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XXII

1. Il più antico, il più diffuso e al tempo stesso il più dignitoso e meno urtante de’ vangeli apocrifi dell’infanzia è il Protovangelo di Giacomo, che l’umanista francese Guglielmo Postel riportò da un viaggio in Oriente, e pubblicò la prima volta non nel testo greco originale, ma in una versione latina nel 1552 a Basilea 1. Numerosi codici ne furono scoperti più tardi nelle biblioteche europee; ma nessuno fino allora ci aveva fatto caso. Accanto poi ai codici greci furono rintracciati versioni o frammenti di versione in siriaco, arabo, etiopico, copto, armeno e in antichi dialetti slavi, le quali attestano la grande diffusione e popolarità di cui aveva goduto l’apocrifico2. Le differenze però, sia tra i codici greci tra loro, sia tra i testi greci e le varie versioni, sono assai notevoli: più che apografi e versioni d’un unico archetipo, abbiamo dinanzi rimaneggiamenti e più o meno liberi rifacimenti; sicché una ricostituzione criticamente sicura del testo primitivo sarà opera di lunga lena. Per ora, l’edizione del Tischendorf è quanto v’ha di meglio.

Il titolo di Protevangelo non figura in nessun manoscritto; se sia stato inventato dal Postel, o fosse veramente (com’egli affermava) la designazione usuale di quel vangelo in Oriente, è difficile dire. Quanto al Giacomo, cui il libro è attribuito (c. XXV), è senza dubbio, com’è dichiarato espressamente nel titolo della maggior parte dei codici, il «fratello del Signore», l’Apostolo Giacomo il Minore, il primo Vescovo di Gerusalemme. (Cfr. Innoc. I ad Exsup. 7: «cetera autem, quae vel sub nomine Matthiae sive Jacobi minoris», e il decreto Gelasiano: «Evangelium nomine Jacobi minoris»).

L’origine assai antica del nostro apocrifico è fuori di contestazione. Non può certo dedursi rigorosamente da certe coincidenze (come la nascita di Cristo in una grotta, ecc.), che già S. Giustino, verso la metà del II secolo, abbia conosciuto il Protovangelo. Né il fatto che Clemente Alessandrino (Strom. VII, 16, 93) parli della verginità di Maria constatata da levatrici è una prova apodittica che tale tradizione l’abbia attinta proprio dal Protovangelo. Ma quando Origene (in Matth. X, 17) ci dice che alcuni, basandosi sul così detto Vangelo di Pietro e sul libro di Giacomo» (τῆς βίβλου Ἰακώβου), ritengono i «fratelli»» del Signore esser figliuoli di Giuseppe, avuti da una prima moglie, è difficile non vedere in quel «libro di Giacomo» il nostro apocrifo, o almeno la parte più antica di esso. Aggiungo questa limitazione, perché s’ha qualche motivo di ritenere (vedi per esempio nel c. XVIII lo strano passaggio del racconto in terza persona a quello in prima persona, come pure la storia di Maria bruscamente troncata

  1. Il testo greco fu stampato primieramente da Michele Neander in «Apocrypha», h. e. Narrationes de Christo, Maria, Joseph, cognatione et familia Christi extra Biblia, come seguito alla Catechesis Martini Lutheri parva graeco-latina, Basilea 1564-1567.
  2. Diffusione e popolarità attestata anche dall’uso assai largo del Protovangelo nell’agiografia, liturgia, poesia e arte greca orientale. Non se ne conosce invece nessuna antica versione latina; ma ciò non vuol dire che non sia esistita: cfr. più sotto lo Pseudo-Matteo e il Vangelo dell’Infanzia del James, nonché l’Evangelium nomine Jacobi minoris, e il Liber de infantia Salvatoris et de Maria vel obstetrice condannati dal decreto Gelasiano.