Vangeli apocrifi/Introduzione/Note alla Introduzione
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NOTE ALLA INTRODUZIONE
(1) È equivalente pertanto di extracanonico. Anche libri come le epistole di Clemente ai Corinti, l’epistola di Barnaba, le epistole di Ignazio e Policarpo, la Didaché, il Pastore di Erma, ecc., si potrebbero in qualche modo (non foss’altro per il fatto che parecchi figuravano nei codici biblici, quale il Sinaiticus e l’Alexandrinus, accanto ai libri canonici), far rientrare nella prima o nella seconda categoria di apocrifi; e come tali li troviamo infatti designati in antichi cataloghi e presso alcuni autori moderni. Ma i più, opportunamente, invece che tra gli apocrifi del N. T., li classificano tra i Padri apostolici.
(2) Ciò spiega come tra gli apocrifi del decreto Gelasiano (v. sotto) figurino per esempio il sinodo di Rimini o gli opuscoli di Tertulliano.
(3) Il titolo di decretum o decretalis Gelasii papae è certamente inesatto. Tuttavia la questione del Gelasiano non può dirsi ancora risoluta in tutti i suoi punti: v. per esempio da una parte E. Von Dobschütz, Das decretum Gelasianum de libris recipiendis in krit. Texte herausg. und untersucht (Texte u. Untersuch. 38, 4) Leipzig 1912; e dall’altra J. Chapman, On the Decretum Gelasianum de libris rec. et non rec., in «Revue bénédectine,» avril 1913, p. 187-202 e juillet 1913, p. 315-333; inoltre E. Amann in «Revue biblique», 1913 p. 602-608; R. Massigli in «Revue d’hist. et de litt. relig.» IV, 1913, pagine 155-170; E. Schwartz, Zum Decretum Gelasianum, in «Zeitschr. f. die neut. Wiss.» 1930, p. 161-168. Quel ch’è fuor di dubbio, è che il documento almeno nella sua forma attuale, non risale oltre la prima metà del VI sec.; sembra poi assodato ch’esso non è, come si credeva, un documento ufficiale della Chiesa romana, ma uno scritto privato, e neppure romano. Cfr. Dom. Cabrol, Dict. Arch. chrét. lit. Paris 1924.
(4) Un primo saggio di «Indice dei libri proibiti».
(5) «Cetera quae ab haereticis sive schismaticis conscripta vel praedicata sunt, nullatenus recipit catholica et apostolica romana ecclesia; e quibus pauca, quae ad memoriam venerunt et a catholicis vitanda sunt, credidimus esse subdenda».
(6) Dobschütz, p. 11 ss e 49 s.
(7) Le così dette Recognitiones clementine (dieci libri).
(8) Gli Atti di Paolo sono parzialmente ricordati più sotto («Actus Theclae et Pauli»; gli Atti di Giovanni sono inclusi pure più sotto in «Libri omnes quos fecit Lucius discipulus diabuli».
(9) È ricordato anche dal «Catalogo dei 60 libri canonici» (che è in greco e di origine, sembra, palestinese; riprodotto in Zahn, Gesch. des neut. Kanon II, 1, p. 289-293; e Preuschen, Analecta, p. 158-160. Nessun altro accenno nella antichità. Ma lo Hennecke è propenso ad attribuire ad esso due brevi citazioni, di cui l’una figura in un manoscritto greco (Resch, Agrapha p. 282), e l’altra nell’orazione funebre di S. Gregorio Nazianzeno su S. Basilio (n. 32). Il vangelo italiano dello stesso nome è l’opera di un apostata del secolo XIV, diventato maomettano.
(10) Il Protovangelo (?).
(11) Sconosciuto. Non è improbabile che si tratti di una confusione con gli Atti di Andrea (Innoc. I ep. 6 ad Exsuper. 7).
(12) Cfr. Hier. in Evang. ad Damasum praefatio: «Praetermitto eos codices, quos a Luciano et Hesychio nuncupatos paucorum hominum adserit perversa contentio». Si tratta semplicemente di questo!
(13) Pseudo-Matteo o fonte di esso. Sono omessi il Vangelo sec. gli Ebrei, il Vangelo sec. gli Egiziani, il Vangelo sec. Filippo, e altri vangeli anonimi, nonché gli Acta Pilati o vangelo di Nicodemo.
(14) Probabilmente il Vangelo latino dell’Infanzia edito dal James.
(15) È senza dubbio, il «Pastore» di Hermas.
(16) Famoso Manicheo. A lui sono attribuiti gli Atti di Giovanni e, più tardi, tutti gli altri atti apostolici in voga presso i Manichei, come pure gli altri apocrifi. Cfr. la supposta lettera di Girolamo a Cromazio ed Eliodoro nel prologo dello Pseudo-Matteo.
(17) Scritture manichee.
(18) Il così detto Libro dei Giubilei o ἡ λεπτὴ γένεσις.
(19) Un estratto degli Atti di Paolo.
(20) Nepote, vescovo di Arsinoe (Fajjûm), visse nella prima metà del sec. III, e nel suo Ἔλεγχος ἀλληγοριστῶν difese a spada tratta la dottrina chiliasta. Hier. De vir. ill. 69 (cfr. Eus. h. e. VII, 24, 1) ricorda tra gli scritti di Dionisio d’Alessandria «Duo libri adversum Nepotem episcopum».
(21) Si tratta in realtà delle Sententiae del filosofo pagano Sextus, che Rufino aveva tradotto in latino, lasciando credere che l’autore ne fosse il papa e martire Sisto. Contro di che protestò Girolamo in più occasioni. Ci avevano creduto, tra altri, anche Pelagio e Sant’Agostino (Retr. II, 42).
(22) Le due apocalissi di Paolo e Tommaso, che pur esistettero realmente e son giunte sino a noi, non sono ricordate da altro scrittore antico.
(23) Un’Apocalisse di Stefano ci è sconosciuta. Tuttavia ancora Sisto Senense nel sec. XVI (Biblioth. Sancta, l. II, p. 193 dell’ediz. di Napoli 1742) parla di un’Apocalisse di Stefano, in voga presso i Manichei. Secondo alcuni, si tratterebbe del Martyrium slavo di S. Stefano, di cui I. Fzanko pubblicò la traduzione in «Zeitschr. f. neut. Wissensch. 1906, p. 158 ss.; ovvero, secondo altri, della Revelatio corporis sancti Stephani, che il Gelasiano avrebbe malamente scambiato con un’apocalissi; cfr. Gennadius, De vir. ill. c. 46 s.: «Lucianus presbyter, vir sanctus, cui revelavit Deus, Temporibus Honorii et Theodosii Augustorum, locum sepulcri et reliquiarum corporis sancti Stephani martyris primi, scripsit ipsam revelationem ad omnium ecclesiarum personas graeco sermone. Avitus presbyter, homo hispanus genere, ante relatam Luciani presbyteri scripturam in latinum transtulit sermonem». È curioso che sia dimenticata e omessa la Revelatio Petri, già ricordata nel frammento Muratoriano e assai diffusa anche in Occidente.
(24) Lo stesso, senza dubbio che il Planctus Origenis, conservato in parecchi manoscritti.
(25) Non si tratta di Cipriano, vescovo di Cartagine; ma del mago Cipriano di Antiochia, morto poi martire.
(26) Più comunemente Sortes Sanctorum. Ma cfr. la denominazione greca λαχμητήριον τῶν ἀποστόλων. Erano usate nelle divinazioni, nei sortilegi.
(27) Non del tutto sicura è la scrittura lusa, nè si sa a che voglia propriamente alludere. C’è chi legge iussa apostol., intendendo Constitutiones apostolorum.
(28) Il Physiologus è una storia degli animali, trasportata al morale; opera d’uno scrittore greco dell’età alessandrina.
(29) Questo libro e i seguenti 15 (?) opuscula non solo non hanno nulla a vedere con gli apocrifi del N. T.; ma non si capisce neppure come i più figurino tra gli «apocrifi» nel senso di libri eretici e condannati. Per quel che riguarda Eusebio in particolare, il Gelasiano è qui in contraddizione con quanto notava più sopra: «Chronica Eusebii Caesariensis atque eiusdem historiae ecclesiasticae libros, quammvis in primo narrationissuae libro tepuerit et post in laudibus atque excusatione Origenis scismatici unum conscripserti librum, propter rerum tamen singularum notitiam, quae ad instructionem pertinent, usquequaque non dicimus renuendos.»
(30) Secondo lo Schwartz, la miglior tradizione dà come testo: Opuscula Lactantii apocrypha; le aggiunte sive Africani (Lattanzio era africano), sive Firmiani sono debolmente attestate. Nessuna menzione pertanto di Julius Africanus.
(31) Si tratta evidentemente dei dialoghi di Sulpicio Severo, in cui Postumio e Gallo sono gli interlocutori, onde Gennad. (de vir. ill. 19) gl’intitola: Conlatio Postumiani et Galli. Ma la strana espressione «opuscula P et G» fa sospettare un grosso equivoco da parte del Gelasiano.
(32) Alterius Clementis, in riguardo di Clemente Romano, discepolo di Pietro e Paolo e papa, di cui ricorre il nome più sopra.
(33) Se si tratta veramente, come non sembra potersi dubitare, del vescovo di Cartagine e dei suoi scritti genuini, s’ha anche qui una contraddizione con l’asserzione precedente del Gelasiano: «item [sancta Romana Ecclesia suscipi non prohibet] opuscula beati Caecili Cypriani martyris ei Carthaginiensis episcopi.»
(34) Non si sa chi sia.
(35) Ovvero Contradictio Salomonis. Non si sa chi sia.
(36) Cfr. Timoth. presb. (principio del VII sec.) De recept. haer. 86, 24 βάρβαρά τινα ὀνόματα ἐγγράφοντες (su tali amuleti) καὶ ὡς αὐτοί φασιν ἀγγέλων, τὸ δ´ἀληθὲς εἰπεῖν δαιμόνων τῶν αὐτοῖς ὑπηχούντων.
(37) A questa seconda opera alludiamo quando rimandiamo senz’altro al James.
(38) Forse non si trattava di traduzioni integrali, ma solo di estratti.
(39) Una traduzione più antica doveva essere già esistita prima di Girolamo, alla quale, con ogni probabilità, si riferiscono Clemente Alessandrino e Origene; ma al tempo di Eusebio non se ne aveva più traccia.
(40) Cfr. Hier. De vir. ill. 16: «Ignatius... scripsit.... ad Smyrnaeos et proprie ad Polycarpum..., in qua et de evangelio quod nuper a me translatum est, super persona Christi posuit testimonium dicens: Ego vero et post resurrectionem cet», Cir. tuttavia Orig. De princ. I proem. 8, dove il testo è attribuito al libro «qui Petri doctrina appellatur», ed Eus., h. e. III, 38, 11 ὁ δ´ αὐτὸς (sc. Ignazio) Σμυρναίοις γράφων οὐκ οἶδ´ὀπόθεν ῥη (=ῥητοῖς) συγκέχρηται. τοιαῦτά τινα περὶ τοῦ Χριστοῦ διεξιών· Ἐγὼ κτλ.
(41) Haer. XXX, 3 καὶ δέχονται μὲν καὶ αὐτοὶ τὸ κατὰ Ματϑαῖον εὐαγγέλιον. Τούτῳ γὰρ καὶ αὐτοὶ.... χρῶνται μόνῳ. Καλοῦσι δὲ ἀυτὸ Κατὰ Ἑβραίους. Ibid. 13 ἐν τῷ γοῦν παρ᾽ αὐτοῖς εὐαγγελίῳ Κατὰ Ματϑαῖον ὀνομαζομένῳ οὐκ ὅλῳ δὲ πληρεστάτῳ ἀλλὰ νενοθευμένῳ καὶ ἠχρωτηριασμένω, Ἑβραϊκὸν δὲ τοῦτο καλοῦσι, ecc. Cfr. Iren. I, 26, 29 [Ebionaei] solo autem eo quod est secundum Matthaeum Evangelio utuntur»; Ἑβραίους λεγομένῳ χρώμενοι (gli Ebionei) τῶν λοιπῶν σμικρὸν ἐποιοῦντο λόγον.
(42) Ciò spiegherebbe il comune titolo dato ai due vangeli (vedi nota precedente) e l’affermazione di Hier., in Matth. 12, 13 «In evangelio quo utuntur Nazareni et Ebionitae quod nuper in Graecum de Hebraeo sermone transtulimus, et quod vocatur a plerisque Matthaei authenticum etc.». D’altra parte, il racconto per esempio del battesimo di Gesù è assai diverso nei due vangeli.
(43) Cfr. le parole contenute in uno dei frammenti d’Epifanio Her. 30, 13: ὑμᾶς οὖν βούλομαι εἶναι δεκαδύο ἀποστόλους εἰς μαρτύριον τοῦ Ἰσραήλ. A questo vangelo secondo i XII apostoli il Revillout vorrebbe attribuire vari frammenti copti, relativi alla passione di Cristo, da lui pubblicati (Patrologia Orientalis II, 2); congettura assai poco probabile: οἷν, l’articolo di Baumstark in «Revue biblique» avril 1926, p. 245 ss.
(44) Cfr. Strom. III, 9, 63: φέρεται δέ, οἶμαι, ἐν τῷ κατ᾽ Αἰγυπτίους εὐαγγελίῳ, coll. III, 13, 92.
(45) Hom. I in Lucam (trad. s. Girol.): «Ecclesia quatuor habet evangelia, haeresis plurima, e quibus quoddam inscribitur secundum Aegyptios». Cfr. lo scholion in Lc. 1, 1: τὸ μέντοι ἐπιγεγραμμένον κατὰ Αἰγυπτίους εὐαγγέλιον καὶ τὸ ἐπιγεγραμμένον τῶν δώδεκα εὐαγγέλιον οἱ συγγράψαντες ἐπεχείρησαν (ma non scrissero sotto la divina ispirazione).
(46) Tὴν δὲ πᾶσαν αὐτῶν πλάνην καὶ τὴν τῆς πλάνης αὐτῶν δύναμιν ἔχουσιν ἐξ ἀποκρύφων τινῶν, μάλιστα ἀπὸ τοῦ καλουμένου Αἰγυπτίου Ἐαγγελίου, ᾧ τινες τὸ ὄνομα ἐπέϑεντο τοῦτο. Ἔν αὐτῷ γὰρ πολλὰ τοιαῦτα ὡς ἐν παραβύστῳ (=in segreto) μυστηριόδως ἐκ προσώπου τοῦ Σωτῆρος ἀναφέρεται, ὡς αὐτοῦ δηλοῦντος τοῖς μαθηταῖς τὸν αὐτὸν εἶναι πατέρα, τὸν αὐτὸν εἶναι πατέρα, τὸν αὐτὸν εἶναι ἅγιον πνεῦμα (cioè l’identità delle tre persone divine).
(47) Harnack, Chronologie I, p. 617 s.; cfr. anche Hennecke, Apokryphen² p. 56.
(48) Harnack, naturalmente, non ammette tale carattere eretico dell’apocrifico e ci vede soltanto un encratismo contenuto entro limiti dell’ortodossia. Ma è assai difficile conciliare tale giudizio con la radicale condanna degli antichi e con il frammento dell’apocrifo relativo al matrimonio.
(49) Lo Hennecke riferisce al Vangelo secondo gli Egiziani (con un punto interrogativo) anche il λόγιον di P. Oxy. 655, e alcune citazioni dei «Canoni ecclesiastici dei santi Apostoli», Ad. Jacoby, con minore probabilità ancora, attribuisce all’apocrifo il frammento d’un papiro copto di Strassburg da lui pubblicato (Ein Neues evangelienfragment, Strassburg 1900), che contiene, sembra, una preghiera sacerdotale di Gesù al Getsemani; il Baumstark (Oriens christianus, II, 1902, p, 466 s.) aggiudica al vangelo secondo gli Egizi un racconto del battesimo di Gesù sul Giordano, divulgato parimenti dal Jacoby (Ein bisher unbeachteter Bericht über die Taufe Jesu, Strassburg 1902).
(50) Segue un altro brano, dove Gesù mostra agli apostoli il cielo e l’inferno, cioè un brano dell’Apocalissi di Pietro, secondo l’opinione comune. Il James tuttavia propende a vederci un secondo brano del Vangelo.
(51) Secondo Harnack solo la dipendenza da Marco sarebbe certa o quasi certa. Il Gardner-Smith non ammette neppur quella.
(52) Del Kerygma Petri (Doctrina Petri?) parleremo a suo tempo.
(53) Cfr. lo scholion in Lc. 1, 1 citato sopra. πολλοὶ μὲν οὖν ἐνεχείρησαν καὶ (τὸ) κατὰ Ματθίαν καὶ ἄλλα πλερονα..
(54) Strom. 11, 9, 45; III, 4, 26; VII, 13, 82; cfr. VII, 17, 108 dov’è detto ch’erano in grande onore presso i Basilidiani.
(55) Schatze-Πetermann, Berlin 1851, p. 69 ss.
(56) Cfr. lo scholion citato in Lc. 1, 1: ἔγραψαν καὶ Μανιχαῖοι κατὰ Θωμᾶν Εὐαγγέλιον, VI, 31 μηδεὶς ἀναγιγνωσκέτω τὸ κατὰ Θωμᾶν εὐαγγέλιον· οὐ γάρ ἐστιν ἑνὸς τῶν δώδεκα ἀποστόλων, ἀλλ᾿ ἑνὸς τῶν τριῶν κακῶν τοῦ Μάνου μαθητῶν.
(57) Catech. IV, 36
(58) Ciò spiega forse l’errore in cui è caduto Cirillo di Gerusalemme: «nimirum quem ille librum apud Manichaeos imprimis in usu esse noverat, eum ab iisdem compositum ex coniectura arbitrabatur» (Tischend).
(59) Nel catalogo delle scritture manichee, redatto dal presbitero Timoteo (86, 21), occupa il nono posto.
(60) Sui rapporti di questo apocrifo con l’antico vangelo gnostico secondo Tommaso vedi più sotto, B, 3.
(61) Vedi l’articolo riassuntivo di P. Savi in «Rev. bibl.» I, 1892, pagine 321-344.
(62) In E. Hennecke, Apokryphen,² p. 56.
(63) Vedi White p. XXIV s. Ma il Reitzenstein, per esempio, e il Waitz (in Hennecke, Apokryphen2, p. 51) non accettano tale opinione, che è a loro avviso affatto inverosimile.
(64) Come pure, in parte, del Waitz, rispetto ai Λόγια del secondo papiro.
(65) Ad esso il Waitz non sarebbe troppo alieno d’attribuire i Λόγια del pap. n. 1.
(66) Ipotesi che non dispiace al Reitzenstein quanto ai Abyia del secondo papiro.
(67) Cfr. Wendland, ῏῏Die urchristl. Literaturformen῏῏, p. 233.
(68) Anche da fonti non cristiane. Cfr. Aimé Puech, Histoire de la littér. grecque, I p. 171, nota 2.
(69) L’Occidente fu più restio ad ammetterli. Benché già Zeno da Verona e il poeta Prudenzio attingano senza scrupolo al Protovangelo di Giacomo, i più influenti scrittori cattolici del IV e V secolo videro assai di mal occhio quei vangeli (S. Girolamo non dubita parlare di «deliramenta apocryphorum», «apocryphorum somnia») o per lo meno con sospetto (Sant’Agostino nega loro ogni autorità «non habent.... ullum pondus auctoritatis»), né mancarono anche esplicite condanne da parte dell’autorità ecclesiatica. (Cfr. Innoc. I ep. ad Exsup. 7: «Cetera autem [cioè i libri extracanonici].... non solum repudianda, verum etiam noveris esse damnanda»). Ma a poco a poco riuscirono tuttavia a farsi valere e imporsi. Appena trent’anni dopo la condanna di Innocenzo I (a. 405), i musaici di Santa Maria Maggiore in Roma, ordinati da Sisto III, si abbellivano di particolari derivati dagli apocrifi. Non molto più tardi Gregorio di Tours († 594) e lo Pseudo-Crisostomo (c. 600) spigolavano parimenti nei vangeli apocrifi. Nel Medio Evo poi il loro trionfo può dirsi completo (ricorda: Hroswitha † 968; lo Speculum historiale di Vincenzo di Beauvais, 2ª metà del sec. XIII; la Legenda aurea di Jacopo da Voragine, fine del sec. XIII, ecc.), non ostante le riserve di taluni, come Alcuino, S. Pietro Damiani, S. Bernardo, S. Tommaso d’Aquino. Vedi Tappenhorn, p. 18. Anche nel Corano e in altri scritti mussulmani l’influsso dei vangeli apocrifi si mostra assai largo.
(70) Il testo greco fu stampato primieramente da Michele Neander in «Apocrypha», h. e. Narrationes de Christo, Maria, Joseph, cognatione et familia Christi extra Biblia, come seguito alla Catechesis Martini Lutheri parva graeco-latina, Basilea 1564-1567.
(71) Diffusione e popolarità attestata anche dall’uso assai largo del Protovangelo nell’agiografia, liturgia, poesia e arte greca orientale. Non se ne conosce invece nessuna antica versione latina; ma ciò non vuol dire che non sia esistita: cfr. più sotto lo Pseudo-Matteo e il Vangelo dell’Infanzia del James, nonché l’Evangelium nomine Jacobi minoris, e il Liber de infantia Salvatoris et de Maria vel obstetrice condannati dal decreto Gelasiano.
(72) Il racconto della morte di Zaccaria nel Protovangelo è affatto diverso da quello di Origene, che pur conosceva il «libro di Giacomo».
(73) Papiri della Società Italiana I, 1912, pp. 9-16.
(74) Anche il «Vangelo latino dell’infanzia» pubblicato dal James (vedi più sotto, il numero 5) riproduce la storia di Zaccaria quale è data nel Protovangelo, e allude al silenzio della natura descritta nell’«apocrifo di Giuseppe».
(75) La più lunga, che è anche la più antica, fu pubblicata integralmente la prima volta (di su un codice bolognese del sec. XV) da G. L. Mingarelli in Nuova raccolta d’opuscoli scientifici e filologici, tomo XII, Venezia 1764, pp. 73-155. La seconda fu trovata dal Tischendorf in un manoscritto del XIV-XV secolo presso i monaci del Monte Sinai. La terza, che è l’equivalente del Thomas latino, è stata pubblicata da A. Delatte nel suo recente volume Anecdota Atheniensia I (Bibl. de la Faculté de Philol. et Lettres de l’Université de Liège XXXVI): cfr. M. R. James, The Gospel of Thomas in «The Journ. of theol. Studies» 1928, n. 117, pp. 51-54. Tutti i pochi codici greci che abbiamo dello Pseudo-Tommaso sono d’età assai recente. Più numerosi sono i codici latini, ma anch’essi di tarda età (salvo il palinsesto di Vienna).
(76) Il Vangelo si chiude con la disputa di Gesù tra i dottori al tempio.
(77) A. Meyer ritiene non inverosimile che le storielle dell’apocrifo siano di importazione indiana, e che a ciò si debba l’attribuzione del medesimo a Tommaso, l’apostolo tradizionale dell’India; «e forse il filosofo israelita è subentrato al posto d’un filosofo indiano, cioè d’un Bramino» (Hennecke, Apocryphe, vo p. 95).
(78) cfr. A. Meyer, l. c.
(79) Il testo latino (cod. Sinaitico) ha: Thomam.... Ismaelitam et apostolum (cod. apostolos) domini». M. R. James inclina a credere che la lezione Ismaelitam, invece di Israelitam sia l’originale, e che la combinazione «Ismaelita» e «filosofo» suggerisca una voluta connessione con i savi del lontano Oriente.
(80) A un più antico tentativo di riduzione cattolica del Vangelo di Tommaso allude forse la sticometria di Niceforo, quando parla di un εὐαγγέλιον κατὰ Θωμᾶν di 1300 stichi, cioè due volte più ampio della più lunga redazione greca del nostro apocrifo. — Nella lista delle scritture manichee presso Timoteo presbitero (86, 21) Τὸ κατὰ Θωμᾶν εὐαγγέλιον (n. 9) è distinto da τὰ παιδικὰ τοῦ Κυρίου (n. 13).
(81) Il manoscritto è del VI secolo. Secondo il Peeters (Evangiles apocryphes, Paris, II, p. XVIII) il siriaco non sarebbe già la versione di un originale greco, ma invece «l’originale comune delle redazioni greche e latine». Soltanto, poiché «un testo latino datante forse dal V secolo e tradotto dal siriaco, è un’ipotesi con la quale si è poco familiarizzati..., siamo portati a supporre come intermediaria una traduzione greca distinta dalle recensioni esistenti e più completa». Parecchia luce potrà risultare dal deciframento del palinsesto latino viennese, cui accenniamo appresso.
(82) Uno studio speciale del nostro apocrifo ha pubblicato L. Conrady, Das Thomasevangelium, in «Theol. Studien und Kritiken», 1903, III, PP. 377-459.
(83) In Alcuni Manoscritti, In Luogo Di Queste Lettere, Si Ha Un Prologo In Cui Giacomo, Figliuolo Di Giuseppe, Si Dichiara Autore Del Libro. Le Due Lettere Si Leggono Anche Nel Codice Aremdel Del «vangelo Latino dell’infanzia» pubblicato dal James e di cui si riparla più sotto.
(84) Altri lo crede più antico (V-VI secolo secondo il Lipsius e il Michel), altri ancora più recente (VIII-IX secolo secondo il James). I manoscritti a noi pervenuti sono tutti posteriori al secolo XI. Fu preso a base della celebre poetessa Hrotsvitha, Monaca Sassone († c. 973).
(85) La dipendenza dal Protovangelo potrebbe non essere diretta, ma solo indiretta, mediante cioè qualche altra redazione latina.
(86) Osserva giustamente il Rhodes James, p. 79: «La reale importanza dello Pseudo-Matteo sta non tanto nelle storie che contiene, quanto nel fatto che esso fu il principale veicolo per cui quelle furono conosciute dal Medio Evo, e la principale fonte di ispirazione per gli artisti e poeti dal XII al XV secolo».
(87) Da identificare con l’apocrifo Gelatiano «Liber de nativitate Salvatoris et de Maria vel obstetrice»?
(88) C. f. c. XXV: «If ever there was a Docetic account of the lord’s birth; it is here», ecc.
(89) Nella assimilazione che si fa del bambino alla luce (n. 73) il Lagrange vede semplicemente l’influsso giovanneo, sia pure sovraccarico con «les effusions d’une piété plus ou moins bien inspirée»; e nel mostrarsi del bambino ai pastori ora piccino ora grande, e in altre simili metamorfosi (n. 84), egli trova «des jeux de folk-lore plutôt qu’une conception théologique sur l’enfant».
(90) Vedi il Peeters (Évangiles apocryphes, Paris, 11, 1914).
(91) J. Feller, Catal. codd. mss. biblioth. Paulinae in Acad. Lips. 1866, p. 161.
(92) Vedi Reinsch, Die pseudo-Evangelien von Jesu u. Maria’s Kindheit ecc., p. 7 ss. Cfr. anche L’Evangile de la jeunesse de Notre-Seigneur Jésus-Christ (testo latino con traduzione francese di Catulle Mendès, Paris, 1894), che sarebbe stato ritrovato, non è molto, nella abbazia di san Volfango in Salzkammergut, e apparterrebbe all’alto medioevo. Ma con ogni verosimiglianza, «the latin text as well as the French version may be regarded as the work of Catulle Mendès» (Rhodes James).
(93) La recensione latina A del Tischendorf l’attribuisce a Giuseppe d’Arimatea; mentre il Transitus Mariae B lo fa scrivere a Melitone vescovo di Sardi (c. 170), per incarico di S. Giovanni. Il cod. Paris gr. 1504, ne dà come autore Giacomo, fratello del Signore, e così pure il titolo del cod. Vind. 151.
(94) «In ipsis graecis exemplorum haud exigua est varietas, in extrema potissimum libri parte» (Tischendorf). Di più, le versioni latine (di cui la prima del Tischendorf è una compilazione assai tarda) suppongono evidentemente un testo greco parecchio diverso da quello pubblicato dal Tischendorf (di su codici del XI-XIV secolo) e affine invece a quello rielaborato da Giovanni, arcivescovo di Tessalonica, sec. VII; e rappresentatoci da altri codici. Vedi M. Bonnet, Bemerkungen über die ältesten Schriften von der Himmelfahrt Maria in «Ztschr. f. wiss. Theol.» 1880, pp. 222-247, dove, accanto a concezioni dogmatiche in aperta antitesi con la fede cattolica, appare anche una concezione assai superficiale del culto cattolico della Vergine. M. R. James è d’avviso che «la leggenda fu elaborata primieramente, se non addirittura originale, in Egitto; onde i testi saidico e boarico meritano speciale attenzione» (p. 194).