VIII

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VII IX
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VIII.

Con novembre venne finalmente anche Olimpio. Egli se ne stava una mattina fra le undici e mezzogiorno sulla soglia di un caffè alla moda, solo per caso, e anche per caso annojato.

— Cosa mi dai? domandò svogliatamente al cameriere che passava.

Il cameriere snocciolò il rosario dei soliti intingoli, ma Olimpio lo ascoltava coll’aristocratica indifferenza dell’uomo che non ha fame.

— Porta un risotto coi tartufi, e che la sia finita!

Queste parole che fecero voltare Olimpio, le aveva pronunciate un vecchietto rubicondo, col mento rasato di fresco e i capelli tirati sulle tempia, secondo quella pettinatura graziosa che si chiama orecchie di cane.

— Oh! zio Prospero, è un secolo che non ci vediamo. [p. 64 modifica]

— Naturale; non potevi incontrarmi a Baden, e nemmeno a Parigi.

— E perchè no? perchè no, caro zio! esclamò Olimpio avvicinando due sedie a un tavolino.

— Perchè... perchè non sono un discolo io!

Completando questa frase, il signor Prospero alzò gli occhi sul nipote per vedere che effetto faceva; ma non vide nulla. Olimpio replicò pacatamente:

— Eppure m’hai preso, dacchè non ti vedo, un’aria giovanile e baldanzosa che lascia campo alle più ardite supposizioni. Eri grigio una volta — poffarbacco, se eri grigio! — mi ricordo perfettamente — e adesso, Dio mi danni se si scorge il benchè menomo capello bianco.

Il signor Prospero accarezzò le sue orecchie di cane con manifesto piacere. Olimpio tirò dritto:

— E le tue guancie... ma sono di latte e vino!

— Di vino non nego — in quanto al latte... qui a Milano non è troppo buono, e me ne astengo.

— Ringiovanisci, caro zio, parola d’onore! Avresti fatto una bella cosa a venirmi a raggiungere a Baden. C’era ottima compagnia; una baronessa Moldo-Valacca, due signorine Meklemburghesi, una Americana vedova di due conti, di un banchiere e di un impresario teatrale — e giovane ancora. Non parlo degli uomini.

— E perchè non hai condotto tua moglie? [p. 65 modifica]

— Una moglie, santo Dio, come passa il suo tempo a Baden? — Una moglie m’intendo, che non sia nè Moldo-Valacca, nè Meklemburghese, nè vedova di quattro mariti. E poi Giulia è timida, non ama la società, d’altronde il dottore le aveva ordinato le acque di Levico...

— Oh! le complicità della scienza! fece il signor Prospero crollando il capo, in modo giudizioso, però, sì che non avesse a soffrirne la simetria.

Il cameriere servì la colazione. Olimpio l’assaggiò appena — non mangiava mai molto, del resto — il signor Prospero si pose a scegliere i tartufi lasciando da parte il riso e rincarando sulla morale.

— E a Parigi? Cosa hai fatto tanto tempo a Parigi intanto che la tua compagna sospirava qui a Milano?

Olimpio tutto compunto rispose:

— Sospiravo anch’io; ma l’interesse del mio avvenire esige pur troppo l’acquisto di quelle cognizioni e di quella esperienza pratica che si ricava dai viaggi.

— Il tuo avvenire! ma ci hai mai pensato tu all’avvenire?

— Mai, lo confesso. Ora però sono capo di famiglia e mi occupo seriamente per farmi una posizione.

Il signor Prospero, colla forchetta sospesa, contemplò il nipote; il nipote, avvezzo a farsi contemplare, non battè ciglio. [p. 66 modifica]

— Dici da senno?

— Del mio migliore.

— Il mondo, vedi, incomincia a mormorare; si accorge che tu trascuri tua moglie, che non adempi i tuoi doveri di buon marito, che... che... insomma, non so se mi spiego.

— Pochissimo, per non dire niente affatto.

Il signor Prospero che si credeva a buon porto, dovette ricominciare:

— Anzi tutto questo tuo vagabondare da Erode a Pilato...

— Primo errore. Erode e Pilato c’entrano ne’ miei viaggi meno ancora che nel credo. Io sono andato a Baden per motivi di salute, e a Parigi per gettare le basi della mia futura carriera.

— La tua futura carriera?

— Sì — voglio fare il diplomatico. I destini dell’Italia sono strettamente collegati a quelli della Francia; sorelle d’origine, di storia, di culto, emule nella gloria, compagne nelle sventure, queste due nazioni hanno bisogno di un genio che le riunisca in un medesimo intendimento di fini — nel lavoro concorde e unissono verso il medesimo scopo, senza scissure di partiti, senza odio di caste, senza amor proprii esclusivi. Noi abbiamo, è vero, ottimi diplomatici; ma l’accordo delle due potenze non ha ancora raggiunto quella base [p. 67 modifica] solida, radicata diremo così, senza la quale un popolo non può mai essere tranquillo. Aggirandosi troppo nelle alte sfere, i nostri diplomatici hanno trascurato la politica popolare, non tennero conto delle piccole forze e dei piccoli interessi, degli odii minuti, degli attriti invisibili; si attennero soverchiamente alla massima: de minimus non curat...

Trasportato con tanta grazia da un argomento all’altro, il signor Prospero fece come gli inesperti che si tuffano nell’acqua — bevette — e sorbì innocentemente questa tirata, che Olimpio aveva recitato con tutte le regole dell’arte oratoria e con una fisonomia grave, preoccupata.

— Dunque tu vuoi diventare un uomo politico?

— Ti prego, zio, conservami il segreto. Sono affari delicati.

Il signor Prospero fece un cenno rassicurante.

— Ho stabilito buone relazioni col gabinetto segreto dell’ambasciata francese, col Ministero della guerra... e...

— Della guerra? — interruppe il signor Prospero abbassando la voce — forse che...

— Ma! non posso dir nulla, rispose Olimpio con aria misteriosa.

— Oh... dico, siamo o non siamo parenti? con me puoi essere sincero, chè da parte mia sono muto come un sordo nato. [p. 68 modifica]

— Non dubito, caro zio; ma io devo essere più muto ancora — come un morto, ecco.

— Egli è che ho comperato recentemente della rendita sullo Stato...

— Sicura, sicura.

— Tuttavia...

— Eh! già tuttavia se si potesse trovare un capitalista... Ne riparleremo.

— Mi fido a te.

— Ti fidi bene.

Il signor Prospero, abordando suo nipote, aveva di mira una solenne paternale. Nella sua qualità di unico parente, gli incombeva il dovere di tirare sulla buona strada questa pecorella che si ostinava a battere i sentieri di traverso della vita scapola, quantunque fosse ammogliato da nove mesi. Aveva preparato alcuni argomenti di bell’affetto, logici, morali; minaccie no, ma una persuasione eloquente.

Si teneva sicuro di convincerlo. Il mondo avrebbe detto: Olimpio è un po’ scapestratello, ma suo zio lo tiene in riga. — Oh! suo zio è un uomo di polso.

Nossignori. Accadde tutto il contrario.

Il signor Prospero, armato di sillogismi, di assiomi virtuosi, di discorsi preparati e corretti, fu battuto in breccia da Olimpio che non era preparato a nulla.

Il degno vecchio, per qualche minuto, rimase lì grullo. [p. 69 modifica]

Olimpio si disponeva a pagare il conto levando i biglietti da un elegantissimo portafogli in pelle lucida color violetto cupo a fermagli d’acciajo.

— Pago io, pago io: disse Prospero.

Senonchè mettendo la mano nella tasca sinistra del soprabito incontrò una lettera — Ahi! — fece tra sè l’onesto celibatario, dimenticavo il meglio. Vediamo un po’ se c’entra anche qui la diplomazia.

Tirò fuori placidamente una letterina un po’ spiegazzata, la guardò con occhio malizioso, e battendovi sopra il tamburello colle dita esclamò:

— Il diavolo fa le pentole, ma non fa i coperchi!

— Te ne incarichi tu, forse? rispose Olimpio gettando un’occhiata sospettosa sulla sopracarta.

— Senti; sono notizie che mi vengono da Parigi.

— Telegrafate?

— No, in via di lettera confidenziale.

— Peuh! — rancidume. In fatto di notizie nuove non c’è che il telegrafo.

— Senti tuttavia — potrebbero interessarti.

Il signor Prospero cominciò a leggere fra i denti la prima parte, poi spiccando le parole e guardando tratto tratto il nipote proseguì:

«Ho veduto Olimpio spesse volte sui boulevards, e più spesso accompagnato che solo; accompagnato, intendiamoci, non da barbuti e nojosi ciceroni, ma da [p. 70 modifica] leggiadre donnette, che s’erano, a quanto pare, assunto l’incarico di mostrargli la topografia della città — nè la monotonia era a temersi, perchè seguendo il precetto antico variata placent, la bionda e la nera si alternavano, lasciando posto anche per la castana e la rossiccia.» Eh! signor nipote, cosa dice?

— Ma non dico nulla, aspetto la fine.

— La fine ce la metto io, concludendo che a Parigi facevi il discolo e il libertino, dimentico di tua moglie e dei sacri doveri della fedeltà.

— Ecco, caro zio, cosa vuol dire l’immaginazione! È una bella dote per i poeti, per i romanzieri, sopratutto per gli autori drammatici, ma gli zii in genere dovrebbero averne pochissima. Cos’è infatti l’immaginazione?...

— Alto là — interruppe questa volta il signor Prospero — tu mi vuoi entrare in una dissertazione metafisica che ci condurrebbe a cento miglia dall’argomento; stiamo in carreggiata, signor diplomatico, e rispondi nettamente alla domanda; tu a Parigi, frequentavi molte donne?

Olimpio messo al muro non si si sgomentò nè punto nè poco; alzò in volto al signor Prospero i suoi limpidi occhi azzurri, e rispose a voce lenta e sicura:

— Sì.

Fece una pausa per lasciare che l’effetto del suo [p. 71 modifica] sangue freddo non andasse perduto; passò una mano sulla fronte, represse un sospiro e continuò:

— Ogni posizione che si acquista col nostro sudore, colla fatica del nostro ingegno, coll’abnegazione del nostro cuore, con sacrificii, con veglie, con palpiti, con lagrime, non è pagata abbastanza? Ebbene, no — dobbiamo ancora subire l’insulto, la calunnia, la maldicenza che si filtra dappertutto, anche là dove si avrebbe il diritto di pretendere appoggio e difesa!

— Io....

— Lasciami proseguire. Oh! sapevo benissimo che la carriera da me scelta, carriera ardua e difficile, avrebbe dato facile giuoco ai maligni. Sapevo che per salire in alto bisogna costeggiare i precipizii.

— Credi....

— Ma la mia missione è sublime e segreta; chi non mi crede non è degno di comprendermi!

— Volevo dire appunto....

Olimpio, come trascinato dalla vertigine, non si arrestò.

— Le donne! (sorrise amaramente) Certo, ho frequentate alcune donne.... molte donne — e chi non sa che l’indole e le tendenze di un popolo si devono studiare dove si manifestano più facilmente? — e dove si manifestano più facilmente se non nel lato debole? — e qual’è il lato debole di un popolo, di una società, di una [p. 72 modifica] famiglia?... Ah! zio Prospero, zio Prospero, credevo che avesti delle idee molto più profonde, più pratiche, più positive.

Tacque — e parve immergersi in alti pensieri.

Il signor Prospero mortificato rintascò la sua lettera.

— Giulia si lagna? domandò Olimpio bruscamente.

— Ella! povera e dolce creatura, non apre mai bocca se non per difenderti.

— Ecco dunque la mia giustificazione. Orsù, facciamola finita: non parlare a Giulia de’ miei progetti nè delle mie relazioni — a lei deve bastare il mio amore, e questo lo ha. Le donne non intendono altro.

— Mi raccomando poi...

— Che cosa?

— Le mie cartelle di rendita sullo Stato.

— Ci penseremo.

Il signor Prospero pagò lo scotto e uscì dal caffè, segretamente lusingato di avere per nipote un futuro diplomatico — e di che forza!