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VII.


Il viaggio dei due sposi attraverso l’Italia si compì in cinque settimane.

Giulia, stordita dalle ferrovie, dagli alberghi, dai musei, dalle pinacoteche, dalle chiese, dai monumenti sospirava un po’ di quiete.

Tornò a Milano (vi ho già detto che i miei personaggi sono milanesi? sì — allora scusate) tornò dunque a Milano piena la testa di arcate e di colonne e il baule di regali.

Ella non disse a nessuno che la prima notte di matrimonio l’aveva fatta sola sola in un albergo di Venezia — erano già passate tante notti da quella prima! e tanti compensi! Olimpio era galante se non affettuoso.

Giulia mostrò tutte le compere e i doni avuti con un orgoglio infantile, come se profondere il denaro fosse stato un sacrificio per Olimpio. [p. 57 modifica]

Andò a trovare le sue amiche, le sue compagne di scuola; ella le sorpassava tutte co’ suoi abiti di velluto e i suoi pizzi di Francia.

Aveva un appartamento magnifico, col tappeto sulla scala e vasi del Giappone in tutte le camere. Questo lusso faceva parlare un po’ la gente. Si calcolava che Olimpio non guadagnava nulla, che i suoi beni erano tutti ipotecati e che la sostanza maggiore apparteneva alla moglie.

Un’amica intima — zitella fra i venticinque e i trenta — osservò che per essere ancora nella luna di miele, lo sposo non eccedeva in tenerezze.

— È il suo carattere — diceva Giulia — è poco espansivo, ma mi adora.

Tra due signore maritate ebbe luogo il seguente dialogo:

— Cosa ne dici tu del matrimonio di Giulietta?

L’interpellata aveva un marito zoppo e orribilmente losco; rispose:

— Ha sposato un uomo troppo bello; a me non piacciono gli uomini belli. Prima di tutto, sono sempre un po’ talpe, e poi non si può dormire con tutti e due gli occhi.

— La fedeltà è dunque una virtù esclusiva delle persone brutte?

— Oh!... secondo; nelle donne no, ma gli uomini [p. 58 modifica] sono così leggieri, così incostanti e in generale non hanno quel fondo di moralità solida che ci fa resistere alle tentazioni. Povera Giulietta! figurati, un marito che non si può guardare senza voltarsi a riguardarlo!

— Lo conosci tu?

— Di vista;... abbaglia. Oh, è pericoloso, troppo pericoloso! E poi, ne vuoi sentire un’altra? Giulietta, da quella inesperta che è, prese una cameriera di vent’anni, fresca e rosa come una mela appena côlta.

— Imprudente!

— Io non prendo una cameriera che a patto di aver saltata la quarantina o che abbia per lo meno il gozzo.

La vita dei due sposi era tutta superficiale.

Giulia — non dimenticate che aveva quindici anni e senza mamma — si lasciava trascinare dalla corrente. Olimpio era il turbine, ed ella il granellino di sabbia che gli volteggia intorno. Olimpio vestiva bene, dava pranzi, giuocava, frequentava i teatri. Giulia vestiva bene anche lei, riceveva, andava a teatro; ma con suo marito stava poco.

— Non si usa — egli diceva. — È ridicolo che un marito debba sempre stare attaccato alla gonnella della moglie.

Rincasava un po’ tardi alla notte. Giulia glie ne mosse un timido lagno.

— Bisogna farsi una ragione, diavolo, non sei più una [p. 59 modifica] bambina. Certe cose si deve capirle. Un uomo ha i suoi impegni, le sue relazioni, le sue abitudini; non si può violentarlo, non si può imporgli di rinunziare a’ suoi amici, a’ suoi interessi per cucirselo accanto a farsi dipannare le matasse.

Giulia domandò scusa.

Venne l’estate, la stagione dei bagni. Olimpio aveva bisogno di andare a Baden; il dottore gli aveva ordinato quelle acque, ma una donna non poteva star bene a Baden — non era luogo conveniente — e poi vi si annojava alla morte — e poi il clima era nocivo per Giulia — e finalmente Giulia era pallida, era debole; le conveniva l’aria pura, il ferro — Levico, per esempio.

— Dobbiamo separarci!... esclamò Giulia singhiozzando.

— Pur troppo, mia cara. La vita, vedi, è una catena di sacrificii; non si può mai secondare la nostra volontà. Il matrimonio, del resto — ricordati le parole del sindaco e del prevosto — è una palestra d’abnegazione; rassegnati: mi rassegno anch’io.

— Penserai a me?

— Giorno e notte.

— Mi scriverai?

— Prendo meco una valigia di carta e di penne. Tu, dal canto tuo, sta allegra, divertiti e a rivederci. Partì. [p. 60 modifica]

Si era fatto fare un costume elegantissimo e bizzarro in velluto oliva. Giulia ricevette la nota del sarto: costava trecento lire.

Fece ella pure — tristamente — i suoi preparativi per la partenza. Andò a Levico, ma non conosceva nessuno; era inesperta, ingenua, riservata; le venne in uggia l’esistenza monotona dello stabilimento. Ad onta delle sue promesse, Olimpio scriveva poco; una paginetta scarsa — sto bene, mi giova la cura — addio.

Una volta scrisse più a lungo. Aveva bisogno quattromila lire. S’era trovato (diceva lui) in uno di quegli impegni che un uomo d’onore non può rifiutare.

Giulia non capì perfettamente quali potessero essere tal sorta di impegni, ma tornò a Milano e spedì la somma.

Verso la metà d’agosto, Olimpio annunciò il suo arrivo. Il cuore di Giulia balzò come un uccelletto da lungo tempo imprigionato a cui si apre l’usciolino della gabbia. Ma il momento della gioja non era ancora venuto. Un telegramma la rese avvertita ch’egli aveva preso la strada di Parigi.

Con comodo le scrisse:

«Mi si è presentata un’occasione economica e favorevole per visitare la capitale del mondo incivilito. Come è ben naturale, non ho voluto lasciarla sfuggire. Tu sai che i viaggi contribuiscono all’educazione e [p. 61 modifica] allo sviluppo dello spirito — meglio che in passatempi vani ed oziosi, vedrai con piacere che io mi occupi utilmente. Fammi avere, se puoi, duemila lire, e dimmi cosa devo portarti da Parigi.»

Il cuore di Giulia tornò a stringersi, ma non palesò ad alcuno le sue torture, anzi volle cercare ragionando di convincere sè stessa che la condotta d’Olimpio era naturalissima.

È giovane — pensò — tutta vita e tutto spirito; ricercato, festeggiato; quando compare lui in un’adunanza, subito lo circondano, se lo rubano; egli è il re d’ogni festa. Non avrà potuto svincolarsi — e poi, infine, che male c’è? È il primo marito che si allontana dalla moglie? — se ne vedon tanti! E non mi dimentica, poveretto! Scrive poco, è vero; ma quando si è in viaggio non si trova mai tempo; accadeva lo stesso anche a me. Sono proprio una scioccherella — piango senza motivo; voglio stare allegra — sì — perchè sono felice, felicissima.

Si vestì, allacciò sotto il mento i veli aerei d’un cappellino bianco, montò in carrozza e si fece condurre da un’amica.

Era gaja, sorridente.

— Come stai, mia cara?

— Benissimo.

— Tuo marito, sempre in viaggio? [p. 62 modifica]

— È a Parigi — m’ha scritto stamattina.

— A Parigi! si divertirà certamente; ma, è strano che non abbia condotto anche te... Ah! forse ti fa male il clima!...

E là — anche questa è partita. È partita dall’arco della maldicenza la freccia sottile, avvelenata, e la ferita appena chiusa tornò a sanguinare nel cuore di Giulia.