. XXIV s. Ma il Reitzenstein, per esempio, e il Waitz (in Hennecke, Apokryphen2, p. 51) non accettano tale opinione, che è a loro avviso affatto inverosimile.
  27. Come pure, in parte, del Waitz, rispetto ai Λόγια del secondo papiro.
  28. Ad esso il Waitz non sarebbe troppo alieno d’attribuire i Λόγια del pap. n. 1.
  29. Ipotesi che non dispiace al Reitzenstein quanto ai Abyia del secondo papiro.
  30. Cfr. Wendland, ῏῏Die urchristl. Literaturformen῏῏, p. 233.
  31. Anche da fonti non cristiane. Cfr. Aimé Puech, Histoire de la littér. grecque, I p. 171, nota 2.
  32. L’Occidente fu più restio ad ammetterli. Benché già Zeno da Verona e il poeta Prudenzio attingano senza scrupolo al Protovangelo di Giacomo, i più influenti scrittori cattolici del IV e V secolo videro assai di mal occhio quei vangeli (S. Girolamo non dubita parlare di «deliramenta apocryphorum», «apocryphorum somnia») o per lo meno con sospetto (Sant’Agostino nega loro ogni autorità «non habent.... ullum pondus auctoritatis»), né mancarono anche esplicite condanne da parte dell’autorità ecclesiatica. (Cfr. Innoc. I ep. ad Exsup. 7: «Cetera autem [cioè i libri extracanonici].... non solum repudianda, verum etiam noveris esse damnanda»). Ma a poco a poco riuscirono tuttavia a farsi valere e imporsi. Appena trent’anni dopo la condanna di Innocenzo I (a. 405), i musaici di Santa Maria Maggiore in Roma, ordinati da Sisto III, si abbellivano di particolari derivati dagli apocrifi.Non molto più tardi Gregorio di Tours († 594) e lo Pseudo-Crisostomo (c. 600) spigolavano parimenti nei vangeli apocrifi. Nel Medio Evo poi il loro trionfo può dirsi completo (ricorda: Hroswitha † 968; lo Speculum historiale di Vincenzo di Beauvais, 2ª metà del sec. XIII; la Legenda aurea di Jacopo da Voragine, fine del sec. XIII, ecc.), non ostante le riserve di taluni, come Alcuino, S. Pietro Damiani, S. Bernardo, S. Tommaso d’Aquino. Vedi Tappenhorn, p. 18. Anche nel Corano e in altri scritti mussulmani l’influsso dei vangeli apocrifi si mostra assai largo.
  33. Il testo greco fu stampato primieramente da Michele Neander in «Apocrypha», h. e. Narrationes de Christo, Maria, Joseph, cognatione et familia Christi extra Biblia, come seguito alla Catechesis Martini Lutheri parva graeco-latina, Basilea 1564-1567.
  34. Diffusione e popolarità attestata anche dall’uso assai largo del Protovangelo nell’agiografia, liturgia, poesia e arte greca orientale. Non se ne conosce invece nessuna antica versione latina; ma ciò non vuol dire che non sia esistita: cfr. più sotto lo Pseudo-Matteo e il Vangelo dell’Infanzia del James, nonché l’Evangelium nomine Jacobi minoris, e il Liber de infantia Salvatoris et de Maria vel obstetrice condannati dal decreto Gelasiano.
  35. Il racconto della morte di Zaccaria nel Protovangelo è affatto diverso da quello di Origene, che pur conosceva il «libro di Giacomo».
  36. Papiri della Società Italiana I, 1912, pp. 9-16.
  37. Anche il «Vangelo latino dell’infanzia» pubblicato dal James (vedi più sotto, il numero 5) riproduce la storia di Zaccaria quale è data nel Protovangelo, e allude al silenzio della natura descritta nell’«apocrifo di Giuseppe».
  38. La più lunga, che è anche la più antica, fu pubblicata integralmente la prima volta (di su un codice bolognese del sec. XV) da G. L. Mingarelli in Nuova raccolta d’opuscoli scientifici e filologici, tomo XII, Venezia 1764, pp. 73-155. La seconda fu trovata dal Tischendorf in un manoscritto del XIV-XV secolo presso i monaci del Monte Sinai. La terza, che è l’equivalente del Thomas latino, è stata pubblicata da A. Delatte nel suo recente volume Anecdota Atheniensia I (Bibl. de la Faculté de Philol. et Lettres de l’Université de Liège XXXVI): cfr. M. R. James, The Gospel of Thomas in «The Journ. of theol. Studies» 1928, n. 117, pp. 51-54. Tutti i pochi codici greci che abbiamo dello Pseudo-Tommaso sono d’età assai recente. Più numerosi sono i codici latini, ma anch’essi di tarda età (salvo il palinsesto di Vienna).
  39. Il Vangelo si chiude con la disputa di Gesù tra i dottori al tempio.
  40. A. Meyer ritiene non inverosimile che le storielle dell’apocrifo siano di importazione indiana, e che a ciò si debba l’attribuzione del medesimo a Tommaso, l’apostolo tradizionale dell’India; «e forse il filosofo israelita è subentrato al posto d’un filosofo indiano, cioè d’un Bramino» (Hennecke, Apocryphe, vo p. 95).
  41. cfr. A. Meyer, l. c.
  42. Il testo latino (cod. Sinaitico) ha: Thomam.... Ismaelitam et apostolum (cod. apostolos) domini». M. R. James inclina a credere che la lezione Ismaelitam, invece di Israelitam sia l’originale, e che la combinazione «Ismaelita» e «filosofo» suggerisca una voluta connessione con i savi del lontano Oriente.
  43. A un più antico tentativo di riduzione cattolica del Vangelo di Tommaso allude forse la sticometria di Niceforo, quando parla di un εὐαγγέλιον κατὰ Θωμᾶν di 1300 stichi, cioè due volte più ampio della più lunga redazione greca del nostro apocrifo. — Nella lista delle scritture manichee presso Timoteo presbitero (86, 21) Τὸ κατὰ Θωμᾶν εὐαγγέλιον (n. 9) è distinto da τὰ παιδικὰ τοῦ Κυρίου (n. 13).
  44. Il manoscritto è del VI secolo. Secondo il Peeters (Evangiles apocryphes, Paris, II, p. XVIII) il siriaco non sarebbe già la versione di un originale greco, ma invece «l’originale comune delle redazioni greche e latine». Soltanto, poiché «un testo latino datante forse dal V secolo e tradotto dal siriaco, è un’ipotesi con la quale si è poco familiarizzati..., siamo portati a supporre come intermediaria una traduzione greca distinta dalle recensioni esistenti e più completa». Parecchia luce potrà risultare dal deciframento del palinsesto latino viennese, cui accenniamo appresso.
  45. Uno studio speciale del nostro apocrifo ha pubblicato L. Conrady, Das Thomasevangelium, in «Theol. Studien und Kritiken», 1903, III, PP. 377-459.
  46. In Alcuni Manoscritti, In Luogo Di Queste Lettere, Si Ha Un Prologo In Cui Giacomo, Figliuolo Di Giuseppe, Si Dichiara Autore Del Libro. Le Due Lettere Si Leggono Anche Nel Codice Aremdel Del «vangelo Latino dell’infanzia» pubblicato dal James e di cui si riparla più sotto.
  47. Altri lo crede più antico (V-VI secolo secondo il Lipsius e il Michel), altri ancora più recente (VIII-IX secolo secondo il James). I manoscritti a noi pervenuti sono tutti posteriori al secolo XI. Fu preso a base della celebre poetessa Hrotsvitha, Monaca Sassone († c. 973).
  48. La dipendenza dal Protovangelo potrebbe non essere diretta, ma solo indiretta, mediante cioè qualche altra redazione latina.
  49. Osserva giustamente il Rhodes James, p. 79: «La reale importanza dello Pseudo-Matteo sta non tanto nelle storie che contiene, quanto nel fatto che esso fu il principale veicolo per cui quelle furono conosciute dal Medio Evo, e la principale fonte di ispirazione per gli artisti e poeti dal XII al XV secolo».
  50. Da identificare con l’apocrifo Gelatiano «Liber de nativitate Salvatoris et de Maria vel obstetrice»?
  51. C. f. c. XXV: «If ever there was a Docetic account of the lord’s birth; it is here», ecc.
  52. Nella assimilazione che si fa del bambino alla luce (n. 73) il Lagrange vede semplicemente l’influsso giovanneo, sia pure sovraccarico con «les effusions d’une piété plus ou moins bien inspirée»; e nel mostrarsi del bambino ai pastori ora piccino ora grande, e in altre simili metamorfosi (n. 84), egli trova «des jeux de folk-lore plutôt qu’une conception théologique sur l’enfant».
  53. Vedi il Peeters (Évangiles apocryphes, Paris, 11, 1914).
  54. J. Feller, Catal. codd. mss. biblioth. Paulinae in Acad. Lips. 1866, p. 161
  55. Vedi Reinsch, Die pseudo-Evangelien von Jesu u. Maria’s Kindheit ecc., p. 7 ss. Cfr. anche L’Evangile de la jeunesse de Notre-Seigneur Jésus-Christ (testo latino con traduzione francese di Catulle Mendès, Paris, 1894), che sarebbe stato ritrovato, non è molto, nella abbazia di san Volfango in Salzkammergut, e apparterrebbe all’alto medioevo. Ma con ogni verosimiglianza, «the latin text as well as the French version may be regarded as the work of Catulle Mendès» (Rhodes James).
  56. La recensione latina A del Tischendorf l’attribuisce a Giuseppe d’Arimatea; mentre il Transitus Mariae B lo fa scrivere a Melitone vescovo di Sardi (c. 170), per incarico di S. Giovanni. Il cod. Paris gr. 1504, ne dà come autore Giacomo, fratello del Signore, e così pure il titolo del cod. Vind. 151.
  57. «In ipsis graecis exemplorum haud exigua est varietas, in extrema potissimum libri parte» (Tischendorf). Di più, le versioni latine (di cui la prima del Tischendorf è una compilazione assai tarda) suppongono evidentemente un testo greco parecchio diverso da quello pubblicato dal Tischendorf (di su codici del XI-XIV secolo) e affine invece a quello rielaborato da Giovanni, arcivescovo di Tessalonica, sec. VII; e rappresentatoci da altri codici. Vedi M. Bonnet, Bemerkungen über die ältesten Schriften von der Himmelfahrt Maria in «Ztschr. f. wiss. Theol.» 1880, pp. 222-247, dove, accanto a concezioni dogmatiche in aperta antitesi con la fede cattolica, appare anche una concezione assai superficiale del culto cattolico della Vergine. M. R. James è d’avviso che «la leggenda fu elaborata primieramente, se non addirittura originale, in Egitto; onde i testi saidico e boarico meritano speciale attenzione» (p. 194).